Tempi sempre più bui. Non precipitarsi a parlare senza studiare i mutamenti in corso.
Conferenza organizzata da Centro Filippo Buonarroti e Casa della Cultura. Intervengono: Claudio Vercelli (Storico: autore del libro “Storia del conflitto israelo-palestinese”, Ed. Laterza) Carlo Antonio Barberini (Centro Filippo Buonarroti)
a cura di Ennio Abate
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Propongo a chi è interessato ad ascoltare una vera lezione di storia, intelligibile e illuminante, questo video di un’ora di Ilan Pappé, con sottotitoli in Italiano.
Al volo
AGAMBEN. IL NOSTRO ESTREMISTA DI RIFERIMENTO
1.
L’esilio è la forma stessa dell’esistenza degli ebrei sulla terra e l’intera tradizione ebraica, dalla Mishnah al Talmud, dall’architettura della sinagoga alla memoria degli eventi biblici, è stata concepita e vissuta nella prospettiva dell’esilio. Per un ebreo ortodosso, anche gli ebrei che vivono nello Stato d’Israele sono in esilio. E lo Stato secondo la Torah, che gli ebrei aspettano all’avvento del Messia, non ha nulla a che fare con uno Stato nazionale moderno, tanto che al suo centro stanno proprio la ricostruzione del Tempio e la restaurazione dei sacrifici, di cui lo Stato d’Israele non vuole nemmeno sentire parlare.
2.
Negando alla radice l’esilio e la diaspora in nome di uno Stato nazionale, il Sionismo ha tradito pertanto l’essenza stessa del Giudaismo. Non ci si dovrà allora meravigliare se questa rimozione ha prodotto un altro esilio, quello dei palestinesi e ha portato lo Stato d’Israele a identificarsi con le forme più estreme e spietate dello Stato-nazione moderno. La tenace rivendicazione della storia, da cui la diaspora secondo i sionisti avrebbe escluso gli ebrei, va nella stessa direzione.
Franco Berardi è con Augusto Illuminati e
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La fine del Giudaismo
11-10-2024 – di: Giorgio Agamben
Non s’intende il senso di quanto sta oggi avvenendo in Israele, se non si comprende che il Sionismo costituisce una doppia negazione della realtà storica del Giudaismo.
Non soltanto infatti, in quanto trasferisce agli ebrei lo Stato-nazione dei cristiani, il Sionismo rappresenta il culmine di quel processo di assimilazione che, a partire della fine del XVIII secolo, è andato progressivamente cancellando l’identità ebraica. Decisivo è che, come ha mostrato Amnon Raz-Krakotzkin in uno studio esemplare, a fondamento della coscienza sionista sta un’altra negazione, la negazione della Galut, cioè dell’esilio come principio comune a tutte le forme storiche del Giudaismo come noi lo conosciamo. Le premesse della concezione dell’esilio sono anteriori alla distruzione del Secondo Tempio e sono già presenti nella letteratura biblica. L’esilio è la forma stessa dell’esistenza degli ebrei sulla terra e l’intera tradizione ebraica, dalla Mishnah al Talmud, dall’architettura della sinagoga alla memoria degli eventi biblici, è stata concepita e vissuta nella prospettiva dell’esilio. Per un ebreo ortodosso, anche gli ebrei che vivono nello Stato d’Israele sono in esilio. E lo Stato secondo la Torah, che gli ebrei aspettano all’avvento del Messia, non ha nulla a che fare con uno Stato nazionale moderno, tanto che al suo centro stanno proprio la ricostruzione del Tempio e la restaurazione dei sacrifici, di cui lo Stato d’Israele non vuole nemmeno sentire parlare.
Ed è bene non dimenticare che l’esilio secondo il Giudaismo non è soltanto la condizione degli ebrei, ma riguarda la condizione manchevole del mondo nella sua integrità. Secondo alcuni cabalisti, fra cui Luria, l’esilio definisce la situazione stessa della divinità, che ha creato il mondo esiliandosi da sé stesso e questo esilio durerà fino all’avvento del Tiqqun, cioè della restaurazione dell’ordine originario.
È proprio questa accettazione senza riserve dell’esilio, con il rifiuto che comporta di ogni forma presente di statualità, che fonda la superiorità degli ebrei rispetto alle religioni e ai popoli che si sono compromessi con lo Stato. Gli ebrei sono, insieme agli zingari, il solo popolo che ha rifiutato la forma Stato, non ha condotto guerre e non si è mai macchiato del sangue di altri popoli.
Negando alla radice l’esilio e la diaspora in nome di uno Stato nazionale, il Sionismo ha tradito pertanto l’essenza stessa del Giudaismo. Non ci si dovrà allora meravigliare se questa rimozione ha prodotto un altro esilio, quello dei palestinesi e ha portato lo Stato d’Israele a identificarsi con le forme più estreme e spietate dello Stato-nazione moderno. La tenace rivendicazione della storia, da cui la diaspora secondo i sionisti avrebbe escluso gli ebrei, va nella stessa direzione. Ma questo può significare che il Giudaismo, che non era morto a Auschwitz, conosce forse oggi la sua fine.
AL VOLO
«Continuare a pensare. Inquadrare la guerra»
1.
Fine settembre 2024. Gaza e il Libano del Sud sono bersagliati dai bombardamenti israeliani. La Cisgiordania è smembrata e desertificata dagli insediamenti coloniali. Il conflitto Ucraina/Russia è spavaldamente in corso da oltre due anni. L’Occidente soffia sul fuoco fornendo armi ad alcuni dei cosiddetti contendenti. La diplomazia è ridotta a una farsa ipocrita o lievemente patetica.
2.
Ogni giorno i morti si contano a centinaia, anzi non si contano neanche più, tanta è ormai l’irrilevanza dei corpi, di quei corpi e – a guardare bene – anche dei nostri, apparentemente così tutelati, curati, istruiti, svagati, intrattenuti. La forma del morire resta tuttavia diversa. Nei luoghi del conflitto aperto non si fa quasi in tempo a nascere, condannati a priori da un regime globale che classifica ancor prima che si venga al mondo. Se non si è degni di essere pianti da morti, come si potrebbe essere degni di vivere?
3.
Il documento che smaschera o la fotografia che rivela, non meno della dettagliatissima documentazione fornita da anni dalla Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite o dalla Corte penale internazionale, sono sempre più spesso considerati semplici strumenti di contropropaganda. Come tali il regime mediatico li ingoia e li disattiva, provvedendo a svilirli o a cambiare pagina e farceli dimenticare.
4.
le immagini e i racconti di cui i media ci nutrono quotidianamente sono ormai parte della macchina bellica. Lì infatti si crea il discorso che giustifica le imprese ‘democratiche’ del primo mondo nei confronti di popolazioni e minoranze non conformi alla norma dell’umano vigente in Occidente. Raffigurate come minaccia alla vita umana così come noi la conosciamo, quelle popolazioni e quelle minoranze sono prese di mira in nome nostro, per difendere la vita dei “pienamente vivi”.
5.
Non è necessario che la nostra condanna politica e morale si accompagni a una valutazione critica e consapevole della situazione, senza avere paura che informarsi e comprendere ci trasformi, agli occhi degli altri, in complici immorali di crimini atroci?
6.
Interrogare, interrogarsi, non avere paura di farlo, non accodarsi al sentito dire, non accettare il comfort dei luoghi comuni. Guardare bene le cause, il funzionamento e le conseguenze dei conflitti. Non stancarsi, non deprimersi, non accontentarsi di fare, non cercare consolazioni. Manifestare il proprio lutto. Continuare a pensare. Inquadrare la guerra.
(da Judith Butler: inquadrare la guerra di Maria Nadotti – 12 Ottobre 2024
https://www.doppiozero.com/judith-butler-inquadrare-la-guerra?fbclid=IwY2xjawF3gqJleHRuA2FlbQIxMAABHbT9BnMU0TH9sF6KPqZPGYDfHOhSZcv7AEJCvBb0ouzoXfuUSB0VsqZNww_aem_HqwPF-4efo_ENzXrkzncrw)