TERZO FESTIVAL DI “LIMES”
di Donato Salzarulo
A) I FRONTI ESTERNI: LIBIA, IRAQ, SIRIA (Seduta antimeridiana)
1. – Sabato 5 marzo 2016, ore 10,30. Seconda giornata del III Festival di Limes. Genova, Palazzo Ducale, Salone del Maggior Consiglio. Alle 10 sono già seduto sulla sedia di una fila centrale. Ho un’ottima vista del palco per i relatori. L’interno è molto scenografico. Osservo le colonne laterali, le decorazioni, le statue, i due grandi lampadari di cristallo. Intanto, continuano ad arrivare persone, entrano volti coi capelli bianchi come i miei, ma anche di mezza età e più giovani. Non mancano gli studenti. Per ritrovarmi nel Salone, al primo piano che definiscono “nobile”, ho fatto la coda giù, all’imbocco dello scalone. Ho dovuto depositare l’ombrello in un locale attiguo, mettere borsello, cellulare, cintura in un apposito contenitore e passare sotto i raggi del metal-detector e degli occhi vigili di carabinieri e polizia municipale. Una signora mi dice che ieri sera per l’arrivo di Prodi la fila era interminabile e che, a un certo punto, l’accesso è stato chiuso. Il Salone ha una platea di 500 posti e nel Salone a fianco, quello del Minor Consiglio, si possono seguire gli interventi su uno schermo gigantesco. Non mi aspettavo tanta partecipazione. Mi domando come mai e mi rispondo che c’è sicuramente un bisogno di riflessione, un’esigenza d’informazione meno mass-mediale e virtuale da soddisfare. In tante persone c’è voglia di conoscenza, di un’acquisizione di consapevolezza più meditata e meno labile di fenomeni storici in corso, materia di opposte propagande o, peggio, rimossi. Del resto, perché io sono qua?…Avrei sfidato il tempaccio e la pioggia battente se non avvertissi quest’urgenza di sapere?…
2. – Alle 10,30 parte il primo incontro della giornata. Tema: «Guerra al terrore: i fronti esterni». La relazione introduttiva è affidata a Mattia Toaldo, membro del Consiglio scientifico di Limes.
Parla di Libia. Tendo le orecchie. Ieri sui giornali campeggiava la notizia dei due tecnici italiani uccisi. La Repubblica annunciava: «Pronto l’attacco con aerei e navi». Però poi, prudenzialmente, titolava il commento di Bernardo Valli: «Nella trappola del Califfo.» Per il Corriere della Sera, invece, il titolo è «Il dovere di agire» e il commento lo firma Franco Venturini. Ieri sera Prodi, in dialogo con Lucio Caracciolo in questo salone, pare che abbia sostenuto: «La guerra è l’ultima cosa da fare, in Libia il problema è legato a una società sfrangiata, percorsa da mille tensioni, con bande che si combattono fra loro, due governi, perciò dico no, a meno che non ci sia un richiamo unitario, che per ora mi pare difficile.» (La Repubblica, edizione genovese, pag. VI)
Mattia Toaldo si sforza di farci comprendere quanto sia intricata la situazione sul campo. «Per noi la Libia è la porta di casa, per altri il quarto d’ora di cui interessarsi». Perché non possiamo non preoccuparci di quanto sta accadendo laggiù?…Perché abbiamo interessi da difendere: gas e petrolio, commesse per le nostre imprese, investimenti nel nostro sistema economico che la Libia assicurava fino a poco tempo fa…E poi uno Stato fallito a due passi può diventare un potenziale rifugio di organizzazioni criminali e terroristiche. Per non dire del continuo flusso migratorio che una situazione di guerra civile o per bande origina.
Oggi nel Paese si confrontano due coalizioni militari, ognuna con il suo Governo e il suo Parlamento. Per orientarsi bisognerebbe avere sotto gli occhi una cartina di quella che un tempo si chiamava Libia. Tobruk è a est, nella Cirenaica, ai confini con l’Egitto. Qui sono insediati un Governo e un Parlamento, scaturiti dalle elezioni del 25 giugno 2014 e riconosciuti dalla comunità internazionale. Il Governo di Tobruk appoggia l’operazione Dignità lanciata a febbraio del 2014 dall’ex generale dell’Esercito Halifa Haftār; rappresenta una coalizione di forze che si definiscono antislamiste. Ne fanno parte:
a) politici e membri dell’esercito che, pur avendo lavorato in passato con Gheddafi, nel febbraio 2011 erano stati alla guida della rivolta contro di lui;
b) milizie della città di Zintān (la città si trova ad ovest in Tripolitania, queste milizie avevano svolto un ruolo importante nella conquista di Tripoli);
c) parte della minoranza tibū, collocata a sud del Paese;
d) i gruppi cosiddetti «federalisti» che sostengono la separazione della Cirenaica dal resto.
Il Governo di Tobruk è appoggiato dall’Egitto e dagli Emirati arabi uniti.
Alle elezioni del 25 giugno 2014, le forze «rivoluzionarie» anti-Gheddafi ottennero un risultato peggiore del previsto. Nei mesi di luglio-agosto attaccarono l’aeroporto di Tripoli (precedentemente controllato dalle milizie di Zintān), entrarono nella città, riportarono in vita il vecchio Parlamento (Congresso generale nazionale) ed elessero un altro Governo. Di questo Fronte «rivoluzionario», autodenominatosi “Alba Libica” e che si ritiene tale perché intende difendere la «rivoluzione» del 2011 contro il ritorno del vecchio regime rappresentato dagli uomini del Governo di Tobruk, fanno parte:
a) le milizie della città di Misurata (si trova sulle coste della Tripolitania);
b) forze più o meno islamiste;
c) parte della minoranza berbera.
Il Fronte è appoggiato dalla Turchia e dal Qatar.
Queste due principali coalizioni militari non controllano, comunque, tutto il territorio libico. Vi sono aree sotto il controllo delle milizie tuareg, città che appoggiano Zintān per legami storici e tribali, e, soprattutto, vi sono città (Sirte) ed aree controllate dalle milizie dello Stato Islamico e/o di altri gruppi terroristici… Un caos. La guerra sembra essere diventato lo stato naturale di questi gruppi. Il che crea nel Paese una drammatica crisi umanitaria. Spesso sui giornali la situazione viene descritta come un’accozzaglia di conflitti fra tribù. Se proprio bisogna scegliersi dei paragoni bisogna pensare a delle “città-stato”.
In questo caos, di fronte all’avanzata dell’IS che sembra controllare quasi 200 Km di costa da Sirte a Sabrata (dove sono stati uccisi i due tecnici italiani), gli USA da tempo effettuano incursioni aeree e conducono una “guerra informale”, coperta. Diverse fonti, infatti, segnalano la presenza di corpi speciali americani sul terreno. Lo stesso dicasi della Francia e della Gran Bretagna. Il comportamento dell’Egitto non è diverso. Per al-Sisi la Libia è sulla porta di casa e la sua battaglia contro i jihadisti è continua.
Quanto all’opportunità o meno di un intervento a guida italiana in Libia, scelta di cui si discute da mesi, occorre comprendere che l’intervento “informale”, coperto, come si diceva prima, è già in atto. La questione per l’Italia è se deve effettuare interventi coperti, aggiungersi agli altri per avere un posto a tavola (questo contenendo i pruriti di un intervento militare in grande stile, che allo stato attuale sia Tripoli che Tobruk considererebbero come un’invasione nemica) o se giocare a fare i cow-boys.
3. – La parola a Margherita Paolini, coordinatrice scientifica di Limes, esperta di questioni energetiche.
L’anno scorso nel suo intervento parlò delle risorse idriche del bacino mesopotamico. In questa occasione, invece, vuole concentrarsi su quella che lei chiama “l’apostasia jihadista”. Vuole, per così dire, rovesciare il discorso comune, prevalente sui mass-media. I movimenti jihadisti che si presentano come gli interpreti “autentici” e più rigorosi del Corano, in realtà incarnano delle forme di apostasia, cioè di rinnegamento e abbandono del Libro sacro.
Vi sono aspetti, passaggi dell’Islam che non conosciamo; aspetti del Corano che andrebbero letti e studiati. Il clima sociale e culturale d’islamofobia dilagante non aiuta, ma è necessario farlo. Cominciamo dal termine “jihad”: significa sforzo e può essere “piccolo” o “grande”. Nel Corano è ben distinto il “piccolo sforzo” che può essere accorpato alla guerra difensiva, dal “grande sforzo”, quello esercitato da ciascuno all’interno di se stesso per evolvere, vincere le passioni, educare la propria psiche. È improprio tradurre “jihad” col sintagma “guerra santa” che non ricorre mai nel Corano. L’espressione apparve per la prima volta in Occidente nel 1096; la usò Pietro l’eremita per predicare la prima crociata.
Esempio di jihad piccolo: quello contro i riottosi clan beduini Najd. Grande jihad è, invece, il combattimento dell’anima contro le tendenze materialistiche dell’Io.
La versione canonica del Corano, quella ritenuta ufficiale e definitiva, venne editata dopo la morte del profeta Muhammad (La Mecca, 570 circa-Medina 632). Fu ordinata ad una commissione di saggi e realizzata dal terzo califfo ‘Uthmān tra il 644 e il 656 d.C.
La “vulgata” di ‘Uthmān sopravvisse fino all’VIII secolo e fu progressivamente emendata. Le differenti scuole coraniche cominciarono intanto a discutere i vari aspetti del testo.
Una delle dispute chiave si sviluppò intorno all’interrogativo del Corano “creato o increato”.
A sostenere che il Corano fosse stato creato da Dio furono i mutaziliti. Si chiamavano così perché si erano messi da parte (i’tazala) dalle controversie del secolo precedente. Letterati, davano molta importanza alla ragione e pensavano che Dio fosse un’essenza unica, inaccessibile e inconoscibile a cui non poteva associarsi nulla, neppure la sua Parola. Credevano anche alla libertà dell’uomo e alla sua responsabilità di fronte a Dio.
Per Ahmad ibn Hanbal (Baghdad 780-855) teologo e fondatore di una delle quattro scuole giuridiche sunnite (l’hanbalismo), credere in Dio significava, invece, accettare la descrizione che Egli aveva fatto di se stesso nel suo Libro. Il Corano è la sua parola, eterna, non creata, preesistente, da prendere alla lettera. Gi atti dell’uomo sono predeterminati da Dio. La sua unicità non è messa in discussione dal fatto che il Corano partecipi dell’essenza divina e neppure dal fatto che appaia nel Libro dotato di attributi umani. Dio fa questo per rendersi accessibile all’uomo e manifestargli la sua misericordia. Occorre dunque credere alla sua Parola e seguirla in tutto ciò che dice. I deboli concetti della ragione umana non sono in grado di concepirlo e di comprenderne le vie.
La disputa fra Mutaziliti e Hanbaliti si risolse definitivamente a favore di quest’ultimi col califfo al-Mutawakkil (847-861). Dopo la condanna del mutazilismo e la persecuzione degli sciiti, i promotori tradizionalisti dell’ortodossia ebbero libero campo e l’interpretazione del Corano “increato” di Ahmad ibn Hanbal s’impose nell’Islam anche nei secoli futuri. Inoltre, grazie all’opera di Ibn Taymiyya, egli divenne l’ispiratore del wahhabismo, diffuso in tutta la penisola arabica.
Sotto questo profilo, l’Arabia Saudita rappresenta un vero e proprio virus di tradizionalismo e ortodossia. Tutto è ricondotto a quattro scuole canoniche.
Oltre alla Parola del Corano, occorre tener presente i detti del Profeta (hadith), cioè frasi pronunciate da Lui stesso o in sua presenza con tacito consenso.
Il teologo turco Bukhari censì tutti quelli circolanti al suo tempo (IX sec.) e su circa 20.000 ne dichiarò autentici 2762.
Prendiamo, ad esempio, la questione del velo: è un fatto di costume, non una imposizione coranica. Infatti, un solo passo del Corano accenna al velo «e calino il loro panno sul seno» (24,31). Non sussiste quindi per la testa ed il volto l’imposizione pretesa dagli integralisti islamici.
I combattenti jihadisti diventano operativi durante l’invasione sovietica dell’Afghanistan grazie anche al finanziamento degli Stati del Golfo e degli USA. Dopo il ritiro sovietico, le direttrici strategiche principali diventano i Balcani e il Caucaso: Jihad per la Bosnia musulmana contro serbi e croati, Jihad per la Cecenia musulmana contro i russi.
È il momento in cui Al Qaida si internazionalizza e dà vita al “progetto Jihad”.
Combatteranno contro i serbi, ma anche contro i croati, distinguendosi per il fanatismo guerriero e per le efferatezze commesse contro i prigionieri militari e civili. Contravvenendo così alle regole fondamentali del comportamento in guerra prescritte dal Corano.
Migliaia di mujahiddin arabo-afghani si trasferiscono in Bosnia.
Shamyl Basayev (1965-2006): leader della guerriglia cecena ed ex mujhaijd. La prima guerra cecena vede prevalere gli obiettivi nazionali su quelli importati dai leader dei volontari jihadisti. Successivamente l’ideologia del califfato del Caucaso Settentrionale funziona come ponte di passaggio di traffici criminosi e si estranea progressivamente dal contesto locale. La stessa cosa capita in Cecenia contro la Russia atea.
La devianza wahhabita radicale metabolizza e strumentalizza i principi del Corano e dei detti del Profeta (hadith): a cominciare dal concetto di Jihad.
1998: Al Qaida proclama il “Fronte Islamico Internazionale contro gli ebrei e i crociati”.
La tutela dei servizi segreti pachistani su Al Qaida si coniuga con i traffici delle droghe asiatiche e con manovre finanziarie di supporto da parte dei paesi arabi del Golfo. Dal mercato regionale dell’oppio al mercato globale dell’eroina.
L’appello alla mobilitazione popolare per sostenere il ”Jihad Globale” si rivela fallimentare, allora Al Qaida ed i suoi ispiratori pakistani intensificano la produzione dell’ “arma non convenzionale” degli aspiranti al martirio. Una catena di attentati precede l’Apocalisse dell’11 settembre 2001.
La giurisdizione islamica non legittima operazioni armate (Jihad) che comportino massacri indiscriminati con il pretesto di combattere per creare uno Stato islamico. Secondo il Corano, il fine non giustifica i mezzi: «Che il sangue delle donne, dei bambini e degli anziani non macchi la vittoria dei credenti.»
L’ipotesi jihadista trova nuovo slancio grazie alla guerra anglo-americana in Iraq (2003). Ricomincia il ciclo del reclutamento e dell’addestramento sul terreno contro l’invasione “crociata”. Nel 2004 gran parte dello staff originario di Al Qaida è morto o detenuto.
Per il jihad in Iraq parte la campagna di mobilitazione in Nord Africa e in Europa. Ruolo di Abu Mussa al Zarkawi. La novità da lui introdotta è il jihadh antisciita.
La nuova minaccia jihadista che si profila è quella della mobilitazione attraverso il cyberspazio.
I personaggi dello Stato Islamico confezionano messaggi reboanti, pieno di presunzioni ideologiche/teologiche e di sovrapposizioni di miti (quello del califfato originario con visioni messianiche, escatologiche). Il fatto è che il loro tentativo di estendersi territorialmente è, per fortuna, bloccato. I bombardamenti russi sono serviti. I movimenti finanziari si sono abbastanza arrestati.
4.- Marco Carnelos, ambasciatore d’Italia in Iraq.
L’Iraq è il cuore del Medio Oriente. È anche la culla della civiltà. L’IS nasce qui nel 2006, si afferma in Siria per poi ritornare da dove era venuto.
I quadri militari sono ceceni. Si educano su un manuale intitolato “La gestione della ferocia”.
Oggi dal punto di vista militare stiamo andando meglio. Diverse città sono state riconquistate.
Il problema dell’Iraq è il crollo del prezzo del petrolio. Poiché la vendita dei barili rappresenta il 90% delle entrate del Paese, queste si sono dimezzate. Il Governo iracheno non sa se riuscirà a pagare gli stipendi di aprile.
L’altra sfida è quella della ricostruzione del Paese. Ci sono oltre tre milioni di sfollati. Da sfollati facilmente ci si trasforma in profughi. In Libano, su quattro milioni di abitanti, due milioni e mezzo sono rifugiati.
Prima della ricostruzione viene la stabilizzazione, la necessità di assicurare servizi essenziali alla popolazione.
Il ruolo dell’Italia in Iraq è molto significativo. Abbiamo 700 militari che addestrano, non combattono. L’aspetto umano è importante. Il nostro dispositivo militare è presente anche in Kurdistan e fra poco a difesa della di diga di Mosul.
Per quanto riguarda gli attori, il quadro regionale è molto complesso.
[L’ambasciatore non lo dice, ma come suggerisce il titolo di un articolo di Giovanni Parigi (Limes, n. 5/2015, pag 201) l’Iraq è «diviso in tre parti: Iran, ‘califfato’ e Kurdistan». Un Paese praticamente a pezzi.]
5. – Lorenzo Trombetta. Corrispondente dalla Siria e dal Libano per Limes e per l’Ansa.
Le Sirie oggi sono quattro:
a) quella governativa controllata da Assad (appoggiato dai russi). Incarna la dimensione urbana: da sud a nord, con la retrovia costiera e montagnosa, le forze lealiste estendono la loro autorità da Dar’ā ad Aleppo, fino a Latakia e Tarţūs, passando per Hims;
b) quella dominata dai jihadisti dello Stato Islamico, venuti da ogni angolo del pianeta per invitare al jihad decine di migliaia di siriani disperati, risale lungo l’Eufrate e mette radici nella dimensione desertica della Siria storica;
c) quella in mano ai gruppi armati anti-governativi, espressione della dimensione rurale della Siria; d) quella in mano alle milizie curde.
I confini fra queste quattro Sirie sono mobili. La vittoria di Assad e dei suoi alleati regionali e internazionali, per adesso politica e diplomatica, domani potrà essere anche militare. I curdi stanno avanzando e probabilmente riusciranno a creare una fascia pancurda; mentre il terreno geografico, sociopolitico e diplomatico dei gruppi armati antigovernativi si va assottigliando e si sta andando sempre più verso la polarizzazione Assad-Stato Islamico.
«A differenza delle opposizioni armate, il regime siriano e il “califfato” si presentano e agiscono come uno “Stato”. Uno “Stato” che dopo aver ucciso, torturato, sgozzato, arrestato, derubato e discriminato i suoi sudditi offre loro protezione, sicurezza, ordine e servizi essenziali. Dopo aver liberato dal controllo del regime alcuni territori, gli insorti e i leader delle opposizioni in esilio e in patria non sono invece riusciti a fornire le risposte cruciali a una popolazione stremata, sfollata, violentata, in cerca non solo di libertà e di giustizia sociale, ma anche – e prima di tutto – di pane, acqua, elettricità, un tetto sicuro sotto cui dormire e un salario a fine mese.» (Lorenzo Trombetta, «Quattro Sirie», Limes, n.9/2014, pag. 64).
La conclusione per molti siriani è semplice: meglio Assad che il caos.
B) IL FRONTE INTERNO (Seduta pomeridiana)
1. – Verso le 16 e 40 arriva Emma Bonino, Ministro degli Affari Esteri nel Governo Letta e la seduta pomeridiana viene avviata con una breve introduzione di Lucio Caracciolo. Ripete alcuni contenuti esplicitati nell’incontro di ieri al Liceo (dimensione del fenomeno terroristico, concentrazione in Paesi come Iraq, Nigeria, Afghanistan, Packistan, Siria, eccessiva enfasi massmediale, ecc.), poi sottolinea quattro punti:
I) Bisogna distinguere severamente tra Islam e terrorismo. Non c’è un filo di sangue che li collega.
II) Occorre distinguere tra lo Stato Islamico, in quanto entità territoriale, e i terroristi europei. Questi sono cittadini europei che hanno provenienza sociale, storia e biografie particolari. Ripete le cifre: il 67% proviene da ceti medi, il 16% da ceti professionali alti e solo il 16% appartengono a ceti popolari.
III) Il pericolo vero del terrorismo praticato dallo Stato Islamico è rappresentato dall’ideologia apocalittica diffusa: messianismo, rispetto di sé, vantaggio economico, ecc. È gente come noi che si è convinta di essere vicini allo scontro finale. È fondamentale il ruolo svolto dalla rivista “Dābiq”. Essa prende il nome di un luogo della Siria settentrionale, dove secondo un hadith, dovrebbe avvenire l’apocalittico scontro finale che si concluderà con la vittoria dei musulmani e il trionfo definitivo dell’Islam sulla Terra.
IV) Non facciamoci intortare dalla propaganda che vuole assimilare immigranti a terroristi. La questione migratoria ha già prodotto fra noi europei molte divisioni e si sono costruiti muri. Gli storici del futuro non daranno un giudizio positivo di ciò che stiamo facendo.
2. – Per Emma Bonino, di fronte al terrorismo, gli Stati Europei devono coordinarsi, mettere insieme le informazioni e costruire una banca dati operativa. Questa consapevolezza c’è, sostiene, ma è frenata dalla reciproca diffidenza e da tutta una concezione nazionalistica ritornata in auge.
Al Baghdadi ha fatto appello ai “lupi solitari”. Sarà difficile mettere un carabiniere davanti ad ogni esaltato individuale. L’unico modo che abbiamo per difenderci sono i servizi d’intelligence e lo scambio d’informazioni. In mancanza di questo, perché meravigliarsi se Salah Abdeslam ha potuto girare indisturbato per Italia, Grecia, Austria e Belgio?…Molti Paesi, però, diffidano: pensano che le informazioni vengano vendute. C’è un ritorno dello spirito nazionalista.
Come Europa siamo sull’orlo della disgregazione. Abbiamo varie crisi da affrontare: oltre a quella del terrorismo jihadista, quella economica e quella degli immigrati. Ma lo facciamo con spirito centrifugo. Non abbiamo la consapevolezza di come va il mondo. Siamo piccoli e restiamo tali.
La Commissione Europea non ha competenza su una politica di integrazione degli immigrati. E così ogni Stato fa come crede. Ma la storia dell’aiuto umanitario racconta che per un po’ il profugo rimane vicino casa; quando la speranza di tornare viene meno, il bisogno e la volontà di cercare un futuro per sé e i propri figli diventano determinati e fortissimi: allora i milioni di rifugiati presenti attualmente in Turchia, Giordania, Libano si metteranno in movimento. È già accaduto alla Germania che, ai tempi della guerra nell’ex Jugoslavia, si è fatto carico dell’arrivo di migliaia di croati; è successo agli USA, ecc. Siamo coscienti che ci serve manodopera, ma ci lasciamo travolgere dalla demagogia di chi soffia sul fuoco della paura. Vedremo cosa si deciderà negli incontri dei prossimi giorni, ma l’idea che prevarrà sarà quasi certamente quella del rafforzamento delle frontiere esterne; allora la Grecia si trasformerà in un campo profughi a cielo aperto…
Sono non violenta, ma certo non pacifista, sostiene la Bonino. Ritengo doveroso combattere il terrorismo e governare i processi migratori, ma non esistono soluzioni miracolose. Esistono misure che come Europei dobbiamo prendere insieme: creare un’organizzazione che si occupi dei profughi e un’organizzazione che coordini i servizi d’intelligence. Temo, però, che continueremo ad alzare muri e a pensare che si possa risolvere tutto andando a bombardare.
3. – Paolo Scotto, Responsabile per la comunicazione istituzionale del Dipartimento Informazioni Sicurezza (DIS).
Il Dipartimento ha un sito e una scuola di formazione. Chi intende visitarlo, può comprendere quali compiti sono affidati all’organismo. Può leggere anche la Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza della Repubblica che annualmente il Governo rivolge al Parlamento. Relazione che è, ovviamente, elaborata dal Dipartimento. Quella per l’anno 2015 è stata presentata nel febbraio 2016.
Il documento contiene le sfide prioritarie da affrontare: una territoriale centrata sul “Mediterraneo allargato” e tre di sistema. La prima di queste è rappresentata dal terrorismo di matrice jihadista con le sue proiezioni in direzione dell’Italia e dell’Europa; terrorismo che nel 2015 ha fatto un salto di qualità con gli attacchi di Parigi del 13 novembre e l’attentato all’aereo di linea della Russia del 31 ottobre.
Il Daesh da un lato cerca autolegittimazione come soggetto statuale intenzionato a ridisegnare la geografia del potere nell’area mediorientale a favore della componente sunno-salafita; dall’altro cerca una proiezione espansiva al di fuori. L’attività di propaganda è uno dei pilastri di questa proiezione. È una strategia promozionale che non conosce confini. Non solo perché si basa sulla Rete (che dal punto di vista informativo mette in crisi gli Stati nazionali, già messi in crisi dalla globalizzazione), ma perché l’uditorio di riferimento è rappresentato dall’intera comunità dei musulmani (Umma). Le finalità sono diverse: affermazione di potenza, reclutamenti di mujahidin, estensione dell’area di sostegno, amplificazione dei “successi” ottenuti, pressione sul nemico, giustificazione pseudo-religiosa della violenze più efferate. Da qui il ruolo dei foreign fighters, un fenomeno che ha superato in termini numerici qualsiasi precedente afflusso di combattenti stranieri in un teatro di jihad (Afghanistan, Bosnia, Iraq). Secondo varie stime, sarebbero circa 30.000, provenienti da più di 100 Nazioni. I provenienti dall’Europa sarebbero circa 5.000. Il fenomeno è in crescita anche in Italia, seppur con numeri più contenuti rispetto alla media europea. Un aspetto di particolare criticità è rappresentato dall’auto-reclutamento di elementi giovanissimi. Spesso i processi di radicalizzazione avvengono in tempi molto rapidi e all’insaputa della famiglia. Il disagio politico è un fattore scatenante e/o alimentante.
L’Italia è a rischio, perché il “rischio zero” non esiste. È bersaglio potenzialmente privilegiato sotto un profilo politico e simbolico/religioso (Giubileo). Può essere terreno di coltura di nuove generazioni di aspiranti mujahidin che vivono nel mito del “ritorno del califfato” e che potrebbero decidere di agire sul nostro suolo. «A tale riguardo vanno valutati con estrema attenzione i crescenti segnali di consenso verso l’ideologia jihadista emersi nei circuiti radicali on-line, frequentati da soggetti residenti in Italia o italofoni: si tratta di individui molto giovani, generalmente privi di uno specifico background, permeabili ad opinioni di “cordata” o all’influenza di figure carismatiche e resi più recettivi al “credo” jihadista da crisi identitarie, condizioni di emarginazione e visioni paranoiche delle regole sociali, talora frutto della frequentazione della microdelinquanza, dello spaccio e delle carceri. » (RELAZIONE SULLA POLITICA DELL’INFORMAZIONE PER LA SICUREZZA, pag. 33)
4.- Pascal Gauchon, Direttore della rivista «Conflits».
Il terrorismo jihadista è una minaccia seria. Pare che in Siria ci siano 1700 jihadisti provenienti dalla Francia, su un totale di provenienza europea che viene stimato da tre a cinque mila.
Grave e seria perché c’è il flusso di migranti. Un jihadista ha confessato di essere tornato con gli emigranti.
Il terrorismo non è il solo problema. Esso è un modo di lottare, una tecnica di combattimento. Ciò che è importante è l’ideologia: quella wahabita. È pericolosissima, perché vorrebbe imporre la sharia in tutto il mondo, compreso l’Europa.
I terroristi non saranno vinti se sconfitti soltanto militarmente. Dipende dalla loro capacità di creare consenso sulla loro ideologia. La Francia ha tra 2 e 7 milioni di musulmani (purtroppo non abbiamo un censimento attendibile). Di questi il 70% sono praticanti. È vero che non c’è una linea diretta tra musulmani e jihadisti – lo dice rivolto a Lucio Caracciolo – ma non sappiamo dove questa linea si interrompe.
Che fare? Non dobbiamo essere ingenui. L’obiettivo dei terroristi jihadisti è quello di radicalizzare una parte importante del mondo musulmano. Se ciò accadesse, sarebbe la guerra civile.
5. – Questi appunti sono stati scritti a mano il 4 marzo 2016 e successivamente riversati su un file. Un mese dopo, la situazione è in evoluzione. Ecco, in sintesi. alcuni aggiornamenti:
a) In maniera abbastanza inaspettata, lunedi 14 marzo il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato il ritiro dalla Siria della “parte principale” delle sue forze militari. Secondo alcuni non lo farà effettivamente, secondo altri l’annuncio è finalizzato allo sblocco dei colloqui di pace a Ginevra, secondo altri ancora la Russia avrebbe raggiunto i suoi obiettivi politici-militari e fa bene a ritirarsi in questo momento, vista anche le difficoltà della situazione economica del Paese.
b) 22 marzo attentati a Bruxelles, rivendicati dallo Stato Islamico: due presso l’aeroporto nazionale e uno alla stazione della metropolitana di Maalbeek. Si riaccende il dibattito sul terrorismo jihadista. In contrasto con l’opinione dominante, Alessandro Orsini, direttore del “Centro per lo Studio del Terrorismo” dell’Università di Roma Tor Vergata, docente di Sociologia del terrorismo alla LUISS, sostiene che l’IS avrebbe drasticamente ridotto le sue capacità operative (sia per il numero di kamikaze impiegati, sia per il mancato utilizzo di alcune armi: mitragliatori, ad es.): «Io piango tutti questi morti, ma contiamoli. A Parigi erano 130 a Bruxelles sono 35. Dopo Parigi, l’Isis aveva annunciato che avrebbe realizzato attentati sempre più devastanti, ma lo studio empirico del terrorismo, basato sui fatti, e non sulle emozioni, mostra che l’Isis, in questa orrenda partita a poker, sta bluffando. E io vado a vedere le sue carte attraverso la sociologia comparata» (LA STAMPA, 29/3/2016)
c) Marzo: l’esercito siriano riconquista Palmira (diventata, ormai, città-simbolo). Secondo stime della Coalizione internazionale, nelle ultime settimane, lo Stato Islamico ha perso il 40% dei territori che controllava.
d) 30 marzo. Con la benedizione ONU sbarca in Libia il nuovo Governo di unità nazionale presieduto da Fajez al Serraj e formato da sette ministri. Obiettivo: prendere il controllo della situazione e avviare il processo di riconciliazione fra le diverse forze. Unico Governo, a questo punto, riconosciuto dalle Nazioni Unite, dovrebbe essere legittimato dall’approvazione del Parlamento di Tobruk. Legittimazione che, al momento, non c’è. Però, avendo l’appoggio della Banca centrale libica e controllando il Fondo sovrano di circa 70 miliardi, è probabile che eserciti la necessaria pressione su Tripoli e Tobruk per passare dal linguaggio delle armi a quello della diplomazia. In queste condizioni si sono moltiplicate le opinioni contrarie ad un intervento militare italiano (Paolo Mieli, Fabio Mini), intervento che secondo Arturo Varvelli (Ispi) e Mattia Toaldo (Limes), con questa mossa, appare effettivamente più lontano.
Per quanto mi riguarda, condivido la valutazione espressa da Giampaolo Calchi Novati in un articolo pubblicato sul Manifesto del 2 aprile 2016: siamo di fronte a un terreno di prova che può rivelarsi fatale…Staremo a vedere. Anche perché cos’altro possiamo fare se non cercare di capire e raccontare la situazione?
Marzo-Aprile 2016
Apprezzo molto questa testimonianza di Salzarulo perché ci permette di comprendere più a fondo certi argomenti e ci consente di aprire gli occhi sui diversi sistemi di disinformazione a cominciare dalle numerose riviste on line in cui é facile smarrirsi senza comprendere nulla. Poliscritture da anni segue una linea fuori dal coro. Continuate così.
Tre domande a caldo, visto che questo post è ricchissimo di spunti “da digerire” con calma.
1) Alcuni Stati che, mi sembra, sostengono direttamente o indirettamente il Daesh (Emirati Arabi, Turchia e Qatar), appoggiano i due schieramenti opposti in Libia: sarebbe possibile sfruttare questa almeno parziale rivalità, in funzione dell’indebolimento del Daesh?
2) Dalla distanza che c’è fra qui e l’area irachena, sembrerebbe che i Curdi siano i più motivati in funzione anti-Daesh: ci sono Paesi occidentali che li appoggiano, apertamente o meno? E con quale efficacia?
3) Mi pare che si sottovaluti la funzione di supporto che i Governi occidentali (in primis gli Stati Uniti) forniscono sottobanco al Daesh: l’appoggio che Arabia Saudita e altri Stati dell’area forniscono al Daesh, non sarebbero possibili, senza che questi Governi non siano di fatto d’accordo. E mi sembra chiaro che – direttamente o indirettamente – il Daesh stia facendo un bel po’ di “lavoro sporco” a favore degli interessi occidentali: in funzione anti-russa e/o per il controllo delle risorse energetiche. Se anche ora la cosa può essere sfuggita di mano (ma è tutto da vedere: più uno Stato è nel caos, più è controllabile dall’esterno), mi pare che le intenzioni fossero queste.
Grazie.
Ringrazio anch’io Donato Salzarulo per l’attento resoconto. Capire e raccontare serve per non cedere al senso di impotenza che ci perseguita. La storia ( degli orrori) insegna che anche situazioni che sembravano destinate a durare per sempre invece cambiano. Ma sarà poi vero? I letterati che scrissero il Corano e la Bibbia sono ormai defunti, grazie al cielo quelli di oggi non sembrano capaci di tenergli il passo.
” I movimenti jihadisti che si presentano come gli interpreti “autentici” e più rigorosi del Corano, in realtà incarnano delle forme di apostasia, cioè di rinnegamento e abbandono del Libro sacro.”
Nei libri sacri si trovano, non tutto, ma tante cose e il contrario di esse, insomma le Scritture sono sempre soggette a interpretazione e, viste con l’occhio del non credente, sono anche contraddittorie. Nell’Antico Testamento si invitava a sterminare i miscredenti, messaggio attenuato di molto nei Vangeli ma non del tutto eliminato. Nel Corano idem. Ad esempio il nostro Papa dice sempre “Noi credenti”, includendo sì quelli delle altre religioni, ma escludendo sistematicamente gli atei. Non riporto i passi dei Libri Sacri, che ognuno può facilmente riscontrare da sé, per non appesantire il discorso, ma su richiesta li posso esibire. Perciò non direi che i jihadisti siano meno autentici degli altri.
“I) Bisogna distinguere severamente tra Islam e terrorismo. Non c’è un filo di sangue che li collega.
II) Occorre distinguere tra lo Stato Islamico, in quanto entità territoriale, e i terroristi europei. Questi sono cittadini europei…
IV) Non facciamoci intortare dalla propaganda che vuole assimilare immigranti a terroristi. La questione migratoria ha già prodotto fra noi europei molte divisioni e si sono costruiti muri. Gli storici del futuro non daranno un giudizio positivo di ciò che stiamo facendo.”
Tutte affermazioni apodittiche facilmente smontabili con fatti alla mano. I terroristi saranno pure di seconda e terza generazione ma sempre islamici sono. Come si fa ad essere sicuri che tra i migranti non si nascondano terroristi? I migranti però pongono anche altri problemi. Come negare che questa enorme massa di gente che si riversa incontrollata sui paesi europei abbia costi rilevanti sotto molteplici aspetti, economici, sociali e politici? Sarà antipatico ammetterlo ma i muri e le guerre nella storia hanno funzionato eccome. Sugli storici del futuro…il giudizio dipenderà da chi prevarrà.
Per Angelo (“Sarà antipatico ammetterlo ma i muri e le guerre nella storia hanno funzionato eccome. “)
Dal punto di vista strategico, nella stragrande maggioranza dei casi chi si chiuse dietro un muro lo fece per disperazione. E perse.
@ Alberto Rizzzi
“Dal punto di vista strategico, nella stragrande maggioranza dei casi chi si chiuse dietro un muro lo fece per disperazione. E perse.”
Allora bisogna riscrivere i libri di storia. Città e castelli fortificati hanno resistito per secoli e millenni permettendo lo sviluppo delle civiltà che ospitavano. Poi nulla può durare per sempre…
No, mi rifacevo a casi specifici: la Linea Maginot, tutte le linee difensive create dai tedeschi durante la II G.M., dal Vallo Atlantico a quelle in Italia per contrastare la risalita alleata. L’Europa è disseminata dappertutto di queste fortificazioni inutili o inutilizzate.
Devi anche tener presente, se si parla di guerra guerreggiata, che con le armi a disposizione, non c’è bunker che tenga: già durante la I G.M. i forti belgi resistettero non più di una o due settimane. E’ vero che stiamo parlando di “muri” eretti contro gente disperata, che ha solo le proprie mani per difendersi: ma quello che non si ottiene con la forza, si ottiene – da sempre – con la mobilità; un muro si può sempre aggirare e questi sta’ sicuro che lo faranno: a costo di dover scavare come talpe, o passare per il Mare Artico.
Quanto ai castelli, ti ricordo che “se una porta può essere difesa da un solo uomo, può anche essere bloccata da un solo uomo”: come impararono a loro spese i Crociati nelle loro fortificazioni in Terra Santa.
Ovvio che ho tralasciato in questa risposta – perché superfluo – il lato umanitario della faccenda.
Casi specifici appunto perché a fronte dei fallimenti da te elencati si possono elencare altrettanti e molti più successi ma credo che questo non sia il luogo per dibattere su questi fatti storici ormai più che assodati. Una cosa però la devo dire sui tedeschi nella IIWW. Hanno perso perché avevano aperto troppi fronti rispetto alle loro reali capacità. Infatti il Vallo Atlantico non funzionò perché scarsamente presidiato e con poche munizioni e armi non perché non fosse una formidabile struttura difensiva, di per sé all’altezza del tipo di guerra dell’epoca.
Lo spirito umanitario lo si dovrebbe esibire anche verso i propri concittadini anziché solo verso altri, come invece fanno i fautori dell’immigrazione selvaggia. Una posizione che io ritengo innanzitutto irresponsabile e masochistica, basata su fideismi politici e religiosi per me inaccettabili e che avrà delle amare conseguenze per gli stessi fautori.
@ Ricotta
“Lo spirito umanitario lo si dovrebbe esibire anche verso i propri concittadini anziché solo verso altri, come invece fanno i fautori dell’immigrazione selvaggia”.
Ma che *spirito umanitario* è quello di chi ne ha così poco da doverlo spartire tra i propri concittadini e gli altri (uomini anche loro o no?)?
Parliamo di *spirito nazionale* (meglio: nazionalistico) e siamo più chiari.
Parliamo di *mors tua vita mea* e chiudiamola lì.
Io parlo del futuro del nostri figli che non trovano uno straccio di lavoro e che perciò sono stati estromessi dalla società, dalla possibilità di crearsi una famiglia, dalla vita. Questa sì che è violenza, ed estrema. E la praticano maggiormente proprio quelli che si danno un gran daffare per i migranti. Il loro è un buonismo con i paraocchi, perverso. Come posso interessarmi alle altrui vite se la nostra è in grave pericolo? Al mondo siamo miliardi e c’è sempre qualcuno che sta peggio di un altro o di te, insomma una sequenza virtualmente infinita. Quelli che pensano che bisogna fare gli interessi di chi sta peggio alla fine o fanno solo il proprio di interesse o altrimenti sono tutti scemi. Si sperperano miliardi di euro in queste strane operazioni “benefiche” e noi rischiamo l’indigenza e l’estinzione. Io non ci sto.
@ RICOTTA
“o fanno solo il proprio di interesse o altrimenti sono tutti scemi”.
L’abbiamo capita: tu non ci stai (tra gli “scemi”). Stai con quelli che “fanno solo il proprio di interesse”.
Se però ti dico che è la logica del * mors tua vita mea* scantoni. Suona meglio “fare il proprio interesse”? Non è ipocrisia questa?
Mi spiace ma qui non ci sono mediazioni.
Mi metto tra gli “scemi” senza esitazione.
Caro Ennio gli scemi sono altri. Gli scemi sono quelli che vanno contro se stessi. Uno della tua intelligenza (e non è una piaggeria, non ne sono capace) non può appartenervi. Evidentemente tu sei nella condizione di poter essere magnanimo, tiro ad indovinare perché non so niente di come sei messo nella vita. Perciò, come la vedo io, anche tu fai il tuo interesse. Qualsiasi persona sana di mente fa il proprio interesse. E non sono un ipocrita, altrimenti non parlerei così chiaramente come faccio e invece mi nasconderei tra i buonisti facendo lo stesso i miei interessi.
Angelo, è tutto da dimostrare che quelli che tu qualifichi come “scemi” vadano «contro se stessi» e che invece tutti quelli che affermano di fare il proprio interesse lo facciano poi davvero (o riescano a farlo).
Le analisi sociologiche più scientifiche che parlano dell’invecchiamento della popolazione (in Italia e in Europa) dicono che di immigrati ci sarà sempre più bisogno nel futuro che noi non vedremo. Sono frottole?
A me non pare. Poi ci sono altri aspetti strategici che complicano sicuramente il problema: strumentalizzazione da parte di Stati in competizione tra loro del fenomeno “migrazione selvaggia” (aumentato di sicuro dalle scellerate guerre in corso); assenza di vere politiche d’integrazione e ospitalità (paragonabili almeno a quelle – non certo “buoniste” – che si ebbero per le migrazioni interne nell’Italia del boom economico); disoccupazione giovanile alle stelle che acutizza l’esasperazione delle fasce medio-basse della popolazione e scatena le ben note “guerre tra poveracci”.
Ma come ho detto in precedenti commenti su questa questione che ci ossessionerà per il resto della nostra vita usciamo dallo schema ideologico fasullo e autoconsolatorio cattivisti/buonisti. Si tratta solo di ragionare e vedere possibili soluzioni concrete che – toh! – riducano al minimo il *mors tua vita mea”. Non è questione di magnanimità. Che parolona! (Quanto a come sono messo io nella vita, senza entrare nei particolari, sappi che sono sempre stato economicamente a livello più basso dei cosiddetti “garantiti”: stipendio d’insegnante e ora pensione e stop).
Lei parla come il medico del paese dove abito. Non passa giorno che non faccia un buon affare (ad oggi possiede mezzo paese). Me è più scaltro di lei, signor Ricotta: se gli parli di interessi la butta sullo sport. Quindi dove sta l’intelligenza? Nel cercar di capire sapendo di non sapere tutto ma quanto basta per non parlare a vanvera, col suddetto dottore. Altrimenti su ogni cosa si direbbe d’accordo, ed è sicuro che mi fregherebbe. D’accordo, lei non è ipocrita e nemmeno buonista, dunque cos’è? Non sa cosa darei per saperlo: è una vita che mi guardo intorno cercando di sbrogliare i tanti sani principi che non mi sono scelto, senza riuscirci. E senza riuscire davvero a capir-vi. Una cosa mi pare certa: che se abbiamo questo governo, questi politicanti, per non dire del resto, lo dobbiamo alle poche idee ma chiare ( solo le poche possono essere chiare) di chi non ha mai dubbi.
…ci sono muri e muri, alcuni più che utilli, indispensabili, vedi quello che funge da barriera in una diga. perchè l’acqua, nostra amica, può, non regolamentata, diventare la più potente dei nemici…Ma anche contro quegli umani, che hanno chiaramente intenzioni ostili è giusto difendersi, e i muri possono servire. Ma la fiumana di persone in arrivo per mare e per terra non vede noi come nemici, se mai le guerre e la fame da cui fuggono…Certo non dovrebbero essere i più poveri a pagare le spese dell’ospitalità e dell’integrazione, magari con la perdita di ulteriori posti di lavoro per i giovani, ma la responsabilità e il peso dovrebbero ricadere su quanti dispongono di potere organizzativo e ricchezze…Non è molto diverso il problema dei nostri giovani e non solo: se prolungano l’età pensionabile di chi lavora per loro (i giovani)non ci sarà occupazione disponibile, se consentono le pensioni d’oro, non ci saranno pensioni adeguate per tutti, se si permette una concentrazione di ricchezze per pochi, i poveri continueranno ad aumentare…Tutto ciò per dire che il vero problema è a monte, di una società che si organizza sulla diseguaglianza, i migranti sono diventati una sorta di capro espiatorio con cui prendersela…Con questo non sottovaluto le difficoltà, ma l’ultima cosa da fare è inalzare muri contro le persone in arrivo, che, se trattati come nemici, potrebbero davvero diventarlo…e sarebbe una guerra tra poveri, perchè i potenti se la cavano sempre…Quindi, dato lo stato attuale, sarebbe di interesse reciproco…Queste le mie riflessioni, ma chiaro che molte cose non mi sono chiare…
SEGNALAZIONE
Informazione e potere
21 aprile 2016 Pubblicato da Le parole e le cose
di Alessandro Gazoia
http://www.leparoleelecose.it/?p=22693#more-22693
Stralcio:
Brian McNair, nel suo *Political Communication*, premette che *terrorista* è un «termine valutativo» sotto il quale si comprendono – in contesti storici e politici distinti – persone, organizzazioni e persino Stati molto diversi tra loro. Inoltre terrorista è sempre l’altro: l’autorappresentazione di chi viene così nominato è quella di combattente per la libertà, partigiano, resistente (infine, aggiungo, il terrorista di oggi regolarmente diventa, vincendo, il presidente democratico di domani e il partigiano di ieri, almeno per una certa comunità). Lo studioso individua quindi il rapporto di dipendenza essenziale che lega il terrorismo alla comunicazione sui mass media:
Come tutte le forme di comunicazione politica […] il terrorismo può avere un significato come atto comunicativo solo se è trasmesso dai mass media al pubblico. Fino a quando non è raccontato, l’atto terroristico non ha visibilità, e perciò non ha significato sociale.4
Anche questo tipo di eventi si struttura come media event e si impone come tale con la forza. Oggi questa logica spettacolare viene portata all’estremo e messa al lavoro in più modi, seguendo molteplici flussi: le inquadrature sghembe, le immagini mosse, le testimonianze «rubate» che un occasionale passante invia subito ai social network a ogni attacco terroristico sono programmate tanto quanto le decapitazioni diffuse dall’Isis in rete con filmati «di alto valore produttivo», come i mezzi di comunicazione tradizionali amano sottolineare, fingendosi stupiti che insieme agli smartphone di Apple e a Facebook siano usati in tutto il mondo pure i software di montaggio audiovideo di Adobe.
Sui muri si potrebbe aggiungere, che alla fine non sempre chi sta meglio è chi si ritrova dietro di loro…
Ma riguardo alla maggiore solidarietà verso i concittadini, da chi dovrebbe venire? I governi fanno gli interessi di gruppi di potere, ai quali non fotte nulla del benessere di nessun altro, se non i propri membri: quindi da costoro nulla può venire quanto a solidarietà, a meno che non faccia “casualmente” il loro gioco.
Dunque dovrebbero essere i cittadini stessi ad aprire agli altri (tutti gli altri) questo sentimento. Ma persone che da secoli campano sulla pelle degli altri, accettando guerre, deportazioni e pulizie etniche, per mantenere il privilegio di poter mangiare fragole in inverno a casa loro, possono avere la sensibilità per farsi carico delle storture che hanno accettato di creare?
Se così fosse, “decrescita felice” o no, lo stile di vita degli occidentali sarebbe già cambiato da un pezzo.
@ Mayoor
Appunto il medico è molto più scaltro di me, perciò ha fatto il medico e non il fisico. S’è comprato mezzo paese? Buon per lui, io non posso farlo, non ho mai avuto simili disponibilità. E’ strano che il mio elementare discorso non venga capito, eppure l’ho scritto a chiare lettere. Che mi può importare del futuro degli immigrati e dei loro figli se il mio e quello dei miei figli è a rischio (rischio che ormai sta volgendo in certezza)? E uno degli elementi di questo rischio sono proprio loro?
@ Ricotta
“Che mi può importare del futuro degli immigrati e dei loro figli se il mio e quello dei miei figli è a rischio (rischio che ormai sta volgendo in certezza)? E uno degli elementi di questo rischio sono proprio loro?”
Ma,scusa, la situazione di rischio per te, per me, per i nostri figli è cominciata con l’immigrazione?
Le politiche di deindustrializzazione, di finanziarizzazione, di neocolonialismo, di adeguamento governativo alla globalizzazione made in USA non hanno contribuito a mettere a rischio te, me, i nostri figli?
Solo questi poveracci, anch’essi sottoposti ad ancora più gravi rischi dei nostri, sono i colpevoli del degrado della nostra vita?
C’è sempre da prendersela con quelli che stanno peggio di noi perché quelli che stanno meglio di noi e ci comandano sono inattaccabili?
Loro sono il rischio maggiore perché sono una moltitudine in crescita esplosiva. Non ho mai escluso gli altri, anzi.
@ Ennio Abate
“Le analisi sociologiche più scientifiche che parlano dell’invecchiamento della popolazione (in Italia e in Europa) dicono che di immigrati ci sarà sempre più bisogno nel futuro che noi non vedremo. Sono frottole?”
Ma bisogno per cosa? Siamo già fin troppi a questo mondo e questi non fanno altro che fare figli a nidiate. Le risorse del pianeta sono limitate e l’aumento abnorme della popolazione è un cancro che finirà per consumare tutto e distruggerci. Prima però ci saranno conflitti a tutto spiano per accaparrarsi le risorse sempre più limitate. Altro che futuro! Frottole!
@ Ricotta
Mi spieghi perché:
1. «fare figli a nidiate» è meglio che non fare figli o farne uno o due?
2. se «le risorse del pianeta sono limitate» è giudicato normale fare ingenti investimenti in armamenti nucleari e tradizionali e anormale o impossibile investire quel che serve per una educazione di massa del controllo delle nascite?
3. se «siamo già fin troppi a questo mondo» e il “mors tua vita mea” risultasse soluzione razionalmente necessaria e inevitabile, a decidere quelli che devono crepare dovrebbero essere non dei giudici (oggi inesistenti ma in teoria possibili) al di sopra delle parti ma soltanto i più potenti/prepotenti?
4. se « ci saranno conflitti a tutto spiano per accaparrarsi le risorse sempre più limitate», tali conflitti non potrebbero essere disinnescati con politiche (ardue ma non razionalmente impossibili) miranti ad accrescere le risorse che vanno a vantaggio dei «troppi» e a diminuire gli sprechi giganteschi e scandalosi dei pochi?
5. «se ci saranno conflitti a tutto spiano», la gente che ancora riesce a pensare politicamente dovrebbe schierarsi per forza coi pochi (che non è detto siano i *buoni*) e non potrebbe allearsi coi «troppi» (che non è detto siano i *cattivi*?
1. La risposta va da sé. Quanti siamo al mondo? Circa 7,5 miliardi ad oggi!
2. Infatti è del tutto insensato. Ma io posso solo parlare, fino a quando mi sarà consentito farlo.
3. E’ quello che accadrà spontaneamente quando si supererà una certa soglia.
4. Tutti gli studi (quelli seri) indicano che anche con una redistribuzione (concretamente impossibile) le risorse non sarebbero sufficienti per l’attuale popolazione, senza contare il tasso di crescita demografica mondiale.
5. I buoni e i cattivi sono distribuiti secondo le leggi del caso che non tengono conto delle nostre configurazioni sociali.
Ognuno tende a massimizzare il proprio profitto siano essi poveri o ricchi. Le ambizioni di dominio prescindono dallo status, sono connaturate all’essere umano. Esemplari i film Viridiana e Il servo.
Alle iniziative antinquinamento si oppongono con la stessa tenacia sia i paesi già sviluppati industrialmente che quelli in via di sviluppo.
Sì, lo so, siamo nella merda.
E’ per questo che sostengo, che chi ha le idee un po’ più chiare della media, cominci a pensare solo a se stesso e a quelli come lui. Chi si svegliasse, potrà provare ad aggregarsi; o a mettere in pratica con altri soluzioni simili.
Gli altri si tengano i loro muri, si scannino per un telefonino up-to-date e via discorrendo, credano di vivere solo se si è incessantemente connessi (col nulla). Speriamo di sopravvivere e di avere la forza di rimettere insieme un po’ di cocci, quando questo sarà passato. Elitariamente, s’intende.
Ringrazio tutti coloro che stanno intervenendo nella discussione. Ringrazio soprattutto coloro che hanno apprezzato il resoconto, nato dalla mia voglia di capire. Interverrei volentieri e direi la mia. Anche se non sono un esperto di politica internazionale, cercherei di rispondere alle domande “a caldo” di Alberto Rizzi. Si dà il caso che sia in partenza. Per degli impegni di famiglia devo tornare al paesello natio. Sono un “terrone”, un emigrante. E capisco i bisogni e i sogni di chi affronta il mare aperto e mette a repentaglio la vita per darsi un futuro. Non sono un buonista. Sono semplicemente una persona che prova mettersi nei panni degli altri. Anzi, che sa di aver assoluto bisogno degli altri. Ha ragione papa Bergoglio: i migranti sono un dono. Imbarazzante, difficile da accogliere, che ci mette in grandi difficoltà, ma un dono.
Al paesello natio, torno alla mia lingua madre. Per quell’intervallo di tempo interrompo i rapporti col mondo. Col computer e Internet, voglio dire. Vado per vicoli, boschi, sentieri, case, cimiteri. Passeggio su e giù per la piazza, saluto amici, conoscenti, converso con la zia ultra-ottantenne (l’ultima ancora viva delle quattro sorelle di mia madre), ceno con cugini, cugine, nipoti. Non dimentico il mondo. Mi ricarico. Perdonatemi.
Perdonato.
E magari, al ritorno, potrà rispondermi non “a caldo” e quindi con maggior precisione che se lo facesse ora.
Sul bisogno di immigrati mi sentirei di dire due cose:
1) Ne abbiamo un gran bisogno.
Vero, se pensiamo al livello di sfruttamento delle risorse nel quale ci siamo avvitati. Da questo punto di vista ci serve manodopera a basso prezzo e alla quale affidare i lavori meno invitanti (fatto salvo che molti giovani italiani finiranno a pulire il culo ai cinesi negli ospizi, se affrontano lo studio e il loro futuro con la baldanza che mi vedo attorno a scuola…); questo è però il gioco che stan facendo i gruppi economici al potere e i loro servi al governo: ad appoggiarli, non è che ci faremmo una bella figura.
2)Non ne abbiamo bisogno e dovremmo pensare a noi.
Falso, in ogni caso. Sia che – per miracolo – tornassimo a una società dei consumi imperniata sull’autosufficienza: perché sì, non ne avremmo bisogno; ma non possiamo ignorare una massa di persone sradicata dal proprio Paese per colpa nostra.
E sia perché, con una massa di persone sradicata dal proprio Paese per colpa nostra che ci preme alla porta, non siamo più in grado di pensare (solo) a noi e ai nostri figli.
Come si vede, l’Occidente si è infilato in un vicolo cieco. Poi ognuno può assolversi come meglio crede: ma tentare di controllare i flussi migratori e contemporaneamente di abbassare i nostri consumi, è una cosa; alzare muri equivale a metter la testa sotto la sabbia; meravigliandoci magari, se poi qualcuno comincia a prenderci a pedate nel culo.
“meravigliandoci magari, se poi qualcuno comincia a prenderci a pedate nel culo.”
Per prendere qualcuno a pedate nel culo gli devi stare dietro e quindi dalla stessa parte del muro. Si suppone che i migranti stiano dall’altra parte del muro. Indi logica concluderebbe che deve essere una talpa fra noi. Non credo che chi riceverà il calcio sarà altrettanto gentile con chi glielo avrà dato.
…buon viaggio Donato Salzaruolo, e grazie per la tua voglia di mettere in comunicazione, di condividere, che sia “l’acqua dei morti” o il festival di Limes…Chiudersi in una forma di autodifesa ad oltranza, invece, significa rinchiudersi…secondo me non giova
“Papa Bergoglio: i migranti sono un dono. Imbarazzante, difficile da accogliere, che ci mette in grandi difficoltà, ma un dono”
Rispondo con la frase di Troisi in Ricomincio da tre che dice al prete che voleva pregare anche per lui “Lasciate stare che è capace che fanno [dal cielo] qualche regalo pure a me”
…proletario – povero – migrante= ricco di prole, se non altro ha investito sulla vita
armatore – politico – generale = ricco di armi, crede nella proliferazione della morte
Siamo così confusi da temere più i primi dei secondi?
Oppure siamo così “lucidi” da sperare che i secondi attuino la selezione “naturale”, ovviamente a proprio vantaggio?
Ma possibile che non lo capite? Eppure i dati di fatto sono così chiari. Ai migranti non passa neanche per la capa di migliorare il mondo, aspirano solo al nostro status, a sostituirci. Vogliono anche loro le nostre auto lussuose e potenti, le nostre belle grandi case di vetro metallo e cemento. Ma non li vedete che giocherellano tutti con cellulari di ultima generazione? Mi sorprendo sempre quando mi chiedono spudoratamente l’elemosina esibendo cellulari ben più evoluti del mio vecchissimo Nokia! Investimento sulla vita nidiate di figli? Direi piuttosto assoluto disprezzo per la donna sottomessa al piacere dell’uomo e strumento di procreazione e totale mancanza di senso ecologico. Vogliono consumare a crepapelle, vogliono una vita esagerata, proprio come noi. E’ il peccato originale che ci trasciniamo appresso dall’Eden quando l’uomo già aspirava a diventare come Dio.
@ Ricotta
Non è che non capisco i dati di fatto «così chiari». È che non sono immutabili. Tu, che pure hai mentalità scientifica, sembri scattare una foto. Che appunto coglie un istante e lo fissa in una sorta di eternità o lo pensa in un crescendo deterministico,anch’esso fisso e irrimediabilmente apocalittico per noi, i destinati a sottomissioni alla Houellebecq.
Ti consiglierei di esaminare in modo critico il tuo immaginario di quando sei stato un immigrato, come ci dicevi.
Anche tu volevi auto lussuose e potenti, grandi case di vetro metallo e cemento o no? Forse, quando hai fatto la tua esperienza di migrante, non avevi da esibire cellulari e non eri nella necessità di chiedere l’elemosina. Eppiure sarai apparso lo stesso una minaccia e sarai stato guardato con sospetto perché straniero da molti che ti capitava d’incontrare.
Insomma, chiediti perché ricorri sistematicamente a stereotipi quando parli di altri che non conosci se non vagamente e – ancora una volta – in quell’istante in cui ti chiedono l’elemosina. E poi sarà pure stato uno spudorato (= uno che a te pare spudorato) il tizio che ti ha chiesto l’elemosina. Ma perché subito ne parli al plurale («mi chiedono») moltiplicandolo per cento o mille o milioni? Perché lo metti in un *mucchio*?
«Vogliono una vita esagerata, proprio come noi»! Eh, sì! Perché anche noi siamo tutti lì a volere una vita sesso droga e rock and roll.
Ma ammettiamo in teoria che questo sia il desiderio di tutti, dov’è scritto che si realizzi?
Per finire: dimostrami con «dati di fatto» che causa di tutto ciò che stiamo vivendo sia « il peccato originale che ci trasciniamo appresso dall’Eden». Se no, comincio a dubitare della tua mentalità scientifica!
@ Ennio Abate
1) Tutto si evolve, ma può essere in meglio come in peggio. Ma ho una vita sola, limitata, perciò devo pensare ai tempi brevi. Non ho intenzione di sopportare un enorme disagio per una promessa futura che non si sa se si realizzerà mai.
2) La mia emigrazione-immigrazione ebbe un carattere profondamente diverso da quella che stiamo subendo adesso. All’epoca, intorno al 1950, in Venezuela, un territorio 3 volte l’Italia con una popolazione di appena 5 milioni di persone e immense risorse naturali non ancora sfruttate, il dittatore Marcos Pérez Jiménez, che governò dal 1952 al 1958, aveva capito che l’immigrazione europea era necessaria per lo sviluppo del Paese e perciò la favorì in ogni modo, permettendo l’ingresso di circa un milione di stranieri tra cui trecentomila italiani. Pertanto eravamo molto ben accetti da tutti. Qui da noi invece siamo in un piccolo territorio sovrappopolato, con una economia postindustriale a pezzi e perciò gli immigrati diventano un costo insostenibile e una minaccia per noi stessi.
3) Ho passato la vita a trarre conseguenze dai dati e conosco il significato di una vera statistica scientifica. E’ ovvio che intendevo tutti quelli che io incontro, ma per me è già un dato significativo. Essere precisi sì, ma mettersi a sofisticare è fuori luogo.
4) Ma io sono contrario alla vita “sesso droga e rock&roll”. Salviamo il rock&roll va!
5) Ho detto che si realizzerà necessariamente? No! Anzi auspico che non si realizzi.
6) Io sono ateo! Quella è una metafora sulla natura umana che è quella che è, bestiale.
Allora, Angelo: peccato originale o no, siamo tutti uguali – loro e noi; e stiamo sbagliando, sia loro che noi.
Dunque: chi capisce – almeno in parte – il problema, vuole continuare ad errare (errare è umano, perseverare diabolico, continuare a perseverare è da idioti…), o sforzarsi di cambiare almeno il suo comportamento, per cercare una via d’uscita per sé e i suoi pari? Da qualunque delle due parti del muro stiano.
Se no, a furia di perseverare, si cade – da idioti – nel lamento da bar.
[@ Rizzi]*
Leggo tra le righe un certo appena controllato desiderio di insultare chi non la pensa come te. A questo punto la prosecuzione della discussione è inutile. Tanto ormai si è capito che su questo tema non c’è accordo tra noi.
*Nota di E.A.
Prego tutti/e di intestare il commento quando si riferisce a un singolo interlocutore
Prendo atto. Qui ogni tanto i commenti fanno saltare la mosca al naso a qualcuno. Poco male, siamo ancora nei limiti della dialettica politica.
Resto nel dubbio che Jimenez abbia fatto l’interesse delle multinazionali dell’epoca, prima che quello del suo popolo: gli Stati Uniti ospitano i dittatori caduti e danno loro la “Legion of Merit” solo se si son comportati in quel modo; chi tenta di far davvero l’interesse dei popoli sudamericani, cercano di eliminarlo anche fisicamente, come la storia insegna.
Voglio dire: se i tuoi parenti emigrati là, per quanto – non dubito – in buonissima fede, hanno fatto parte di un meccanismo simile, è solo karma che ritorna.
Arrivederci alla prossima, sanguigna discussione.
Innanzitutto voglio ringraziare D. Salzarulo per il suo impegno sia nell’aver partecipato al Festival di Limes e sia di avercene dato un resoconto in modo da tentare di fare chiarezza storico-politico- religiosa su alcune dinamiche intercorrenti in quella polveriera a cielo aperto e permetterci di fare una lettura meno condizionata dalle oscillazioni emotive ed ideologiche.
Rispetto invece a questo ultimo scambio di battute tra A. Ricotta ed Ennio Abate (tutti commenti del 21.4), ho l’impressione che la lettura dei dati parta da due prospettive diverse.
Da un lato c’è la posizione di chi considera i “migranti” alla stessa stregua degli “emigranti” italiani del secolo scorso. E c’è la posizione di chi invece sostiene che non è la stessa cosa, a meno che non riduciamo tutto ‘ad unum’ e cioè che di esseri umani si tratta, tutti ‘bisognosi’ di un qualche cosa e quindi disposti a cercare ‘fortuna’ (o malora) in giro per il mondo.
Il mio pensiero è questo:
a) rispetto agli anni delle prime ‘emigrazioni’, è radicalmente cambiato il clima culturale complessivo che a quel tempo ci teneva ancora a ‘certi valori’: famiglia (con impliciti conflitti generazionali, di confronto tra passato e presente, di relazione tra diritti e doveri); istruzione (come spinta alla conoscenza e non solo al potere); configurazioni di gruppo, chiese o partiti che fossero, impostate sul modello familiare e nelle quali i principi di ruolo e gerarchici venivano riconosciuti. La ‘trasversalità’ era ridotta e/o controllata. Ora questi ‘valori’ non si sono trasformati, adeguandosi ai cambiamenti della società sempre in evoluzione, ma sono collassati su se stessi producendo ‘mucchi selvaggi’ in competizione tra di loro. Tutto questo lo vediamo espresso ai livelli cosiddetti ‘alti’: l’assenza di responsabilità nel mantenere le promesse; i gruppi di potere che possono dire e disdire con feroce tranquillità in quanto non c’è più opposizione né in orizzontale (né destra né sinistra) né relazioni ‘in verticale’ che possano esprimere dei conflitti (non ci sono i ‘cittadini’ bensì generici ‘signori miei’; non ci sono ‘malati’ o ‘pazienti’ bensì ‘utenti’ o ‘ospiti’ – se in strutture ospedaliere). Oggi il prestigio non deriva dalla competenza ma dalla facilità e rapidità con cui si possono ottenere e cambiare alleanze.
b) ma, verrebbe da dire: “se Atene piange, Sparta non ride”. Facendo un traslato, la sconfitta della ragione non ha portato gli ipotizzati benefici né alla sensibilità né alla ‘immaginazione’ (che si desiderava andasse al potere!). C’è stato un progressivo trascinamento verso il basso, non ci sono ‘modelli’ né di pensiero né di comportamento da guardare e da prendere in considerazione come modelli identificatori in un processo di crescita.
In una situazione siffatta, di così generalizzata regressione (il che significa che ci siamo imbarbariti noi, non sono i barbari che vengono da fuori!), non possiamo fare paragoni tra le migrazioni di un tempo e quelle odierne.
Né pensare di fare in qualche modo ammenda nei confronti dei migranti di oggi rispetto alle ingiustizie e tirannie che pure sopportarono gli emigranti del passato. Non possiamo confondere e/o sovrapporre quello che è un problema di gestione politica con quello di coscienza.
“Lo spirito umanitario lo si dovrebbe esibire anche verso i propri concittadini anziché solo verso altri, come invece fanno i fautori dell’immigrazione selvaggia”, scrive A. Ricotta.
Ed Ennio risponde: *Ma che *spirito umanitario* è quello di chi ne ha così poco da doverlo spartire tra i propri concittadini e gli altri (uomini anche loro o no?)?
Parliamo di *spirito nazionale* (meglio: nazionalistico) e siamo più chiari.
Parliamo di *mors tua vita mea* e chiudiamola lì*.
Pare che il concetto di spirito umanitario (*uomini anche loro o no?*), dico ‘pare’, sia un tentativo di abolire i ‘confini’, le ‘nazioni’ (che brutto termine! che richiami ansiogeni porta con sé!). Ma il cittadino ha una sua identità, per costruire la quale ha fatto delle scelte, dei sacrifici. O, se non tutto questo, ha condiviso un territorio con altri che ne partecipavano la cultura. Ora tutto questo va difeso. E’ una tutela, non è questione di “mors tua, vita mea”. Come diceva lo psichiatra G. Jervis, se non hai una tua identità che cosa puoi trasmettere agli altri? In quale modo articoli le differenze? Come fai a sostenere l’utilità del ‘limite’, della regola che prima va conosciuta e poi, semmai, modificata? Se un genitore fa decadere la sua funzione genitoriale (che significa saper gestire le parti buone e quelle cattive) che trasmissione fa ai suoi figli? Tutto va bene, tutto fa brodo?
Essere ‘umani’ non è un fattore ‘naturale’, ma una conquista dovendo lottare ‘veramente’ con la propria disumanità. Il che significa confrontarsi con gli aspetti regressivi del volere ‘tutto e subito’ (così tipico di questa società ‘infantilizzata’); del non tenere in conto la storia e la memoria (che sono diventate contenitori vuoti); del non accettare il conflitto e le frustrazioni (ma si cerca di adeguarsi alla politica del più forte di turno); del considerare l’altro soltanto come un ‘oggetto’ da usare (anche nel senso di garantirci ‘la pace interiore’, Chiesa docet).
Quale modello di ‘umanità’ offriamo ai ‘migranti’ (ammesso che tutti siano ‘veri’ migranti?).
Quando intuisci che quel bambino che viene avanti verso il tuo gruppo può essere un potenziale Kamikaze, che può essere imbottito di esplosivo per fare una carneficina, devi fare una crudele scelta. E quante volte il ‘nemico’, vale a dire chi sta dall’altra parte e ci combatte, ha giocato l’arma umanità/disumanità, fratello contro fratello, per portare avanti i suoi disegni? Forse qualche partigiano, non di quelli dell’ultima ora, potrebbe raccontarci qualche cosa: sul ‘chi’, sul ‘cosa’, sul perché e sul come salvare qualche cosa di importante!
c) Giustamente – tranne che per l’inciso su cui ho precisato sopra a proposito del ‘buonismo’ – Ennio scrive * Poi ci sono altri aspetti strategici che complicano sicuramente il problema: strumentalizzazione da parte di Stati in competizione tra loro del fenomeno “migrazione selvaggia” (aumentato di sicuro dalle scellerate guerre in corso); assenza di vere politiche d’integrazione e ospitalità (paragonabili almeno a quelle – non certo “buoniste” – che si ebbero per le migrazioni interne nell’Italia del boom economico); disoccupazione giovanile alle stelle che acutizza l’esasperazione delle fasce medio-basse della popolazione e scatena le ben note “guerre tra poveracci”*.
Ma, allora, tenendo conto della ‘strumentalizzazione’ da parte di coloro che in qualche modo hanno spinto verso questa ‘invasione’ e prendendo atto della demagogia che cerca di bypassare le difficoltà oggettive presenti in una società in crisi (non è vero che le risorse del pianeta sono inesauribili, bisogna saper usare la ‘misura’ e ciò vale anche per ogni singolo), perché assoggettarci a tutto questo? Perché metterci dalla parte dei ‘sommersi’, per utilizzare una terminologia di Primo Levi, sconfitti già in partenza?
Anche nella “guerra tra poveri” ci sono i “ricchi” (di sensibilità) e i poveri (che ne sono privi): ecco, se i “ricchi” di sensibilità non si daranno una mossa, verranno soppiantati dagli altri, proprio perché quelli non guarderanno in faccia nessuno.
Questo significa “salvaguardare i propri ‘figli'”, ovvero le proprie capacità e risorse.
Ultima notazione. Ho l’impressione che, a volte, le discussioni che si accendono in questi botta-risposta fra commentatori siano paragonabili a quelle che accadono tra marito e moglie a causa di una frustrante impossibilità a gestire i conflitti nei luoghi deputati: datori di lavoro che abusano del loro potere, strutture sociali inadempienti ecc. ecc.
R.S.
UOMINI O NO?
@ Simonitto 23 aprile 2016 alle 17:09
1.
Non credo – se la critica fosse rivolta a me – di essere nella «posizione di chi considera i “migranti” alla stessa stregua degli “emigranti” italiani del secolo scorso». Ho semplicemente ricordato a Ricotta le possibile somiglianze tra il suo vissuto d’emigrante in Venezuela e quello del migrante odierno che gli chiedeva l’elemosina. Vedo, dunque, io pure tutte le differenze (economiche, culturali, politiche) tra vecchie e nuove migrazioni. E però, quando di fronte alle nuove migrazioni o alla crescita della popolazione nei paesi “giovani” vengono evocate la situazione di crisi dell’attuale economia (capitalistico) o si riparla della non inesauribilità delle risorse del pianeta, suggerirei di non dimenticate le potenzialità tecnologiche e scientifiche d’oggi, che sono sicuramente superiori a quelle del passato. In teoria, dunque, esse potrebbero di sicuro permettere di affrontare queste “emergenze” in modo più razionale di come si fa adesso. Scoperte scientifiche e nuove tecnologie vengono indirizzate, come accennavo, per imporre politiche falsamente umanitarie. In sostanza si mira principalmente a conservare o accrescere la supremazia dei potenti/prepotenti e delle basi sociali che, sostenendoli, se ne avvantaggiano. Certo, è realistico riconoscere che le cose stanno così e che non c’è forza politica in grado di contrapporsi. Non capisco, però perché, se vogliamo mantenere il discorso sulle nuove migrazioni su un piano razionale e non bassamente emotivo, questi aspetti politici tanto decisivi non debbano almeno essere presi in considerazione e dobbiamo limitarci agli attori più visibili, e cioè a noi (generici «cittadini») e a loro (generici «migranti»). Come se l’oste ( o gli osti) non ci fossero.
2.
Non vedo perché far passare per «reductio ad unum» (e cioè a qualcosa che equivarrebbe, credo, a visione troppo elementare, rozza, non complessa, non scientifica) l’affermazione (secondo me niente affatto ideologica) che stiamo parlando della sorte «di esseri umani», sì, e «tutti ‘bisognosi’ di un qualche cosa e quindi disposti a cercare ‘fortuna’ (o malora) in giro per il mondo».
Su questo punto dobbiamo essere chiari: sono uomini o no?
È un po’ triste porre questa domanda. A me pare di regredire ai tempi in cui i teologi cattolici, ragionando sugli indios del Nuovo mondo appena scoperto, discettavano se essi avessero o no un’anima. E tuttavia facciamocela.
Se rispondiamo sì, il discorso s’avvia sulla strada segnata dal principio illuministico di Kant: «non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te». Ne possiamo esaminare anche le degenerazioni “deboliste” o “buoniste”, ma non possiamo scartarlo come principio guida imprescindibile anche nell’analisi del fenomeno dei migranti. I fallimenti pratici della sua applicazione non lo cancellerebbero come punto fermo attorno al quale i nostri pensieri devono muoversi, magari per cercare altre possibili pratiche.
Se rispondiamo no, deve essere chiaro che abbandoniamo quel principio; e allora stabiliamo una differenza *sostanziale* tra noi «uomini» (occidentali, europei, italiani, civili, ecc.) e loro “non uomini” (inferiori, sottosviluppati, barbari, non cittadini, non italiani, Calibani, selvaggi, ecc.).
E sempre per chiarirci tra noi, ritengo sia indispensabile nominare questi *altri*, categorizzarli in qualche modo più preciso. Non solo per farli esistere in qualche modo nella nostra mente e farli uscire dal *mucchio indistinto* in cui li mettiamo di solito, ma per ridefinire e categorizzare noi stessi ( siamo o non siamo civili? siamo o non siamo razzisti?); e ragionare poi sulle differenze reali (e anche immaginarie) tra noi e loro in modi più definiti; e poi anche sul che fare di fronte di fronte a questi *uomini migranti* o *non uomini invasori*.
3.
Una volta, quando ancora il pensiero marxista non era stato eclissato dall’heideggerismo o dallo strutturalismo, sentivo parlare seriamente di «genere umano» (ad es. da Lukàcs). Ora nessuno più usa questo concetto. E tu stessa, Rita, adotti, come concetti ovvi e non bisognosi di spiegazioni o approfondimenti critici, quelli di «cittadini» e di «nazioni». Anzi, introducendo i termini ‘confini’ e ‘nazioni’ e supponendo una residua diffidenza da parte di alcuni di noi, cerchi benevolmente di tranquillizzarci: «che brutto termine! che richiami ansiogeni porta con sé!).
No, non si tratta di un «brutto termine». Non è in gioco una questione di estetica. E a me non scatena «richiami ansiogeni», ma semplicemente l’esigenza di riesaminare un po’ di storia delle nazioni. Vorrei valutare criticamente – al di fuori dalle mitologie patriottiche e nazionaliste ma anche di quelle “internazionaliste” che do per fallite al momento – limiti e pregi (quando ci sono) delle ‘nazioni’. Inoltre, vorrei porre tante domande un po’ banali forse ma utili per un approfondimento del concetto stesso: le nazioni sono venute prima del genere umano? le nazioni ci sono sempre state? le nazioni, come ci insegnarono Eric Hobsbawm e Benedict Anderson, non sono forse «comunità inventate», cioè costruite culturalmente, storicamente? I confini di una nazione sono qualcosa di sacro e di immutabile nel tempo? le nazioni in cui viviamo oggi sono le stesse di 100 anni fa o di secoli fa? le nazioni come sono state ridotte dalla crisi e dalla globalizzazione?
Preciso poi, a scanso di equivoci, che non accolgo la tesi della “fine dello Stato-nazione” (di Hardt e Negri); e però penso che le “identità nazionali” siano talmente logorate da non poter essere rivitalizzate. Aggiungo un mio timore: che il recupero politico-culturale – tattico o strategico che voglia essere – del concetto di ‘nazione’ o di ‘sovranità nazionale’ da parte delle correnti cosiddette «sovraniste» porterà ad una liquidazione non solo dei marxismi residuali e dogmatici ma della lezione fondamentale di Marx (liquidazione che sento pericolosa quanto quella del principio di Kant sopra ricordato). E porterà pure ad un’apertura rischiosa alla cultura della Destra Classica. Non mi sento di dire ad un recupero delle esperienze naziste o fasciste, sicuramente non ripetibili oggi nella stessa forma, ma – e questo ormai in modo evidente sulla questione delle nuove migrazioni (ho da poco ascoltato alla radio i risultati delle elezioni in Austria) – all’adozione ufficiale da parte di forze politiche in crescita (il M5S ad es. e Grillo già fa proclami in tal senso) della “differenza sostanziale” tra noi e loro, e cioè a praticare, senza dirlo e respingendo l’accusa di razzismo, il principio due: no, i migranti non sono uomini.
4.
A me pare che il discorso storico politico su ‘confini’ e ‘nazioni’ sia indispensabile. Non lo trovo per ora nella tua riflessione, che, a sostegno del *valore* dell’essere cittadini e del concetto di nazione, ricorre a considerazioni di ordine psicologico. Citi, infatti, Giovanni Jervis:
« Come diceva lo psichiatra G. Jervis, se non hai una tua identità che cosa puoi trasmettere agli altri? In quale modo articoli le differenze? Come fai a sostenere l’utilità del ‘limite’, della regola che prima va conosciuta e poi, semmai, modificata? Se un genitore fa decadere la sua funzione genitoriale (che significa saper gestire le parti buone e quelle cattive) che trasmissione fa ai suoi figli? Tutto va bene, tutto fa brodo?».
Non scarto questo riferimento, ma terrei conto che una identità psicologico-culturale (individuale e nazionale) si costruisce (si “inventa” dicono Hobsbwam e Anderson…) in un processo storico, in cui intervengono cioè fattori economici, politici e culturali, e non solo “esperienziali” (di scambi emotivi che trafficano fra conscio e inconscio); e che non è mai immobile, unitaria, senza porte e senza finestre…
5.
Mi chiedo poi che differenza di fondo ci sia tra essere cittadini e essere umani o tra costruzione del cittadino e costruzione dell’umano? Fra i due processi (storici, complessi e in fondo intersecantisi) o fra le due costruzioni non vedo una differenza di sostanza. E perciò credo che quanto Jervis dice per la costruzione di una identità individuale, se vale anche per la costruzione di una identità nazionale (il nativo di un territorio nazionale, che deve arrivare ad essere cittadino), vale, con le dovute articolazioni e specificazioni, anche per l’essere umano straniero nato in altri territori o nazioni , che a noi pare più “elementare”, “incivile”, ecc . Anche lui – dobbamo presupporre – s’è avviato o è stato avviato dalle istituzioni del paese a *farsi umano*. Certo non secondo i costumi o le leggi o le credenze vigenti da noi in Italia o in Europa. Ma forse i migranti, che arrivano qui, non hanno «identità» (stavo per dire “anima”!)? E non hanno le loro regole, le loro credenze, i loro costumi?
Voglio dire che non sono tabula rasa, sono “primitivi” fino ad un certo punto, “selvaggi” fino a un certo punto. Semmai a noi appaiono così. E sarebbe il caso di chiedersi: e noi come appaiamo a loro?
A questo punto si affacciano i grandi problemi affrontati dagli «studi post-coloniali» e a cui un po’ mi sono sensibilizzato in anni passati leggendo qualcosa di Todorov e di Said.
Certo le nuove migrazioni – “selvagge” non per volontà dei migranti ma per i condizionamenti pesantissimi di *questa* globalizzazione e del gioco tra potenti/prepotenti – scaricano tra noi individui ( mai *mucchi* come si tende facilmente a pensare) provenienti da paesi e culture a lungo schiacciate dagli occidentali. Il colonialismo non è stato un episodio marginale della storia umana. E l’attrito può essere tremendo. E anche le reazioni da parte loro o da parte nostra possono diventare altrettanto tremende. Specie quando non sono governate o quando continuano ad essere governate riproducendo ghetti interni alle nostre metropoli, forse ancora più innaturali e disumani di quelli da cui molti migranti sono fuggiti.
6.
A questo punto faccio una serie di veloci obiezioni a una serie di tue osservazioni.
Devono imparare le regole? Certo. Ma abbiamo la consapevolezza che le regole – le loro e le nostre – spesso sono contrastanti tra loro e che soprattutto anch’esse si trasformano e possono trasformarsi?
Prima vanno conosciute e poi modificate? Certo, a patto che io impari a conoscere le tue regole e tu le mie. E a patto che si sappia quanta violenza c’è spesso nell’imporre la conoscenza delle nostre regole e solo quelle; e nell’ignorare le loro. E ancora: a patto di capire che anche resistere alle regole (alle nostre regole) è un modo secondo me costruttivo per modificarle; come la storia delle nostre *classi pericolose* in epoca industriale ha insegnato alle nostre classi dirigenti.
« Essere ‘umani’ non è un fattore ‘naturale’, ma una conquista dovendo lottare ‘veramente’ con la propria disumanità»? E chi dice che i migranti non comincino a diventare più umani (e cittadini) di noi proprio dal momento in cui decidono di scappare, quando iniziano il loro *cammino della speranza*? Chi dice che vogliono ‘tutto e subito’? Mica sono dei Gasparazzi del ’68-‘69…
« Quale modello di ‘umanità’ offriamo ai ‘migranti’»? E perché non chiederci quale modello di umanità potremmo costruire noi e loro in una sorta di scambio reciproco, sicuramente molto conflittuale, ma che potrebbe anche essere costruttivo e non distruttivo?
« Quando intuisci che quel bambino che viene avanti verso il tuo gruppo può essere un potenziale Kamikaze, che può essere imbottito di esplosivo per fare una carneficina, devi fare una crudele scelta».
Certo. Ma i migranti son tutti kamikaze? E poi, ribaltando la prospettiva, non dobbiamo chiederci: quando arrivano le bombe occidentali sull’Irak, sull’Afghanistan, sulla Libia, quali crudeli scelte devono fare quelle popolazioni o almeno alcuni loro “partigiani” che noi chiamiamo terroristi?
« E quante volte il ‘nemico’, vale a dire chi sta dall’altra parte e ci combatte, ha giocato l’arma umanità/disumanità, fratello contro fratello, per portare avanti i suoi disegni?». D’accordo. Ma dobbiamo anche tener conto che ce li siamo fatti nemici (o abbiamo lasciato che le nostre classi dirigenti li facessero nostri nemici). Adesso, sì, lo sono realmente nostri nemici. Anche se non tutti. Ma non lo sono quasi altrettanto, se non di più, diversi dei miei concittadini (che mica sono tutti miei amici, no?) che vanno a seminare guerre – anche a nome mio, a nome dell’Italia, a nome della mia nazione? E non sono queste guerre che poi portano da noi in modi “selvaggi” ( o selvaggi e disperati?) i migranti.
Insomma chi sono i miei/nostri nemici? L’Isis, certo. E i nostri governanti sono forse miei/nostri amici? E gli immigrati sono nostri nemici?
« Perché metterci dalla parte dei ‘sommersi’, per utilizzare una terminologia di Primo Levi, sconfitti già in partenza?». Sicuro che gli attuali ‘sommersi’ saranno sconfitti già in partenza?
« Se i “ricchi” di sensibilità non si daranno una mossa, verranno soppiantati dagli altri, proprio perché quelli non guarderanno in faccia nessuno.».
Ma è proprio sulla «mossa» (sul che fare) che stiamo discutendo e divergiamo. Perché il modo di « salvaguardare i propri ‘figli’”, ovvero le proprie capacità e risorse» che vuole – in fin dei conti e qui dobbiamo essere ancora una volta chiari – la morte dell’altro perché lo vede come *mucchio nemico* (invasore, inferiore, ecc.) è agli antipodi del modo di « salvaguardare i propri ‘figli’”, ovvero le proprie capacità e risorse» che vede nell’altro problematicamente un *umano in costruzione*, il quale può diventare amico o nemico; e che è, sì, bisognoso ma ha anche energie bloccate che possono essere mobilitate non solo nel lavoro ma anche a favore di un progetto politico che oggi manca pa potrebbe essere costruito.
Certo, arrivando in società in crisi (o collassate? A me pare un’esagerazione propagandistica…) e ghettizzando i migranti nelle periferie, il rischio è che si imponga una convivenza impossibile tra “poveri”; e che si possa arrivare ad esplosioni di rabbia, a scontri tra “mucchi selvaggi”. Ma possiamo dire che i governi che hanno imboccato questa strada l’hanno fatto perché con l’acqua alla gola, perché non avevano altre soluzioni? Credo di no.
@ Ennio Abate 25 aprile 2016 alle 0:46
Mi intrometto solo brevemente in questa risposta indirizzata da Ennio Abate a Rita Simonitto.
A mio parere il discorso di Abate è pieno di sofismi contrapposto a quello di Simonitto ben radicato nella realtà. Ciò non rende un buon servigio alla ricerca di una soluzione alle sfide che ci attendono.
Sintetizzo al massimo indicando solo tre dei sofismi, ma chi vuol capire capirà.
1° Sofisma: Chi non è d’accordo sull’accoglienza ai migranti non è “razionale” ma “bassamente emotivo” e fa il gioco dei “potenti/prepotenti”.
2° Sofisma: I migranti sono “uomini” o no? Chi non li accetta non li considera tali.
3° Sofisma: I kamikaze sono i partigiani dei migranti che reagiscono giustamente alle nostre bombe.
A fronte di tutto ciò riconfermo la mia posizione. Non siamo nelle condizioni di accogliere questo enorme flusso di migranti. Chi pretende di entrare con la forza nella mia casa è un invasore e va respinto. La responsabilità penale è personale e quindi è un banale sofisma identificare “l’occidentale” con i colonizzatori, gli schiavisti, con gli sfruttatori, con coloro che portano la guerra e gettano le bombe.
@ Ricotta
Sempre troppo sbrigativo su certe questioni così scottanti?
Come mai?
Quelli che tu definisci miei “sofismi” sono tue interpretazioni.
Hai tutto il diritto di affermare le tue opinioni e combattere le mie, ma se le vuoi squalificare col termine *sofismi*, sarebbe meglio portare argomenti. Ai quali potrei ribattere.
Qui non ne vedo.
Non sbrigativo ma sintetico e chiarissimo: la mia posizione, ossia la risposta alle tue affermazioni, è in calce al post da te citato. Non vedo che devo o posso aggiungere.
…”Uomini o no”, mi ricorda “Uomini e no” (Vittorini”), ma lì le ragioni della linea di demarcazione erano altre…Per quanto riguarda i migranti dei nostri giorni non ho ragioni per credere che non siano uomini e donne come noi…Le motivazioni della loro fuga possono anche essere varie, ma sicuramente la paura e il bisogno prevalgono, cioè emozioni vitali che proviamo tutti, persino trasversali a tutto il regno animale. Con questo non cado nell’errore di credere che siano tutti buoni, sarebbe un razzismo all’incontrario, molti certo si saranno fatti abbagliare dalla propaganda di benessere dell’occidente circolata nei loro Paesi…Ma noi non abbiamo la stessa predisposizine a farci ingannare da ogni pubblicità? I nostri figli non aspirano ai cellulari di ultima generazione, magari scartando quello più che funzionanti?…Se il nostro fosse un modello perfetto di società, che teme le contaminazioni e l’impoverimento, non capirei ugualmente, ma non dobbiamo dimenticare che noi siamo, è vero, un Paese di grande tradizione culturale, ma anche che ci portiamo, dalla nascita dello stato italiano, il problema delle mafie, ben radicate nei territori del sud e ora in espansione nell’intero territorio nazionale, inoltre la politica corrotta, anzichè combatterle, ne imita bellamente i metodi…Propaganda consumistica, mafie e politici corrotti non è un quadro edificante…I migranti arrivano con le loro povertà e noi abbiamo le nostre…Leggevo che in Calabria in alcuni terreni coltivati sequestrati all’andrangheta
gente locale, per paura, si è rifiutata di entrare, ma i migranti giunti dal Mediterraneo, hanno dichiarato di non temere e di volervi lavorare…Chissà che, se aiutati, i migranti a loro volta non ci possano aiutare a scalfire vecchie piaghe…Se poi un giorno, acquietati gli animi, si arriverà ad un travaso di culture, non penso significhi rinunciare alla propria identità, ma evolvere verso altre e altre ancora…Come è sempre stato nella storia
SEGNALAZIONE
(A proposito di “osti” e ad d integrazione sostanziosa di questo passo del mio commento 25 aprile 2016 alle 0:46:
“Non capisco, però perché, se vogliamo mantenere il discorso sulle nuove migrazioni su un piano razionale e non bassamente emotivo, questi aspetti politici tanto decisivi non debbano almeno essere presi in considerazione e dobbiamo limitarci agli attori più visibili, e cioè a noi (generici «cittadini») e a loro (generici «migranti»). Come se l’oste ( o gli osti) non ci fossero””)
In attesa degli schiavi globali
di Robert Kurz
Stralcio:
Questo processo non viene percepito dall’Occidente come il fallimento completo del suo sistema sociale, ma come un semplice “problema di sicurezza” esterno. Il capitalismo democratico occidentale in crisi amplifica la propria insolenza, già dimostrata riguardo ai suoi propri “superflui”, nei confronti di paesi e di interi continenti che si rivelano inadatti alla riproduzione di mercato. Ora, tutti questi devono conformarsi pacificamente al loro inevitabile destino! Se sarà necessario, la “sicurezza” verrà ristabilita con interventi militari a livello mondiale (le cosiddette “missioni di pace”).
[…]
l’orientamento strategico è quello di tenere lontano dal sistema l’enorme contingente dei “superflui” della periferia, guardati con sospetto. La catastrofe prodotta dalla stessa economia universale di mercato dev’essere isolata per quanto possibile. Da questo punto di vista, le correnti dei rifugiati devono essere bloccate alle frontiere occidentali, e nelle regioni in conflitto, devono “accontentarsi” del loro livello di povertà. L’imperialismo di sicurezza, in tal senso, è allo stesso tempo un imperialismo di esclusione in nome della “Fortezza Europa” e della “Fortezza Nord America”. L’obiettivo implicito può essere solo quello di una gerarchia di esclusione scaglionata per continenti, che comprende, in Europa, alcuni pochi Stati direttamente associati alla NATO e all’Unione Europea (tipo l’Ungheria), passando per una serie di Stati da operetta vincolati solo parzialmente (tipo la Croazia), fino ai protettorati o ai paesi del tutto dipendenti, gestiti da organizzazioni internazionali (tipo il Kosovo).
[…]
Se, dopo il 1945, la concorrenza fra i blocchi capitalisti degli Stati Uniti e dell’Europa era attenuata dall’interesse comune dato dalla concorrenza con il blocco orientale ed il suo capitalismo di Stato, dopo la fine della Guerra Fredda la logica dell’imperialismo di esclusione e sicurezza globale costituisce un nuovo meta-interesse comune, il cui motore è la crisi velata del sistema globale produttore di merci. La NATO si trasforma da strumento della Guerra Fredda in un mondo bipolare, in polizia mondiale in un mondo unipolare, sotto la direzione degli Stati Uniti, ultima potenza planetaria con il suo incontrastabile potere bellico. Ma questa polizia mondiale può funzionare solo se la NATO esige una sorta di monopolio globale della forza. Ciò significherebbe che l’apparato militare di ogni Stato che non può o non vuole integrarsi nella NATO dovrebbe essere eliminato con la forza. Così facendo, è lo stesso Occidente a mettere in dubbio il principio di sovranità statale e a rendere obsoleta l’ONU: il capitalismo non è più capace di riconoscere il proprio ordinamento giuridico internazionale. E’ molto improbabile, tuttavia, che l’imperialismo occidentale di sicurezza si instauri effettivamente. I giganteschi costi necessari a mantenere sotto controllo militare un mondo che si sgretola non è più sostenibile economicamente nemmeno per l’alleanza occidentale. I risultati ottenuti finora per tale polizia planetaria lasciano molto a desiderare. C’è da supporre, piuttosto che gli Stati-incubo, dotati di missili e arsenali atomici come la Russia, la Cina, l’India o il Pakistan, che si trovano da tempo al centro della dinamica globale di crisi, al momento del collasso interno della loro sovranità liberino delle forze distruttive, forze queste che sostituiranno la polizia mondiale.
Simultaneamente, la stessa sovranità degli Stati occidentali si sgretola. Anche l’ultima potenza mondiale, con il suo apparato militare, oggi dipende dal movimento autonomo del capitale finanziario transnazionale, che mina qualsiasi sovranità politica. Burocrazie militari e politico-economiche sovranazionali, con processi decisionali oscuri come la NATO e l’Unione Europea, la Banca Mondiale ed il Fondo Monetario Internazionale, acquisiscono dinamiche proprie in rapporto ad istituzioni legittimate politicamente. Infine, eventi quali il massacro degli studenti a Littleton, i pogrom razzisti di giovani tedeschi o le bombe a orologeria di “Combat 18” e dei “Lupi Bianchi” di Londra dimostrano che la sovranità statale interna dei centri occidentali è altrettanto minacciata di quella del resto del mondo.
Dappertutto la concorrenza economica e sociale sfrenata distrugge il dominio dello Stato, senza creare alcuna altra forma di vincolo comunitario. Per il 21° secolo, quindi, si delinea la tendenza di una “destatalizzazione negativa”: un numero crescente di funzioni statali verrà assorbito da organizzazioni parastatali senza controllo alcuno. L’attuale sovranità verrà sostituita, da un lato, dall’impero dei cartelli transnazionali, dai fondi del capitale finanziario e dai rudimenti di una polizia globale, e, dall’altro lato, dall’impero della mafia, dei signori della guerra e da gruppi terroristi armati. E’ solo questione di tempo prima che queste due forme decadenti di società capitalista uniscano le forze per assoggettare, col ferro e col fuoco, i cinque miliardi di persone di questa Terra ad un ordine mondiale che già sta rantolando.
(da http://www.sinistrainrete.info/globalizzazione/7066-robert-kurz-in-attesa-degli-schiavi-globali.html?utm_source=dlvr.it&utm_medium=facebook)
Quello che vorrei far emergere dal mio commento è che ci troviamo in una situazione in cui sono stati messi in discussione molti degli investimenti valoriali su cui avevamo creduto, scommesso… e magari qualcuno ci ha rimesso anche le piume in senso stretto e in senso lato.
Ora ciò che ci rimane è “guardare la realtà”, che sappiamo bene essere essa stessa ‘illusoria’ e, soprattutto, ‘transeunte’. Dobbiamo utilizzare un metodo di osservazione, ‘more scientifico’, né più né meno di quello che fece Marx nell’osservare la società inglese ed evincerne una teoria che poi ha (abbiamo) generalizzato mettendoci dentro di tutto, risvolti umanistici compresi.
Ovvio che noi non siamo Marx (mi verrebbe da dire, per fortuna) però qualcosina abbiamo pure da imparare.
Al pari dei migranti, seppur in modo palesemente diverso – perché chi non ha da perdere che le proprie catene (gli schiavi) si muove diversamente, con meno remore, da chi ha sperimentato la ricchezza della cultura, la problematicità arricchente e maturativa della condivisione con l’altro – anche noi siamo stati ormai cacciati dalle nostre terre, dai nostri pascoli, dalle nostre certezze e dalle nostre illusioni (“le magnifiche sorti e progressive”).
La differenza sta nell’uso che noi, rispetto a loro, facciamo rispetto a ciò che abbiamo perduto (ovvero il processo di lutto che ci porta a salvare alcune cose e ad abbandonare delle altre).
Loro non possono porsi questo problema così come buona parte dell’Italia (vale a dire i poveri martoriati dalle bombe) non poteva porsi nel primo dopoguerra.
Loro rappresentano la parte sacrificabile/espulsa a seguito delle guerre che hanno distrutto i loro paesi (mentre altri, di quegli stessi paesi, invece si sono salvati alla grande). Buona parte di essi aspetta il risarcimento per ciò che l’Occidente, percepito in modo indistinto e generico, ha fatto a loro. Accampano i diritti al benessere: non si pongono il problema di essere manipolati in tutto questo! Non sono arrivati – non è una loro colpa – a capire la strumentalizzazione in cui sono coinvolti. Ma nemmeno noi l’avevamo capita a fondo, a suo tempo, benché artisti/registi ce la mostrassero pienamente nella filmografia degli anni ’60.
Spesse volte mi sono chiesta perché non si lavora a livello di Potenze, di ONU, e di aiuti economici per farli rimanere nei loro luoghi d’origine. E mi sono data questa risposta – fra le tante altre di natura politica e geopolitica che qui non metto in campo ma che hanno, ovviamente, un maggior peso -: se rimanessero a casa loro non diventerebbero dei ‘consumatori spietati’ così come il sistema ha bisogno che essi siano. Qui molti sono sostenuti da aiuti, facilitazioni e lavori (anche di infimo ordine) ma che li rendono condizionati al sistema. Mentre, rimanendo nei loro luoghi d’origine, si rapporterebbero all’interno di possibilità più realistiche e non fittizie come quelle che vengono loro presentate qui, sotto la veste dell’opulenza occidentale. Domanda perfida: perché non può valere anche per loro la ‘decrescita felice’?
Mi si obietterà: ma là ci sono le guerre! Appunto! Ma perché ci sono le guerre?
*** Ennio si chiede: *le nazioni sono venute prima del genere umano? le nazioni ci sono sempre state? le nazioni, come ci insegnarono Eric Hobsbawm e Benedict Anderson, non sono forse «comunità inventate», cioè costruite culturalmente, storicamente? I confini di una nazione sono qualcosa di sacro e di immutabile nel tempo? *
Questa domanda non è dissimile da quella posta in titolo al suo commento: “uomini o no?”
Le ‘regole’ (così come le nazioni) sono istituzioni secondarie, non primarie.
Se condividi alcune ‘regole di base’ che normano l’esistenza comune (non uccidere, non rubare, o, visto che viene citato Calibano, non insidiare una donna cercando di violentarla) e riconosci l’esistenza di una legge, allora sì potresti (uso il condizionale) chiamarti ‘uomo’. Anche un bambino è in potenza un uomo ma non gli affiderei una pistola carica. Sto, con questo, limitando la sua libertà espressiva?
Essere uomini o donne è l’esito di un processo diversificato che però va nella direzione di un fine unico, quello della convivenza civile.
Questo per rispondere, sia pure parzialmente, alla domanda di Ennio * Mi chiedo poi che differenza di fondo ci sia tra essere cittadini e essere umani o tra costruzione del cittadino e costruzione dell’umano? Fra i due processi (storici, complessi e in fondo intersecantisi) o fra le due costruzioni non vedo una differenza di sostanza.*
C’è una differenza sostanziale invece che però molti riducono a ‘nominale’.
Che cosa di fatto vuole dire il ‘diritto alla cittadinanza’? Solo un diritto al voto?
Che il sistema, chiamiamolo così, capitalistico, abbia sovvertito tutto questo (per dirla con il Belli: “io fo ddritto lo storto e storto er dritto”) è sotto gli occhi di tutti . Ovvero, assassini, ladri, violentatori sono presenti anche nella nostra società supposta matura. Ma proprio per questa nostra debolezza alla quale siamo stati portati, trascinati, consapevoli oppure no, non è possibile sostenere l’impatto, SE NON CON LA DOVUTA CAUTELA, della immigrazione selvaggia.
**** Ennio: *Devono imparare le regole? Certo. Ma abbiamo la consapevolezza che le regole – le loro e le nostre – spesso sono contrastanti tra loro e che soprattutto anch’esse si trasformano e possono trasformarsi?*
Questo ‘relativismo’ non funziona, anzi, ci porta all’immobilità! Possiamo riconoscere che i riti di iniziazione alla pubertà attraversino tutte le culture in modi più o meno cruenti ma qui (e non ‘là’), cerchiamo di regolarli non di esaltarne la ‘naturalità cruenta’.
****Ennio: *E ancora: a patto di capire che anche resistere alle regole (alle nostre regole) è un modo secondo me costruttivo per modificarle; come la storia delle nostre *classi pericolose* in epoca industriale ha insegnato alle nostre classi dirigenti*.
Qui non ho capito l’intendimento: che forse la lotta di classe ha inceppato qualche cosa nel processo capitalistico? Come avevo sentito dire da un docente che sosteneva il 30 politico: sfornare incapaci era un modo per inceppare il sistema!
****Ennio: *Insomma chi sono i miei/nostri nemici? L’Isis, certo. E i nostri governanti sono forse miei/nostri amici? E gli immigrati sono nostri nemici?*
Mi verrebbe da fare la domanda, in merito alla distinzione amico/nemico: “Perché questa ‘certezza’ immediata sull’Isis?”. Se loro rimanessero nei loro territori, applicando la loro cultura e le loro leggi e noi ci astenessimo dall’intervenire ideologicamente supportati dal fatto che la nostra cultura è superiore e la loro invece è arretrata, non li potremmo considerare ‘nemici’ bensì ‘diversi’. Pertanto si istituisce questo concetto di ostilità e di nemico quando si deve condividere o spartire un territorio o qualche cosa.
*** Ennio: * Perché il modo di « salvaguardare i propri ‘figli’”, ovvero le proprie capacità e risorse» che vuole – in fin dei conti e qui dobbiamo essere ancora una volta chiari – la morte dell’altro perché lo vede come *mucchio nemico* (invasore, inferiore, ecc.) è agli antipodi del modo di « salvaguardare i propri ‘figli’”, ovvero le proprie capacità e risorse» che vede nell’altro problematicamente un *umano in costruzione*, il quale può diventare amico o nemico; e che è, sì, bisognoso ma ha anche energie bloccate che possono essere mobilitate non solo nel lavoro ma anche a favore di un progetto politico che oggi manca ma potrebbe essere costruito*.
Innanzitutto perché parlo di “mucchio selvaggio”? Quando le istanze individuali non hanno avuto ancora modo di formarsi e di esprimersi nella loro diversità, comprensibilmente tendono ad agglomerarsi, a fare ‘mucchio’, ‘orda’: pertanto queste ‘realtà’ sono reattive soltanto alle soddisfazioni più elementari (ivi compreso il cellulare di ultima generazione).
Bisognerebbe entrare dentro quel ‘mucchio’ e rapportarsi individualmente con quei soggetti che sono sensibili alle problematiche dell’ *umano in costruzione*.
Ma, per fare questo, sarà necessario confrontarsi con le ostilità pesanti che verranno contrapposte perchè sappiamo – non perché me lo invento io -, che le parti selvagge sono più potenti di quelle civilizzate, proprio perché “non c’è morte che tenga” e, quindi non c’è nulla che meriti di essere salvato.
Proteggere i propri figli trascende dalla pura relazione di sangue: ci sono infatti dei figli che, purtroppo e con grande dolore, non possono essere salvati. Si deve istituire una relazione che non può essere unilaterale: l’umano in costruzione ha bisogno di due ‘contraenti’ e non di uno solo che decide che l’altro ha le ‘energie bloccate’.
Visto che questo è un sito che si occupa di letteratura e di arte, perché non riflettere su ciò che gli artisti-registi ci fanno vedere? Ad esempio il film “Nazarin” di Bunuel? O anche Viridiana, come qualche commento addietro, citava A. Ricotta?
R.S.
Ed eccomi con un’altra sporta di “sofismi” freschi freschi…
@ Simonitto 25 aprile 2016 alle 20:37
1.
Ammesso – ma io non lo ammetto – che i ragionamenti a favore del respingimento dei migranti siano scientifici, davvero non capisco quale novità risolutiva possa essere «guardare la realtà […] more scientifico». Come se prima – anche ai tempi che ora ci appaiono delle “ grandi illusioni” – non avessimo tentato di guardarla *anche* o *soprattutto* in questa maniera. E come se gli stessi (pochi o molti) che la guardavano o la guardano così non abbiano dovuto avvedersi che spesso nella loro visione scientifica s’insinuano ideologie e mitologie (mai del tutto sterilizzabili, come Althusser ammetteva).
E adesso non è ancora così? La scienza più avvertita non è quella probabilistica? Figuriamoci poi quando si tratti di questioni storico-sociali. C’è qualcuno che può pretendere che la sua visione sia arrivata al 100% di scientificità o che si è disfatto di tutti i pregiudizi del modo di vedere “precedente” (religioso, umanistico, emotivo riassunto nel termine di moda ‘buonismo’)?
E poi vorrei capire quanti tra noi, anche in passato, ai tempi delle “grandi illusioni” (socialiste, comuniste, anarchiche), si cibavano come polli esclusivamente del mangime fornito dall’Azienda “Magnifiche Sorti e Progressive”. Inoltre non mi pare che tutti «siamo stati ormai cacciati dalle nostre terre, dai nostri pascoli, dalle nostre certezze e dalle nostre illusioni». Tant’è vero che – anche in queste discussioni – le certezze ricompaiano, se non proprio vive e vegete, con una certa frequenza e toni altrettanto ultimativi di quelli in uso “allora”. Anzi a volte ho l’impressione che, senza riconoscerlo, abitiamo le stesse “terre” e “pascoli” sempre di “allora”, sia pur un po’ più devastati.
2.
Che analogia c’è tra quello che abbiamo perduto noi e quello che hanno perso i migranti che arrivano (quando riescono ad arrivare!) da noi? Il lutto per la perdita di “grandi illusioni” è solo nostro o anche loro ne hanno perse? Noi salviamo alcune cose e ne abbandoniamo altre? E loro?
Pur nelle differenze – reali, realissime – tra noi e loro, i migranti hanno un fondo *umano* comune con noi. Vogliamo dire *in potenza* e non già *reale*? Diciamolo. Ma perché qualcosa che è *in potenza* (il neonato che *in potenza* è un uomo o una donna…) dovrebbe contare meno di ciò che è *reale* (e che spesso è *reale* cattivo, dannoso o che pretende di essere eterno, immutabile?).
3.
«Accampano i diritti al benessere: non si pongono il problema di essere manipolati in tutto questo! Non sono arrivati – non è una loro colpa – a capire la strumentalizzazione in cui sono coinvolti».
Noi (precisiamo: una parte di noi) invece sì? Quelli di noi, che nel benessere davvero si sguazzano o ci hanno sguazzato e che hanno la pretesa di conservarselo e di non cederne neppure una briciola, vanno presi sul serio quando rimproverano ai poveracci di pretendere anch’essi il benessere o qualcosa che vagamente ci somiglia?
Sento a pelle sempre una certa malafede e una tracotanza in certi discorsi mirano a distinguere (troppo) e a gerarchizzare (troppo). Perché sarei “buonista”? O “prete”? O perché non ho mai rinunciato ad essere *umano in costruzione* e sempre in rapporto – ideale o mentale, se non sempre reale – con il *meno umano”; e anche a volte con il *disumano*?
E poi ‘sta benedetta «strumentalizzazione» è un rischio costante, ma sia per i migranti che per noi. Perché quelli che sono in condizioni svantaggiate o precarie (i migranti in misure a volte estreme, noi – intendendo quelli che qui intervengono – di meno) sono sempre strumentalizzabili da chi ha il coltello (potere) dalla parte del manico. E quindi possiamo solo opporci alle strumentalizzazioni. Ma non venite a raccontarmi che i migranti strumentalizzati strumentalizzano noi. O che, essendo essi strumentalizzati dalla pirateria mafiosa internazionalizzata che li taglieggia, dobbiamo respingere loro, invece di liquidare i pirati. O che, essendo troppo faticoso o “costoso” distinguere tra pirati taglieggiatori e migranti taglieggiati, dobbiamo “fare muro” contro tutti indistintamente, contro gli “invasori” o il “mucchio selvaggio”. Che è tale solo per un pigro pensiero che vuole essere “scientifico” ma – io ritengo – fino ad un certo punto. E lo stesso vale per un altro cavallo di battaglia: gli Stati (Usa o altri) che strumentalizzano i migranti per indebolire l’Europa o l’Italia. Geopoliticamente parlando chi usa tale argomento avrà le sue buone ragioni. Ma non posso non chiedermi perché, essendo troppo faticoso o secondo altri impossibile contrastare gli strumentalizzatori in questione (gli Usa) perché più potenti di noi, ce la dobbiamo prendere – come fa Salvini – esclusivamente con gli strumentalizzati (i migranti), dimostrando così non autonomia o “sovranità”, ma servilismo verso i più forti e cinismo verso quelli in difficoltà.
3. 1.
«se rimanessero a casa loro non diventerebbero dei ‘consumatori spietati’ così come il sistema ha bisogno che essi siano».
Quest’affermazione mi pare un corollario della tesi della «strumentalizzazione» unilaterale (i migranti strumentalizzati, noi no). Chiediamoci: ma davvero potrebbero rimanere a casa loro? È una questione di volontà? Arrivano qui, affrontando anche viaggi rischiosi e spesso mortali (ormai lo sanno anche loro cos’è il Mediterraneo, no?), solo per diventare “consumatori” più o meno spietati? Solo perché invaghiti dell’Eldorado occidentale? Ma le guerre che hanno colpito le economie di quei paesi da cui provengono peggio dei monsoni o degli tsunami sono frottole propagandistiche? Che faremmo noi, se una guerra devastasse le nostre vite?
Ho segnalato un brano di Kurz (Ennio Abate 25 aprile 2016 alle 17:08) che chiarisce bene quali siano le strategie degli “strumentalizzatori”. Inviterei a rileggere anche questo tipo di “sofismi” più informati dei miei.
3. 2.
« Qui molti sono sostenuti da aiuti, facilitazioni e lavori (anche di infimo ordine) ma che li rendono condizionati al sistema».
Ma se sono condizionati già prima di partire! Le economie da cui provengono sono state sempre condizionate o messe in ginocchio da forme di colonialismo e di neocolonialismo. E queste pompatissime forme di assistenza sociale (aiuti, facilitazioni, lavori – appunto – d’infimo ordine) che i migranti *sono costretti* a non rifiutare perché altrimenti hanno solo la prospettiva del ritorno alla miseria e alle rischiose situazioni di guerra sono delle briciole rispetto agli sprechi “fisiologici” tollerati dal “nostro” sistema, non opulento ma non certo con la canna del gas in gola. (Tempo fa avevo pubblicato anche dei dati precisi sui costi per assistere i migranti…).
3.3.
« rimanendo nei loro luoghi d’origine, si rapporterebbero all’interno di possibilità più realistiche e non fittizie come quelle che vengono loro presentate qui, sotto la veste dell’opulenza occidentale».
Forse, sì, quando le economie dei loro paesi non erano ancora state maciullate dalle “guerre umanitarie”. Vai a cercare adesso le «possibilità più realistiche» in situazioni di guerra e di economie sconvolte come la Somalia.
4.
«Le ‘regole’ (così come le nazioni) sono istituzioni secondarie, non primarie».
D’accordo. Ho già detto che non vedo i migranti come un “mucchio selvaggio” e sregolato. Essi vengono da paesi con regole diverse dalle regole da noi esistenti. Non si tratta di affidare a un migrante appena arrivato la guida di un’automobile, se non ne ha mai vista una. Si tratta di soddisfare almeno alcuni suoi bisogni elementari (vestiti, alloggio, cibo). Quindi non sto difendendo un’astratta «libertà espressiva» del migrante. Semmai si tratta di pensare un nuovo ordinamento, di scrivere una sorta di “nuova costituzione” che riconfermi le nostre regoli quando ragionevoli e assorba quel che di buono ci può essere nelle loro regole.
Non sono un giurista e non so pensare a delle proposte che vadano in tale direzione. Mi limito a riconoscere che, in partenza, le regole sono differenti e spesso conflittuali tra loro e che loro ignorano le nostre e noi ignoriamo le loro. Quindi vedo tutta la problematicità e i rischi di questa situazione. Da affrontare però. E non capisco perché imputarmi di abbracciare il «relativismo». Mica ho detto che tutte le regole sono uguali e una vale l’altra. O che possiamo lasciar perdere le nostre regole e magari assumere le loro (che so: l’infibulazione o la sottomissione delle donne, ecc.). Il confronto/scontro tra regole va pensato come un processo dinamico; e perciò non vedo neppure dove sia «l’immobilità». O dove avrei civettato o esaltato la «naturalità cruenta». Non mi pare di essere ispirato da Pasolini!
E allora perché pensare aprioristicamente – questo deduco dall’uso che fai del termine ‘mucchio selvaggio’ riferito ai migranti – che tutti i migranti non vorranno mai la «convivenza civile»?
Sì, bisognerebbe proprio entrare dentro quel ‘mucchio’ e rapportarsi individualmente con quei soggetti che sono sensibili alle problematiche dell’ *umano in costruzione*,ma se adotti i respingimenti o innalzi frontiere, niente di tutto questo sarà possibile. Prevarrà la logica del “mors tua vita”, che nella storia è la regola non l’eccezione. E per farla prevalere non bisogna essere “estremisti” alla Alba Dorata in Grecia. Basta essere banalmente “perbenisti” come hanno dimostrato gli elettori della civilissima Austria.
E poi perché il diritto di cittadinanza dovrebbe ridursi al diritto al voto? (Lo diciamo proprio noi che abbiamo imparato quanto il voto sia risultato inefficace per affermare i nostri diritti?).
Certo « non è possibile sostenere l’impatto, SE NON CON LA DOVUTA CAUTELA, della immigrazione selvaggia» (selvaggia – precisiamo – per le circostanze conflittuali e emergenziali dovute alle guerre “umanitarie”). Ma ricordare che da noi abbiamo « assassini, ladri, violentatori» e – mi par di capire – non possiamo perciò aggiungerne altri, è da una parte dare per scontato – dove sta la scientificità in questo “ragionamento”? – che la maggior parte o una buona parte dei migranti sarebbe fatta di « assassini, ladri, violentatori»; e dall’altra scartare che si possano costruire strategie politiche che mirino a una coalizione tra nostrani “onesti” e migranti altrettanto “onesti” contro «assassini, ladri, violentatori» sia nostrani che migranti.
Certo che « l’umano in costruzione ha bisogno di due ‘contraenti’ e non di uno solo che decide che l’altro ha le ‘energie bloccate’». Ma appunto cerchiamo di individuare i due possibili contraenti. Alle minacce reali (e però da non enfatizzare per creare continui allarmi) c’è un’unica risposta: coalizzarsi e non continuare a gridare : Al lupo! Al lupo! Per di più cercandolo soprattutto o esclusivamente tra i migranti.
5.
« forse la lotta di classe ha inceppato qualche cosa nel processo capitalistico?».
Qualcosina, sì …
Se si studia la storia del movimento operaio (fondamentale: E. P. Thompson, Rivoluzione industriale e classe operaia in Inghilterra; ma anche tanti libri o riviste usciti attorno agli anni ’60-’70 e ora dimenticati, che a sfogliarli pare di essere degli archeologi), si potrà anche arrivare alla conclusione ( di G. La Grassa ad es.) che non ha fatto la rivoluzione; ma si dovrà ammettere che senza le lotte degli operai e più in generale dei lavoratori non ci sarebbero stati aumenti salariali, e quel po’ di welfare che abbiamo assaggiato .
La condizione degli operai ai tempi di Marx è mutata con le lotte, gli scioperi ,le manifestazioni, le rivolte. E non vedo cosa c’entri tutto ciò con la battuta: «30 politico: sfornare incapaci era un modo per inceppare il sistema!..».
6.
L’Isis, certo è nemico (o è diventato negli anni nemico) almeno per quel poco che se ne dice e si sa (grazie ancora alla strumentalizzazione di questi gruppi da parte degli Usa e dell’Arabia saudita…).
« Se loro rimanessero nei loro territori, applicando la loro cultura e le loro leggi e noi ci astenessimo dall’intervenire ideologicamente supportati dal fatto che la nostra cultura è superiore e la loro invece è arretrata, non li potremmo considerare ‘nemici’ bensì ‘diversi’».
Eh, sì, ma a cancellare questa prospettiva sono state proprio le “guerre umanitarie” statunitensi con appoggio dei paesi europei, Italia compresa.
7.
« Visto che questo è un sito che si occupa di letteratura e di arte, perché non riflettere su ciò che gli artisti-registi ci fanno vedere? Ad esempio il film “Nazarin” di Bunuel? O anche Viridiana, come qualche commento addietro, citava A. Ricotta?»
D’accordo. Aspetto articoli e suggerimenti in proposito. Benissimo, dunque, vedere o rivedere «Nazarin» e «Viridiana». A patto di non usare questi film strumentalmente per dare addosso ai cosiddetti “buonisti” dimenticando tutta la polemica antiborghese e anticlericale di Buñuel. E anche a patto di non illudersi che l’arte o i film o la poesia, anche quando svelassero verità che oggi in politica non vengono nominate o addirittura sono stravolte, possano surrogare l’azione politica mancante.
Non basta capire, bisogna agire (dopo aver capito).
Resto ancorato alla visione di Fortini che l’arte ha in sé un’ambivalenza insuperabile. Mostra a volte il vero e allude al da farsi ma la forma stessa in cui dice e allude può spesso più consolare più che spingere «a egregie cose».
Solo una precisazione per Rita, quando scrive «se rimanessero a casa loro non diventerebbero dei ‘consumatori spietati’ così come il sistema ha bisogno che essi siano».
Purtroppo la Coca-Cola è arrivata fin sull’Everest: e non bevuta dagli alpinisti, ma dagli sherpa…
Voglio dire: l’esser condizionati dal sistema consumistico è – come per tutto – problema del singolo, prima che di un popolo; non è che loro siano dei minchioni, che sono stati plagiati in quattro e quattr’otto dalle nostre pubblicità e dai nostri Rayban; oltretutto, avendo una struttura sociale più forte e coesa della nostra, facciamo più la figura dei minchioni noi occidentali: che malgrado tutte le nostre conoscenze, le nostre capacità comunicative, siamo ancora qui a correr dietro alle griffe; e contenti di esportare questi comportamenti altrove, pensando di andare a liberare qualcuno. Magari solo perché vedere una donna con un velo in testa, ci dà fastidio.
In sostanza – e pur se certe osservazioni hanno almeno un fondo di verità – mi pare che quello che ha scritto (e che propone), sia stato superato dai fatti, dalla situazione nella quale ci siamo cacciati.
SEGNALAZIONE
Instant book: “Da fuori. Una filosofia per l’Europa” (Einaudi 2016) by Roberto Esposito
http://www.lechlecha.me/instant-book-da-fuori-una-filosofia-per-leuropa-einaudi-2016-by-roberto-esposito/
SuL video di presentazione del libro di Roberto Esposito “Da fuorI. Una filosofia per l’Europa”.
Dalla lettura in video di Roberto Esposito emerge chiara l’esigenza di affrontare con un atteggiamento *non di chiusura* i grandi problemi della crisi che lui chiama*biopolitica* dell’Europa: crisi economica, flussi migratori, terrorismo. Ne parla su un piano strettamente filosofico, ma la vicinanza alle questioni che stiamo qui discutendo mi pare evidente.
SEGNALAZIONE
(da MigrantesTorino, 28-4-16)
Fa discutere la decisione del vescovo di Eisenstadt, Mons.Ägidius Zsifkovics, di non ottemperare alla richiesta della direzione di polizia di installare su terreni appartenenti alla Chiesa un tratto della barriera che deve dividere l’Austria dall’Ungheria.
Zsifkovics, che è coordinatore in tema di profughi delle Conferenze episcopali europee, spiega:
“Sono consapevole della difficile situazione della Stato, ma non posso accettare per motivi di coscienza”.
Aggiunge: “L’anno scorso, quando circa 200mila persone hanno passato il confine, abbiamo creato da un giorno all’altro in edifici ecclesiastici mille alloggiamenti di fortuna per famiglie sfinite, donne, bambini e persone anziane e indebolite. E ora dovremmo installare steccati sui terreni della Chiesa? È il mio corpo stesso che si ribella”.
Infine: “Capisco le paure delle persone che percepisco attorno a me. Però sarei un cattivo vescovo, se non sapessi dare a queste paure una risposta cristiana. E questa risposta non è lo steccato.
Semmai, in caso di necessità, un buco nello steccato!”.
Mio commento:
Guai ai popoli che hanno bisogno dei preti per fare quello che una volta facevano i comunisti!
@ Ennio Abate
Hai ragione Ennio, eccome se hai ragione!
Ma sai i comunisti mangiavano i bambini, i preti…no.
Così finiscono gli ideali
Degli antichi compagni
Grandi idee invecchiate
Crocifissi ai rami
Nel giardino del Papa
Ispirazione dal Banco, eh?…
…e sì. che forse i comunisti hanno lo stesso potere di fare e, soprattutto, di disfare che hanno i preti? Parlando in generale, perchè dietro al singolo prete c’è sempre un uomo e allora bisogna vedere…Ma loro comunque fanno massa, invece i comunisti oggi sono assai dispersi…Bertinotti è entrato nelle file di comunione liberazione!?
SEGNALAZIONE
IMPARARE ANCHE DAI NEMICI O DAGLI EX
@ Locatelli
Ti riporto stralci di un’intervista a Bertinotti. Valutare le singole affermazioni senza guardare la faccia di chi le pronuncia…
Intervista di Luca Telese a Bertinotti su “Libero”
http://www.liberoquotidiano.it/news/personaggi/11902388/bertinotti-intervista-telese-sinistra-e-morta-democrazia-pure.html
«I cosiddetti populismi nascono dalla contesa tra alto e basso, poveri e ricchi. Ci sono anche quelli di tipo trasversale, come Grillo. Ma sia a destra che a sinistra il nodo è questo. Podemos e Syriza sono un esempio clamoroso di popolo contro le élite».
Lei considera élite, indistintamente, sia la Merkel che Hollande?
«Sì. Le élite di sinistra sono più inclusive di quelle liberiste, ma entrambe individuano la critica al mercato come una critica alla modernità».
Da qui il suo avvicinamento alle correnti critiche che nascono all’interno della Chiesa?
«“Laudato sii” è una lettura preziosa per capire questo tempo, riconoscendo al Pontefice la sua autonomia dalla politica e il suo carisma».
Qual è il discrimine, per lei, se non è più quello tra destra e sinistra tradizionale?
«Semplice: tra chi è per l’inclusione e per l’eguaglianza e chi invece è per l’esclusione e per la disuguaglianza».
…..
Se fosse così votare sarebbe inutile!
«E infatti si inventano parole complesse per definire un fenomeno semplice. Si parla di “democrazia funzionale” o “democrazia autoritaria”. Ma l’essenza è che non c’è più democrazia, possibilità di cambiare direzione alle politiche dei governi per effetto della volontà popolare».
Mi faccia un esempio.
«Io le ho parlato di élite, ma potremmo dire: oligarchie. Prenda Renzi, Monti, Valls, Hollande e Merkel, le istituzioni europee, il fondo monetario. Fanno tutti, in modo diverso, una cosa sola: austerità».
Cos’è? Bilderberg? La Spectre?
«Nulla di misterioso, complottistico o segreto: è sotto gli occhi dei cittadini. Questi leader fanno parte di un sovragoverno: banche centrali, esecutivi, istituzioni internazionali».
….
Facciamo un altro esempio.
«Nessuno ha dissentito quando si è trattato di strangolare il governo greco. I presunti leader di sinistra, se possibile, sono stati i più subalterni e feroci. Oggi, che si prepara un nuovo giro di vite, nessuno protesta.
Perché?
«Semplice: perché l’austerità mina il consenso, lo divora. Annichilisce i sorrisi e l’ottimismo dei premier. Dopo un anno o due sono già da buttare, e si prepara una nuova operazione di camuffamento».
….
Lei pensa che ci sia un leader in cui questa politica si identifica?
«Il vecchio Marx diceva: se guardi il singolo capitalista, non capisci il capitalismo. Guarda l’intero fenomeno, in modo scientifico, e lo vedrai».
Noto quasi ammirazione in lei.
«Non ammirazione, ma osservo: nessun altro sistema di consenso avrebbe retto ad un crollo così drastico di ricchezza. Ad una sottrazione di risorse così ampia per i popoli».
C’è ancora speranza di cambiare.
«Ricordo una storica citazione di uno dei miei maestri, Riccardo Lombardi: “Guardate l’indice di disoccupazione. Se finisce sopra il 10% la democrazia è a rischio”».
Bella, ma siamo oltre il 10%.
«Nella prima repubblica era così. Ma la profezia di Lombardi si è avverata. Infatti le regole di gioco sono cambiate».
Quali?
«Quelle fondamentali. La democrazia l’hanno già uccisa. Ne discutiamo come se esistesse ancora».
Cosa cambia?
«Nel tempo della governabilità la coppia giusto-sbagliato viene sostituita da funzionale-non funzionale».
Cosa conta ora?
«Se le regole danno noia ai manovratori cambia le regole. Non a caso il dibattito ci dice che serve un ministro delle Finanze unico, un ministro della Difesa unico, un governo dei governi unico. C’è chi teorizza di non votare per periodi di emergenza economica. Il sistema attuale è irriformabile».
Questo è nichilismo cosmico!
«La speranza di riforma può arrivare solo da fuori dal recinto. Solo dai barbari oggi esclusi!».
Ha simpatia per i barbari, ora?
«Oh, certo. Machiavelli considerava Roma superiore alle altre civiltà perché ammetteva la rivolta e si rigenerava attraverso di essa. La rivolta reintroduceva nel sistema le forze escluse».
Dove le vede queste possibili rivolte?
«Nelle forme inedite dei movimenti sociali. Lei sorride: ma gli Indignandos spagnoli hanno partorito Podemos e Occupy Wall street: Bernie Sanders».
Ma non sono forme vincenti.
«Per ora. Oggi studio le esperienze di auto-produzioni, di mutuo soccorso. Quello che chiamo il sottobosco».
Facciamo un altro esempio.
«Leggo su Repubblica che i vaucher aiutano il sommerso. Il vaucher è lo strumento di un nuovo caporalato. Di nuovo le regole stravolte: la legge legalizza l’illegalità. In Francia la nuova legge sul lavoro è una fotocopia del Jobs act».
Sa già da dove arriveranno i barbari?
«La nuova sinistra non nascerà da una costola della vecchia: finché vive il movimento operaio il nuovo nasce sempre per “spirito di scissione”. Ovvero: tornare alle ragioni originarie per sanare un tradimento».
E oggi?
«Non c’è più nulla da cui scindersi. Tu sei un’altra storia, non hai più una casa dove tornare».
Bertinotti, lei cosa vota?
«Riconosco che risponderò con un trucco: “Sono un militante comunista. Non ho nulla da dichiarare”».
Non vota più?
«Voto per scegliere il meno peggio. Per governare la città. Ma non credo che la rinascita della sinistra passi per una campagna elettorale».
Sul terreno delle utopie stravince il Papa. E’ un simbolo, come la Regina d’Inghilterra e più, la gente lo ama, ma si guarda bene dal fare come lui predica perché andrebbe contro i propri interessi e…mica sono scemi! Perciò i comunisti non dovrebbero essere più realisti, pragmatici, per fare davvero il bene del loro popolo? (Voi che siete esperti, non è quel che diceva Lenin?)
I barbari forse salveranno se stessi ma non certamente noi.
MAI avrei pensato di esser (quasi) d’accordo con Bertinotti…
Bisogna anche fare la tara a quello che scrive il pontefice, naturalmente: solo fra anni e anni si capirà fino a che punto si sarà trattato di rinnovamento (e quanto profondo) e fino a che punto solo di un robusto restauro alla facciata. Al momento non mi sbilancio: restano dei nodi (atteggiamento di chiusura verso unioni di fatto e omosessualità, la figura subalterna della donna) che, purtroppo sono insite nel Monoteismo. E magari anche altre, oltre a quelle elencate, a voler cercar bene. Come dire che, a voler cambiare davvero rotta, si dovrebbe fare uno scisma.
Detto questo, ecco l’unica cosa che davvero non mi convince: quel “voto per il meno peggio”, che è stato l’atteggiamento che ha portato alla situazione attuale; benché si sappia, pardon la “minoranza sana” sappia, che le attuali figure di governo rispondono ad altri, che non ai loro elettori, ci si continua a trastullarsi con questa triste, inevitabile conclusione: che scegliere un “meno peggio” risolva le cose.
Cioè, lui stesso sostiene che la soluzione è altrove a questo sistema; però non è che va a votare, quando trova una forza che sia affidabile (dal punto di vista etico e delle proposte che fa): ma va a votare “a prescindere”, scegliendo il meno peggio.
Parafrasando Zucchero Fornaciari (e scusate se abbasso il livello della discussione), “prevedo frustrazioni”.
Bertinotti:
deludente fino a ferirmi il cuore.
sarà che stiamo invecchiando come vecchi libri che nessuno legge più e si danno in omaggio alle biblioteche ….forse qualcuno li prenderà.
…le idee che Fausto Bertinotti presenta in questa intervista mi sento di condividerle, ripiegate, vista la situazione, su una posizione più che altro di ascolto…quando si riferisce a Papa Francesco per il suo discorso lontano dalla logica del potere, inviso per questo a molta parte della gerarchia ecclesiastica, come a Marx e al suo metodo scientifico di osservazione che non va abbandonato, o quando dichiara di riporre le speranze per un cambiamento nell’arrivo dei barbari o in alcuni movimenti sociali “fuori dal recinto” del nostro tempo, non vincenti. Non fornisce soluzioni, ma si mette nella prospettiva dei tempi lunghi, senza abbandonare la speranza in una rivolta consapevole dei più deboli, preparata oggi da esperienze di auto-produzione e di mutuo soccorso ( mi sembrano strategie ricalcate proprio sui primi passi della solidarità operaia al tempo della prima rivoluzione industriale), in assenza di democrazia…Detto ciò, mi aveva meravigliato sentire che si era accostato al movimento di comunione e liberazione, perchè, come me lo ricordo io, era tra i più elitari e legati ai centri di potere all’interno della chiesa…Non certo i preti operai che entrano nelle fabbriche o i piccoli fratelli del vangelo che si recano nei territori, scenari di guerra…ma le cose possono essere cambiate oggi, non sono così informata..Mi è piaciuto molto “Sono un militante comunista, non ho nulla da dichiarare”, in tempi di controlli serrati alle frontire…per minaccia terroristica
In effetti, anche adesso, “C.L.” è più un think tank della destra cattolica, che un Movimento progressista. D’altronde le cantonate le prendono anche i geni: vedi a suo tempo Pound con Mussolini…
Tornando a quanto espresso da Bertinotti, forse ci si dovrebbe chiedere se la Democrazia, prima che uccisa sia mai esistita; o se sia stato solo un grosso imbroglio, un grosso abbaglio. Fatto salvo che le intenzioni potevano pure essere ottime, non mi pare che ci sia stata un’evoluzione, nelle capacità della gente di decidere il proprio futuro in maniera positiva e propositiva; e di individuare, al momento, le persone giuste per costruire questo futuro: più che altro si è rivelata una fabbrica di consenso, sulla base della manipolazione – mediatica e non – del giudizio dell’individuo. E va bene, che chi è manipolato vuole quasi sempre esserlo; ma il risultato non cambia.
E se guardiamo a quanto avvenuto in Grecia a suo tempo (per quanto quella fosse una democrazia relativa, anche secondo i nostri parametri), sembrerebbe che 2.500 anni siano passati invano.
@ Alberto Rizzi
“In effetti, anche adesso, “C.L.” è più un think tank della destra cattolica, che un Movimento progressista. D’altronde le cantonate le prendono anche i geni: vedi a suo tempo Pound con Mussolini…”
Risolvere la proporzione (aperta a tutti):
Pound : Casa Pound = Bertinotti : x
Nota. Per chi ha dimenticato si legge: Pound sta a Casa Pound come Bertinotti sta ad x, trovare x.
Più che altro Pound non ha nulla a che vedere con “Casa Pound”: sono loro che ci hanno ricamato sopra, per avere una patente di cultura, causa il ben noto scivolone dell’americano.
L’estrema destra, sempre bisognosa di camuffarsi da forza progressista, non è nuova a questi escamotage: “Giovane Italia” e “Ordine Nuovo” mi pare che non li inventarono loro. Ma chi è in malafede ha il proprio tornaconto a creare confusione, anche solo con delle sigle.
Però nessuno ha ancora risolto la proporzione.
Facciamo finta che si tratti di una intervista e quindi con ‘botta e risposta’ a partire dal commento di Ennio del 27.04.2016.
Incomincerei dalla fine.
Ennio: *Resto ancorato alla visione di Fortini che l’arte ha in sé un’ambivalenza insuperabile. Mostra a volte il vero e allude al da farsi ma la forma stessa in cui dice e allude può spesso più consolare più che spingere «a egregie cose».*
Rita: L’arte è necessariamente ambigua in quanto è in contatto con l’ambiguo della Verità, o Assoluto, o Indicibile, o l’Essere che dir si voglia. E’ ambigua come il mitologico Dio Proteo (da cui anche il termine ‘proteiforme’) che non si riusciva mai ad afferrare nei suoi mutevoli cambiamenti, acqua, aria, fuoco, mostro ecc. fintantoché il prode Menelao lo afferrò con le sue braccia potenti e lo costrinse a stare a ‘terra’, e a prendere le sembianze umane per poter essere interrogato sui destini dei guerrieri greci. Tradotto: quando si cala nella realtà essa arte esce dall’ambiguità e assume le vesti dell’ambivalenza, vale a dire può rappresentare ora una cosa e ora un’altra pur contenendole tutte e due. L’ideologia è un veicolo interpretativo che, come afferma Ennio *non è mai del tutto sterilizzabile*, l’importante è riconoscere al servizio di chi sta lavorando. Quindi l’arte si muove costantemente tra l’ambiguo e l’ideologico.
E. * E poi vorrei capire quanti tra noi, anche in passato, ai tempi delle “grandi illusioni” (socialiste, comuniste, anarchiche), si cibavano come polli esclusivamente del mangime fornito dall’Azienda “Magnifiche Sorti e Progressive”. Inoltre non mi pare che tutti «siamo stati ormai cacciati dalle nostre terre, dai nostri pascoli, dalle nostre certezze e dalle nostre illusioni»…… ”. Anzi a volte ho l’impressione che, senza riconoscerlo, abitiamo le stesse “terre” e “pascoli” sempre di “allora”, sia pur un po’ più devastati.*
R. Se continuiamo ad abitare le stesse “terre” e i “pascoli” sempre di “allora”, ciò significa che, anche in passato, la nostra condizione di polli aveva il potere di trascinarci ad assumere il becchime dell’ “adesso no, ma un domani…!” , modo di pensare che è la base della fiducia cieca nelle “Magnifiche Sorti e Progressive”. Ovvero, non ci siamo smarcati dal senso che quelle illusioni portavano con sé. Siamo stati buttati fuori bruscamente, come figli cacciati fuori di casa a pedate: quelli non imparano, mugugnano e, inconsciamente, sperano sempre di rientrarvi. Magari trionfanti, ma ritornarvi!
E. * Pur nelle differenze – reali, realissime – tra noi e loro, i migranti hanno un fondo *umano* comune con noi. Vogliamo dire *in potenza* e non già *reale*?……* non ho mai rinunciato ad essere *umano in costruzione* e sempre in rapporto – ideale o mentale, se non sempre reale – con il *meno umano”; e anche a volte con il *disumano*?
R. In “Lode del dubbio” B. Brecht scriveva di coloro che “Sotto l’ascia dell’assassino/si chiedono se anch’egli non sia un uomo”. Anche il “capitalista” è un uomo e quindi certi riformisti, particolarmente sindacalisti, pensavano a suo tempo che i capitalisti potevano essere ‘convertiti’ ad essere più ‘umani’, magari, ma non a rinunciare a quella ‘struttura socio-economica’ che faceva di loro dei capitalisti. Certo, come dice Ennio: *si dovrà ammettere che senza le lotte degli operai e più in generale dei lavoratori non ci sarebbero stati aumenti salariali, e quel po’ di welfare che abbiamo assaggiato* . Ma oggi ci troviamo senza Welfare, proprio perché la sua gestione non apparteneva a chi l’aveva conquistato: non c’è stato nessun cambiamento di ‘potere’ se non quello mortifero che ha guidato il ‘tradimento’ (checché strombazzi oggi Bertinotti con il suo “Sono comunista, niente da dichiarare”. Ma quando mai! Lui crede che le persone abbiano la memoria corta?).
Si tratta dunque, se vogliamo mantenere il concetto di ‘capitale’ come ‘relazione’ e non come ‘cosa’, di una questione di ‘rapporti’ e non di singoli soggetti.
Quanto al rapporto con il ‘meno umano’ e con il ‘disumano’, il punto non sta nel *rapporto – ideale o mentale, se non sempre reale -* con questi aspetti: ciò è più facile a dirsi che a farsi. E’ il toccare la ‘Verità’ del nostro disumano, senza se e senza ma, che è doloroso e problematico riconoscere.
E. *Ma ricordare che da noi abbiamo « assassini, ladri, violentatori» e – mi par di capire – non possiamo perciò aggiungerne altri, è da una parte dare per scontato – dove sta la scientificità in questo “ragionamento”? – che la maggior parte o una buona parte dei migranti sarebbe fatta di « assassini, ladri, violentatori»; e dall’altra scartare che si possano costruire strategie politiche che mirino a una coalizione tra nostrani “onesti” e migranti altrettanto “onesti” contro «assassini, ladri, violentatori» sia nostrani che migranti.*
R. Il senso del discorso era radicalmente diverso e parte da un fenomeno riscontrato ‘scientificamente’, direi, e cioè che il lungo contatto della moneta buona con la cattiva produce un declassamento di quella buona. Il buonismo (moneta cattiva del ‘buono’) ha fatto equivocare il valore del buono facendolo scadere, appunto, e portando a credere che esistano le guerre umanitarie, così come le bombe intelligenti e, ora i migranti TUTTI ‘brava gente che ha sfidato viaggi rischiosi e spesso mortali’.
Certo che singolarmente ci sono anche delle brave persone, quelle che intendono stabilire rapporti civili con il paese ospitante. Ma esse stesse sono travolte dal ‘mucchio selvaggio’. Perché se l’unione fa la forza (da qui l’emblema del pugno chiuso) essa forza è cieca e dipende molto da chi è guidata. Altrimenti la massa è acefala. Ora, se chi la orienta non ha la capacità, la determinazione e i valori per gestire la situazione bensì, a causa di una pesante depauperazione culturale senza la possibilità alcuna di contraddittorio, tende ad essere connivente con gli assassini, ladri e violentatori nostrani – molti di questi al potere – , diventerà ancora più difficile avere il controllo con quegli immigrati che delinquono e che, trincerandosi dietro i loro pur giusti diritti – al trovare vitto, alloggio e comprensione – non riconoscono di avere dei doveri. E’ qui che si colloca l’aspetto ‘selvaggio’, ovvero non ancora ‘educato’ alla convivenza civile.
La cosiddetta civiltà – a cui ci richiamiamo quando ci fa comodo tant’è che piangiamo quando essa non viene rispettata (soprattutto nelle sue icone, vedi opere d’arte distrutte et similia), mentre invece ce ne facciamo un baffo quando non ne viene riconosciuta la capacità di essere stata anche una forza propulsiva con tutti i suoi pregi e difetti, non è un ‘dono’ che viene dal cielo, non è una manna. E’ l’esito di un duro lavoro di sforzi a dialogare con le nostre spinte profonde di soddisfare i nostri bisogni a tutti i costi, di conquista, di rinunce ecc. ecc.
Il concetto di ‘dono’ che fa lacrimare le anime belle, veicola invece sotterranee valenze di potere che lega in modo malato il ricevente con il suo ‘benefattore’.
Ennio: *Quelli di noi, che nel benessere davvero si sguazzano o ci hanno sguazzato e che hanno la pretesa di conservarselo e di non cederne neppure una briciola, vanno presi sul serio quando rimproverano ai poveracci di pretendere anch’essi il benessere o qualcosa che vagamente ci somiglia?*
Rita: Che cosa buffa! Da un lato mi sembra la rappresentazione del genitore, fumatore incallito, che obbliga suo figlio a non fumare. (Probabilmente vorrà evitare che il figlio segua quella strada poco sana!). Dall’altro lato ci sono quelli che predicano la decrescita felice (una specie di punizione auto inflitta per la colpa di aver sguazzato prima in lungo e in largo?) però, ai poveri migranti non viene instillato lo stesso principio (fermo restando il fatto che questi sono sottoposti a trattamenti costrittivi non certo felici e che meriterebbero altro!).
Creare o fomentare situazioni di malcontento è l’humus ideale per favorire l’ascesa di soluzioni autoritarie.
Sempre in tematica di film, ora nelle sale proiettano “Lui è tornato”, dove “lui” sta per Hitler. Vale la pena di vederlo per fare alcune riflessioni.
R.S.
Scusa, Rita: perché la “decrescita felice” sarebbe una punizione autoinflitta?
ALTRI APPUNTI
@ Simonitto 30 aprile 2016 alle 13:52
1.
Arte. Verità, Assoluto, Indicibile, Essere…Ecco, è proprio il «contatto» con tali Astrazioni che un po’ mi spaventa e un po’ mi fa scalpitare. Non avevo fatto a caso il nome di Fortini, perché, almeno ai miei occhi, ritrovo nei suoi numerosi saggi su poesia-arte- letteratura proprio il gesto che tu ricordi del prode Menelao: strappa l’arte all’ambiguità (alle sue origini magico-religiose, di cui parlò Lukàcs) e ne mostra l’ambivalenza. Ma Fortini, respingeva la «sporca religione dei poeti», cioè i traffici dei Poeti con i Valori Maiuscoli (Arte. Verità, Assoluto, Indicibile, Essere), quelli che nel tuo linguaggio – mi pare- hanno a che fare con l’ ‘ambiguità’ ; e si occupava dell’ambivalenza dell’arte rispetto alle classi sociali, ambivalenza che leggeva alla luce della dialettica hegeliana servo/padrone. (Per chi trovasse troppo oscuro quanto scrivo, rimando a questo link, in cui avevo ripreso alcuni ragionamenti di Fortini confrontandomi con Leonardo Terzo ai tempi del blog “Moltinpoesia”: http://moltinpoesia.blogspot.it/2011/02/ennio-abate-da-quali-nemici-e-falsi.html
Il punto oggi dolente è questo: alla domanda che tu implicitamente poni (al servizio di chi si sta lavorando?) Fortini rispondeva senza esitazione: al servizio degli oppressi, dei dominati; mentre se dovessimo rispondere noi, come si vede anche dalle posizioni sui migranti, il tavolo della discussione comincerebbe a traballare e tutto si farà confuso.
2.
“Magnifiche Sorti e Progressive”. Forse non ci capiamo. Ho cercato di dire che anche “allora” (’68-’69 all’incirca), quando eravamo sotto l’influsso di certe ideologie (socialiste, comuniste, anarchiche), non eravamo affatto dei «polli». Autorappresentarci ( o rappresentare gli altri, le masse) in questo modo o vittimistico o snobistico è per me o puro masochismo o puro aristocraticismo nicciano. Sì, eravamo “ideologici” o “ideologizzati”, ma come oggi. Se, come hai tu pure scritto, «l’ideologia è un veicolo interpretativo» e concordi con la mia affermazione che l’ideologia non è mai del tutto sterilizzabile, si tratta di riconoscere che – né allora né oggi – eravamo o siamo “ideologici” o “ideologizzati “ al 100% (“polli” cioè al 100%).
In qualche percentuale – minima? Vabbè, minima – eravamo «smarcati dal senso che quelle illusioni portavano con sé». E lo siamo adesso di fronte alle ideologie oggi sdominanti. È su questo margine che dovremmo lavorare.
3.
Fondo “umano”. Non mi risulta che Brecht, di cui citi i versi (“Sotto l’ascia dell’assassino/si chiedono se anch’egli non sia un uomo”), si ponesse fuori dall’umanesimo. Sì, l’assassinio rientra nella dimensione *umana* e viene punito, quando si riesce. Riconoscere poi che certamente «anche il capitalista è un uomo» ( come lo è un assassino o un non assassino), non mi pare che comportasse automaticamente – per Brecht allora e per noi adesso – adottare una politica riformistica o fondata sull’obiettivo di “convertire” i capitalisti. Potrei invece dire che, proprio riconoscendo come umani i capitalisti ( ma anche gli assassini e i non assassini), posso combatterli meglio, evitando di demonizzarli o di animalizzarli. Rischio che, come sappiamo, è costante. Ricordo ancora, ai tempi del golpe in Cile contro Allende, il termine con cui venivano indicati dai seguaci di Pinochet i socialisti e i comunisti: «bestie marxiste».
Né mi pare che muoversi su una base filosofica umanistica impedisca di capire che il capitale sia una relazione e non una cosa o che ci dobbiamo occupare di rapporti sociali e non di singoli soggetti. (O meglio: che non possiamo capire le azioni e le ideologie e gli immaginari di singoli soggetti sociali – i capitalisti, i lavoratori, i migranti, i disoccupati, le donne, ecc- isolandoli dai rapporti sociali in cui si trovano tra loro).
Su questo punto poi non capisco il senso di questa tua affermazione: « E’ il toccare la ‘Verità’ del nostro disumano, senza se e senza ma, che è doloroso e problematico riconoscere».
Intendi dire che di ‘umano’ non ce n‘è o non ce n’è più in giro? Che è solo una maschera? Che la Verità (noto la maiuscola e diffido…) è che siamo tutti ‘disumani’ e non vogliamo riconoscerlo?
4.
Migranti “buoni”/ Migranti “assassini,ladri, violentatori”.
Vedo elusi gli argomenti che ho sviluppato su questo punto. Te la prendi col buonismo. Ti pare che gli argomenti che ho portato siano buonisti? Ho parlato io di “brava gente che ha sfidato viaggi rischiosi e spesso mortali”? A me non pare.
Se mi rileggo, vedo che: – ho parlato di migranti che « vengono da paesi con regole diverse dalle regole da noi esistenti»; – ho proposto di« pensare un nuovo ordinamento, di scrivere una sorta di “nuova costituzione” che riconfermi le nostre regole quando ragionevoli e assorba quel che di buono ci può essere nelle loro regole»; – ho sostenuto, contro la tua accusa di “relativismo», che per me non è vero che «« tutte le regole sono uguali e una vale l’altra»; – ho chiarito che non «possiamo lasciar perdere le nostre regole e magari assumere le loro (che so: l’infibulazione o la sottomissione delle donne, ecc.)»; – ho detto che sono per «il confronto/scontro tra regole» da pensare «come un processo dinamico»….
Quindi nessuna idealizzazione o sottomissione all’«aspetto ‘selvaggio’, ovvero non ancora ‘educato’ alla convivenza civile». Infine di «dono che fa lacrimare le anime belle » non vedo traccia nel mio commento.
E allora? Preferirei avere risposte alle mie vere obiezioni. Quanto poi al fatto che i nostri governanti non abbiano «la capacità, la determinazione e i valori per gestire la situazione» potrei anche concordare, ma non credo che il mio discorso sia assimilabile ai loro. O che l’eventuale crescita della delinquenza (nostrana o di una parte dei nuovi migranti)che può venire dalle loro scelte politiche sia una conseguenza del *mio* discorso.
5.
Non vedo cosa ci sia di buffo nell’aver io ricordato che in mezzo a noi ( intendo occidentali, europei, italiani) ci sono quelli che « nel benessere davvero si sguazzano o ci hanno sguazzato e che hanno la pretesa di conservarselo e di non cederne neppure una briciola». Né, ancora una volta, mi pare di aver proposto o fatto alcun accenno alla teoria della decrescita.
SEGNALAZIONE
UN ALTRO “BUONISTA”:
La dissuasione della «cristiana» civiltà europea
di Alessandro Dal Lago
È sicuro ormai che l’Europa è solo all’inizio di un processo di decomposizione politica. I segnali si moltiplicano. La vittoria dell’estrema destra in Austria, la crisi polacca, il regime di Orbán, l’affermazione dell’AdP in Germania, la chiusura delle frontiere, il referendum sul Brexit. Ma il voto con cui la Camera dei comuni inglese ha rifiutato di accogliere i 3000 bambini di Calais è qualcosa di molto più profondo e sinistro di una crisi politica continentale. È, come hanno notato i critici della decisione, di qualcosa di vergognoso.
Perché in gioco, oltre al destino migliaia di orfani, c’è un confine che le cosiddette democrazie occidentali non dovrebbero, almeno ufficialmente, varcare: il senso minimo di umanità, quello che per gli apologeti distinguerebbe la «civile» Europa dagli altri mondi.
Oddio, anche sequestrare beni ai profughi, come fanno la Danimarca e altri stati della Ue, è vergognoso, proprio come lasciarli alla deriva a Idomeni e Lesbo, o dare un po’di quattrini a Erdogan perché non ce ne mandi altri. Ma i bambini non dovrebbero essere sacri, nell’Europa cristiana, cattolica, anglicana o luterana che sia? Con il voto alla Camera dei comuni, la risposta è stata semplicemente «No!» D’altra parte, i leader della Afd tedesca non hanno forse dichiarato che è legittimo sparare ai profughi che attraversano illegalmente i confini, anche quando sono donne e bambini? Certo, i conservatori inglesi a parole non arrivano a tanto. Ma il risultato non è molto diverso.
Che fine faranno i bambini che il socialista Hollande fa marcire a Calais, tra assalti xenofobi e manganellate? Nessuno lo sa e a nessuno interessa.
La motivazione del voto inglese è sublime nella sua ipocrisia squisitamente british. Noi non li accogliamo, per dissuadere altri profughi dal chiedere asilo in Inghilterra. Con la stessa scusa, le navi militari inglesi non soccorrono più la carrette del mare dei migranti nel Mediterraneo. Ora, immaginiamo dei bambini che scampano alla morte in Siria e poi ai naufragi nell’Egeo o nel canale di Sicilia. Ebbene, qualcuno pensa che si faranno dissuadere dal passare in Europa, e magari dal raggiungere dei parenti in Inghilterra, pensando al voto della Camera dei comuni? Quando la Svizzera respinse i profughi ebrei che scappavano dalla Germania con la motivazione che «la barca piena», si macchiò della stessa vergogna, ma con meno ipocrisia.
Noi europei, dopo la Shoah, non dovremmo sorprenderci più di nulla. E nemmeno pensare che, con la sconfitta del nazismo e del fascismo, siamo al sicuro dagli stermini di massa. Migranti e profughi muoiono a migliaia per raggiungere le nostre terre benedette dalla ricchezza.
Dopo un po’ di lacrimucce sui bambini annegati sulle spiagge greche e turche, ecco che prendiamo a calci quelli che non sono annegati, o semplicemente ne ignoriamo l’esistenza.
Noi europei, così civili e democratici, stiamo gettando le premesse di nuovi stermini, magari per omissione, disattenzione o idiozia. Ma per le vittime non fa nessuna differenza.
(da http://ilmanifesto.info/la-dissuasione-della-cristiana-civilta-europea/)
Ma chi crede ancora alla fola, che gli Europei siano – in maggioranza almeno – civili?
Che poi si sia democratici o no, non fa differenza: l’atteggiamento etico e/o morale è prevalente sul sistema politico di un popolo.
SEGNALAZIONE
E POI CI SONO GLI “STRUMENTALIZZATORI”…
*«Sotto i nostri occhi» – Cronaca di politica internazionale n°182*
di Thierry Meyssan.
Stralcio:
contrariamente a certe dichiarazioni ufficiali:
– Il legame tra le pressioni migratorie in Europa e la guerra in/contro la Siria è artificiale. È stato creato deliberatamente in modo da provocare al tempo stesso l’accettazione delle migrazioni e il finanziamento indiretto della guerra da parte dell’Unione. Se alcune centinaia di migliaia di siriani sono stati spinti ad attraversare il Mediterraneo, è poco probabile che i milioni di altri vorranno seguirli.
– La mescolanza di popolazioni che si è organizzata per formare la folla che ha attraversato i Balcani è particolarmente esplosiva. Comprende tanto dei siriani e degli iracheni, quanto degli afgani, degli albanesi e dei kosovari. Il fatto che tutte queste persone siano per la maggior parte musulmane non cela che esse abbiano delle culture e un’interpretazione della loro religione molto differenti; nonché origini sociologiche e motivazioni senza legame le une con le altre.
Al di là dell’episodio del secondo semestre 2015, la pressione migratoria sull’Europa resta essenzialmente africana. Tuttavia, nei prossimi anni, potrebbe diventare turca. Se infatti Ankara priverà, come ha annunciato, 6 milioni dei suoi cittadini residenti all’estero della loro nazionalità, queste persone tenteranno con tutti i mezzi di fuggire il loro paese di origine, se possibile prima di diventare apolidi. Un trasferimento che potrebbe essere facilitato dall’abrogazione dei visti necessari ai cittadini residenti all’estero turchi per entrare nello spazio Schengen.
Da ricordare:
Tre gruppi differenti hanno manipolato la crisi dei profughi del secondo semestre 2015:
— i sostenitori della distruzione delle culture nazionali, intorno all’ex presidente dell’OMC Peter Sutherland che pensava così di favorire il libero scambio globale;
— l’industria pesante tedesca, intorno al suo presidente Ulrich Grillo, che sperava così di disporre di 800.000 nuovi lavoratori a basso salario;
— la Francia e la Germania, rappresentati da François Hollande e Angela Merkel, che hanno visto un modo per legittimare il finanziamento indiretto della loro guerra contro la Siria.
Questi tre gruppi hanno in comune il fatto di sostenere la NATO, di frequentarsi, particolarmente durante gli incontri del Gruppo Bilderberg, e di condividere lo stesso cinismo nei confronti delle popolazioni. Ma i loro interessi restano divergenti, così che in definitiva gli Stati hanno prevalso sui sostenitori del libero scambio globale.
Come spesso accade in questo tipo di crisi, le popolazioni volontariamente messe in movimento non hanno superato alcune centinaia di migliaia persone. Si sono aggiunte ad altri flussi, più vecchi e costanti. È la falsa interpretazione mediatica che ha dato l’impressione di un trasferimento imminente di milioni di persone.
(da http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=125797&typeb=0&come-l-unione-europea-manipola-i-profughi-siriani)
Il punto (o uno dei punti) è che non so quanto sia una “falsa interpretazione mediatica” l’impressione di un trasferimento imminente di milioni di persone: temo che tutto dipenda dalle nostre azioni in quei settori geopolitici, e al momento non prevedo nulla di buono.
Quindi, se nemmeno io immagino un’orda di qualche milione di persone che si riversa sulle nostre coste, non mi stupirei se queste cifre fossero raggiunte abbastanza rapidamente, filtrando un po’ da un Paese, un po’ da un altro.
la faccia illuminata e quella buia della Terra…
e, come il pianeta ruota,
or l’umanità entra, ora esce nella luce e dalle tenebre
come lampadina intermittente
e dimentica dimentica
che fu spenta se accesa e, accecata, perseguita
la sua stessa versione scura
e non vede l’ombra che avanza della sera.
Sul mare, sulle pianure e sui valichi
si è spenta di vergogna l’Europa,
serrati gli occhi e le braccia,
vecchia egoista, all’infanzia del mondo
e nelle sue stesse città e pianure, maculata,
alle più giovani speranze di lavoro e dignità..
“Roba mia vientene con me!”