LAVORANDO A “NEI DINTORNI DI FRANCO FORTINI”
Da un’intervista (2013) di Ezio Partesana a Ennio Abate1
Il nostro discorso dovrebbe proseguire adesso sul secondo passaggio, ovvero quello che riguarda la pubblicazione e la diffusione, la sfera della circolazione insomma, che mi pare potremmo dividere in due parti: una prima dove avviene la decisione su cosa pubblicare, e una seconda che consta di come e dove promuovere i (pochi) libri di poesie che oggi si pubblicano in Italia. Vuoi dirci come vedi le cose in generale rispetto al tuo lavoro, alla «poesia in esodo» che proponi?
Oggi come ieri a decidere che testi pubblicare sotto la voce ‘poesia’ sono tre attori ancora precisi: le case editrici e gli organizzatori di premi di poesia; gli «intenditori di poesia», di solito poeti e/o critici che hanno già pubblicato; gli «scriventi versi» (Majorino), termine che equivale in parte al mio «moltinpoesia» e a «pubblico della poesia» (Berardinelli). Oggi la novità (o la complicazione?) sta nel fatto che ciascuno dei tre attori agisce in una filiera che ha dimensioni di massa. Perciò caso, caoticità, contraddizioni (micro e macro politiche) – presenti da sempre – oggi incidono di più. Quindi, più fretta di pubblicare e innumerevoli sollecitazioni a farlo (a pagamento); apparati critici risibili; idee confuse degli aspiranti poeti su se stessi, sugli altri poetanti, sul ruolo della critica, sui lettori reali di poesia. La «perdita dell’aura» ha suscitato – e non è una novità – entusiasmi ingenui, come si fosse raggiunta davvero una liberalizzazione o democratizzazione della poesia. E, per reazione,allarmi per una presunta «dittatura dell’ignoranza», spontanea o pilotata che sia. Come in politica, anche in poesia ci si dibatte tra populismi ed elitarismi, che offuscano la possibilità di capire permanenze del passato e innovazioni (reali o possibili). È un «fall-out della poesia» (o delle «patrie lettere»). Scuola di massa, industria culturale e ora il Web diffondono la “radioattività poetica” oltre la solita cerchia dei “cultori della materia”, raggiungendo strati sociali acculturatisi da poco e frettolosamente ai saperi moderni. È questo il fenomeno dei moltinpoesia, ma si potrebbe parlare anche di molti in critica o di molti in editoria.
Da una parte assistiamo alla semplificazione, velocizzazione, moltiplicazione delle pubblicazioni e alla loro (spesso incerta) diffusione. Dall’altra la ruminazione lenta del poeta, la critica seria, la diffusione ragionata di opere valide sembrano eclissarsi. La critica, in particolare, è quasi azzerata o stordita. Come se si fosse trovata di fronte a un nubifragio. O a un’invasione “barbarica”. O si è ritirata, vedendo vilipesa la sua funzione autorevole/autoritaria, che prima aveva una indubbia, seppur relativa, efficacia. In assenza – dico con un po’ di ironia – di un «Lenin della poesia», capace di raccordare punti di alta elaborazione poetica (che ci sono) e punti di ricerca poetica naif o selvaggia (da non disprezzare), la mia idea di poesia in esodo è un invito a non cedere né alle semplificazioni populiste né all’individualismo elitario-corporativo. Ma la crisi generale, nella quale non dimentico mai di iscrivere quella della poesia, si prolunga e s’aggrava. E temo che la «distruzione della ragione» possa avere occasioni di replicarsi in modi farseschi).
[1]Pezzo ripulito dell’intervista 2013
https://www.poliscritture.it/2015/08/03/sulla-poesia-esodante-intervista-2013-di-ezio-partesana-a-ennio-abate/