1 pensiero su “I poeti in tempo di guerra non pensano abbastanza (1)

  1. Accosterei questo dolente ma pacato scritto di Pietro Clemente
    alla mia più disperata riflessione su “I poeti in tempo di guerra non pensano abbastanza (1)”….

    SEGNALAZIONE
    Pietro Clemente
    ·
    Compleanno e guerra
    Sta per finire la giornata del mio ottantaduesimo compleanno. E’ una scadenza poco rotonda e questo la rende più adatta a pensieri poco edificanti. Quando compio, faccio e finisco, gli anni penso sempre ai ‘miei morti’ mio padre, mia madre, i miei fratelli minori. A come sono rimasti in me, a come li ho dimenticati, ai rimorsi o alle nostalgie che ho verso di loro. Ripasso ‘la parte della vita’. Ma quest’anno sono sopraffatto dalla presenza della guerra. Dal dolore che è ancora più forte perché non le vivo, nei sono lontano, sembra una alterità impensabile per te quando prendi il caffè o vai a riposare. Ogni giorno aspetto la fine dei massacri a Gaza, ricordo spesso la poesia di quel professore dell’Università di Gaza, dedicata all’aquilone e premonizione poetica della sua morte (la metto in fondo). Ogni giorno mi riesce più difficile connettermi idealmente con la parte ‘buona’ di Israele con l’opposizione, con le manifestazioni contro il primo ministro, di fatto dittatore militare. Ma mi sforzo ancora di tenere aperto dentro di me quello spazio. Le guerre più vicine mi riportano sempre alla Yugoslavia. A come male la abbiamo vissuta, a due passi dalle nostre case, e facilmente dimenticata. Una ferita ancora sanguinante nella mia immaginazione morale, nella mia memoria. Terribili anni Novanta (la Somalia!!!). Già in quella guerra succedeva qualcosa che cambiava totalmente la lunga vicenda di pace sospesa dei muri e del bipolarismo. Anche all’Università cercammo di capire, di spiegare, di dare voce ai colleghi che stavano in mezzo alle bombe, e dopo cercavamo di ascoltare chi ascoltava le donne di Sebrenica, i racconti di Sarajevo. Con poco peso e anche con poca pace delle nostre coscienze. Non pensavamo che potesse succedere di peggio.
    Così ho pensato di dedicare i vostri auguri e i miei pensieri a Luca Rastello. Giornalista e scrittore torinese che mi ha fatto accedere tramite il suo coraggio e la sua scrittura alla guerra in Yugoslvaia vista da vcino, vista da chi salva persone e si complica la vita per aiutarle . Immaginando cosa avrebbe fatto ora con la sua tenacia e la sua scrittura, con il suo fare e il suo scrivere. Ha pubblicato “La guerra in casa” nel 1998 un racconto soggettivo e drammatico di sé e la guerra delle zone di mezzo del soccorrere e dell’interpretare fuori dal coro. E poi ha scritto tante note sulla sua malattia tumorale che sono state raccolte dopo la sua morte di cinquatraquattreenne pieno di risorse umane e intellettuali. Avrebbe potuto per età essere un mio allievo. “Dopodomani non ci sarà. Sull’esperienza delle cose ultime”. E con molti altri, un testo bellissimo sull’alterità della malattia e della morte. Sulla loro marginalità nelle nostre vite. La guerra, la morte, la malattia dentro la nostra vita e intorno alla nostra dimenticanza. Una lezione di vita. Sopravvivere chiede più memoria. Chiede ponti verso il passato memorie utili al futuro.
    E insieme a Luca Rastello voglio ricordare dei versi per me fondativi
    Come questa pietra /del San Michele/ Così fredda/ così dura/ così prosciugata/ così refrattaria/ così totalmente /disanimata/Come questa pietra / è il mio pianto /che non si vede/ la morte/ si sconta/ vivendo
    Ungaretti per la grande guerra ma così vicino a Gaza
    e la poesia del professore di Gaza
    Se dovessi morire/ tu devi vivere/ per raccontare / la mia storia/ per vendere le mie cose/ per comprare un po’ di carta/ e qualche filo/ per farne un aquilone (fallo bianco con una coda lunga) /cosicchè un bambino/ da qualche parte a Gaza/guardando il cielo / negli occhi/ in attesa di suo padre che / se ne andò in una fiamma/ senza dare l’addio a nessuno/ nemmeno alla sua stessa carne/ nemmeno a se stesso/ veda l’aquilone e il mio/ aquilone che tu hai fatto/ volare là sopra/ e pensi per un momento/ che un angelo sia lì/ a riportare amore. / Se dovessi morire/ fa che porti speranza / fa che sia un racconto
    Refaat Akìlareer, intellettuale, poeta, docente di letteratura all’Università di Gaza
    Spero ancora ogni giorno che finiscano le guerre, almeno quelle vicine. Mentre domani ricomincerà il calendario a contare i giorni della mia esistenza, della mia sopravvivenza vitale, compatibilmente serena, di cui ringrazio la vita e la storia.
    Grazie dei vostri auguri e scusatemi se non li ho pensati in modo festoso.
    (https://www.facebook.com/pietro.clemente.79/posts/pfbid0cXdXiVtH37cuNNaFmDwAa8qtDFF3vhXCvPPH1r6KKonM3KUNFZ3NbJZoi2y3FWVVl)

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