Franco Arminio: «Caraluce. Atlante dei paesi invisibili»

di Donato Salzarulo


Sul suo ultimo libro, «Caraluce. Atlante dei paesi invisibili» (Rizzoli, 2025), Franco Arminio ha messo in esergo una citazione di Leopardi: «Così, tra sognare e fantasticare, andrai consumando la vita; non con altra utilità che di consumarla; che questo è l’unico frutto che al mondo se ne può avere, e l’unico intento che vi dovete proporre ogni mattina in sullo svegliarvi.»
La citazione è tratta dalle «Operette morali», in particolare dal «Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare». Tasso è nella prigione di Sant’Anna e il Genio è una sorta di demone socratico. Più che un dialogo, quindi, è un soliloquio, in cui si sostiene, tra l’altro, la tesi, suppongo molto cara ad Arminio, che l’immaginazione è la facoltà primaria capace di rendere felici gli esseri umani; cosa che non fa la conoscenza del vero.
Sicuramente nella nostra vita non possiamo fare a meno di sognare a occhi aperti (quando dormiamo i sogni vengono da soli), d’immaginare e fantasticare. Rousseau intitolò una sua famosa opera «Le fantasticherie del passeggiatore solitario.» Non credo, però, che queste facoltà siano sempre antitetiche alla conoscenza del vero; sovente l’aiutano.
Comunque il fatto importante è che Arminio ha «fame di luoghi» e, come se non bastassero quelli esistenti, ha pensato bene di inventarsi un suo Atlante dei paesi invisibili.
«Un uomo che si sentiva spaesato si è rivolto a un famoso neurochirurgo per farsi mettere un paese in testa. Il neurochirurgo ha accettato l’impresa e per prima cosa ha dato un nome al paese. Lo ha chiamato Marenza: voleva un posto in cui c’è sempre aria di mare.» (pag. 83).
Così, come per magia, da un lato guarisce dalla sua condizione di smarrimento, dall’altro soddisfa il suo desiderio di vivere in “un posto in cui c’è sempre aria di mare”. Un po’ come me. A me, però, piace anche molto l’aria di montagna. Soprattutto d’estate.
Come il neurochirurgo anche Arminio vuole compiere queste magie, cercando di contagiarci con la sua passione – tutta geografica – per i paesi visibili e invisibili e con la sua “ragione bambina”, pronta a stupirsi e a prestar credito alla fantasia e all’immaginazione.
Il sintagma “paesi invisibili” fa subito pensare alle “città invisibili” di Italo Calvino. Di qui l’esigenza dell’autore di precisare fin dalla prima pagina: «Nel mio caso, però, la più forte ispirazione è venuta dai libri di Henri Michaux, da quelli di Gianni Celati e da una lieve stanchezza arrivata dopo aver visto migliaia di paesi veri.» (pag. 9)
Se anche noi siamo stanchi dei paesi esistenti, se come quell’uomo che s’affida al neurochirurgo siamo un po’ spaesati e abbiamo bisogni e desideri che soltanto l’immaginazione e la fantasia possono un po’ soddisfarci, leggere e rileggere quest’Atlante potrebbe tornarci utile. Del resto, creare “paesi invisibili” capaci di corrispondere alle nostre voglie sembra abbastanza facile. Come ha fatto il neurochirurgo, per prima cosa occorre dargli un nome. Un gesto adamitico, una passione creativa legata al desiderio.
Di Niffa, uno dei suoi paesi invisibili, Arminio scrive:
«Un grande terremoto ha distrutto tutto. È rimasta la cosa più bella, il nome.» (pag. 19).
Il nome, allora, è la cosa più bella, quella permanente, che non teme nessun divenire e nessuna distruzione. Direi di più. Nominando, la lingua fa esistere le cose, soprattutto quelle invisibili (si pensi, tanto per fare degli esempi, a una cellula, all’atomo, alle onde radio, al Covid 19 o all’Io di ognuno di noi), consente loro di acquistare un significato, di comprenderle, diventando argomento dei discorsi pubblici e oggetto di confronto, crescita, contestazione.
D’ora in poi, oltre ad essere contenti per averli immaginati, possiamo discutere dei 168 paesi invisibili nominati da Arminio nel suo Atlante.
Inventarli e nominarli è stato indubbiamente il suo primo impegno creativo.
Il secondo è stato quello di dare loro degli attributi. Ad esempio, a Giorgiospina, «davvero non accade nulla. L’ultima storia importante è una molletta caduta da un balcone.» (pag. 66). Capita a volte nella nostra vita di desiderare dei momenti in cui vorremmo non accadesse nulla.
«Non / lo sopporto più il rumore / della storia…» scrive Caproni.
«Fermate il mondo, voglio scendere…prima del capolinea!!!…» Così titola il suo libro Ba/st, un autore fiorentino. Quando si scrivono simili versi o si vorrebbe scendere dal mondo, potremmo soggiornare per qualche settimana a Giorgiospina.
Se, invece, desideriamo che accada qualcosa che ci tocchi nel profondo, come accarezzare il seno o le guance di una bella donna, sto parlando per me, è il caso forse di trasferirsi a Galerca:
«Le donne e gli uomini di Galerca si fanno toccare da tutti, ma hanno anche delle bellissime storie d’amore. Qui fare sesso è un gesto civile e mistico, si fa per stare in salute e per far zampillare gli angeli dalle vene.» (pag. 82).
No comment. Il rischio è una fantasia onanistica. D’altronde le “bellissime storie” d’amore sono piene pure di queste fantasie.
Come si sarà notato, dalle descrizioni di questi paesi, fornite in assaggio, Arminio predilige le forme brevi, concise, aforistiche. Per descriverli a volte basta una riga:
Missarissa: «Hanno costruito case ovunque, anche nel bianco degli occhi.» (pag. 33) Caterina «A Caterina accendono le sigarette con i lampi.» (pag. 45)
Menapoco: «A Menapoco è rimasta soltanto la gentilezza, ed è bellissima.» (pag. 60). Altre volte sono necessarie due righe o due righe e mezza, tre, quattro, cinque.
Ad occhio e croce, direi che la stragrande maggioranza stanno al di sotto di cinque. Ad avvicinarsi alle dieci righe sono pochissimi. Il più lungo è Pirro:
«Arrivi a Pirro e non vedi nessuno, sono tutti all’assemblea permanente contro la morte. Dura da cinque anni e andrà avanti chissà fino a quando […].» Finché saremo mortali.
Risolta in poche righe la descrizione, i paesi sono lasciati alla nostra immaginazione di lettori.
«A Serracanna sono tutti filosofi, ma piuttosto pigri. Hanno studiato per filo e per segno l’opera di Egesia, filosofo cirenaico, di cui resta una sola frase.» (pag. 74)
Occorre comportarsi come questi abitanti. Bisogna essere dei lettori pigri. Quest’Atlante va letto un paese al giorno, una frase al giorno. E studiarla, studiarla.
Va letto non con la fretta di chi vuole portare nella sua vita interiore non si sa bene quale autorevole sistema filosofico o conoscenza. Va letto come leggevo il calendario di Frate Indovino, quando da bambino andavo nella casa della nonna e della zia Francesca. A fianco delle righe dedicate ai giorni, nelle fasce laterali trovavi il lunario, i consigli, i proverbi, i lavori dei campi, la parabola, ecc.
Qui ogni giorno devi immaginare di mettere piedi ad Aquilaventu o ad Aligonia, a Garruso o a Sassoaperto.
A leggerlo, una pagina dopo l’altra, in meno di mezz’ora, è come se avessi deciso di bere tanti bicchierini di marsala, uno di seguito all’altro. Ti ubriacheresti di immaginazione. Invece, bisogna fantasticare cum grano salis. L’immaginazione quanto basta per quel giorno. Anche perché già si è costretti a vivere con le proprie fantasie e sogni ad occhi aperti indotti dal consumismo o dal desiderio dell’altrove; fantasie alle quali attribuiamo un certo ruolo per sopravvivere nella nostra vita. Aggiungere alle proprie, le fantasie intelligenti di Arminio non so quanto possa giovarci. L’intrattenimento è assicurato e gli spunti riflessivi non mancano. Dipende da chi legge.
Tra l’altro occorre porsi nell’atteggiamento di non doversi chiedere perché Arminio abbia queste fantasie o quale sia la qualità dell’immaginazione squadernata in queste pagine.
Non bisogna comportarsi come i “tipi umani” che abitano ad Eritano, che vogliono spiegare in maniera puntigliosa i discorsi altrui (frasi, poesie, libri).
L’autore, in questo caso, prende la parola in prima persona, e ci avverte:
«Io quando vengo in questo paese sto attento a non aprire bocca. Non mi interessa chi vuole spiegarmi cosa dico, ma solo chi è contento di sentirmi parlare.» (pag. 78).
Io non mi comporterei così. Aprirei bocca e non sarei soddisfatto se chi mi ascolta fosse contento solo di sentirmi parlare. Secondo Borges, è chi legge, non l’autore a dare un senso all’opera. A me piacerebbe capire quali sensi germogliano nelle menti e nei corpi di chi mi legge. Amo l’incontro e il confronto, la discussione e la critica. Ma non mi meraviglio del comportamento dell’Io di Arminio. È figlio della cultura narcisista del nostro tempo. Il Calvino, evocato all’inizio, in un’intervista del 1979, con understatement rispondeva: «Certe critiche negative mi danno soddisfazione perché toccano problemi che sono stati i miei.» Vabbé. Parentesi chiusa. Lascio volentieri l’Io di Arminio ad Eritano e mi sposto a Cominardo.
«C’è chi sostiene che Cominardo non esiste, per il semplice fatto che non esiste niente: quello che si vede è tutta una leggenda. Qui non serve niente di speciale. Gli eventi eccezionali distraggono dalla vera, quotidiana intensità di un pomeriggio qualsiasi e di quanto sia prezioso attraversarlo.» (pag. 90).
Se tutto è una leggenda e ciò che conta è la quotidiana intensità di un pomeriggio qualsiasi, quanto diventa prezioso attraversarla in compagnia di queste pagine?
I paesi invisibili sono in realtà come quelli visibili. Hanno attributi positivi o negativi, sono figli di un desiderio, di una massima o di una riflessione relativa alla condizione umana. Vengono resi invisibili solo per poter costruire un “modello” in cui questa o quell’altra caratteristica venga vissuta in maniera unica, persino unilaterale. Astratta.
L’attributo o la caratteristica può riguardare le vedove, l’aria, la gentilezza, la speculazione edilizia, il filosofare su una sola frase, la discussione permanente contro la morte, e via di seguito.
Immaginati così questi paesi un po’ ci rallegrano e un po’ ci aiutano a riflettere.
«Se li guardi bene gli abitanti di Albastretta, se ti avvicini alle loro facce, vedi che gli occhi sono lontani, vengono da una terra in cui stavano tutti nel pugno di Dio. Quando il pugno si è aperto, si è dissolta ogni cosa.» (pag. 89).
Ora che il pugno di Arminio si è aperto, sarebbe un vero peccato se si dissolvessero allo stesso modo questi piccoli gioielli verbali dell’immaginazione, sapientemente confezionati e illustrati con grande arte da Manuele Fior.

15 marzo 2025

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