Sette sogni

di Lucia Bruni

(Firenze, bombardamento a Campo di Marte, 25 settembre 1943. 215 morti)

25 settembre 1943. Oggi l’aria è cristallina. L’alba di questo primo autunno annuncia un giorno gioioso. Via, tutti fuori.

Sette attori. Ecco, si va in scena. Stavolta niente interruzioni. Prova generale per lo spettacolo. Zitti, dico, zitti. Ehi, tu, laggiù, drizza la schiena; e tu, sempre pensierosa e distratta, stai più attenta e non sbagliare l’attacco della battuta. E tu avvicinati a lei, come se dovessi bisbigliare qualcosa nell’orecchio. Bene così. Ecco.”

D’un tratto un boato assordante, un crollare di case e una nuvola enorme di fumo nero si alza minacciosa e invade tutto un quartiere della città portando distruzione e morte.

Mi sveglio affannata da questo sogno ricorrente. Un palcoscenico, sette attori e una bomba che si abbatte sulla casa e li inghiotte senza rimedio. Ripenso alla mia vita, al mio trascorso, ai miei genitori e a una sorella che hanno subìto quella sorte. Divorati dalla guerra.

Ecco come dai sogni emerge il profondo di noi stessi che avevamo tentato di sotterrare per cercare di vivere la nostra vita perché sentivamo di averne diritto.”

Cara mamma, caro papà, diletta Pia… ma noi siamo ancora qui.”

Forse questo avrebbe scritto Maria se avesse voluto lasciare sulle pagine lo smarrimento di quel giorno quando la guerra, in un attimo, cancellò il percorso sereno della sua esistenza e di quella dei suoi fratelli costretti tutti a disperdersi mordendo il freno della disperazione.

Pia, Luigi, Maria, Domenica, Gina, Fernando, Bruna. Eccoli i “sette sogni” di Laura e Giacomo, arrivati dalla montagna emiliana a respirare l’aria brumosa dell’Arno per offrire ai figli carte migliori da giocare nella vita. Ma altri disegni si stavano apparecchiando per loro. La guerra, come una cimosa crudele, avrebbe fatto scomparire in un soffio tutti i “sette sogni” dalla lavagna.

Ma anche i sogni hanno un cuore e non smette mai di battere. Passa da persona a persona e moltiplica la sua forza come le acque di un torrente. E’ così che si trova l’ardire e il coraggio per reggere agli impatti più crudeli della vita.

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1

Lo sportellino del pensile di cucina si è ripiegato un po’ su se stesso ma regge ancora bene.

Maria lo apre con cautela e sorride un po’ mesta mentre rilegge qualche rigo di quello che aveva scritto due giorni prima. E’ sua abitudine vergare a lapis i pensieri che partorisce la sua mente non già sulla carta ma sulla parete degli sportelli dei pensili. Forse perché così è più fresco il messaggio; carta e penna costringono a stare seduti, composti, seriosi al modo degli scrittori, ma lei non è una scrittrice, è donna di casa, ma non casalinga; legge, studia, a volte cuce, ed è padrona di quello spazio da condividere con la famiglia, contenta di poter agire in libertà in qualunque stanza.

Sceglie la cucina, anche se non è proprio il luogo che le si addice di più. Non ha passione per i fornelli o le altre incombenze domestiche. A lei piace l’archeologia, l’architettura e tutta l’arte. Le piacerebbe anche scolpire; il marmo, ad esempio. Ma è un sogno proibito. Farebbe polvere, rumore, sporco. Dovrebbe avere una stanza tutta sua, ecco; e non ce l’ha.

A volte modella qualche cosa con la creta, come quella testina di bambino della scorsa settimana, ma sono di dimensioni poco più grandi di una albicocca e stanno in minimo spazio. In casa la guardano con tenerezza, specie il marito, lasciano che questa sua passione prenda la piega che più le aggrada.

Rilegge le parole sul pensile: perché non riesce a buttar giù pensieri più ameni e di largo respiro? Eppure oggi la sua vita tutto sommato scorre serena e senza particolari problemi; un marito che le vuol bene e due figli, maschio e femmina, ormai grandi. Ma la mente scivola sempre sul malinconico e finisce per concepire righe un po’struggenti.

Arrenditi. E’ il tuo carattere”, le dice sorridendo Fidalma, l’amica del cuore, più grande di lei di quattordici anni e che da quando si sono conosciute, poco dopo il tragico fatto, l’ha consolata e accolta fra i suoi affetti più cari.

Il “tragico fatto”: la bomba, la casa distrutta, i genitori e la sorella maggiore scomparsi sotto le macerie, le tracce della sua infanzia cancellate, come quelle dei suoi fratelli e sorelle sopravvissuti; i suoi studi abbandonati per sempre. Non ne parla mai. Ha scelto così. Ha sepolto quella fetta di cuore dolorante nel fondo di un cassetto mettendoci sopra tutta se stessa e il bisogno disperato di guardare in faccia una vita nuova; quella che le spetta di diritto.

Lo stordimento e l’angoscia dei primi tempi si sono man mano consumati affievolendosi dietro alla indispensabile difesa per la sopravvivenza. Firenze ha inghiottito i suoi vent’anni, il suo presente di allora e tutti i suoi progetti di studio, ma occorre prendere di petto la realtà per non abbrutire dietro a rimpianti che demoliscono corpo e anima. Fra la rabbia e il dolore bisogna guardare avanti per poter costruire a piccoli pezzi il futuro. Così ha fatto negli anni a seguire.

Via i libri, via la scuola, via le risate e le leggerezze dell’età, un istituto di suore accoglie lei e una sorella che non si è voluta allontanare da Firenze come hanno fatto gli altri della famiglia, ritornati sulle montagne emiliane. Lo Stato le ha trovato un lavoro. Di questo deve accontentarsi. I giorni seguono i giorni, tutti uguali, grigi, malinconici, l’inverno mostra il suo volto più aspro nell’attesa di un domani forse meno malvagio.

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2

Perché non prendi anche tu i voti?”, chiede una delle giovanissime converse addetta ai servizi di cucina.

Maria la guarda, sorride e non risponde subito. Ha timore di mortificare la scelta di quella ragazzina così tenera e felice del suo stato.

Che te ne fai di libri e libriccini?” continua l’altra riferendosi al fatto che a Maria piace leggere. “Qui si sta bene. Basta rispettare le regole.”

Hai ragione”, sussurra con gentilezza lei dopo la breve pausa, “ma io non sono fatta per il velo.”

E per cosa sei fatta? Per essere tradita da un fidanzato birbante, come la Giulina? Il mondo è pieno di birbanti.”

Giulina non ha famiglia, è un’altra ospite dell’istituto che accoglie anche persone sole.

Non lo so bene neanch’io”, continua Maria, “ancora non lo so di preciso, ma lo scoprirò.”

In quella entra nella stanza Luisa, che lavora in una ditta di carte e cartoni e anche lei ospite lì dentro. E’ tutta eccitata da un acquisto che fatto con un po’ di soldi dell’ultima paga. Si rivolge a Maria.

Guarda qua che bellezza questa stoffa a fiori rossi e bianchi”, ride soddisfatta. “L’ho trovata a un’occasione e un’amica mi ha detto che mi ci cuce una sottana. E gratis!”

Maria condivide con un applauso quell’entusiasmo, respirando una boccata di serenità.

E’ uno dei suoi modi per superare il momento di vaga tristezza che aveva risvegliato la giovane suora e per assaporare il ricordo dell’incontro con un impiegato che lavora in uno degli uffici vicino al suo.

Qualche anno è trascorso, ha fatto nuove amicizie, una sorella è ancora lì con lei e dovrà passare del tempo prima che con gli altri della famiglia possano riunirsi di nuovo ma i contatti sono costanti e l’affetto non muta. Questo conta.

Lei non ha lasciato i libri anche se non frequenta più l’Università. Appena può gira per la città studiando reperti antichi, arte e architettura; in fondo basta poco per sentirsi libera di approfondire e tenere deste le sue passioni.

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La luce del giorno si è dissolta nell’arancio pallido di un tramonto di primavera.

Maria si accarezza la pancia: sarà maschio o femmina? Manca poco per saperlo.

Ne sono trascorsi di giorni da quella conversazione all’istituto. Il fidanzamento e il matrimonio, la vita in casa del marito con i suoceri e due sorelle di lui. Ha lasciato il lavoro e fra breve sarà mamma di un “Papaghirino”, l’appellativo affettuoso che darà al suo piccolo che mangia e dorme senza darle problemi.

Una gioia immensa, mai immaginata.

Certo, stare fra gli altri comporta rinunce e tolleranze, impone un rispetto che non sempre è ripagato ma il suo carattere forte e docile assieme e l’amore sanno fare miracoli e basta poco per sentirsi principessa nella sua stanza con marito e figlio. E dopo qualche anno ecco arrivare anche una bambina. E avranno una casa tutta propria.

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3

Signora, che è una colonia oppure son tutti suoi?”

Maria ride di gusto alla battuta di un passante che al mare della Versilia, nella calura di luglio, la vede camminare sul marciapiede seguita da un maschietto adolescente e quattro bambine, scalate di età che non arrivano ai sei anni. Lei è una donna che ancora non ne ha quaranta, un corpo snello e armonico, capelli castani mossi che le coprono appena il collo e un bel volto solare dai lineamenti regolari con la bocca sempre pronta al sorriso.

Certo”, risponde Maria, “ma non li ho fatti tutti io.”

Eh, sì. A lei, che era la maggiore in famiglia e innamorata dei bambini, sorelle e fratelli affidavano volentieri la prole durante la villeggiatura, sicure di metterla nelle mani migliori. Ma che fatica!

Aspettava con pazienza l’arrivo del marito o di qualche parente che venisse in aiuto e intanto era felice di avere dintorno tanti piccoli da portare in spiaggia, a spasso, metterli a tavola e a letto.

Spesso rivive dentro certi momenti con un guizzo di nostalgia (quella buona). Come rivive i mesi estivi della montagna, del lago, dei piacevoli soggiorni in famiglia presso il casale che il fratello maggiore ha ricomprato sulle pedici dei monti emiliani, oppure ospite al sud della sorella ostetrica nella cittadina di Benevento.

Ora i ragazzi sono tutti cresciuti e se ne vanno in giro da soli. Occasioni così si presentano solo rare volte.

Stanotte ha fatto un sogno che la riporta a quando era studentessa alla Facoltà di Farmacia. Aveva scelto quella per occuparsi di formule e alambicchi con l’intenzione di analizzare, sperimentare, creare, scoprire nuove strade di cura per l’umanità. L’intelligenza non le manca e l’entusiasmo gliela coltiva.

Quel sogno l’ha fatta sudare per l’emozione perché ripropone un fatto veramente accaduto anche se con tutt’altra storia e conclusione.

Si trova insieme a due amiche in una pausa dalle lezioni, sono sedute su una panchina a mangiare un panino e fare due chiacchiere. Una zingara non più giovane con un bambino piccolo per mano passa frettolosa lì vicino, guardandosi attorno come se qualcuno la stesse inseguendo; d’un tratto inciampa e cade trascinando il piccolo con sé. Loro accorrono per aiutarli ad alzarsi. La zingara si è solo sbucciata un ginocchio, il bambino non si è fatto niente perché le è caduto addosso, ma piange e guarda a occhi sgranati, i panini che le ragazze tengono in mano. La zingara lo tira dietro a sé per allontanarsi alla svelta senza dire nulla, ma lui fa resistenza.

Hai fame?” chiede Maria. Il bambino fa di sì con la testa. La zingara tace e continua a tirarlo a sé per portarlo via. ‘Una delle poche che non chiede elemosine’, pensano le ragazze. Maria gli porge il panino e lui lo afferra cominciando a mangiarlo. Le ragazze gli danno anche i loro. La zingara si arrende e dice mormorando: “Al campo si stanno picchiando. Spero non mi abbiano vista scappare. Tornerò quando hanno finito di darsele.” Intanto si era seduta mentre il bambino stava mangiando.

Una delle ragazze le chiede se sa leggere la mano e alla risposta affermativa le allunga la sua. A turno le porgono la mano; anche Maria. Dice a tutte press’a poco la stessa cosa. Vita lunga con qualche inciampo, amori più o meno contrastati, ma alla fine tutto si aggiusta. Solo Maria coglie sul viso della donna un velo di esitazione quando guarda il suo palmo. Come di qualcosa volutamente taciuto.

4

Mentre le due ragazze si divertono a ricamare fantasie sulle predizioni appena ricevute, Maria chiede alla zingara il perché di quegli indugi sul suo destino.

Qualcosa non è proprio chiaro”, risponde lei, “come una strada un po’ in salita e con le curve. Avrai da scrollarti addosso non pochi fardelli. Troverai l’amore, quello vero, che ti darà gioie, ma potrà costarti anche un po’ la rinuncia ai tuoi entusiasmi.”

Che cosa vuol dire?”

Di preciso non saprei, ma certi uomini se trovano una donna intelligente e vivace, come sembri te, invece di incoraggiarla e farsene vanto, spesso diventano meschini. Non cercano di migliorarsi ma si sentono da meno e fanno di tutto per smontare le euforie e far marciare tutto sullo stesso binario. Così da non rischiare confronti con se stessi e chicchessia.”

Che stano discorso per una zingara. Troppo profondo’; è il pensiero di Maria quando si sveglia e cerca di ricostruire quell’originale sorta di profezia, alla quale strizza l’occhio ma non vuole crederci. Non sarà per caso il suo istinto che fa capolino fra qualche sua passione contrastata dal marito perché troppo intraprendente, come la sua frenesia per l’arte?

I sogni sanno essere crudeli nella loro critica al nostro quieto vivere. Secondo quel Freud, di cui lei ha letto qualcosa, sono lo specchio capovolto della nostra nascosta coscienza, ovvero il quotidiano adattarsi alle circostanze, ci invitano a riflettere e dobbiamo tenerne di conto, ma se ci fanno soffrire, meglio non dar loro troppa importanza.

In fondo, qualche amarezza fa parte del vivere ma lei è contenta così. Ed è padrona di esprimere il proprio sentire, a volte malinconico, sui pensili di cucina.

Il vento ha spettinato l’erba dei prati, ha strapazzato la cima degli alberi, ha frugato nel sacco degli “inciampi” per stimolare ripensamenti a proposito di alcuni fra i più impegnativi, come quelli della salute. Si sa, qualche cosa nel tempo si rompe, e non basta raccogliere i cocci in un giornale e buttarli via, ogni frammento di loro ha la sua storia e la sua importanza. Ma ora non è il momento, ora c’è altro di cui occuparsi.

Domani il figlio maggiore si sposa. Quel bambino che portava in giro per la città parlandogli con entusiasmo delle armonie dell’architettura, insegnandogli a guardare il mondo attraverso i colori e i valori dell’arte e che l’ha ricambiata col medesimo entusiasmo per quelle stesse cose.

Sì, lascia la casa e si sposa.

uelAncora una immensa gioia. I figli devono percorrere la propria strada. Lei è convinta che avrà un futuro di affetti e di luce.

Gennaio 2024

A mia suocera Maria
che ci ha lasciati troppo presto

1 pensiero su “Sette sogni

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