di Lorenzo Monfregola
Una foresta di giorni carnivori
Assaltata verso l’alto
Da fiori blu mutati alberi di ferro
Dopo neanche cinque notti di pece zitta
Un mandrillo narciso di viola grida
Sputa i petali puri sull’ombra del suolo
E rivolta ogni cosa
Del nostro esserci senza scusa
Se dio esiste sta in ginocchio
Di fronte alla figa della vita
E da lì le mormora
Io sarò quello che vuoi
Nel verde più atroce
Non voglio
Che le carezze dell’incertezza
Nota di E. A.
L’immagine che avevo scelto mi piaceva e pareva adatta, ma certi simbolismi “giovanilistici” li ignoravo e, avvertito, la metto in nota solo come memento della mia ingenuità da vecchio.
Una poesia disperata che dice cos’è, sostanzialmente, la vita: tutto l’opposto della quiete, alé! Per il resto, alla provocazione siamo abituati: dio minuscolo, e figa dispregiativo vanno troppo al sodo, ma mettono in imbarazzo solo chi scrive perché da quella china si riprenderà a fatica. Comunque ce la fa: nel verde più atroce…
Questa poesia purtroppo non l’ho capita e neanche colpita….ma forse qualcuno me la potrebbe far capire.
Non avevo mai pensato che la vita avesse la figa, ma se ci penso potrebbe essere una grandissima figa, che partorisce il bene e il male ma non in egual misura. Che c’ entra quel dio? E’ inteso forse come una marito che diventa padre?? Boh…
Siccome non ci sono punti nella poesia interpreto che ce ne sia invece uno dopo “vuoi”. Allora sarebbe così: c’è un (il?) mondo, che è una foresta (primitiva), che sta in alto, dal buio (delle origini?) dopo cinque giorni, invece dei regolamentari sei (al settimo si riposa) spunta un mandrillo, altro che Adamo creato a sua immagine e somiglianza! Questo mandrillo umano fa un sacco di danni. La questione dell’esistenza di dio è sbrigata “sta in ginocchio/ Di fronte alla figa della vita” (da cui nascono i mandrilli), cioè è impotente, giusto una immaginetta, un santino da appiccicare al frigorifero, pura proiezione umana (“E da lì le mormora/ Io sarò quello che vuoi”) però, ohibò Monfregola è aggiornato!, maschile.
Morale della storia: sulla nostra verde aiuola che ci fa tanto feroci l’Autore non cerca certezze maggiori di questa, chi ai accontenta infatti gode.
Però potrei avere fatto una lettura tendenziosa.
più mandrilli meno persone
più rivolta, meno comprensione!
si è smarrito nella mandrillosa foresta il commento di Cristiana!!
Rita
In risposta a emilia Banfi.
@ Emilia. Siccome non ci sono punti nella poesia interpreto che ce ne sia invece uno dopo “vuoi”. Allora sarebbe così: c’è un (il?) mondo, che è una foresta (primitiva), che sta in alto, dal buio (delle origini?) dopo cinque giorni, invece dei regolamentari sei (al settimo si riposa) spunta un mandrillo, altro che Adamo creato a sua immagine e somiglianza! Questo mandrillo umano fa un sacco di danni. La questione dell’esistenza di dio è sbrigata “sta in ginocchio/ Di fronte alla figa della vita” (da cui nascono i mandrilli), cioè è impotente, giusto una immaginetta, un santino da appiccicare al frigorifero, pura proiezione umana (“E da lì le mormora/ Io sarò quello che vuoi”) però, ohibò Monfregola è aggiornato!, maschile.
Morale della storia: sulla nostra verde aiuola che ci fa tanto feroci l’Autore non cerca certezze maggiori di questa, chi si accontenta infatti gode.
Però potrei avere fatto una lettura tendenziosa.
*Nota di E. A.
Rimetto il commento di C. Fischer, che nell’amministrazione appare messo alle 17:59 del 20/03/2016 con la dicitura ‘azzerato da Akismet’ (cosa che non so spiegare).
a Cristiana
se cosi è, è tutto molto più semplice di quanto pensassi.
un po’ triste però…
Bisogna per forza trovare un significato o un messaggio in ogni singola riga?
A me piace proprio perché è ermetica e per quello che mi comunica, le immagini che mi rievoca attraverso il ritmo dei suoi versi, l’armonia e la cadenza musicale delle sue parole.
Nel verde più atroce
Non voglio
Che le carezze dell’incertezza
ermetica?
Salve!
Posso solo aggiungere disordinatamente un commento, hic et nunc, oltre alle cose dette qui sopra, alcune delle quali sono davvero vicine a certe prospettive del pezzo, altre lo sono molto meno (ma, una volta che le parole sono state lanciate, è fondamentale che ognuno ne faccia quel che vuole) .
Forse un dio in ginocchio non è nemmeno minuscolo, seppur devoto alla vita. La cui figa non è disprezzo, ma gioia, libertà e creazione. Nessun imbarazzo. Nessun marito da codice civile. Il mandrillo è un mammifero meraviglioso, la cui colorazione suggerisce che l’evoluzione possa trascendere la pura necessità meccanica. La rivolta non vuole mai essere disperazione, la disperazione è piuttosto un “Sissignore”. Seppur feroce, l’incertezza è un dono, in tempi di certezze che addomesticano. E così via.
Una cosa mi ha incuriosito: qua, nei 3 Pezzi Berlinisti che ho scritto quest’estate, c’era “la figa della morte”, che non aveva colpito nessuno https://www.poliscritture.it/2015/07/25/3-pezzi-berlinisti/
Mentre in questo pezzo c’è la “figa della vita”, che ha spiazzato un po’ di più.
Grazie a tutti per ogni parola
Comunque la metafora, o la visione, ( Narciso-mandrillo) è forte e spiazzante.
Ma lo vogliamo capire che sono testi poetici «Naissance» e «DopaMonkey»? E che anche se i contenuti – odierne immigrazioni, sesso maschilmente immaginato – o la loro resa formale potessero essere irritanti per alcuni/e che leggono, non sono riducibili a manifesto “buonista” pro-immigrati (il primo) o a manifesto “maschilista” o dissacrante (il secondo)?
Certo ‘dio’ scritto in minuscolo è una provocazione (per i credenti), ma ‘figa’, anzi ‘figa della vita’ non mi pare affatto dispregiativo, né “va al sodo”, né vedo perché tali espressioni dovrebbero imbarazzare (l’autore poi?), come dice Mayoor.
A me pare di vedere nella poesia ammirazione materialistica e vitalistica, che accosterei al Coubert de «L’origine del mondo»*. E concordo con l’interpretazione di Monfregola: «Forse un dio in ginocchio non è nemmeno minuscolo, seppur devoto alla vita. La cui figa non è disprezzo, ma gioia, libertà e creazione».
Quanto alla «questione dell’esistenza di dio», ecco, qui in questa poesia, non è neppure posta. E perché dovrebbe esserci? Non ci sono neppure la guerra, Marx o tante altre cose. Né mi pare che del mandrillo che «sputa i petali puri sull’ombra del suolo/ E rivolta ogni cosa/ Del nostro esserci senza scusa» può essere detto – stando al testo – che combina un sacco di danni o sia impotente o che – sempre stando a testo – sia un’immaginetta o un santino. Anche perché è ambientato in una coloratissima ( fiori blu, alberi di ferro) foresta primordiale un po’ naif (c’è parentela con quelle del Doganiere Rousseau?) ma anche «di giorni carnivori» e di un «verde più atroce», che sono cenni inquietanti. Sarà proiezione umana ( un po’ rivoltosa…) dell’autore o del suo immaginario – maschile, che per fortuna c’è ancora, e non maschilista – e, forse, dati i tempi, necessariamente un po’ «narciso» e, aggiungiamo, precario («Non voglio/ Che le carezze dell’incertezza»).
*
“Se dio c’è” dice il testo, che quindi il tema lo pone.
L’impotenza di dio è una figura ben nota, e non ha a che vedere con il sesso, l’ho tirata in ballo perché è dio che si inginocchia davanti alla vita, il contrario della creazione. Un’idea di dio, che mormora “io sarò quello che vuoi”, un po’ devozionale, da immaginetta sacra, come quei Gesù biondi estenuati e doloristi.
Non è che ho puntato al contenuto trascurando il fatto che sia una poesia: la ho letta come una riscrittura intenzionalmente parodistica del quadro della creazione, contrapponendo l’ammirazione materialistica e vitalistica alle fole bibliche.
Dico anche che proprio perché mi sembra un contrappunto pedestre non mi vede lettrice entusiasta.
Un’immagine molto eloquente! Però la poesia a me sembra un’accozzaglia di parole senza senso. A furia di coltivare il relativismo e il nonsenso nulla finirà per avere più significato.
Be’ parole senza senso… sono state scelte, e ciascuna evoca altri suoi usi, associa altri contesti. Faccio un elenco: assalta, alberi di ferro (croci? tralicci?) grida sputa rivolta (di un bambino si direbbe che fa danni), poi l’espressione “il nostro esserci senza scusa”: senza chiedere scusa? con l’irruenza inconsapevole delle scimmie? (altro che danni, fanno!), o è piuttosto senza causa (allitterando)? allora è un esserci che non risponde che a se stesso. Infatti subito dopo ” se dio c’è ” per necessario passaggio mentale… E via così, con un senso che si precisa sempre meglio fino al finale: voglio, carezze, incertezza. Colleghiamo le tre idee e ritroviamo il bambino che “vuole”, il piacere tenero delle carezze, pur consapevole, ormai adulto, che il mondo grande e terribile è un lago di incertezza.
A me pare che il senso sia persino sovrabbondante!
Sì, ‘dio’ in minuscolo e ipotetico, nel testo c’è, ma è così umano e maschietto che è come se non ci fosse. Insomma il fuoco di sbarramento contro questa poesia, su cui insiste ancora Ricotta da un versante filosofico, paventando un relativismo, un non senso e un nichilismo già abbondantemente presenti in tutto il Novecento, mi pare esagerato. Non parlerei neppure di “accozzaglia di parole”: la sintassi è rispettata anche se il senso *logico* fa un po’ di acrobazie, mostrando immagini “molto eloquenti”.
“A me pare che il senso sia persino sovrabbondante! Cristiana Fischer”
Anche osservando le nuvole e altre forme casuali naturali o artefatte possiamo vedere strutture che in realtà non esistono. Gli psicologi sperimentali conoscono bene questi fenomeni e li usano nei loro test. Una volta fui sottoposto, insieme a tanti altri bambini, a delle batterie di test della personalità e di intelligenza. Di fronte alle macchie di Rorschach (allora ero molto ignorante, molto più di adesso) dissi più o meno “E’ una macchia dai contorni irregolari, doppia come in uno specchio. Probabilmente è stata realizzata con dell’inchiostro messo in un foglio piegato, schiacciato e poi aperto”. Non ho mai saputo cosa ne pensassero gli psicologi di questa mia risposta. Tornando a casa presi il mio calamaio (allora si usavano pennini e calamai) e passai ore cercando di riprodurle nel modo che avevo detto. Continuo a sostenere che l’autore della poesia ha intenzionalmente buttato giù parole e frasi, come in una sorta di brainstorming, con l’intento di creare una configurazione a casualità controllata in modo che ognuno possa vederci quel che vuole.
Se fosse così forse sarebbe meglio. Invece non credo. C’è una “visione” materialnaturalvitalistica, più che legittima, e diffusa, che non mi commuove filosoficamente.
lasciando perdere la commozione, resta il fatto che i commenti, le riflessioni, i dubbi che ha suscitato questa poesia sono tanti! quindi complimenti al poeta!
Io vedrei questo dio donna davanti ad un pene che non sempre fa il suo dovere in quel maledetto o benedetto atroce verde.
Non è che questa poesia mi abbia particolarmente colpito; e anch’io – prima dei commenti dell’autore – non è che l’abbia interpretata in maniera molto positiva.
Però attenzione a non appiattirsi sul concetto di “parole messe lì a caso”: la giustapposizione di immagini non conseguenti l’una all’altra è una delle pietre angolari della costruzione poetica; da sempre.
Penso che adesso il caos che traspare da certe composizioni (e senza andare a scomodare le “parole in libertà” o le sperimentazioni dadaiste), sia solo specchio della maggiore caoticità del mondo attuale e (magari di conseguenza) di quella che sta dentro a una persona: esplicitare le quali non ha assolutamente nulla di male, se non obbligare il lettore a uno sforzo superiore, per entrare nella sensibilità dello scrivente.
Fermo restando che questo “sforzo superiore” non è detto che sia un male.
…a me sembra di vedere una consenguenzialità in questa serie di immagini che il poeta ci presenta. I colori sono accesi, la foresta è primordiale con i fiori blu, che diventano alberi di ferro e quindi anche segni del nostro tempo. Ma sono i suoni, i rumori a risvegliare, scompigliare quell’universo con l’arrivo del mandrillo, apportatore di un disordine vitale ” Dopo neanche cinque notti di pece zitta/ Un mandrillo narciso di viola grida/ Sputa i petali puri nell’ombra del suolo/ e rivolta ogni cosa del nostro esserci senza scusa…”…Compie una sorta di rivoluzione, abbatte convinzioni radicate (i petali puri) e non cerca nuove giustificazioni, esistiamo “senza scusa”, ci restituisce a uno stato di piacere ( figa della vita) a cui dio, se mai ci fosse, si inchinerebbe. Altro non chiede il poeta :” Non voglio/ Che la carezza delle incertezze”…
Io vedo una poesia intensamente (e, soprattutto nell’incipit, anche violentemente) metaforizzata, suggestiva e allusiva da ogni poro, dove, in completa libertà mentale, vengono create e giustapposte immagini e situazioni deraglianti, ma innanzitutto stupefacenti. C’è qui il tentativo di spiazzare il lettore, prendendolo per il bavero e scuotendolo; ma c’è anche un uso lucidamente calcolato dei materiali retorici e della lingua poetica.
È un tipo di poesia che non mi entusiasma per essere troppo esibita e, al di là di ogni apparenza, piuttosto freddina e scarsamente coinvolgente.
Pasquale Balestriere