Il Vuoto

 di Filippo Nibbi

All’età prestabilita, quando il piccolo è sufficientemente cresciuto e solidi muri mentali sostengono ormai energicamente la consapevolezza che ha di sé, avviene l’incontro con il Maestro Rivelatore.
In una sala semibuia, con medici, ambulanze e le madri alloggiati in stanze contigue, il Maestro svela la verità.
“Non voltatevi mai” scandisce “Dietro alle vostre spalle c’è il Vuoto”.
Subito, d’istinto, tutti si voltano.
E, adesso che sanno, vedono che tra loro e i compagni retrostanti, come una lama che precipita nell’aria, passa il taglio gelido del Nulla.
È un attimo, ma inequivocabile.
Molti sbiancano, si sentono male, come una freccia quel vuoto entra nel cuore, spinge via il sangue, prosciuga l’aria dai polmoni. Vengono soccorsi, cardiotonici, ossigeno, calmanti, ma soprattutto l’abbraccio delle madri fa superare l’acme dello shock.
Da bambini, per prepararli al terribile vuoto del Vuoto, si regalano case di bambole senza pavimento sospese a mezz’aria da fili spezzati. Trenini che possono solo partire e mai arrivare. Orsacchiotti identificabili come tali solo frontalmente perché di lato e dietro sono fatti di nebbia. Mattoncini delle costruzioni con cui non è possibile erigere muretti poggiati per terra ma solo tetti e ultimi piani mal sostenuti da un vento giocattolo.
Vengono regalate palle che lanciate contro un muro non tornano. Alle volte il loro rimbalzo le tiene lontane per settimane, alle volte per mesi, altre per sempre.
Le maestre dedicano molte ore al gioco della mosca cieca.
Si regalano libri in cui le parole non sono stampate ma solo appoggiate e la pagina viene cosparsa di ghiaccio così che ci si abitua fin da piccoli a vederle scivolare giù e lentamente sparire, oppure addensarsi sul fondo in ammassi incomprensibili.
Ai ragazzini si insegnano ostinatamente le sottrazioni. Sempre più grandi, finché non bastano più i numeri per ottenere il risultato e ogni studente si trova costretto a gettare qualcosa di sé nella sottrazione: un libro, una penna, il suo cane, un braccio, le risate fatte in gita, un bacio, la sua anima.
Nonostante tutte queste precauzioni, al momento della rivelazione il trauma è terribile. Nessun essere compiuto può sopportare l’incompiutezza.
Chi sopravvive ne porta tracce perenni. Le radiografie mostrano interni di persone sfregiati da buchi: grossi buchi tondi come colpi di cannone o buchi slabbrati, da esplosione.
Chi sopravvive non si volta più. Nemmeno se c’è un boato alle sue spalle, nemmeno se qualcuno grida disperatamente aiuto, nemmeno se sente a pochi passi dalla sua nuca l’arrivo di un treno.
Il vuoto ha riempito ogni pieno.

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