di Donato Salzarulo
Beh, riprendiamola una discussione a partire dalle ultime dichiarazioni di Obama qui commentate da Salzarulo! Affilate i coltelli (e l’intelligenza politica). Per ora vi ricordo che eravamo arrivati a questo punto: 1. «Scusa, Fischer, e chi sarebbero questi “decisori”? Gli Obama, i Putin, le Merkel, gli Al-Sisi?… O anche i 62 ricconi resi noti qualche mese fa dei giornali? » (Donato Salzarulo 2 marzo 2016 alle 10:22 ); 2. «Per questo non mi sento di dire, come ‘spavaldamente’ fa D. Salzarulo (02.03.10.22): * Le strategie degli Obama, dei Putin, ecc. ecc. mi interessano, fino a un certo punto*. Si teme forse di depauperare di sano interesse i ceti subordinati spostando l’attenzione sui ‘decisori’ secondo la sua infelice frase (1.3, ore 20.20) *Insegnare ai capitalisti italiani (?!…) il loro mestiere non mi attrae? Lungi da me questa idea che contrastavo fin dagli anni ’70/80 all’epoca della svendita ‘politica’ del sindacato con il mito della cogestione! E G. Toffoli rincalza: *Coloro che discettano di geopolitiche e invitano le masse ad assecondare i disegni dei “decisori” di turno non fanno altro che intralciare la lunga e perigliosa strada che condurrà al riscatto dei ceti subordinati e si schierano oggettivamente dalla parte del Capitale!* (G. Toffoli 1.3.ore 15.25)» (Rita Simonitto 2 marzo 2016 alle 21:21 ). [E. A.]
Non riesco a crederci. Ho sotto gli occhi le prime pagine di tre giornali: IL MANIFESTO, LA REPUBBLICA e IL CORRIERE DELLA SERA. Il quotidiano comunista dà la notizia di un’intervista choc del presidente degli Stati Uniti a The Atlantic in cui ammette il fallimento dell’intervento in Libia del 2011: «Che errore l’intervento Nato contro Gheddafi» dice Barack Obama. E il quotidiano riporta queste parole in prima pagina, dando loro il necessario rilievo e affiancandole ad una foto del presidente. A destra, sempre nel taglio alto della pagina, un commento di Guido Moltedo. Titolo: «GUERRA IN LIBIA. Il presidente americano rovescia il copione».
Anche LA REPUBBLICA mette al centro della prima pagina una foto di Barack Obama mentre saluta il primo ministro del Canada Justin Trudeau, e sopra riporta le storiche parole virgolettate: “UN ERRORE LA GUERRA A GHEDDAFI NEL 2011”. Sotto la foto, l’incipit dell’articolo del corrispondente Federico Rampini. Titolo: «Obama, schiaffo agli alleati. “Opportunisti e scrocconi”». All’interno, tutta la pagina 10 è dedicata al bilancio che Barack Obama con quest’intervista fa della sua politica estera.
Guardo, infine, la prima pagina del CORRIERE. Nulla. Mi sarò sbagliato. Impossibile. Torno a scrutare la pagina. C’è la «spinta di Draghi all’economia» che trovo pure negli altri due giornali, le parole di un’intervista a D’Alema («Dal malessere a sinistra del PD può nascere una nuova forza»), la «Battaglia anti dazi per difendere l’olio d’Italia», una bella foto al centro di Maria Sharapova, positiva al doping, le confessioni sul delitto di Roma, ma del pensiero di Barack Obama sugli errori commessi nel 2011 da Nato ed alleati in Libia neanche l’ombra.
Se sfoglia scrupolosamente ogni pagina e si dota d’uno sguardo acutissimo, il lettore, non so se del primo o del secondo quotidiano italiano, troverà la notizia a pagina 12, fra tre colonne di piombo che parlano dello scempio delle autopsie libiche sui corpi dei due tecnici italiani, recentemente uccisi. In primo piano c’è un’altra foto, piuttosto ridotta, del presidente americano con Justin Trudeau. Sopra, neutra e quasi illeggibile, la scritta colorata (blu su grigio e bianco su grigio): «Ieri e oggi. L’intervento del 2011.» Sotto la foto, un titoletto: «L’accusa di Obama: Parigi e Londra “opportuniste”». A fianco, la notizia: «Se la Libia è nel caos la colpa è anche di Parigi e Londra che nel 2011 prima spinsero gli Usa ad agire e poi non fecero il loro dovere. “Opportuniste” le definisce su The Atlantic Barack Obama». Questo è tutto.
Perché questo trattamento speciale della notizia? È così che il giornale esercita il dovere di informare i suoi lettori e loro diritto ad essere informati? Perché non dare rilievo a quest’Obama, capace di ammettere errori? Non viviamo in una “società aperta” e democratica?…
Nell’intervista a The Atlantic pare che il presidente statunitense abbia attaccato il «feticismo della credibilità acquisita con la forza militare». Secondo lui «gettare bombe su qualcuno per dimostrare che sei pronto a gettare bombe su qualcuno, è la peggiore ragione per usare la potenza militare.» E, infine, «non è brillante l’idea che di fronte a ogni crisi dobbiamo mandare i nostri militari a imporre l’ordine.» Forse quest’Obama senza la fissa militarista non piace allo storico giornale milanese che, in basso, sempre a pagina 12, riporta un sondaggio Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) sull’intervento italiano in Libia. Il 49% per cento degli italiani è contrario, il 31% favorevole, il 20% non sa. Immaginate se quel 31% di favorevoli leggesse l’intervista di Obama…Potrebbe cambiare idea, avere delle perplessità. Magari prendersela anche col Corriere piuttosto interventista. Meglio censurare, allora, sorvolare, riferire il meno possibile.
http://www.conflittiestrategie.it/che-faccia-tosta-di-glg
I dont’capisc * cosa dimostrerebbe Salzarulo: 1 che Obama fa la finta e 2 che il Corriere finge di non credergli? Sai che nuovo gioco delle parti!
Invece direi che sarà guerra comunque, per tener(ci) l’Italia un pezzetto di gas e di petrolio, dopo Reticenze e Rifiuti e Riluttanze.
I decisori americani francesi e inglesi fanno un balletto con passi avanti e passi indietro, giravolte e passi laterali.
Il nostro Decisore in Capo saprà già cosa DEVE fare, ma non sa come cavarsela coi sondaggi…
(e io? e tu? e Rita? e Donato? e Ennio? mah! non so se siamo nella seconda metà del 1400 o nella prima del 1600…)
*ho scritto sbagliato don’t, ma si capisce lo stesso…
@ Cristiana Fischer
Hai ragione Cristiana!
APPUNTO 1
La meraviglia di Donato («Non riesco a crederci», «un’intervista choc») o è un artificio retorico per scuotere i distratti o è ingenuità politica o è fede o fiducia (malgrado tutto o malgrado molte smentite) nella democrazia. (O le tre cose insieme). È su quest’ultima ipotesi – la più probabile – che vorrei fermarmi. Il non detto di Donato – se sbaglio, me lo dirà – potrebbe essere esplicitato in un discorso di questo tipo: Io credo alla sincerità di Obama. Lui fin dall’inizio è stato uomo di pace. (Qualcuno si ricorderà gli entusiasmo in tutta la sinistra italiana quando – primo nero, discendente di quegli schiavi etc. – fu eletto Presidente degli USA?). Tentò di far uscire gli USA dalla politica guerrafondaia dei Bush (padre e figlio), ma non c’è riuscito. Ma ora che nuovi venti di guerra si addensano (e sempre nella Libia, dove l’intervento “occidentale” ha peggiorato la situazione) fa di tutto contro quelli che, negli Usa o qui in Europa, hanno «la fissa militarista». E lo fa per evitare ulteriori disastri. Dicendo la verità («Se la Libia è nel caos la colpa è anche di Parigi e Londra che nel 2011 prima spinsero gli Usa ad agire e poi non fecero il loro dovere»), spiazza i guerrafondai (statunitensi, europei ecc.). Bisogna sostenerlo, perché è «capace di ammettere errori» e criticare i militaristi di casa nostra (Corsera) che soffiano sul fuoco. E lo possiamo fare perché, malgrado tutto, « viviamo in una “società aperta” e democratica». E la sua coraggiosa autocritica potrebbe far cambiare idea anche a quel 31% che secondo i sondaggi Ispi sono favorevoli a guerreggiare ancora sul «bel suol d’amore).
Come non convenire con Donato. Abbiamo la possibilità di verificare per l’ennesima volta come la democrazia occidentale altro non sia che un feticcio. Un poco come la “libertà di espressione” dei giornalisti su cui si è tanto discusso di recente, per la prospettata fusione fra Espresso e Stampa.
L’aspetto più comico del tutto è che Obama sia stato pure insignito del Nobel per la Pace.
Una sola nota non mi convince: qualcuno ha parlato di “decisori” per i vari Obama, Cameron, Sarkozy e soci … Ma come dimenticare che sono stati liberamente eletti? Oppure accettiamo una volta per tutte che i governi occidentali non sono nulla più che regimi oligarchici, forse più abili degli altri nel gestire l’arte della manipolazione del consenso? In questo caso, per favore, gettiamo alle ortiche una volta per tutte la parola democrazia.
Non credo nella sincerità di Obama. Farsi addirittura passare per un fessacchiotto che per compiacere gli amici si è fatto invischiare in una cosetta come l’eliminazione del governo di un altro paese è del tutto incredibile. E questo sarebbe accaduto con tutto l’apparato di consiglieri che lo circonda? Per me c’è qualcos’altro.
Non considero, in particolare quella degli USA, una democrazia. È una società con enormi sperequazioni sociali, dominata da un’oligarchia di ricchissimi. Le tensioni sociali e la violenza sono elevatissime, e se ancora non è collassata è perché possiedono un formidabile apparato repressivo a difesa dell’oligarchia.
APPUNTO 2
riferito a:http://www.conflittiestrategie.it/che-faccia-tosta-di-glg
Il titolo dell’articolo di G. La Grassa («Che faccia tosta!») dice tutto. Qui siamo al polo opposto del non detto di Donato (che ho cercato a mio modo di esplicitare). Anzi l’articolo per certi aspetti *dice anche troppo*.
Innanzitutto riassume pagine e pagine di analisi sulla politica internazionale degli USA che La Grassa ha pubblicato nel corso di vari decenni in una *vulgata* dai toni pepati, popolareschi, sferzanti e anticonformisti: «Noi parliamo giustamente di “padroni” (Usa) e di “servi” di varia gradazione (i paesi europei; forse con il “maggiordomo” Germania, i “camerieri” e gli “sguatteri” tipo Italia».
Indica poi come *si fa veramente politica* (o cos’è la realpolitk): mentendo sapendo di mentire e facendo passare la menzogna per “verità”. La “verità” è, infatti, per La Grassa solo prodotto dei rapporti di forza tra *decisori* più o meno potenti.
A parte ci sarebbe da chiarire un punto: la politica è sempre e solo pura menzogna? o è anch’essa ricerca di verità ma che si può far strada solo mescolandosi con la menzogna o con l’ideologia? Sullo sfondo l’aut aut tra nichilismo e verità o almeno ricerca possibile della verità….
Il realismo politico di La Grassa ( anche sulla base della lettura di altri suoi scritti) mi fa pensare che propenda per il nichilismo e cioè per il puro gioco dei rapporti di forza senza altro scopo se non il dominio. (Magari con ricadute secondarie a vantaggio dei sostenitori di chi vince).
Scrive ancora La Grassa: «[Obama] è del tutto certo che i suoi sicari non potranno ribattere nulla né dire che hanno agito su spinta americana». Quindi la sua convinzione profonda ( fondata sull’analisi di processi storici che si ripetono “ da sempre”) è questa: Francia e Inghilterra hanno agito su spinta americana.
Non si tratta, invece , di una ipotesi?
Su questo punto resto incerto. Se uno scrive: «Chissà quali manovre assai più complesse vengono messe in atto per trasmettere quelli che sono nei fatti degli ordini, senza però il loro aspetto così scoperto e immediato. Con ogni probabilità, vi è l’apparenza di una discreta dose di autonomia lasciata ai “servi», ammette appunto una *probabilità*, affaccia una ipotesi, non ha le *prove*. (Ricordare Pasolini: «Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969….[ma] non posso fare i nomi dei responsabili dei tentativi di colpo di Stato e delle stragi». Cfr. http://www.corriere.it/speciali/pasolini/ioso.html).
Insomma, sono i rapporti di forza oggi ancora favorevoli al *decisore* predominante [USA] rispetto ai *decisori* sub-dominanti [Europa] che permettono ad Obama di “dire la verità”. Cioè di *imporre la sua verità*. Che sarebbe questa: « gli Usa sono stati trascinati nell’avventura libica dai loro scherani francesi e inglesi, i quali poi non si sono assunti in proprio sufficienti responsabilità; detto in altri termini; detto in altri termini, hanno servito assai malamente il padrone, creando situazioni tali da metterlo in difficoltà »).
E sempre per gli stessi rapporti di forza (sfavorevoli stavolta), gli altri (quelli che La Grassa indica con sprezzo come gli « “alleati” (perché così vengono chiamati i succubi europei» o i «“servi”») « debbono adattarsi a digerire il rimprovero come fossero i principali colpevoli» (e, logica conseguenza, a rinunciare a dire la *loro* verità, che potrebbe essere invece l’altra, quella sostenuta da La Grassa: è stato Obama ( o la Clinton) a “suggerirci”/”ordinarci” di attaccare Gheddafi. ).
Da questo gioco (obbligato) delle parti (e, che nella concezione di La Grassa, nessuna rivoluzione mai potrà spezzare…) emerge però un’altra “verità” ( quella espressa da La Grassa stesso con queste parole): «il primo presidente nero della potenza predominante ha di fatto ammesso che, tutto sommato, la sostituzione della sua strategia del caos a quella più diretta e immediata della precedente Amministrazione (Bush, ecc.) non è riuscita così bene come credeva» . È in atto, cioè, un indebolimento del predominante…
Cerco di spiegare ora cosa intendo quando ho scritto sopra che « l’articolo per certi aspetti *dice anche troppo*». Intendo dire che:
1. dubito che il gioco delle parti funzioni sempre in modo così “deterministico” per cui s’impone sempre e irrimediabilmente la “verità” del dominate o superdominante;
2. considero probabile ma non certa la “verità” sostenuta da La Grassa esprimibile così dai suoi “alleati”: è stato Obama ( o la Clinton) a “suggerirci”/”ordinarci” di attaccare Gheddafi.
3. trovo una forzatura “doveristica” in queste conclusioni politiche di La Grassa: « Sempre più appare evidente la necessità che nasca in alcuni paesi europei una forza in grado di superare i complessi di inferiorità – anzi, diciamolo più chiaramente, di colpa – nutriti a partire dalla sconfitta del nazismo tedesco. Basta sensi di colpa, è necessario riprendere in mano una serrata critica a quel tipo di “antifascismo” affermatosi in pratica subito dopo la guerra, ma soprattutto a partire dagli anni ’70, almeno qui in Italia. Abbiamo accettato che dei crimini più o meno eguali a quelli statunitensi (dei vincitori insomma) fossero trattati come qualcosa di speciale e mostruoso e abbiamo invece assolto di fatto i nostri “padroni”. Adesso, è ora di dire alto e forte che tutti sono stati più o meno “a pari merito” nel corso del XX secolo». E mi chiedo: a chi «appare evidente la necessità etc»?
4. quando poi aggiunge: «« sarà necessario che segua lo sbaraccamento politico di tutti questi tirapiedi degli Usa nei più rilevanti paesi europei», ancora non posso non chiedermi: per costruire cosa e con chi?
Proprio perché, dunque, sento in quelle conclusioni politiche un doverismo o un volontarismo, cioè un *desiderio* ( non riconosciuto come tale, ma presentato invece come “necessità”), desiderio che a me pare d’altro tipo rispetto a quello utopistico, che di solito La Grassa è pronto a sferzare ma sempre desiderio, resto perplesso.
Potrebbe anche essere realistica l’indicazione del *che fare* da lui proposto: «Intanto ribelliamoci ideologicamente e culturalmente, ripristinando nel contempo una più corretta e obiettiva “memoria storica”». Ma questo *recupero di memoria storica* alternativa a quella che circola oggi è di una tale complessità e richiede tempi davvero lunghissimi.
A fronte delle dichiarazioni di Obama e proprio per evitare commenti alla Fantozzi della serie “Com’è umano lei!”, partirei da due domande fondamentali (che poi si interfacciano):
1) perché adesso, che tutti sono ormai sul piede di guerra contro la Libia?
2) cui prodest questa pubblica confessione?
Adesso ci sono le elezioni presidenziali americane e la politica estera di Obama è motivo di scontro anche all’interno del suo partito (come, peraltro, è sempre stato).
Fin dall’intervista che Hillary Clinton concesse a Jeffrey Golberg il 10.08.2014 (1) le modalità di intervento estero del Presidente sono state criticate apertamente ma poi anche assecondate (secondo il dettato evangelico “non sappia la mano sinistra quello che fa la tua mano destra”). In quell’occasione, il Segretario di Stato accusava “l’amministrazione Obama di una eccessiva cautela [sostenendo] che, se gli USA avessero armato e addestrato l’opposizione moderata e favorito la formazione di una coalizione unica anti-Assad, l’ISIS non avrebbe potuto trovare spazio”. Programma che, alla luce dell’oggi, ci dovrebbe fare riflettere.
Viene inoltre da chiedersi perché il Presidente fa il mea culpa sulla Libia mentre sembra essere la Siria un nodo problematico.(2) Oltretutto Obama non era proprio ‘innocente’ per quanto riguarda la Libia, poiché aveva finanziato, armato e sostenuto i terroristi di Al-Qaeda proprio all’interno di quel paese.
Perché semina zizzania sui paesi alleati? Sta forse temendo per la sua incolumità – fatto comprensibile quando si perde (o si teme di perdere) potere – , o lancia un messaggio mafioso del tipo “io so che tu sai che io so”, oppure cerca di distogliere l’attenzione da qualche altro obiettivo che al suo staff politico può essere ‘chiaro’ ma a noi no?
Sembra profilarsi uno ‘scollamento’ tra i cosiddetti ‘detentori di potere’ che operano a vari livelli mostrando di seguire – come fa intendere Obama nella sua intervista citando Cameron – interessi diversi? Si creerebbero allora delle falde che fanno intuire la rottura di vecchie alleanze? Oppure si tratta soltanto di scricchiolii che preludono invece ad altri assestamenti? Come leggere tutto questo?
Quanto alla posizione dei nostri (P)rodi, ricordiamoci un po’ di battute, solo per rinfrescarci un poco la memoria e capire quanto è importante per noi attivare un pensiero critico:
– alla vigilia dell’intervento Nato (sostenuto da Sarkozy e Obama) Eugenio Scalfari non mostrava dubbi sulla scelta di bombardare Tripoli, sostenendo che si era di fronte a una svolta storica: uomini e donne che reclamavano insieme pane e libertà, «un’innovazione profonda che scavalca il terrorismo di Bin Laden, il fondamentalismo coranico e talebano, aprendo un capitolo inedito nella convivenza delle civiltà». Ma intanto i bombardamenti colpivano anche i civili!
– Ezio Mauro, sotto il titolo “Con la libertà”, illustrava in un editoriale le ragioni dell’intervento, sostenendo che ridurre la questione libica a un’emergenza domestica per l’ondata migratoria significava «non comprendere una grande questione di libertà che investe l’Occidente». Aggiungendo che si dovevano respingere i tentativi di mediazione con il rais suggeriti da Silvio Berlusconi: «Qualcuno gli spieghi che quando i popoli possono riconquistare la loro libertà, l’Occidente ha un dovere preciso che viene prima di tutto: stare dalla loro parte.
– Giorgio Napolitano si diceva compiaciuto che a Parigi fosse stata raggiunta l’intesa di bombardare la Libia e Pier Luigi Bersani si dichiarava assolutamente favorevole all’intervento «umanitario» per «evitare che continuino le stragi dei civili e venga soffocato un movimento democratico».
Alla luce di quanto vediamo oggi, non ho altro da aggiungere.
Note:
(1) Stesso intervistatore e stesso giornale web The Atlantic che ha raccolto quest’ultima intervista a Barak Obama. Da ricordare che J. Golberg è un giornalista statunitense molto vicino alle posizioni più aggressive in politica estera.
(2) Rispetto alla Siria, Obama dice all’intervistatore: “E’ stata una decisione difficile, e credo che alla fine è stata la decisione giusta”, difendendo la scelta di non intervenire ALLORA contro Assad. Scelta criticata da molti e considerata il peccato all’origine del baratro in cui ora è precipitata quel paese. Appunto. Ma, ADESSO?
R.S.
Sull’Avvenire invece la notizia compare all’interno di un altro articolo in cui si parla della morte dei due tecnici italiani…quasi fagocitata
Bel taglio giornalistico di Salzarulo una scrittura che rapisce sempre…
@ Ennio Abate
11 marzo 2016 alle 23:09
APPUNTO 2
Telegraficamente.
1. Vero
2. Vero
3. Vero
4. Vero
Ossia condivido in pieno le tue perplessità.
E’ per questo che sono convinto che se si continua a dibattere su un piano così generale, ovvero sui massimi sistemi, non se ne esce. Oggi più di ieri è impossibile dare soluzioni a problemi così vasti in quanto molti altri protagonisti sono assurti alla ribalta mondiale. E’ come se i fisici rinunciassero ad applicare la fisica attuale aspettando di avere la Teoria Finale. Perciò penso che ci si debba applicare a problemi più modesti, anche con una teoria imperfetta, e soprattutto passare all’azione. Solo l’azione potrà coinvolgere i giovani che sono indispensabili. Insomma bisogna organizzarsi in un’entità politica e cercare di entrare nelle amministrazioni locali e in Parlamento. Come d’altronde hanno fatto i Cinquestelle. Se non si è in grado di fare ciò si gira a vuoto.
Quanto espresso finora.
Sia Ennio Abate sia Rita Simonitto si chiedono qual è il valore di verità delle parole di Obama nell’intervista. EA formula anche la questione in termini generali: “la politica è sempre e solo pura menzogna? o è anch’essa ricerca di verità ma che si può far strada solo mescolandosi con la menzogna o con l’ideologia?” fino alla antitesi: “Sullo sfondo l’aut aut tra nichilismo e verità o almeno ricerca possibile della verità”.
RS invece correla possibile obliquità, e possibili coperture di altre intenzioni, nel messaggio di Obama riguardo a 1) un possibile contrasto interno al partito democratico americano sulla politica estera e 2) possibile rottura (o riassestameto) di vecchie alleanze.
Questo ultimo punto ci interessa da vicino. Il Corriere mostra due posizioni, filoguerra in Libia con l’intervista del 3 marzo all’ambasciatore americano e con il resoconto minimizzante dell’intervista di Obama a The Atlantic; e filo”pacifista” con l’articolo di Massimo Franco del 5 marzo che cita l’accordo tra Obama e Mattarella nell’incontro del 28 febbraio per il non intervento in Libia fino alla nomina di un governo.
Poi c’è l’intervista a D’Alema dell’11 marzo contro Renzi, lo stesso D’Alema che fece la guerra in Kossovo mentre Renzi non vuole farla in Libia.
Altri due elementi da considerare: 1 anche oggi ci sono francesi inglesi e *americani* in Libia, mica solo nel 2011; 2 non si sa se gli americani hanno bombardato a Sabratha sapendo o non sapendo della trattativa italiana in corso sui quattro ostaggi che si trovavano in quella zona.
In questo quadro traggo alcune considerazioni:
1 che “i decisori” (quelli maggiori e quelli minori) tirano in direzioni diverse (come sospetta RS e come mostra il Corriere) quindi non si possono propriamente chiamare *decisori*, forse giocatori d’azzardo (che infatti “bluffano”)?
2 che questi *giocatori d’azzardo* si muovono in un parallelogramma delle forze, partono da un punto comune, dove sono decisori, ma si muovono in direzioni diverse e la risultante è un vettore, che procede accelerando la sua direzione con il tempo
3 la risultante si può chiamare Caso (chi sa se ci sarà la guerra?) ma in realtà gli storici riescono -a posteriori- a misurare la forza della risultante e la necessità del risultato (vedi Luciano Canfora in “1914”)
4 il “recupero di memoria storica” per indicare il che fare è infatti dichiarato da EA “di tale complessità e richiede tempi davvero lunghissimi…” scherzo: quelli del futuro?
5 l’invito all’azione di Ricotta non ci mette fuori dal parallelogramma delle forze, però saremmo dei giocatori anche noi, contribuendo alla risultante
Ma scusate, ci voleva questo intervento, per accorgersi che gli organi di stampa (e “d’informazione” più in generale) piegano le notizie agli interessi dei gruppi di potere che li finanziano? Lo fanno – più o meno – tutti… Quando si legge un giornale, non serve scandalizzarsi, l’unica cosa che si può fare e fare la tara alle notizie e leggere fra le righe.
Sullo specifico delle affermazioni di Obama, è il solito gioco delle parti. Io non credo che l’attuale caos in Medio Oriente e in Nord Africa sia frutto di errori di valutazione; poteva essere così nel primo caso (la Somalia), ma negli altri no: abbiamo di fronte dei pianificatori seri, che sono in possesso di tutte le decisioni che servono per poter prendere una decisione, anche a una scala così ampia; quindi un errore ci sta, quattro di fila (Somalia, Iraq, Siria e Libia), no.
Sono solo dichiarazioni che hanno per fine la propaganda elettorale interna, o coprirsi le spalle per mosse future a livello internazionale: qualcosa per convincere l’opinione pubblica che “noi sappiamo riconoscere i nostri errori, quindi la prossima decisione che prenderemo sarà giusta, fidatevi”.
Ci potrebbero essere anche messaggi “trasversali”, verso quei soggetti che prendono davvero le decisioni chiave: non dimentichiamo che se i giornalisti sono sul libro paga delle lobby (in fondo alla fila dei dipendenti…), anche Obama è un esecutore, anche se a un livello infinitamente più alto. Un “messaggio” da una lobby a un’altra attraverso di lui ha quindi un peso particolare.
Condivido infine l’analisi di Angelo Ricotta, specie quando conclude facendo appello a una partecipazione politica attiva, di chi vuole cambiare le cose; ma partendo proprio da una scala modesta, cioè quella delle amministrazioni locali (e nemmeno tutte), prima di accarezzare il sogno di entrare in Parlamento. O anche piuttosto che sprecare energie in questo senso.
Ho spiegato questo concetto in uno degli ultimi post relativi a “Che fare…”, se qualcuno se ne ricorda.
E’ chiaro infatti che lo “sbaraccamento” dei servi dei vari schieramenti lobbistici in Italia, deve partire dai livelli più bassi, non certo dal Parlamento italiano (o addirittura europeo): una presenza là può servire solo da cassa di risonanza, ma sarebbe prematura (lo dimostra proprio l’esperienza del M5S), senza una presenza di base consolidata. Tanto più che questi tirapiedi ci saranno sempre: diventa quindi fondamentale toglier loro l’occasione di agire, alla scala alla quale si è in grado di intervenire; di più non si può fare.
Per Cristiana. Non avevo nulla da dimostrare. Le cose sono andate esattamente come le ho raccontate. Ieri ho svolto la mia preghiera mattutina dando un’occhiata ai tre giornali che dicevo. Ho notato il quasi silenzio del Corriere sull’intervista di Obama. Allora, mi è venuto voglia di comunicare questa scelta giornalistica a qualcuno. Non è antidemocratico calpestare così platealmente il diritto all’informazione della (cosiddetta) “comunità dei lettori” del Corriere? Per un po’ mi sono indignato. Ecco, mi dicevo, i prodotti del militarismo e dell’interventismo. Solo in casa, mi sono seduto al computer e ho pensato di raccontare l’evento agli amici di Poliscritture che, magari, non sfogliano il Corriere. Sugo: ecco, come va il mondo!, ecco cosa sono capace di fare i campioni della democrazia, quelli che starnazzano quando un gruppo di studenti dissente un po’ vivacemente dagli editoriali interventisti di un Panebianco. Se censurano persino l’intervista dell’inquilino della Casa Bianca, figurarsi se non censurano i nostri bisogni e le nostre esigenze. Infatti, calpestano bellamente il nostro osannato diritto all’informazione. Ho scritto e ho inviato ad Ennio. “Valuta tu se postare” gli ho scritto e lui ha valutato e ha postato. Ora stiamo discutendo. Io discuterò con voi. Ma sia chiaro sin dall’inizio, io non sono un esperto di geopolitica, né un americanista. I fatti politici da valutare e interpretare mi sembrano due: a) L’intervista di Obama; b) La scelta giornalistica del Corriere.
Quanto all’intervista di Obama, il mio “non detto” (valutativo e interpretativo) non coincide con il discorso che mi attribuisce Ennio nell’Appunto 1. Non mi interessa stabilire se Obama sia sincero o meno; meno che meno mi interessa sostenerlo (sarei in preda a deliri di onnipotenza, se pensassi che il Presidente della prima potenza mondiale abbia bisogno del mio sostegno o di quelli come me). Poi sostenere chi? Obama è in scadenza. A novembre sloggerà dalla Casa Bianca. A me interessa soltanto che il Governo del mio paese non ci imbarchi in un’altra guerra in Libia. Dopo questa intervista, ho semplicemente un argomento in più (“Se persino, Obama…”). Cristiana è convinta che “sarà guerra comunque, per tener(ci) l’Italia un pezzetto di gas e di petrolio, dopo Reticenze e Rifiuti e Riluttanze.” Probabilmente ha ragione. Ma quale altro potere abbiamo noi se non quello di convincere quanta più gente possibile della trappola di un’altra guerra libica?
Relativamente, invece, alla scelta giornalistica del Corriere mi indigna, ma non mi meraviglia. La testata della borghesia lombarda ha i suoi punti di riferimento statunitensi. Recentemente (8 marzo) il solito Panebianco ha scritto un editoriale per convincerci che “a noi europei conviene Hillary Clinton”. Perché mai? Ecco quanto scrive il contestato editorialista: «Dal punto di vista europeo , infatti, il problema non è se il futuro presidente sarà di sinistra o di destra: il problema è se sarà un isolazionista (come Trump o Sanders), pronto ad abbandonare l’Europa al suo destino, oppure se, nel solco di una tradizione che risale a Franklin Delano Roosevelt (parzialmente interrotta dalla presidenza Obama), sceglierà quell’internazionalismo che, variamente declinato, ha dominato la politica estera americana dalla Seconda guerra mondiale in poi.» Al Corriere e a Panebianco, insomma, non va bene un Presidente che abbandoni l’Europa al suo destino. Scelta che, a loro parere, ha in parte caratterizzato la presidenza Obama. Un’Europa, non assistita dalla “logica imperiale” USA e nello stato malandato in cui si trova, potrebbe finire nelle grinfie dell’orso russo. Questo è il loro timore. Forse Obama con quell’intervista si è tolto un po’ di sassolini: “cara Francia ed Inghilterra, svegliatevi!…”
Per Ennio. Cerco di dire la mia sul tuo Appunto 2. Che la politica sia basata sui “rapporti di forza” non dubito minimamente. Bisogna intendersi sul concetto di “forza”. Escludo che sia solo militare. Mi dispiace per Mao ma il potere non nasce solo dalla canna del fucile. I fucili bisogna fabbricarli (tecnologia) e avere a disposizione i materiali necessari a farlo (materie prime, manufatti, ecc. ecc.). Occorre, inoltre, avere a disposizione persone che imparino ad usarli (educazione/formazione) e che, all’occasione, sparino (eserciti, truppe speciali, polizie) perché adeguatamente motivati per farlo. A queste persone bisogna anche fornire cibo, scarpe, vestiti… “Forza”, quindi, non è solo “muscoli”. È popolazione, tecnologia, economia, organizzazione, scienza, ideologia, ecc. ecc. È anche egemonia, diceva Cristiana qualche giorno fa.
Obama nell’intervista prende in giro gli europei. Li chiama “scrocconi”, “parassiti”, “free rider” (chi usa un mezzo pubblico senza pagare il biglietto). «Non sopporto quei comportamenti, perciò ho detto a Cameron che l’Inghilterra non può aspirare a una relazione speciale con noi se non spende almeno il 2% del Pil per la Difesa». E Sarkozy? Se n’è andato in giro in campagna elettorale a strombazzare «le gesta della sua aviazione, dopo che noi avevamo eliminato tutte le difese antiaeree di Gheddafi.» Io non so se Francia e Inghilterra abbiano agito in Libia nel 2011 su spinta americana. So che hanno cospicui interessi in Libia e che la vorrebbero divisa in tre o quattro zone. In fondo, Berlusconi amico di Gheddafi e di Putin, si fece trascinare nell’avventura con molta riluttanza e, sotto la spinta di Napolitano, temendo che gli interessi italiani (ENI) potevano essere messi in discussione. So inoltre che Obama è criticato per il suo isolazionismo e che, all’epoca, al Dipartimento di Stato c’era la Clinton, quella che Corsera e Panebianco sponsorizzano perché più consapevole della “logica imperiale” che gli USA dovrebbero avere. Logica che, secondo loro, oggi non hanno o non hanno a sufficienza. Tanto per farti un altro esempio: nell’intervista Obama, oltre che ribadire la reciproca antipatia con Netanyahu, è anche abbastanza duro con l’Arabia Saudita: «Si misura il successo di una società da come tratta le sue donne. Un paese non può funzionare nel mondo moderno se reprime metà della sua popolazione.» Infine, dopo aver respinto le critiche dei sauditi per aver sdoganato l’Iran, sostiene: «Sauditi e iraniani devono instaurare una pace fredda, imparare a condividere il vicinato. Non sta a noi usare la nostra potenza militare per i loro regolamenti di conti tribali.»
Quanto alla menzogna e alla verità in politica, credo che il comportamento del Principe (o dei “decisori” come si ama dire adesso), perlopiù, sia quello enunciato dal segretario fiorentino. Obama, dunque, è sincero?, dice la verità?….Ma che importa! Io sono curioso e cerco di orientarmi. Leggo l’intervista per cercare di capire la visione geopolitica dell’uomo che dovrebbe essere il maggior “decisore” del pianeta; per capire la politica estera che fa (o vorrebbe fare), la sua “dottrina”. Francamente non credo che sia il super-capo descritto dalla vulgata mediatica. Ma qui si aprirebbe un discorso lungo sul potere che faremo in altra occasione.
Nel numero 4 (aprile 2015) di Limes, dedicato interamente “all’anatomia dei poteri a stelle e strisce”, Lucio Caracciolo scrive nel suo editoriale: «Se un tempo “il presidente parlava per l’intera nazione”, adesso “Barack Obama parla per l’ufficio della presidenza”. Peggio: lo fa da osservatore, con spassionato acume intellettuale. Lo sguardo del filosofo, non del capo in servizio effettivo. Più che da commander-in-chief, da ammiratore del teologo protestante Reinhold Niebuhr, l’autore della Preghiera della serenità: “Dio, concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che posso, e la saggezza per vederne la differenza”. Così offrendo talvolta al suo pubblico ciò che un leader politico di norma è impegnato a celare: la cruda verità. La verità di un’America che non guida. Al massimo, delega. Più spesso, rifiuta l’ostacolo.» (pag. 11).
Ma forse a noi questa “cruda verità” non piace. E vorremmo l’Impero con l’imperatore. Così sappiamo bene con chi prendercela.
…sono anch’io convinta che Panebianco stravolga il dato di fatto: non è una politica isolazionista USA che dobbiamo temere, ma la sua massima ingerenza nella nostra politica, finanza e quotidiano, visto come noi d’Europa risultiamo spesso timbrati Usa in comportamenti e mode… tatuati, sempre con la stessa firma, nel corpo e nella mente e che l’oceano non sembra separare due continenti, ma propagare onde a stelle e a strisce ininterrotte sulla nostra terraferma(?). Se mai il problema sarebbe come arginare oltreoceano lo tsunami america…Riguardo a Obama, certo è ancora presto, bisognerà vedere gli sviluppi, per chiarire in quale direzione si muove la sua dichiarazione. Quanto decisore, quanto deciso da logge massonice dalle trame oscure, quanto manovrato e quanto manovratore di reazioni ben calcolate…Tuttavia mi sugerisce una riflessione la sua autoaccusa: se fosse stato un comune cittadino a dichiararsi autore di un solo delitto sull’uomo, sarebbe già in carcere a scontare una pena, processo non ancora istruito, mentre un presidente può tranquillamente continuare a circolare per le strade, dare ordini e ricevere omaggi, pur dichiarando un errore che ha comportato una catena di crimini di guerra, con stragi e distruzione del territorio…assolto per diritto divino?
«Non considero, in particolare quella degli USA, una democrazia. È una società con enormi sperequazioni sociali, dominata da un’oligarchia di ricchissimi. Le tensioni sociali e la violenza sono elevatissime, e se ancora non è collassata è perché possiedono un formidabile apparato repressivo a difesa dell’oligarchia.»
Condivido, nella sostanza, questo giudizio di Angelo Ricotta. Nel numero di Limes, citato nel post precedente, si può leggere un articolo di Dario Fabbri intitolato proprio “La Repubblica degli oligarchi”. Nelle intenzioni originarie dei padri fondatori, l’America non doveva essere una democrazia, ma una repubblica, guidata da un gruppo ristretto di elitisti illuminati, ossia di pochissimi letterati prestati temporaneamente alla politica e scelti per censo. Di democrazia neanche a parlarne. Si rischiava la “dittatura della maggioranza”.
A distanza di duecento anni, «alcune caratteristiche dell’America attuale – scrive Dario Fabbri – riflettono la volontà dei delegati costituenti. Come dimostrato dalla bassa affluenza alle urne, i cittadini statunitensi restano mediamente disinteressati alla politica, specie se paragonati ai loro cugini europei [ma anche da noi il processo di americanizzazione sta facendo grandi balzi in avanti]. L’amministrazione pubblica è tuttora di competenza quasi esclusiva dei ceti più abbienti. Il sistema dei checks and balances, malgrado gli stereotipi, impedisce agli Stati Uniti di adottare una forma presidenziale.
Allo stesso tempo, la politica americana mostra tendenze e fenomeni che non erano stati contemplati nell’epopea della fondazione e che le conferiscono un aspetto inatteso. Anzitutto, l’inflenza smodata degli oligarchi che conducono primarie personali e che impongono le loro priorità a presidenti e congressisti [nel 2011 i 400 americani più abbienti disponevano di un patrimonio superiore alla somma di quelli detenuti dal 50% dei restanti cittadini]. La presenza delle grandi dinastie che, con i loro professionisti della politica e custodi del consenso, si contendono gli incarichi più prestigiosi (Casa Bianca compresa). L’ingerenza dei lobbisti, ufficiali e nascosti, che fissano l’agenda parlamentare e che, in barba allo spoil system, detengono il potere burocratico essenziale alla gestione dello Stato.» (pag 30)
Perché, di fronte a tensioni sociali e violenza elevatissima, gli Usa non collassano? Ricotta risponde: “Per il formidabile apparato repressivo.” Io non nego il ruolo fondamentale svolto da quest’apparato. Ma non credo che una società possa reggersi, durare e vincere una “guerra fredda” facendo ricorso soltanto all’apparato repressivo. Ritengo utile riflettere su queste parole di Lucio Caracciolo: «L’America è una religione che non ha i mezzi del suo credo. Se volesse adeguare gli strumenti alla fede, farebbe bancarotta. Se abiurasse i suoi principi per agguagliarli alle risorse, si suiciderebbe. Il suo destino manifesto è di convivere con questo scarto. Deve continuare ad apparire più di quel che è, perché questa è la benzina che ne scatena la potenza e fa di un caleidoscopio di ex migranti una nazione coesa e orgogliosa. Insieme, deve convivere con la frustrazione di non poter essere ciò che i suoi ideali pretendono sia: Dio in Terra.» (7).
Ecco, cerchiamo di non condividere questa rappresentazione di sé che gli Usa hanno. Evitiamo amore ed odio. Restiamo freddi. Gli Usa non sono quel Dio in Terra che pretendono di essere. Nell’ultimo quarto di secolo la bandiera della libertà (proprietaria) e l’universalismo a stelle e strisce ha prodotto più tragedie, dolori, sofferenze che altro. Invece che “ordine imperiale” ha prodotto caos e i risultati geopolitici della sua presenza e attività internazionale sono piuttosto modesti. Fino a quando resterà Numero Uno?…Ecco una bella domanda, ma credo che nessuno di noi sia in grado di fare previsioni. Almeno, io no.
Se può servire, do conto di un lavoro che faccio a volte e che individua possibili tracce per ulteriori ragionamenti da fare. Ho cercato il numero di volte in cui occorrono alcune parole-chiave nei commenti a questo post:
* 36 politic- *politica, politico, politiche* di cui 4 geopolitic- (sostantivo e aggettivi, 3 Salzarulo, 1 Toffoli)
* 13 democra- di cui 8 *democrazia*, rilevante in Salzarulo, poi Toffoli e Ricotta
* 11 *decisori* sempre riferendosi a GLG
* 7 oligarch (sost e agg Salzarulo Ricotta Toffoli
Sono quattro termini di un campo semantico che hanno però anche relazioni contraddittorie tra di loro. In effetti su queste relazioni di contraddizione si svolge gran parte della discussione.
1. – Sono d’accordo con Rita Simonitto quando interpreta l’intervista di Obama come un momento di scontro all’interno del partito democratico: «Adesso ci sono le elezioni presidenziali americane e la politica estera di Obama è motivo di scontro anche all’interno del suo partito (come, peraltro è sempre stato)». Vero. Lo scontro è con Hillary Clinton. Per questo il Corsera l’ha quasi sommerso nel silenzio. A conferma dello scontro su IL SOLE 24 ORE di oggi Guido Rossi scrive: «Quest’ultima [Hillary Clinton] è stata inaspettatamente attaccata, con assai scarso rispetto, anche istituzionale dal Presidente Obama che nel considerare un clamoroso errore storico l’attacco alla Libia e il rovesciamento del Governo di Gheddafi, ha attribuito la colpa sia all’ignavia degli Stati Europei ma soprattutto alle insistenze e alle iniziative del segretario di Stato Hillary Clinton.»
Fra i due, mi pare di capire, che la più “internazionalista” (e pronta ad intervenire) fosse la donna. Il primo presidente nero inclinava all’”isolazionismo”. Ed oggi lo ribadisce. Non è escluso che lo faccia per sostenere indirettamente Sanders con la cui politica estera forse si sente più in continuità.
Sulla Siria Obama confessa che si sentiva andare «in una trappola» se nel 2013 fosse intervenuto: «Potevamo fare dei danni al regime Assad ma non eliminare completamente i suoi arsenali. Lui sarebbe sopravvissuto vantandosi di avere sfidato vittoriosamente l’America, denunciando la nostra azione come illegale. Sono fiero di avere avuto la capacità di tornare indietro all’ultimo, nell’interesse dell’America e nel rispetto della nostra democrazia. Ho voltato pagina rispetto ai manuali d’istruzioni di Washington, che tendono a prevedere sempre la risposta militare.» Sappiamo che non è andato proprio così. Quasi certamente Obama fu costretto a tornare indietro all’ultimo grazie all’iniziativa di Putin. Il sugo, però, è nell’ultima frase: il suo rivendicare d’aver “voltato pagina rispetto ai manuali d’istruzione di Washington” che, condizionati come il cane di Pavlov, prevedono sempre la “risposta militare” (gli Usa “gendarme del mondo”).
Quanto alle altre tue domande, cara Simonitto, non so rispondere. Sono convinto che l’esercizio del potere non sia sempre trasparente e abbia momenti di segretezza (accordi sotto banco, complotti, conflitti “coperti”, depistaggi, false rivelazioni, ecc. ecc.), ma non mi sembra consigliabile mettersi su questo terreno. Politicamente se ne ricava poco. Culturalmente, invece, si può ricavare un certo piacere. Un po’ di tempo fa, ad un certo punto, andavo via dalle riunioni della mia associazione per guardare le puntate di uno sceneggiato televisivo che si chiamava “Scandal…”, al quale m’ero appassionato. Aveva per protagonista il presidente degli Stati Uniti col suo staff che ordiva complotti, preparava campagne, annientava avversari…Però, poi, intrecciava anche una bella storia d’amore extraconiugale con la sua segretaria…Uno sceneggiato mediocre, ma ci siamo intesi. L’immaginario è importantissimo e sicuramente ha un fondamento reale. Ma io non credo ai super-capi. Dirò di più: credo che negli Usa la politica estera la faccia più il Congresso che il Presidente. Per non dire delle lobby e di quello che un tempo chiamavamo il “complesso militare-industriale”. Tra le lobby che finanziano le candidature del futuro Presidente americano ci sono anche Stati (Israele, Arabia Saudita, Emirati Arabi, ecc.)
2. «Ma scusate, ci voleva questo intervento, per accorgersi che gli organi di stampa (e “d’informazione” più in generale) piegano le notizie agli interessi dei gruppi di potere che li finanziano? Lo fanno – più o meno – tutti… Quando si legge un giornale, non serve scandalizzarsi, l’unica cosa che si può fare e fare la tara alle notizie e leggere fra le righe.»
Caro Alberto Rizzi, hai ragione. Non sono così ingenuo da non sapere che i giornali hanno una loro linea politico-culturale. Forse oggi gli unici a non averla (o ad averla molto confusa) siamo, purtroppo, noi. Dico noi di Poliscritture. Ma potrei tranquillamente allargare l’area del noi e comprendervi tutta la cosiddetta sinistra (da quella moderata a quella radicale, da quella istituzionale a quella extra-istituzionale). Ammetterai, però, che censurare (o quasi) l’intervista del presidente USA non è scelta che un quotidiano come il Corsera fa ogni giorno. Di solito ai suoi lettori somministra anche i respiri dell’uomo ritenuto il più potente del mondo. Poteva fare come La Repubblica. Non credo condivida l’intervista, ma informa correttamente i suoi lettori e ne riporta ampiamente i contenuti.
3. Un cordiale ringraziamento a tutte le altre persone intervenute nel dibattito. Sicuramente avrò modo di riprendere questo o quel contenuto sollevato e su cui per non moltiplicare i miei interventi, decido temporaneamente di tacere.
APPUNTI 3
La discussione forse per il momento è conclusa e non è che voglio riaprirla per forza. Indico però alcuni punti che mi paiono da approfondire:
A. Le questioni poste nel link che rimandava all’articolo di La Grassa e con le quali ho cercato di misurarmi nei miei APPUNTI 2 mi paiono saltate o eluse.
A.1. il rapporto USA-Europei, da La Grassa messo in termini drastici come rapporto tra padroni e servi (con distinzione tra “maggiordomo” Germania e i “camerieri” e gli “sguatteri” tipo Italia»), è solo una boutade polemica o qualcosa da approfondire?
A. 2. La questione della *verità*. È improponibile in politica, cioè non è mai raggiungibile e, di conseguenza, la politica è sempre stata e sarà il regno della menzogna fatta passare per verità oppure il regno delle “mezze verità”, quelle mescolate di menzogna o di ideologia? O meglio ancora: ci sarà sempre la verità dei vincitori (dominatori ecc) e una verità dei vinti?
A.3. La forza degli USA. D’accordo che Obama è solo un simbolo.
D’accordo (per la problematicità della questione *verità* in politica) che non interessa stabilire se è sincero o meno. D’accordo che c’è scontro di oligarchie o di lobby. D’accordo che non contiamo nulla, che Obama è in scadenza. Ma i rapporti tra “noi” ( o l’Italia) e gli Usa riguardano soltanto un singolo punto: se c’imbarchiamo o no in un’altra guerra in Libia?
A.4. E quindi tutto il discorso di La Grassa riguardante « la necessità che nasca in alcuni paesi europei una forza in grado di superare i complessi di inferiorità – anzi, diciamolo più chiaramente, di colpa – nutriti a partire dalla sconfitta del nazismo tedesco»; e che a me pare sì « una forzatura “doveristica”» non vedendone l’evidenza («mi chiedo: a chi «appare evidente la necessità etc»?», condividendo però l’esigenza di un ripensamento storico di quel rapporto anche se so che non è facile né culturalmente né politicamente e « richiede tempi davvero lunghissimi» ed è pieno di rischi, visti gli attori politici oggi in campo è campato in aria o no?
B. Se, come dice Donato, i giornali hanno una loro linea politica e noi ( non solo di Poliscritture) no, la si costruisce sfuggendo (a mio parere) i problemi generali poco afferrabili, magari squalificandoli come “discorsi sui massimi sistemi” e proponendo di « organizzarsi in un’entità politica e cercare di entrare nelle amministrazioni locali e in Parlamento. Come d’altronde hanno fatto i Cinquestelle» (Ricotta) o « partendo proprio da una scala modesta, cioè quella delle amministrazioni locali» (Rizzi)?
Avevo avanzato anch’io i problemi che EA mette in serie segnalando:
ad A1: il bombardamento di Sabratha *mentre* si svolgeva la trattativa per la liberazione dei 4 ostaggi italiani nella stessa zona ci vede forse nel rapporto servi (puniti e ricattati) vs padroni?
ad A2: se la verità è una risultante di rapporti di forza occorre un progetto per individuarla/sforzarla, visto che non possiamo aspettare di fare gli storici ex post
ad A3: ci imbarchiamo o no? anche i prudenti dicono “per ora no” il che, secondo me, vuol dire sì, che saremo imbarcati bon gré mal gré, da cui un esame del fatto che politicamente “noi” invece non si conta nulla
ad A4: “noi” chi? ed ecco *la necessità che nasca una forza*, ecco il *doverismo*, ecco anche le ipotesi di *entrare in parlamento* o di *essere forza locale*… ecco il punto da pensare (come del resto hanno indicato tutte le numerose occorrenze di parole come democrazia oligarchia politica “decisori” ecc)
Caro Ennio, non è che volessi eludere. È che mi sembrava di aver già parlato troppo. Comunque, ecco di seguito, qualche altra mia opinione sui problemi sollevati:
1. – Il rapporto tra Europei ed Usa è un rapporto fra “servi” e “padroni”?…Posta così la domanda, non saprei rispondere. Le relazioni fra Stati si basano indubbiamente sui “rapporti di forza”. Ho spiegato cosa intendo io per “forza”. Gli Alleati (Usa, Inghilterra ed URSS) vinsero la seconda guerra mondiale. Nel febbraio del 1945 i capi dei tre Stati più “forti” (USA, Inghilterra ed URSS) tennero la famosa conferenza di Yalta, in cui si misero d’accordo, sull’”ordine del mondo”. In pratica, se lo divisero. Lo Stato che perde una guerra è costretto sicuramente a subire la volontà del vincitore. Questo s’intende per “servo”?…Allora, sì. L’Italia diventò “serva” degli Stati Uniti, grazie a Mussolini e alla politica fascista che ci imbarcò in una guerra, anche se non avevamo la “forza” di sostenerla. O forse l’Italia un po’ si riscattò perché grazie alla Resistenza e al CLN si riuscì a ridurre la “condizione servile” in cui fascisti e repubblichini ci avevano buttati. Non si fanno guerre senza mettere in conto il prezzo da pagare (prezzo, in tutti i sensi: dolori, sofferenze, tragedie, perdita di rango, ecc.…)
Ad accordi di pace firmati, tra USA ed URSS partì la contesa per l’egemonia e, dopo i fatti di Berlino del 1948, nell’aprile del 1949 fu firmato il trattato militare istitutivo della NATO. Soci fondatori: Belgio, Canada, Danimarca, Francia, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Stati Uniti. Totale 12 Paesi (10 Europei). Sei anni dopo, l’URSS diede vita al Patto di Varsavia e fu ufficializzata la “guerra fredda”, già da tempo strisciante. Come è finita questa guerra lo sappiamo. Il Patto di Varsavia non c’è più e la Nato è passata da 12 a 28 Stati membri. Se non ricordo male, dopo la caduta dell’URSS, il presidente Eltsin aveva chiesto, addirittura, di aderire alla Nato. Attualmente, comunque, molti Paesi dell’ex Patto di Varsavia sono all’interno di quest’alleanza militare: Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia, Ungheria, Bulgaria, Romania, Estonia, Lettonia, Lituania, Slovenia… Insomma, quando si parla del rapporto tra Europei e Usa, di quali Stati europei si sta parlando? I vecchi sono soci fondatori o hanno aderito successivamente (Germania nel ’55, Spagna nell’82), i nuovi sono così contenti di starci dentro che forcano e brigano perché vi entri anche l’Ucraina. A molti ex del Patto di Varsavia, infatti, Putin non piace e temono come la peste il cosiddetto “nazionalismo” russo.
Se gli Stati Europei fossero effettivamente uniti potrebbero sviluppare una politica estera più autonoma e indipendente dagli Usa. Ma è sotto gli occhi di tutti che non lo sono. E, quindi, il più delle volte ognuno fa per sé. Nel 1966 la Francia di De Gaulle decise di uscire dal comando militare integrato Nato (non dalla Nato!) per sviluppare autonomamente il proprio programma di difesa nucleare. Nel 2009 ha annunciato il suo rientro…Questo per dire che si è “servi” fino a un certo punto. Formalmente lo status è quello di “alleati”. Il livello di dipendenza-indipendenza di uno Stato dagli altri è relativo all’insieme di variabili che fanno la “forza” o la “potenza” di quello Stato.
Oltre, ovviamente, alla capacità dei ceti dirigenti di rappresentarla.
2. Italia-Usa. È chiaro che il rapporto reciproco non si esaurisce nella questione libica. Ma riguarda l’insieme di problemi che fanno la politica di uno Stato. Tanto per farti un esempio, nel rapporto con la Russia, l’Italia ha interessi diversi rispetto agli Usa. Il gas russo ci serve. Quindi, quasi certamente i nostri governanti faranno presente la situazione a chi di dovere. Almeno, si spera. Craxi a Sigonella bloccò gli americani. In tante altre occasioni abbiamo ingoiato. Una cosa è certa: l’Italia è fra i primi 10 Paesi che più amano gli Stati Uniti. I cittadini favorevoli sono il 78%, quelli che esprimono pareri sfavorevoli rappresentano il 18%. In Germania, invece, i favorevoli sono il 51%, gli sfavorevoli il 47%. I tedeschi evidentemente sono rimasti più scottati di noi per la sconfitta della seconda guerra mondiale. Cosa vuol dire “superare i complessi di inferiorità nutriti a partire dalla sconfitta del nazismo tedesco”? Non capisco. Chi ce li ha questi complessi? I tedeschi? Gli italiani?…E cosa dovremmo fare per superare questi complessi? Spendere di più in armi? Sviluppare un po’ di “sano nazionalismo”? Stare con Putin contro Obama? Suggerire al “maggiordomo” tedesco un adeguato riarmo?…
3. – Ultima cosa: penso che in politica ci sarà sempre la verità dei vincitori e quella dei vinti. Fortini diceva che dobbiamo proteggere le nostre verità. Un tempo queste verità si cercavano anche in quelli che lui chiamava “paesi allegorici”. Oggi questi paesi non ci sono più. Analizziamo pure i capitalismi nella fase multipolare. Ma non dimentichiamo che sono capitalismi e, quindi, meritano tutti la nostra denuncia, la nostra critica, la nostra lotta di resistenza. Se ci mettiamo sul terreno dell’”interesse nazionale”, del “sistema-paese”, ecc. ecc. i ceti dominanti e dirigenti ci coinvolgeranno nelle guerre che, inevitabilmente, trameranno e ci costringeranno a fare.
4. – Informazione finale. Sul Corriere della Sera di oggi un lettore (Giuseppe Cavalli) scrive a Sergio Romano, lamentandosi della «clamorosa omissione da parte della stampa italiana […] relativa alle dichiarazioni rilasciate in un’intervista da Barack Obama». È confortante. Non sono solo.
SEGNALAZIONE
( intanto in Germania…)
ANCHE L’ITALIA SCOPRE CHE LA GERMANIA STA CAMBIANDO PER SEMPRE
di LORENZO MONFREGOLA
http://www.glistatigenerali.com/geopolitica_istituzioni-ue/ora-anche-litalia-scopre-che-la-germania-sta-cambiando-per-sempre/
Stralcio:
Quindi, se ora in Italia leggeremo giornalisti che raccontano l’improvvisa avanzata dell’AfD, come se fosse spuntata dal nulla, magari solo sull’onda dell’ultima crisi dei migranti, si tratterà di interpretazioni tanto tardive quanto banali. E se queste interpretazioni arriveranno direttamente dalla Germania, allora si tratterà di banalizzazioni frutto di una percezione pigra del paese concreto.
Infatti, a chi racconta la Germania basterebbe allontanarsi un po’ dagli ordinati uffici di Innenstadt a Francoforte o dalle zone hipster di Berlino. A chi racconta la Germania basterebbe una semplice occhiata a Hellersdorf o una sola mattinata in fila in uno dei Jobcenter di Magdeburgo.
Basterebbe poco per capire che in Germania ci sia oggi un ceto medio produttivo sempre più confuso, che si sente in qualche modo tradito da un sistema in cui aveva creduto ciecamente per decenni. Così come basterebbe poco per capire che in Germania ci sia oggi un proletariato bianco sempre più alienato, arrabbiato e in cerca di un’identità che vada oltre alla mera sopravvivenza garantita da un welfare burocratizzato al millimetro.
Sono questi i due gruppi sociali tedeschi che formano la spina dorsale dell’elettorato dell’AfD, cioè la prima vera e propria forza politica nazional-identitaria dal 1945 a oggi.
SEGNALAZIONE
(sempre a proposito delle *verità* dei vincitori, dei vinti, ecc: un problema che si pose Claudio Pavone nel suo libro “Una guerra civile. Sulla moralità della Resistenza” e in termini scandalistico-storici Gianpaolo Pansa)
NAZISTI E ALLEATI (TITOLO MIO)
Dal profilo FB di Gianfranco la Grassa
http://www.ilprimatonazionale.it/cultura/film-ss-41453/
“Io in primis ero uno di quelli che odiava i ‘tedeschi nazisti’ vedendoli come il male assoluto. Scoprire i crimini alleati mi ha fatto sentire vittima di una bugia della società, ho quindi voluto ribellarmi e fare ciò che so fare meglio: film.”.
Se questo è lo scopo del film, ritengo sia approvabile. Per troppo tempo, si è rimasti ancorati all’idea che, nella storia, ci siano pagine specialmente obbrobriose. Lo sono per i vincitori, che commettono crimini più o meno paragonabili, ma si sentono sempre meno responsabili dei perdenti; anzi i loro misfatti sono scelte obbligate, dettate da intenti giustificabili e onorevoli. No, i crimini statunitensi sono stati odiosi come tutti gli altri (e se ne aggiungono continuamente di nuovi!). Tuttavia, è vero che l’intero svolgimento degli eventi umani è punteggiato di massacri ed efferatezze di ogni genere. Non ci sono innocenti, o comunque potenti e dominanti migliori di altri. Ci si chieda il perché, il più lucidamente e razionalmente possibile; anche se a volte è assai difficile tenere a freno l’indignazione. Tuttavia, è così, è sempre stato così; ed è inutile ripetersi che non accadrà più, che si è tratta la debita lezione dalle drammatiche vicende vissute. Balle, tutte balle; si continuerà con determinazione costante. E da ogni parte. Questo non significa che non dobbiamo, e possiamo, scegliere di stare da una parte contro un’altra. L’importante è non essere ipocriti e sapere che i “nostri”, nei metodi usati e nei crimini perpetrati, sono assai simili a “loro”. E se condanna deve esserci, sia equanime ed “ecumenica”.
Sono rimasto “fuori gioco” per un po’ di tempo e intanto il dibattito è andato (giustamente) avanti.
Faccio un paio di considerazioni, magari col tempo e riallacciandomi ad altri commenti, sarò capace di farne altre.
Gli U.S.A. sono un’oligarchia, ma credo che questa logica si possa applicare un po’ a tutte le Nazioni. Oligarchie e lobby hanno sempre governato, direttamente o indirettamente, da millenni; per trovare qualche forma di democrazia credibile, non bisogna rifarsi all’Europa della rivoluzione francese, ma andarle a cercare presso popoli cosiddetti primitivi. E magari anche lì ci sarebbe da discutere.
Forse gli U.S.A. sono un’oligarchia più di altri Stati (dietro c’è un potere come quello della Massoneria), ma – ripeto – non è che altrove la si passi meglio. Col che mi viene spesso da domandarmi, anche alla luce dei continui fallimenti nei tentativi di portare avanti una democrazia “dal basso”, se l’umano sia un essere capace di gestirla. Dopotutto, in Natura la democrazia non esiste: dai virus alle galassie, nessuno applica questo sistema.
Come dire che l’uomo dovrebbe avere un quid, per renderlo capace di imprimere un’evoluzione alla Natura stessa, se fosse in grado di gestire questo strumento. Ma appunto, non mi sembra proprio in grado: almeno su larga scala (ed è per questo che ritengo possibile applicarla solo partendo da livelli quantitativi molto bassi), la democrazia sembra essersi rivelata il solito specchietto per le allodole. Buono per tenere sotto controllo i servi per qualche secolo, facendo loro credere di contare qualcosa.