Covid, l’ultima parola


di Paolo Di Marco

a) premessa
Con un articolo sul NYTimes del 4 Giugno della biologa molecolare Alina Chan abbiamo finalmente e pubblicamente tutti gli elementi necessari a dire l’ultima parola sulla pandemia.
Dato che si presenta come un giallo colla classica lenta raccolta di indizi, la formulazione di ipotesi e i colpi di scena, per non dimenticare tutti i possibili depistamenti, ne seguiremo lo svolgimento lungo le tappe essenziali.
(nella foto: Fauci, Daszak e il Covid)

Le informazioni fondamentali sono riassunte in una sequenza di articoli, partendo  dal Wall Street Journal poi da quello seminale di Wade sul Bulletin of the Atomic Scientists del 5/5/2021, passando all’intervento su Nature del Giugno ’20 con un articolo a primo firmatario Daszak, poi all’articolo sul Times di Tufekci del ‘22, poi quello di Wallace del ‘22 e infine questo di Chan.
A questo vanno aggiunti i dati sulla mortalità da pandemia raccolti sul Bulletin of the Atomic Scientists così come gli ultimi studi su Nature a altri giornali scientifici sui danni collaterali dei vaccini.

1- le origini: Wuhan
A Wuhan, epicentro della pandemia, c’è il grande laboratorio per la ricerca sui virus, WIV; dato che il virus più simile al COVID (96%) proviene dai pipistrelli, e la cava di pipistrelli più vicina (da cui proviene il simile) è a centinaia di km di distanza, qualcuno sospetta subito che l’origine dell’epidemia sia un incidente di laboratorio. Ma si alza immediatamente un fuoco di sbarramento: la presenza a Wuhan di un grande mercato di animali vivi può essere il focolaio di incubazione di uno spillover, cioè trasmissione da pipistrello ad uomo tramite un animale intermedio, ancora da scoprire. Gli stessi scienziati che avevano sostenuto l’ipotesi laboratorio (lab-leak) vengono convinti insieme ad altri da Peter Daszak (EcoHealth Alliance) e Jeremy Farrer (Wellcome Trust, oggi nuovo responsabile scientifico dell’OMS(!)) a firmare su Nature un articolo che esclude la possibilità del laboratorio come fonte.
Successivamente, nel Gennaio ’21, l’ONU manda una squadra di inchiesta a Wuhan.. capitanata dallo stesso Daszak.
Ma cosa c’è esattamente a Wuhan?
Il primo elemento che emerge è che, contrariarmente a quanto crede l’opinione pubblica (soprattutto americana) Wuhan non è mai stato un laboratorio cinese in senso stretto: all’interno del cinese WIV nasce il Wuhan National Biosafety Lab, impiantato dai francesi nel 2014 con Shi ZhengLi, loro conoscenza in Vietnam, poi soffiato loro dagli americani nel 2018 grazie alla classica valigia piena di dollari (123 milioni per la precisione). Il portatore della valigia nonchè supervisore del laboratorio era Peter Daszak, presidente della EcoHealth Alliance, che controllava -e controlla- qualche decina di laboratori di ricerca biologica sparsi per il mondo. Dietro a Daszak un personaggio prestigioso e navigato come Anthony Fauci, direttore dei Laboratori di Ricerca Biologici dell’Istituto di Sanità (NIAIID) e poi direttore della CDC al tempo del Covid.
Questa catena, interrotta per quanto riguarda Wuhan ad Agosto 2022 con le dimissioni di Fauci dalla CDC e il blocco dei finanziamenti del nuovo direttore, si blocca un mese fa con la sospensione di tutti i finanziamenti ministeriali a Daszak. Dopo il Covid i militari e civili cinesi del WIV entrano nella supervisione…dopo che la frittata era stata fatta.
Ma qual è lo scopo di questi laboratori?
Dopo che nel ’68 Nixon (spinto dall’unico afflato umanitario conosciuto del suo consigliere Kissinger) propone il bando alla guerra batteriologica, nel ’69 le principali potenze lo firmano. I relativi protocolli (BWC) vengono interpretati in modo abbastanza elastico dagli americani, fino a quando, con Obama e Hillary Clinton, si arriva ad un cambio di paradigma: dalla difesa contro attacchi biologici (concentrata su una decina di patogeni o sostanze tossiche pericolosi, dall’antrace al ricino all’influenza aviaria ad Ebola) si passa alla prevenzione. Il che, diversamente da quanto potrebbe pensare un comune mortale, significa che per potersi difendere meglio si preparano anche dei patogeni modificati in modo da essere più mortali e/o maggiormente trasmissibili, che successivamente vengono studiati per trovare contromisure o vaccini. Questo percorso viene chiamato con un nome neutro: guadagno di funzioni (gain-of-function), lasciando ad ulteriori specificazioni (facoltative) la possibilità di uso doppio: sia difensivo sia offensivo (cioè, fuori dal ‘politicamente corretto’, la classica guerra batteriologica).
I personaggi che gestiscono e finanziano questa ricerca sono per gli USA Ralph Baric, capo del centro di ricerca di Fort Detrick USARMRIID), Anthony Fauci (Capo NIHIAD e poi CDC) e Peter Daszak, (Eco Health Alliance) quest’ultimo inglese.

Torniamo alla pandemia: l’ipotesi di uno spillover richiede che si trovi l’ospite intermedio, che però è assai elusivo, e fino al ’23 non dà segno di sè; e così l’ipotesi del laboratorio non può venir negata con sicurezza.
Anzi, in un articolo magistrale per quantità e precisione di informazioni di Nicholas Wade nel maggio 2021 sul Bulletin of the Atomic Scientists si portano elementi pesanti a favore di questa ipotesi:
-in primo luogo come l’ipotesi più ‘parsimoniosa’ (o semplice, corrispondente al ‘rasoio di Occam’): i pipistrelli più vicini al mercato sono a 500 km di distanza e non si trovano ospiti intermedi, mentre nel laboratorio ci sono esattamente i virus più geneticamente vicini a quello epidemico;
-in secondo luogo quello che aiuta il virus a trasmettersi più facilmente all’uomo è un carattere non presente nel virus originario: la proteina ‘spike’ col ‘furin-cleavage-site’ ovvero le ‘forbicine’ che permettono al virus di entrare nella membrana cellulare umana; e che quindi genera il forte sospetto sia un carattere aggiunto col famoso gain-of-function;
– in terzo luogo il livello di sicurezza del laboratorio che, nonostante sulla carta dovesse essere BS4 (stile scafandro), nella maggior parte dei casi è a livello BS2 (stile dentista), col rischio quindi alto di contaminazione accidentale;
– e infine le notizie di 3 lavoratori del laboratorio ammalati con sintomi respiratori a settembre ’19, che confermerebbe momento e punto di partenza dell’epidemia.

Per due anni c’è una guerra mediatica pesante: giornali e riviste arrivano a definire ‘cospirazionista’ l’ipotesi del laboratorio con le conseguenti censure su articoli e interventi. Una prassi che, colla scusa delle ‘bufale’ di Trump e dintorni, è diventata comodo pretesto di censura permanente delle opinioni fuori dal coro, per quanto scientificamente argomentate.
Dopo due articoli prudenti sul NYTimes rompe la barriera, sempre sul NYTimes, Zeynep Tufekcı, docente di sociologia e statistica all’Un Georgia: non solo sostiene che l’ipotesi del laboratorio è reale, non solo invita il governo e i servizi segreti a dire quello che sanno per mantenere credibilità, ma aggiunge una piccola bomba: la lettera con cui Daszak chiede al Ministero della Difesa USA (DOD) il permesso di inserire nel virus la proteina Spike con le forbicine. Col che confermando in un colpo solo tre cose: che la supervisione della gestione del laboratorio di Wuhan è degli USA, che si tratta di una ricerca che richiede l’autorizzazione militare – e quindi siamo nel campo della guerra batteriologica, e che il virus della pandemia è nato in laboratorio.
Insiste ancora sul tema della guerra batteriologica sul NYTimes un articolo di Wallace, che lancia una battaglia per un controllo pubblico ed efficace delle ricerche ‘a doppio uso’ sul ‘guadagno di funzioni’.
Ma fino a quando Fauci non abbandona il campo tutto resta immobile: è solo nell’agosto ’22 che il nuovo direttore CDC interrompe i finanziamenti a Wuhan colla motivazione di ‘mancati chiarimenti su dati e protocolli’ e solo 1 mese fa  i finanziamenti a Daszak si interrompono.
Mentre ancora i principali giornali, NYTimes compreso, così come gli editoriali su Nature, avallano l’ipotesi dello spillover, confortati in questo da un tardivo ritrovamento di pangolini di Wuhan contagiati dal virus, sulle riviste scientifiche infuria la polemica, con toni anche aspri, tra sostenitori dello spillover e del laboratorio, questi ultimi rappresentati ora dalla biologa molecolare Alina Chan.

Con mossa a sorpresa il NYTimes ne ospita a Giugno ’24 la demolizione dell’ipotesi spillover; oltre agli elementi già portati da Wade aggiunge un particolare fondamentale: mentre l’infezione dei pangolini di per sè non è sufficiente a sostenere lo spillover (il passaggio potrebbe essere avvenuto in entrambe i sensi), i geni del virus che li ha infettati appartengono alla seconda generazione del Covid: quindi il passaggio è stato da uomo a pangolino e non viceversa. Inoltre un’analisi accurata dei geni conferma come il Covid pandemico sia frutto di manipolazione umana (se è vero che il ‘furin cleavage site’ è presente anche in altri coronavirus, non si vede come possa essere capitato nel pandemico originario; inoltre l’albero genealogico del virus pandemico è chiaramente figlio dei virus prelevati nelle caverne di 500 Km distanti e che avevano infettato 5 lavoratori dieci anni prima- con l’aggiunta specifica di una miglior trasmissibilità grazie appunto al ‘furin cleavage site’).

L’ultimo ma non minore argomento della Chan riguarda il modo in cui può essere avvenuto l’incidente: è il classico e prevedibile incidente sul lavoro che succede quando si forzano i ritmi: il laboratorio aveva una dotazione di qualche centinaio di virus (il cui catalogo però sparisce nel Dicembre ’19), e manipolarli con uno scafandro (come nella foto di Shi Zheng Li) significava andare a un ritmo insopportabilmente lento…
quindi la maggior parte del tempo si usava il protocollo BS2 (mascherina dentista e basta)

Quindi sappiamo che la pandemia è il risultato di un esperimento di guerra batteriologica degli Stati Uniti. E che i 25 milioni di morti della pandemia (stima mediana) sono loro primaria responsabilità. Che devono essere chiamati a pagare.
Ma, anche se in secondo piano, le responsabilità non si fermano qua.

2- la gestione
Quando parte la pandemia, l’OMS è l’organo internazionale centrale che deve affrontarla; e dato che si tratta di un’epidemia quelli che devono entrare in campo sono gli epidemiologi. Peccato che, per un normale caso di demenza delle istituzioni, questi nel caso sia un infettivologo (la statunitense van Kerkhove), che dà indicazione generiche del tipo igiene ospedaliera (lavarsi le mani, non toccare estranei,…) che con questa epidemia non c’entrano nulla. L’ 11 marzo 2020 viene dichiarata la pandemia; quando ad aprile 2020 un gruppo di ricercatori scrive al responsabile OMS Ghebreyesus spiegando che tutti i dati indicavano che la propagazione non avveniva per contatto ma per trasmissione aerea, ricevono un appuntamento per 3 mesi dopo: vengono ascoltati attentamente…e non succede nulla. Solo un anno dopo si metterà la circolazione aerea come ‘una delle possibili vie di trasmissione’. E si consiglierà, senza alcun piano di implementazione, un poco di circolazione d’aria. Il che significa che in pratica per bloccare o ridurre la trasmissione del virus non si fa nulla. Tutte le ricerche da manuale sulla presenza nel virus nelle acque reflue, tutti i modelli di circolazione del virus diventano, senza una strategia di blocco della trasmissione, sterili esercitazioni.
Le mascherine, divenute presidio principale contro la trasmissione, lo sono per atto di fede: le 2 uniche indagini dirette sull’efficacia in una popolazione ampia (Bangladesh e USA) le danno (le sole FP2) dal 0 al 10%, in pratica efficaci solo contro gli starnuti.
Questo disprezzo istituzionale nei confronti della scienza si verifica, seppure in modo disomogeneo, in tutti i paesi, usando al posto il metodo classico dei tempi della peste, la quarantena. Giustificato allora, senza ragione scientifica ora; certo, con la quarantena si riduce anche la trasmissione aerea del virus, ma è un’efficacia marginale, come sparare alle mosche con un cannone. È solo quando a dicembre 2020 entra in campo Big Pharma coi vaccini che la scienza, ormai ostaggio del profitto, rifà capolino.
Eppure ad Aprile la situazione era chiara, anche se avrebbe richiesto piani ed interventi: ridurre la trasmissione aerea (sotto una certa concentrazione il virus diventa inefficace) significava imporre una circolazione d’aria (livello brezza) nei luoghi pubblici chiusi ed affollati: dai supermercati ai treni alle scuole alle chiese; nonchè nei luoghi di lavoro. Un investimento certo costoso, ma non più di tanto: si trattava di aggiungere ai sistemi di condizionamento aria un filtro Hepa 14, e dove non c’era condizionamento, come nelle scuole, garantire un minimo di ventilazione, sia naturale sia con un ventilatore per classe. Ma le indicazioni degli organi centrali, sia OMS che Stati, erano un semplice e inutile elenco di cose che si potevano fare (a parte l’inutile e idiota lavaggio delle mani, proseguito per 5 anni, che vedeva la beffa dei centri di vaccinazione dove si passava per ben 3 successivi lavaggi di mano per poi essere rinchiusi per mezz’ora in uno stanzone stoppinato e affollato..così da garantire sicuro contagio).
In termini pratici questa demenza istituzionale è costata qualche milione di vite umane, delle quali i responsabili devono rispondere.
E nel loro novero vanno compresi anche due tipi di politici: quelli che hanno governato la Lombardia e il resto della pianura padana per decenni lasciandola diventare la terra più inquinata d’Europa, le cui polveri sottili hanno contribuito a rendere ancora più mortale l’aerosol col virus. e quelli che hanno volutamente distrutto il sistema sanitario pubblico lasciando completamente sguarnito il territorio di difese decentrate, a partire dal commesso viaggiatore del capitale finanziario  Draghi (col discorso sul Britannia dove offre ai capitalisti internazionali le pianure italiane come territorio di pascolo previo smantellamento della Sanità  e del resto dei sistemi pubblici) al pratico Formigoni della Compagnia delle Opere agli idioti di Fontana e Gallera.

NB: Oltre agli articoli citati nel testo chi scrive ha consultato circa 900 articoli originali pubblicati sulle principali riviste scientifiche. L’unica cosa positiva successa durante il Covid infatti è stato  l’accesso libero (temporaneamente) alle (carissime) riviste scientifiche del ramo e la creazione di una archivio preprint libero, MedrXiv, analogamente a quanto già succedeva per la Fisica  con ArXiv. L’analisi della trasmissione virale cui qui si fa riferimento era già presente in un articolo (su Poliscritture) del 2020 (Covid19, per una strategia).

13 pensieri su “Covid, l’ultima parola

  1. Qualche legame col discorso qui svolto da Paolo sul Covid…

    SEGNALAZIONE/AL VOLO

    Andrea Zhok

    LA DOMANDA NON È SE CI SARÀ LA GUERRA, MA QUALE GUERRA CI SARÀ
    https://www.facebook.com/andrea.zhok.5/posts/pfbid02h5uyicgohtEXjuz489cv5K7CWfZZLno9GFpmM3dEkbuLofzA6tR7e4oJj6YH4QJDl

    Un paio di giorni fa il presidente serbo Vučić ha espresso il suo forte timore che 3-4 mesi ci separino dalla Terza Guerra Mondiale. Che si tratti di una valutazione realistica o magari di eccessiva apprensione da parte di chi ha già esperito sulla propria pelle la natura “eminentemente difensiva” della Nato, è quanto scopriremo solo vivendo.
    Possiamo però sin d’ora fare qualche considerazione generale sulle linee di tendenza che si profilano.
    Dal punto di vista di un confronto diretto tra grandi potenze militari la questione cruciale riguarda la percezione interna di un carattere “decisivo” del conflitto regionale in corso. Per la Russia è chiarissimo, e lo è stato sin dall’inizio, che si trattasse di una minaccia percepita come esistenziale. L’asimmetria del confronto qui dev’essere ben percepita: nel conflitto russo-ucraino la Russia è formalmente l’aggressore, avendo violato i confini ucraini con le sue truppe, ma la Russia si percepisce aggredita perché ha visto anno dopo anno i preparativi Nato ai propri confini (esercitazioni congiunte, costruzione di infrastrutture militari, il cambio di regime di Maidan, la persecuzione delle proprie minoranze in Ucraina, ecc.). Questi eventi sono stati lamentati come prodromi o ad un’aggressione diretta o ad un posizionamento di vantaggio strategico che metteva potenzialmente in scacco le difese russe. È qui necessario tener ferme alcune premesse storiche e geografiche: la Russia è sempre stata particolarmente esposta alle minacce sul fronte occidentale, dove è stata più volte attaccata, dove non ci sono barriere naturali degne di nota, e dove si trovano le principali città, a partire da Mosca. Questi timori sono stati espressi da vari governi russi innumerevoli volte, per anni, e solo il controllo occidentale sulla narrativa pubblica ha impedito che questo fatto fosse generalmente riconosciuto prima dello scoppio della guerra. Non l’Occidente ma la Russia vive una sfida militare alle proprie porte da vent’anni; non è l’Occidente ma la Russia ad essere oggi colpita sul proprio territorio dalle armi di una potente alleanza militare ostile, con il supporto tecnologico e informativo della stessa.
    Per la Russia, dunque, non c’è spazio per “passi indietro”, perché si è già arrivati ai confini, al limite che minaccia la propria esistenza statuale: fare passi indietro significa perdere la capacità di mantenersi integra.
    Che dire degli USA e della Nato? Qui dal punto di vista delle minacce dirette la situazione è molto differente, eppure nelle linee di fondo non è dissimile. Gli USA non stanno versando sangue, né stanno subendo danni infrastrutturali dall’attuale confronto con la Russia. E tuttavia il problema qui è di natura sistemica: la narrativa che ha sostenuto la fiducia nel sistema occidentale, militare e finanziario, impone al sistema di presentare un orizzonte di crescita, dominio e forza internazionale. L’iniziativa russa, sostenuta in modo defilato ma sostanziale dalla Cina, ha messo in moto un processo di “insubordinazione” nel mondo extra-occidentale, che rappresenta un effetto domino devastante per l’egemonia politica ed economica dell’Occidente a guida americana. Veder scossa la propria capacità di imporre trattati a sé favorevoli in Africa, America Latina, Medio Oriente ed Asia minaccia frontalmente il modello di sviluppo occidentale, modello già in crisi per ragioni interne, e che conta da sempre sulla possibilità di estrarre plusvalore dal mondo meno industrializzato (come risorse naturali, energetiche, manodopera a basso costo, ecc.). Il sistema hobbesiano della competizione economica infinita appare tollerabile solo finché le proprie popolazioni appartengono solo in modo marginale alla sfera dei perdenti in questa competizione. Quando la lotta economica di tutti contro tutti comincia ad erodere significativamente i modi di vita del proletariato europeo o americano, l’allarme scatta, perché l’unità dei sistemi occidentali è fornita soltanto dalla promessa di un benessere (comparativamente) diffuso.
    Questo significa che, per ragioni diverse, anche nell’Occidente a guida americana l’attuale “insubordinazione internazionale” fomentata dalla Russia rappresenta un rischio esistenziale: essa porta alla luce i “limiti intrinseci allo sviluppo” che i critici del modello capitalista hanno riconosciuto da tempo e che ora bussano alle porte.
    Nessuno dei due contendenti può dunque permettersi un’aperta sconfitta.
    Ci sono margini per un onorevole pareggio? Non molti e sempre di meno. Più passa il tempo, maggiori sono gli investimenti economici e umani nel conflitto, minori sono gli spazi per un esito che non appaia come una sconfitta all’una o all’altra parte. Per dire, è chiaro che le condizioni degli accordi di Minsk II, che erano rivendicati dalla Russia prima dell’inizio della guerra, se accettati oggi rappresenterebbero una grave sconfitta per i russi, lasciando 8 milioni di russofoni in balia politica di quegli stessi che li hanno perseguitati prima e bombardati poi. Più passa il tempo, maggiori i costi, più i risultati accettati come minimi per ciascuna delle parti si ampliano.
    Questo quadro rende la possibilità di un conflitto diretto, ogni giorno che passa, sempre più probabile,.
    Si apre però qui una questione essenziale, che riguarda la NATURA del conflitto.
    La possibilità, paventata e temuta, che si pervenga ad un diretto scontro senza esclusione di colpi, dunque ad una guerra anche nucleare, non può essere esclusa. Per quanto entrambe le parti in conflitto comprendano bene il carattere potenzialmente terminale di un tale confronto, qui il rischio proviene non tanto dalla programmazione esplicita della guerra quanto dalla logica dell’escalation, che può far arrivare alla soglia della deflagrazione, pensando di controllarla, per poi sorpassarla magari per un fraintendimento, per un eccesso di timore o di sospetto.
    Ma personalmente credo che le possibilità di un conflitto nucleare diretto siano ancora relativamente basse, non trascurabili, ma basse.
    Lo scenario che invece credo sia altamente probabile, direi certo, salvo gli scenari peggiori di cui sopra, è quello dello sviluppo di forme inusitate e devastanti di GUERRA IBRIDA.
    Per “guerra ibrida” (hybrid warfare) si intende una strategia militare che impiega una varietà di tattiche atte a portare nocumento all’avversario, limitando il ricorso alla guerra convenzionale e privilegiando invece forme di attacco non dichiarate, che possono sempre ricadere nella “plausible deniability”, nell’area grigia delle cose non pienamente dimostrabili di cui si può negare la responsabilità. Il problema è che oggi gli spazi per queste forme di guerra sono enormi, incomparabilmente superiori a tutto ciò che il passato ci ha consegnato.
    Sono parte della guerra ibrida il supporto ad atti terroristici, anche da parte di gruppi terzi. Il terrorismo può infatti essere di tipo diretto, come attacchi ad infrastrutture strategiche da parte di qualche commando infiltrato (ma qui c’è sempre il rischio che qualcuno venga preso è che la “deniability” venga meno.) E poi c’è la possibilità, tutt’altro che complessa, di sostenere, manipolare, armare gruppuscoli già esistenti che odiano l’avversario, ma che mai avrebbero le risorse per attentati in grande stile (questi sono, ad esempio, i termini in cui viene oggi letto in Russia l’attentato al Crocus City Hall del 24 marzo, i cui autori diretti sono del Tagikistan, ma la cui preparazione rinvia per i russi ai servizi segreti ucraini).
    Possono rientrare nella guerra ibrida anche atti terroristici che non appaiono tali, come sabotaggi, apparenti malfunzionamenti infrastrutturali, incidenti aerei, ferroviari, ecc.
    Possono rientrare nella guerra ibrida forme di guerra batteriologica mirata, ad esempio con patogeni selezionati per colpire in modo privilegiato certi gruppi etnici. E anche qui l’apparenza può essere quella del caso o dell’accidente.
    Possono essere esempi di guerra ibrida attacchi cibernetici di varia natura, destinati a entità finanziarie, a database, archivi, ecc.
    Possono essere momenti di una guerra ibrida attacchi speculativi finanziari, volti a creare occasioni che rendano i mercati internazionali un’arma per destabilizzare un paese.
    E poi esistono innumerevoli ambiti di guerra ibrida di cui ancora non abbiamo esempi espliciti, ma che sono oggi tecnologicamente disponibili. Pensiamo ad esempio alle accuse mosse neanche troppo velatamente dal ministro degli esteri turco agli USA di essere dietro al terremoto in Turchia e Siria del 2023. Che oggi vi siano modi per indurre, in punti tettonicamente predisposti, eventi tellurici è stato oggetto di studio militare (se lo studio si sia mai tradotto in realtà è questione che ignoriamo).
    E naturalmente possono essere parte di una guerra ibrida eventi critici volti a condizionare specifici eventi elettorali, come la creazione di vittime ad hoc, di capri espiatori, o operazioni di discredito alla vigilia delle elezioni, ecc.
    Se l’orizzonte di una durevole e intensa guerra ibrida è l’orizzonte che abbiamo di fronte nei prossimi anni, è, a mio avviso, necessario tener ferme due cose.
    La prima è che per la natura stessa della guerra ibrida, intenzionalmente opaca ed inesplicita, i margini di strumentalizzazione interna sono amplissimi. Può così accadere che qualcosa sia effettivamente un evento di guerra ibrida mossa da una potenza estera, ma può anche accadere che qualcosa sia un mero incidente, oppure un’operazione interna false flag volta a condizionare il fronte interno (le operazioni “sotto falsa bandiera” sono di una semplicità disarmante in un contesto in cui per definizione le bandiere negli attacchi reali non vengono esposte).
    Se, come si dice, la prima vittima della guerra è la verità, in una guerra ibrida la verità pubblica tende a dissolversi in maniera integrale: semplicemente tutto è potenzialmente strumentale per qualcuno.
    Una simile atmosfera di sospetto coltivato ad arte e di condizionamenti occulti tende a consolidare in posizioni di potere chi già detiene il potere, e tende a rendere massimamente difficile la costruzione di qualunque iniziativa politica eterodossa, estranea al potere già consolidato.
    Questo punto ci porta ad una seconda conclusione: la direzione primaria in cui si deve muovere, in questo contesto storico, una politica critica, una politica d’opposizione autentica, deve avere al centro della propria agenda la RICHIESTA DI PACE (che vuol dire convivenza, riduzione della conflittualità internazionale, allentamento delle tensioni, accettazione della pluralità di prospettive, accettazione di un multipolarismo con pari dignità dei vari poli, ecc.) e il RIFIUTO DELL’EMERGENZIALISMO (rifiuto della creazione costante di ansia, terrore, di sindromi dell’attacco o della catastrofe incombente, per manipolare la volontà pubblica).
    Volontà di pace, nel senso più comprensivo, e rifiuto dell’atteggiamento emergenzialista, dovrebbero essere al centro di ogni iniziativa politica che si voglia capace di resistere ai tempi oscuri in cui siamo stati sospinti.

    COMMENTI
    I
    van Cej
    Bisognerebbe chiederlo a quelli ammanigliati con lo State Department di Washington… ma figurati se te lo dicono!

    Francesco Paolo Esposito
    Bisognerebbe,forse, studiare la rivoluzione bolscevica e trarre insegnamenti per rovesciare il governo,i governi,che fanno la guerra

    Andrea Zhok
    Francesco Paolo Esposito Beh, lì sono passati da tre anni di massacri prima di rovesciare il governo, dunque non so se è in cima alla lista degli esempi che vorrei seguire…

    Pierluigi Fagan
    Fra quattro mesi si vota in USA difficile scoppi una guerra prima e dipende da chi vincerà se scoppierà dopo.

    Andrea Zhok
    Pierluigi Fagan Io temo l’ingresso in extremis di qualche superprogressista da talk show tipo Michelle Obama, perfetta per accattare preferenze qualunquiste, e poi liberamente utilizzabile per qualunque operazione del Deep State. Se vince Trump il fronte russo si allenterà (quello cinese però forse no).

    Pierluigi Fagan
    Andrea Zhok …sì potrebbero anche auto-provocarsi e provare a buttarla in caciara a dieci minuti dalla fine ma hanno poi il rischio di guerra civile. Vediamo e speriamo

    Paolo Bartolini
    Ottimo

    Carlo Dario Ceccon
    La guerra ibrida conviene e la fa una sola delle due parti, quella che dei popoli e delle nazioni se ne fotte altamente, perché il suo fine unico è il potere di una casta di finanzieri minoritaria e presuntuosa, non troppo distante dalla famiglia imperiale dei Romanov nella struttura del potere, salvo che qui e oggi l’impero non brilla più nel sole, ma si blobba nelle infamie che si consumano nell’ombra della storia delinquenziale di una casta di usurai senza morale. Era intuibile che il potere del capitale evolvesse in questa direzione. Il guaio è che non avrà più nessuna prospettiva credibile, una volta crollate le prospettive messianiche del sionismo. Bisogna perciò sviluppare la comprensione della vera natura del nemico e sviluppare l’azione di guerra di conseguenza, non contro stati ed eserciti, perciò, ma prioritariamente contro i massimi rappresentanti della famigliona imperiale. I russi hanno cominciato a capirlo, perciò evitano di bombardare i civili. Se oggi Putin si presentasse alle elezioni ucraine, prenderebbe la maggioranza dei voti. Al signor Z. consiglierei d’informarsi se nella grande p.za Maidan ci sia per caso una pompa di benzina, gli consiglio di tenersene lontano.

    Persio Flacco
    Propongo un esperimento mentale. Poniamo che scompaia d’un botto la cricca neocon-sionista diventata egemone negli USA grazie agli attentati dell’11/9/2001 e si porti appresso il suo PNAC, saremmo oggi ai ferri corti con la Russia?
    Io credo di no.
    Ricordo che Barack Obama al suo primo mandato e alle prese con la grave crisi economico finanziaria indotta dalle alchimie della finanza, vinse con un programma tutt’altro che aggressivo in politica estera. Stranamente durante la sua permanenza la Casa Bianca subì una impressionante serie di violazioni di sicurezza, tanto che la “capa” del Servizio Segreto dovette essere sostituita (senza che cambiasse di molto la situazione) e che le polemiche sulla sua cittadinanza americana erano argomento di inchieste sui mass media.
    Analogo discorso, ma con un programma conservatore, vale per il primo mandato di Trump, immediatamente posto sotto accusa e minacciato di impeachment per “intesa col nemico”: la Russia, e fatto oggetto di una ben organizzata trama con epicentro proprio a Roma. Nello specifico in quel crogiolo di connessioni ambigue che è la Link University di Enzo Scotti.
    Né il primo Obama né Trump hanno tenuto un atteggiamento aggressivo in politica estera, semplicemente perché ritenevano che non fosse interesse degli Stati Uniti.
    E questo li ha resi “nemici” della cricca neocon-sionista.
    Se questo ragionamento è fondato, se Trump vincesse le presidenziali USA, se in tale eventualità non avesse incidenti di qualche sorta, se in questi quattro anni non fosse stato “riprogrammato” come lo è stato Obama al secondo mandato, se non riusciranno a impastoiarlo con qualche casino giudiziario, di guerra mondiale già a dicembre prossimo non si parlerà più. Mia opinione.

    1. “Francesco Paolo Esposito
      Bisognerebbe,forse, studiare la rivoluzione bolscevica e trarre insegnamenti per rovesciare il governo,i governi,che fanno la guerra

      Andrea Zhok
      Francesco Paolo Esposito Beh, lì sono passati da tre anni di massacri prima di rovesciare il governo, dunque non so se è in cima alla lista degli esempi che vorrei seguire…

      Pierluigi Fagan
      Fra quattro mesi si vota in USA difficile scoppi una guerra prima e dipende da chi vincerà se scoppierà dopo.

      Andrea Zhok
      Pierluigi Fagan Io temo l’ingresso in extremis di qualche superprogressista da talk show tipo Michelle Obama, perfetta per accattare preferenze qualunquiste, e poi liberamente utilizzabile per qualunque operazione del Deep State. Se vince Trump il fronte russo si allenterà (quello cinese però forse no).

      Pierluigi Fagan
      Andrea Zhok …sì potrebbero anche auto-provocarsi e provare a buttarla in caciara a dieci minuti dalla fine ma hanno poi il rischio di guerra civile. Vediamo e speriamo”

      Riassunto e commento:
      Bisognerebbe studiare la rivoluzione bolscevica per rovesciare i governi che fanno la guerra [perché, finora non l’ha studiata nessuno]? No meglio di no, perché son passati da tre anni di massacri [ah, solo per i massacri non ne vale la pena]? Dipende da chi vincerà le elezioni Usa se scoppierà la terza guerra mondiale [quindi se vince Biden scoppia?]? Temo l’ingresso di Michelle Obama all’ultimo minuto per un’operazione del Deep State[un gioco di prestigio]? Se la buttano in caciara a dieci minuti dalla fine rischiano la guerra civile [l’America rischia la guerra civile]?

      Uno scontro tra titani, direi.

  2. SEGNALAZIONE

    Verso uno stato di guerra permanente?
    Recensione a Che cosa è la guerra? La logica dei conflitti capitalistici tra XX e XXI secolo di Andrea Pannone
    di Andrea Fumagalli

    https://www.machina-deriveapprodi.com/post/verso-uno-stato-di-guerra-permanente

    Stralci:

    1.
    con la nascita del capitalismo e il «libero» scambio sul mercato del lavoro che comincia a delinearsi il connubio tra economia politica e violenza. Capitalismo e guerra sono due facce della stessa medaglia e si alimentano a vicenda.
    Nella fase attuale assistiamo tuttavia ad un’escalation: la guerra diventa non un fatto eccezionale, finalizzato a sanare una crisi temporanea, strumento congiunturale per passare a una nuova fase di accumulazione, ma un fatto strutturale: un nuovo modo di produzione che si pone in alternativa al comune come modo di produzione, per dirla alla Vercellone et alii[1].
    2.
    Al riguardo, il libro di Andrea Pannone Che cos’è la guerra? La logica dei conflitti capitalistici tra XX e XXI secolo ci offre una lettura assai stimolante. A differenza di altri importanti saggi sulla situazione geopolitica attuale[2], il libro di Pannone abbraccia l’intero periodo del nuovo millennio, con incursioni anche nelle ultime decadi del secolo XX. E cerca di delineare un mosaico che comprenda anche le problematiche che travalicano gli aspetti puramente economici[3], in particolare quelle dettate dall’emergenza ecologica e sanitaria (Covid 19) (cap. 4 e cap. 5).
    Uno dei primi aspetti analizzati (cap. 2) è l’eccesso cronico di capacità produttiva e di capitale, una caratteristica che sembra essere strutturale nella storia del capitalismo. Come è noto, tale eccesso è alla base delle teorie dell’imperialismo che fanno riferimento a Lenin e a Rosa Luxembourg, e a loro volta al Marx delle Teorie del Plusvalore.
    3.
    La globalizzazione cominciata negli anni Ottanta si può ascrivere a questo modello interpretativo? E quindi può essere analizzata come conseguenza della necessità di sviluppare politiche imperialiste alla stregua di quelle analizzate da Lenin e Luxemburg?
    4.
    Dal 1985, l’indice azionario S&P500 (che raccoglie le 500 corporation americane a più elevata capitalizzazione di borsa) ha rilevato che la quota di capitale intangibile (brevetti, R&S, brand, formazione, comunicazione, ecc.) ha per la prima volta superato il capitale tangibile, quello dei macchinari, dei mezzi di trasporto, dei fabbricati.
    Tale dinamica è stata favorita dalle caratteristiche del nuovo paradigma tecnologico dell’ICT,[Sigla dell’ingl. Information and comunication technology (“Tecnologia dell’informazione e della comunicazione”), usata per indicare il settore dell’informatica e delle telecomunicazioni. ] basato non più su tecnologie meccaniche, ripetitive e statiche (produzione a stock) ma piuttosto su tecnologie linguistiche e comunicative e dinamiche (produzione a flussi). Ciò che diventa importante non è più solo la proprietà dei mezzi di produzione ma sempre più la proprietà intellettuale (controllo della generazione e della diffusione di conoscenza) insieme alla governance dei flussi finanziari, come nuova fonte di finanziamento e di valorizzazione, all’indomani del crollo di Bretton Woods.
    5.
    nel corso degli ultimi tre decenni i fattori di crisi siano più legati alla finanziarizzazione della produzione che alla struttura produttiva stessa. In altre parole, se nel fordismo la crisi era originata da sovra-produzione o da sotto-consumo per poi trasmettersi al credito e alla finanza, ora avviene il contrario. Si tratta di un ulteriore conferma del ruolo centrale dei mercati finanziari nel capitalismo contemporaneo.
    6.
    Alla luce di queste considerazioni Pannone ritiene che la tesi della centralizzazione della ricchezza, avanzata da Brancaccio, Giammetti e Lucarelli nel libro La guerra capitalista, debba essere rivista.
    7.
    [Esiste] un piano parallelo alla sfera della produzione: quello dell’enorme espansione dei guadagni derivanti dal possesso di asset [Qualsiasi bene di proprietà di un’azienda (macchinari, merci, ecc.), che possa essere monetizzato e quindi usato per il pagamento di debiti.
    ] non riproducibili (come ad esempio titoli, azioni, beni immobili, ecc.), gonfiato di valore per riflesso di una sorta di meccanismo d’asta che favorisce scommesse e strategie speculative (p. 135). 
    Tramite la gestione di questi patrimoni, spesso in aree offshore [Con società offshore si identifica una società registrata in base alle leggi di uno Stato estero, che conduce la propria attività al di fuori dello Stato o della giurisdizione in cui è registrata] per sfuggire alla tassazione, le grandi corporation controllano le catene del valore e la logistica delle supply-chain. [ catena di approvvigionamento:  Un sistema di organizzazioni, persone, attività, informazioni e risorse coinvolte nel processo atto a trasferire o fornire un prodotto o un servizio dal fornitore al cliente. ]
    8.
    in teoria, la sfera produttiva potrebbe vivere senza il business dei mercati finanziari, tale business ha invece bisogno di un sottostante «produttivo» e dell’esistenza di un qualche investimento produttivo.
    9.
    si genera così un equilibrio asimmetrico tra poteri a prevalente trazione finanziaria, basati su processi di «estrattivismo» [L’estrattivismo è l’estrazione delle risorse naturali di un paese o località e la loro esportazione verso altri luoghi, senza alcuna lavorazione in loco o con una lavorazione minima ]  e di «dispossession»[spoliazione]  per dirla alla Harvey e poteri a maggior trazione industriale. I primi hanno come riferimento gli Stati Uniti, i secondi la Cina e più in generale l’area dei BRICS+. Tale asimmetria genera tensioni e crisi costanti. Da un lato, gli Stati Uniti hanno bisogno di mantenere l’egemonia del dollaro come unica valuta di riferimento internazionale, dall’altro i paesi BRICS+[BRICS è un acronimo, utilizzato in economia internazionale, che individua cinque paesi (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) accomunati da alcune caratteristiche simili, tra le quali: la condizione di economie in via di sviluppo, una popolazione numerosa, un vasto territorio, abbondanti risorse naturali … ] aspirano al controllo della logistica internazionale, non a caso oggi diventata il principale terreno di scontro tra Usa e Cina.
    10.
    Da un lato, gli Stati Uniti voglio mantenere la supremazia dell’Occidente nei nuovi settori della business intelligence e dell’intelligenza artificiale, che oggi rappresenta il terreno più avanzato dello sfruttamento a fini capitalistici non solo del lavoro ma soprattutto della vita degli esseri umani, in stretta simbiosi con la dinamica dei mercati finanziari.
    11.
    Dall’altro lato, abbiamo proprio i paesi del Sud Globale, che si stanno organizzando nei BRICS+ e puntano a ridurre il peso del dollaro come valuta di riferimento e la sua capacità di condizionare l’autonomia economica prima e politica poi di molti paesi post-coloniali.
    12.
    Siamo di fronte non a una transizione egemonica (come quella dall’Olanda alla Gran Bretagna – guerre napoleoniche – o dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti – le due guerre mondiali del XX secolo) in grado di definire lo stato vincente. Siamo di fronte a più transizioni egemoniche (al plurale) che segnano il passaggio da un mondo unipolare a uno multipolare. Il rischio è che questa transizione non veda la fine in tempi brevi e ci trascini in uno stato di guerra permanente: un regime di guerra.

  3. è sempre bello leggere questi racconti rosa/neri, ma visto che sono tutte speculazioni, elucubrazioni, riflessioni privi di dati ed elementi di conferma, andrebbero messi in altre rubriche…forse baumschule

  4. @ Paolo

    La rubrica Baumschule – dovresti saperlo – era intestata a Elena Gramman ed è chiusa dopo l’interruzione della sua collaborazione. Al di là del tuo rispettabile ma non risolutivo giudizio, queste segnalazioni hanno una relazione col tema Covid da te trattato e per me stanno bene qui. Sta ai lettori valutare se considerarle fiabe o indizi importanti su un mondo in trasformazione.

  5. @Paolo
    Ho visto la tua ottima ricostruzione su sinistrainrete, ma invece di commentarvi (per evitare trolls e risse su tastiere) ti passo un link, un po’ datato, della conversazione tra Donald Trump e Bob Woodward il 7 febbraio 2020, peraltro pubblicata da Bob Woodward nei The Trump Tapes:
    https://www.youtube.com/watch?v=70V3nI9fAG8&pp=ygUbYm9iIHdvb2R3YXJkIHRydW1wIGZlYiAyMDIw
    Bob Woodward fu successivamente messo sotto pressione sul motivo delle sue reticenze (non aver immediatamente resa pubblica quella telefonata), a cui rispose in maniera forse vaga.
    Comunque, le date di riferimento sono rivelatrici (Zeinep ne avrebbe sicuramente fatto buon uso, visto che a caldo cominciava la sua battaglia per riconoscere la natura airborne del virus). Inoltre, se Xi Jinping o chi per lui poteva affidarsi a dati con un buon grado di confidenza, l’intervallo tra il paziente-zero e una diffusione statisticamente accettabile doveva per forza estendersi verso settembre.
    E Xi Jinping sapeva, Putin sapeva, e se Trump sapeva, lo sapevano tutti gli altri.
    Ultima nota: impressionante quel ‘five per’ del quale parla Trump, no? Grazie.

  6. È un riferimento importante: da un lato si sente un Trump più lucido e informato di quanto ci raccontassero, dall’altro si inquadra la gestione del problema della trasmissione per via aerea in modo assai più criminale; io sottolineavo la stupidità burocratica della gestione OMS, qui emerge come Tutti i livelli lo sapessero (dato che lo sapeva Trump) e non hanno fatto nulla! Quindi si parla di un calcolo Voluto: evitare di caricare Supermarket, Imprese ecc di costi per la circolazione dell’aria. Il che configura un livello di reato criminale assai alto.
    Avevo dei dubbi sul perchè il NYTimes avesse pubblicato l’intervento della Chan dopo un anno di bando a Tufekcı, anche perchè il giorno dopo c’era l’audizione di Fauci al Congresso dove hanno fatto un teatrino inutile, con tutti i repubblicani ad attaccarlo e tutti i democratici a difenderlo a spada tratta, e questa intervista rafforza i dubbi, facendo pensare a dei legami (anche di ricatto) troppo forti di Fauci (e quello che rappresenta) su Biden.

    1. Confesso di non aver capito il senso del tuo articolo – e starei attento a proclamare che “finalmente possiamo dire l’ultima parola sulla pandemia”.

      Non mi interessa tanto l’origine del virus, vorrei capire qual è la critica alla gestione del covid.

      Puoi spiegarla in termini concreti comprensibili?

  7. Dal punto di vista scientifico abbiamo solo due ipotesi: ‘lableak’ e ‘spillover’; la prima è stato confermata ad abundantiam, la seconda confutata…..
    Se non guardiamo l’origine è difficile giudicare il tutto: sarebbe come parlare della cattiva gestione delle polveri radioattive dopo che per sbaglio ti hanno buttato un’atomica in testa… (e il numero di morti giustifica il paragone);
    nella gestione poi si sono mescolati quattro elementi:
    -volontà di minimizzare per non creare panico (con tutti gli allegati di convenienza politica)
    – abiura delle responsabilità dello Stato, con spostamento dell’onere dallo Stato ai singoli (toccava allo Stato imporre la circolazione d’aria a imprese e uffici, invece si è ribaltato sul comportamento dei singoli, da quarantene a mascherine); solo coi vaccini ha ripreso un ruolo, per quanto a traino di Big Pharma
    – idiozia e incompetenza burocratica che han fatto amplificato il fatto che ad ogni livello la scienza venisse trascurata (si pensi che nell’ultimo CTS c’era un solo epidemiologo su 10, e che tutte le bocche mediche dei piccolo schermo appartenevano a personaggi scientificamente analfabeti (nessuno aveva letto o scritto alcunchè al proposito)
    – e infine l’eredità di anni di smantellamento del SSN che era l’unico organo istituzionalmente deputato a prevenire e gestire (il mancato aggiornamento del piano epidemico è solo un minimo esempio).
    Non penso che qualcuno possa seriamente lamentarsi di limitazioni di libertà assai più di facciata che sostanziali, in paesi ormai da lungo tempo abituati a quella che a Cuba viene chiamata democraCIA…a meno che l’influenza del vecchio West e degli evangelici integralisti non abbia ormai prevalso sugli insegnamenti del vecchio di Treviri.

  8. Tanto per chiarire ulteriormente: sono nato durante la guerra, e quando i nostri amici americani ci bombardavano i miei mi portavano nelle cantine; ma si lamentavano dei bombardamenti, non del fatto di andare in cantina…
    Così come a Cuba quando c’è la dengue * in certe ore non puoi uscire di casa perché passa un’autobotte che innaffia le strade con un liquido maleodorante…ma nessuno si lamenta.
    Qui il problema reale non era quarantena e mascherine, ma il fatto che non servissero a nulla, grazie all’ideologia governativa del non disturbare il capitale e di mettere tutto il peso sulle spalle dei singoli (come fanno anche per il riscaldamento gloobale)

    * malattia infettiva tropicale, trasmessa all’uomo dalla puntura di zanzare

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