C’era una volta….la Resistenza

tonto giallo Truglia

Dialogando con il Tonto (2)

di Giulio Toffoli

Sono seduto, assieme alla mia compagna, alla caffetteria La Dolce vita, in via della Libertà a Cattolica. La mattinata non è fra le più belle, il cielo è grigio e promette pioggia, ciò nonostante l’aria sa di quel profumo di mare che ti riempie i polmoni. Avevo deciso di cercare un locale dove poter fare colazione in Piazza 1 Maggio, proprio al centro della cittadina. Il nome mi era sembrato evocativo di un bisogno di verità che vado cercando inutilmente in questi torbidi anni. Però non ne ho trovato uno che mi sembrasse decente ed allora mi sono infrattato proprio in via della Libertà. Ho bramato in questo modo di fuggire da una ritualità che più passano gli anni più mi sembra lontana e priva di senso. Infatti oggi è il 25 aprile, la festa nazionale che questa nostra malmessa repubblica persiste a conservare come memoria della Resistenza o se si vuole della Liberazione. A cosa corrispondano queste due parole che sono spesso state usate in modo indistinto non è mai stato chiaro fino in fondo. Probabilmente per i più si è trattato della Resistenza condotta da una parte della popolazione contro le truppe naziste penetrate in Italia dopo l’8 settembre 1943 e sostenute dai rottami di un trapassato fascismo, per una minoranza invece ha probabilmente voluto dire ben di più, un processo di Liberazione che avrebbe dovuto segnare un superamento di quelle forme statuali e politiche che avevano governato il paese fino all’avvento del fascismo e che poi ne avevano nei fatti accettato il consolidamento al potere sotto forma di una dittatura totalitaria. Ciò che si è nei fatti venuto costituendo non è stato altro che un rito sempre più vuoto e sostenuto da una retorica senza senso. Non solo: mentre i resti sempre più esigui di quelli che avevano effettivamente partecipato a quella pagina storica sono andati lentamente estinguendosi, le varie organizzazioni hanno affermato una loro funzione preminente elaborando una nuova geografia della memoria storica con confini che di decennio in decennio si sono pian piano spostati, rendendo il quadro complessivo sempre più sfuocato e generico. All’antica ANPI, con i suoi legami con il movimento comunista, e alle Fiamme Verdi, di ascendenza democristiana, si sono poi affiancate con crescente influenza fra le altre, l’ANED, associazione ex deportati civili, l’ANEI, associazione degli ex internati militari in Germania; e sovra tutti si è imposta la memoria degli ebrei italiani deportati a morire nei lager. Sicché da momento di ricordo di un movimento di lotta attiva e cosciente contro una forma estrema di barbarie si è passati a una memoria sempre più dolente delle vittime e delle loro tragiche traversie, in molti casi non priva di una qualche forma di non del tutto celata ipocrisia.
Le stesse manifestazioni hanno assunto anno dopo anno una funzione sempre più ufficiale e celebrativa con qualche sopravvissuto partigiano schiacciato dall’invadenza del politico di turno pronto a trasformare ogni discorso in una formula di rito. Non di meno il numero dei partecipanti si era andato assottigliando e radicalizzando fra una minoranza di ex-militanti che trovavano l’occasione di quella celebrazione per realizzare una specie di ritrovo annuale e guardarsi in faccia, vedendosi sempre più vecchi e incapaci di rispondere alla semplice domanda: “Perché siamo qui?”, e un’altra minoranza di giovani radicali che invece ben poco sanno e ben poco gliene cale della celebrazione ma la usano semplicemente per realizzare una specie di sfogo contro istituzioni viste come sempre più lontane e senza senso.
Dopo decenni che ho – ordinatamente anche se sempre più stancamente – partecipato mi sono detto che proprio non ne volevo più sapere. Volevo andare lontano dai giornali che ripetono i soliti articoli, dalla televisione che reitera le solite funzioni mettendo in mostra qualche vecchio film in bianco e nero che nessuno guarda e anche dai nuovi social media dove impazzano le terze e quarte generazioni degli antifascisti di mestiere che recitano le loro orazioni, anno dopo anno sempre uguali e sempre più destituite di senso, senza neppure rendersene conto.
Ci siamo perciò seduti nella caffetteria La Dolce Vita decisi a passare una mattinata in pace, abbiamo appena ordinato un bel tè e una cioccolata che vengo quasi risvegliato da una chiamata. Mi sono dimenticato in tasca il telefonino. Guardo il nome di chi mi chiama e leggo: Tony il Tonto.
“Ma cosa diavolo vuole – mi chiedo – proprio oggi e proprio a quest’ora?”
Una coazione a ripetere che non riesco a bloccare mi spinge a rispondere: “Cosa vuoi Tonto?”
“Ma come – mi dice – non sei qui con noi in manifestazione? Ci sono tutti, le solite vecchie facce … Non dirmi che hai defezionato”.
“E tu – gli rispondo – che cosa ci stai a fare. Non sapevo che fossi un patito del 25 aprile. Non hai mai partecipato a nessuna cerimonia ufficiale o ufficiosa, ti sei sempre disinteressato della politica e ora sei lì?”
“Sì, sai da quando i politici hanno preso in mano il gioco mi diverte venirli a sentire e cercare di capire come hanno stravolto il discorso trasformandolo in una melassa che unisce tutti i buoni contro dei cattivi che hanno perso ogni connotazione. Ogni tanto mi fermo e chiedo a qualche faccia che conosco: “Mi puoi dare una mano: ma chi sono i nemici?” Mi guardano e rispondono seri seri: “Ma è ovvio i fascisti!” Vabbè dico: “Avete certo ragione ma poi quali? Me li sapete indicare? Ed allora tutto diventa vago … senza confini. C’è chi mi parla dei razzisti e chi di coloro che si basano su ideologie totalitarie e violente … Nel momento in cui cerco di fargli notare che se i primi possono essere forse facilmente identificati, ma poi con quale certezza e arduo dire, gli altri sono chiaramente individuabili in quei comunisti che avevano fatto il nerbo della resistenza … Allora mi mandano al diavolo e se ne vanno senza salutare … Ne deduco che non sanno quello che fanno. Che ne pensi?”
“Che la nostra telefonata sta durando già troppo. Continua la tua inchiesta. Io sono fuggito proprio per cercare di liberarmi da quell’aria ammorbante. Si vede che per te l’inquinamento è un lassativo. Ciò che viene celebrato oggi è qualche cosa che ha perso ogni connotazione forte … Per i giovani è come parlargli di Garibaldi e Cavour … roba vecchia. Ti saluto ci vediamo presto”.
La mia compagna, che aveva continuato a sorbire la sua cioccolata, visto che ho finito la telefonata mi dice: “Non mi vorrai raccontare che è il Tonto … Davvero divertente, tu scappi e lui ti insegue, anzi ti agguanta”.
“Si hai ragione, però quella che abbiamo vissuto è davvero una triste nemesi storica. Se ci pensi bene, cara, il XX secolo è stato davvero: “il secolo della gente comune, in cui la gente ha assunto un ruolo essenziale nella gestione della cosa pubblica, e in cui il ceto dirigente non ha potuto più dare per scontata una prontezza nell’accettare un’autorità superiore. In certo modo la Resistenza in Europa durante la seconda guerra mondiale ha anticipato questo fenomeno. La reazione classica alla conquista esterna era: noi abbiamo perso, loro hanno vinto, dobbiamo scendere a patti con la realtà. Una reazione razionale. Ma il movimento di Resistenza rifiutò totalmente di conformarvisi. E questo rappresenta l’inizio della novità”. Una grande novità che pare essersi esaurita proprio con la fine del secolo. Il XXI secolo, infatti, sembra palesarsi come un’epoca di acquiescenza e di nuova servitù. Speriamo in un presto risveglio perché il sonno della ragione, ce lo ha insegnato proprio il secolo che abbiamo alle spalle, non può che generare mostri. E quelli che si potrebbero affacciare all’orizzonte sono fra i più tragici …”.
“Non ci resta che sperare – ha detto la mia compagna stringendomi la mano – anche dopo la più nera burrasca vuole la natura che sorga un arcobaleno. Bisogna saper sperare e attende …”.

 

25 apr. 2016

13 pensieri su “C’era una volta….la Resistenza

  1. L’acme della mia esperienza di partecipazione ai movimenti di protesta si realizzò la sera del 30 settembre 1977, subito dopo l’assassinio di Walter Rossi a Roma, in una manifestazione spontanea ed emotivamente bellicosa volta verso la sede fascista della zona delle Medaglie d’Oro. Avevo una paura tremenda che si sparasse ancora (si sparò, infatti) e di essere colpito. Da allora non ho fatto che scendere gradini lungo la scala della partecipazione materiale a forme di protesta. Intendo: partecipare io fisicamente perchè l’affiancamento ideale, sentimentale e ideologico è rimasto e rimane (nella coscienza che di poca cosa si tratti). Ora mi dico che fu per viltà, pigrizia e fumosa intuizione di una ineluttabile sconfitta.
    lo scritto di Giulio, bello e malinconico, mi fa ora pensare che, più che scendere a patti con la realtà, iniziai a scavarmi un rifugio dell’irrealtà. Magari con ampie vetrate con vista sul mondo.

  2. SEGNALAZIONE

    VERSO IL 25 APRILE
    di Andrea Zanzotto

    Trissotin:
    Vous avez le tour libre, et le beau choix des mots.

    Vadius:
    On volt partout chez vous l’ithos et le pathos.
    (MOLIÈRE, Les femmes savantes)

    Nel tempo quando avevo i sentimenti,
    da cui nessuna forza poteva ripararmi
    nessun noa né tabu
    il 25 aprile andando per i cippi
    dei caduti, come per le stazioni di un calvario,
    sopraffatto tremavo, e poi dalla piccola compagnia mi defilavo
    come in una profonda definitiva pioggia.
    Il vostro perire – nel sacro della primavera –
    mi sembrava la radice stessa di ogni sacro.
    Anche se per voi, certo, non lo era.
    Anche se eravate scomparsi una sera
    presi da batticuore, ormai rimossi da impatti col vivente
    proprio per l’essere stati fino-al-picco del vivere.
    Io no. Scrivevo in quegli anni entro gli annali della mia morte,
    deliravo sul verde delle piante, sulla beltà,
    senza perdonarmi ignoravo, quasi, ogni assenza
    e svanimento con me, nella mia omertà.
    Ora mi pare di vedere, con onesta ebetudine
    e insipidire dei sentimenti, il tradirsi
    di tutto in molte friabili forme
    senza arrivare a un niente veramente accettabile,
    reo totale come si vorrebbe;
    e l’adombrarsi di ora in ora
    mi pare una fatata legge, con una sua eleganza,
    e il silenzio non dista dal grido –
    piamente connessi chi sa dove
    entro la tresca fuggente di questi prati e forre. Ma:
    lo sterminio è ovunque e sempre in atto
    mai c’è stato armistizio dopo l’eroica emergenza
    e la morte-di-paglia si fa di gran lunga più orribile
    che quella per piombo nel tempo sadico/mitico.

    Allora: vedere senza battere ciglio, come al frullare
    dello sgricciolo nulla batte ciglio
    tra gli spogli cespugli del clivo di Carbonera.
    E questa dunque la saggezza perversa della sera?
    E questa la congiunzione alla sapienza,
    la farneticata ieri come vera
    congiunzione al coraggio?
    Ora, compagni, amici, né-amici, né-compagni –
    dèi per me malgrado voi stessi –
    avvicinandomi per cumulo di età
    e per corrosione a quel punto
    in cui voi foste allora –
    mi riconduco, osando muto, ad allora, per voi;
    e sono partecipe, finalmente, delle azioni
    da cui mi distoglieva il deliquio amoroso e pauroso
    anche se in esse ero travolto. Mi pare

    ………………………….

    Mi pare, e con mano assisto la tenerezza e il profumo
    non ancora del tutto spento,
    e i tracciati dei viottoli i fogliami e i filamenti vitali;
    con mano assodo i pregi dell’essere vissuto,
    e passato a un millimetro da dove
    la selva e il vostro sangue
    si sfiniscono, incespicano, sputati fuori mano.

    se ancora si gira per i cippi
    – emersi a picco –
    – nel sacro della primavera –
    su cui segni scivolano immolati
    al rituale autovomitarsi di ogni storia
    al non-farsi-capire di ogni ammicco,
    allo sbrindellarsi del tessuto di comuni allusioni,
    mi ribello, ribelle come voi allora,
    e mi traluce bruciando un disincarnamento di me, del mondo,
    mi s’impone un giusto adorare penando
    un giusto richiamarsi all’obbligo
    di ethos e pathos anche se i più arcanamente sfigurati
    un giusto bestemmiare moduli e ragioni, nel furore
    di un pianto che l’archiatra sommo dirà causato
    dal remoto, dal lontano, dall’-alto-dei-cieli, dal vietato
    ad ogni aggancio – mera verberazione
    fustigazione compiuta a mio danno da falsi paesaggi
    interni ed esterni
    o semplicemente «da stanchezza, da insonnia».
    E, sono pronto, insonnia
    fuoco e parto che non si rilassa, intrigoso braciere.
    Ecco, capisco che la praxis la poiesis adescano solo poche cose
    quando vedo i vostri nomi
    nemmeno sforzarsi più di galleggiare sulla pietra
    e voi non siete più qui, né altrove; noi v’inseguiamo
    lungo il falso itinerario dei cippi, sudando, o sotto i rovesci della pioggia
    delle memorie, delle folate eroiche;
    se nemmeno in questo-qualche-modo siete ormai stati,
    nemmeno, ora, noi, siamo, qui.
    Allora soltanto se se un’insonnia
    bestemmiante braciere ripeterà i vostri nomi
    nei luoghi dell’insonnia, della pretesa
    Ecco queste sono le pretese dell’insonnia
    anche questo pretendere di darne intepretazioni
    ithos pathos
    bestemmiarono i cespugli sommessamente
    cippi hipnos pretendere
    ………………………………………………

    Per me il buon calore e il tanto latte dei sentimenti
    Ebbe sempre nel fondo un elemento di nera esaltazione.
    Erano ferite dentro le colline
    Nei fianchi giovani e amorosamente annosi del folto;
    e io le vedevo e amavo
    cercavo di sopperire a quanto esse esigevano.
    In quel mio remoto
    smontare e rimontare oggettivi – da
    fanciullo iracondo, implacabile –
    voi che innocenti come guizzi di ruscello
    come stellari girini svaniste nel sangue,
    ora entrate – o eravate già entrati allora?
    E non so come, fate vostro quel ch’era mia turpe sacralità,
    lo portate sensuato e senziente
    nel vostro assoluto assolvimento
    in ciò che punta i piedi seppur
    senza più rendersene conto
    non culla non tomba non segno
    e neppur scoppiettare maligno d’insonnie/sogni
    (ithos) (pathos)

    Da A, Zanzotto, Idioma, Mondandori, Milano 1986

    (dal sito di G. Genna: http://www.giugenna.com/?p=3831)

    * Nota. E. A.
    Purtroppo in Word Press non riesco a mantenere la disposizione di molti versi della poesia variamente spostati verso destra, come appare nel libro della Mondandori.

  3. Er gioco dell’oca

    C’è stato Mussolini pe vent’anni
    a Duce de sta cazzo de nazzione
    e solo co na guera e tanti danni
    ciavemo avuto la libberazzione.

    Pen tempo doppio ne l’istessi panni
    se semo sobbarcati sur groppone
    co la Diccì mill’antri novi affanni
    finenno pe tre lustri con Buffone.

    Chiamato a sera p’arivà ar mattino
    er Grosso Professore boccognano
    cià ‘rivortato come an petalino

    lassanno er testimognio a quer Pisano
    scarzato da sto Furbo Fiorentino
    che mo se pija tutto chiavi in mano

    p’aripercore identico er cammino.

  4. Ma perché mai i giovani dovrebbero partecipare a queste memorie? Io stesso che sono vecchio ho, del secondo dopoguerra, solo amari ricordi. Tutta la mia famiglia e parenti sono dovuti emigrare. Noi siamo poi ritornati per quella nostalgia dei luoghi aviti che dentro ti consuma.
    Era già l’ora che volge il disio
    ai navicanti e ‘ntenerisce il core
    lo dì c’han detto ai dolci amici addio;
    Quelli che sono rimasti fuori per sempre, confrontando l’Italia attuale, perdente e sottomessa, con i tempi anteguerra, per un inspiegabile paradosso, rimpiangono il duce perché, secondo loro, gli aveva dato la fede e l’orgoglio di appartenere ad una grande Nazione.
    Ed ora…? E’ meglio che lo dica in poesia.

    A quale dio appartengono gli esclusi
    Non al Dio delle Chiese
    Non allo Stato non alla Società
    Sono i figli miei i figli tuoi non altri
    Con la loro dignità soppressa
    Senza una vita senza un futuro
    Figli di nessuno come i fallimenti
    Ingannati e mandati allo sbaraglio
    Dalla presbiopia degli stolti
    Che vedono una lontana umanità dolente
    Ma sono ciechi alla moltitudine prossima

  5. In effetti non si può pretendere che la maggioranza dei giovani provi trasporto verso questi avvenimenti: già molti di loro, nelle mie classi, se gli chiedo cosa accade in Medio Oriente o sulle coste africane del Mediterraneo, mi guardano con aria perplessa…

    Soltanto coltivando valori differenti da quelli imposti dal mercato, si può pensare che la solita minoranza agisca e, accanto a questi nuovi valori, sappia porre quelli che portarono a un avvenimento di capitale importanza, come la Resistenza.

    Per me non si può sperare, né agire, altrimenti.

  6. …il racconto di Giulio Toffoli, accorato quanto i commenti che seguono, di una grigia mattinata al mare con la compagna seduto al tavolino di un bar a consumare tè e cioccolata proprio il 25 Aprile, giornata che, anni orsono, vide giungere a conclusione un periodo di lotte per la Liberazione dal nazi-fascismo, mi sembra molto significativo…Solo Tony il Tonto viene ad animare la scena con quei suoi interventi scomodi, quasi impertinenti, come quello di rivolgere ai manifestanti presenti alla classica celebrazione se sapessero per chi o contro chi : …”Mi puoi dare una mano: ma chi sono i nemici?” la domanda cade sostanzialmente nel vuoto…
    I giovani men che mai ne sono cosapevoli, secondo l’autore, in quanto vedrebbero la manifestazione semplicemente come un pretesto “…per realizzare una specie di sfogo contro istituzioni viste come sempre più lontane e senza senso…Ritrovo lo stesso pessimismo verso i giovani nel commento di Alberto Rizzi. Non lo condivido del tutto, anzi la mia speranza per il futuro riposa proprio su di loro…Sono le maggiori vittime dei nostri oscuri tempi qui in occidente e sapranno, non senza fatca credo, individuare i nemici, che non sono certo migranti…Penso ai giovani manifestanti al Passo del Brennero…

    1. Per Annamaria: (“Sono le maggiori vittime dei nostri oscuri tempi qui in occidente e sapranno, non senza fatca credo, individuare i nemici, che non sono certo migranti…Penso ai giovani manifestanti al Passo del Brennero…)

      Vorrei condividere il tuo ottimismo di fondo; purtroppo i segnali non sono buoni, sono sempre più addormentati (vorrei usare un’altra parola, ma preferisco non esagerare) dalla confusione di segnali che ricevono soprattutto attraverso la rete: che nella maggior parte dei casi non sanno usare.

      Le manifestazioni come quella al Brennero sarebbero una buona cosa, ma c’è fortissimo il rischio di strumentalizzazione: non dimentichiamoci di quanto accadde a Genova. Comunque speriamo bene; e, soprattutto, continuiamo a fare la nostra parte, non appena individuiamo qualcuno di loro, il cui encefalogramma non risulti piatto.

  7. Per Alberto: quando tu scrivi ” purtroppo i segnali (per i giovani) non sono buoni…” e più in là ” …c’è fortissimo il rischio di strumentalizzazione” nei loro confronti, non posso darti torto, trovo vergognoso il loro essere stati prima illusi e appiattiti da una massiccia propaganda consumistica e spettacolare negli anni adolescenziali, rivolta anche ai genitori, per poi essere abbandonati a se stessi: disoccupati, precari, senza garanzie per il futuro…Ormai persino alcuni politici cominciano a parlare di una o più generazione perduta…Ma chi ha portato le cose a questo punto? Si è mai visto che i figli stiano peggio dei padri? Oddio tutto è successo nella storia…Eppure penso che, una volta svegli dal sonno ipnotico, non senza colpi in testa e fallimenti, i giovani saranno in grado di guardare in faccia il nemico e troveranno la forza per reagire…Ragazzi disincantati e lucidi ne incontro diversi già al presente…Alcuni si ritrovano in gruppi, come facevamo noi, per parlare dei loro problemi, anche in rete. Ho nipoti giovanissimi, ma spero che loro, i loro amici e gli amici degli amici , tutti insomma, possano raccogliere qualcosa anche da noi, per quanto possibile, in fatto di riflessioni ed esempi utili…

  8. Perché colpire i giovani?
    Lavorano 1 mese, due o tre e poi…a casa! Hanno mutui da pagare o rate per la macchina che hanno acquistato per poter lavorare e che poi è servita per un breve tempo e addio lavoro. La corruzione che dilaga non lascia nessuna possibilità ai giovani di poter pensare ad un mondo che li possa anche ascoltare. Piantiamola con questa sfiducia nei confronti di chi si è trovato adulto in un mondo completamente corrotto. Andiamo a vedere cosa stanno preparando i politici per il futuro e quanta disonestà scorre nei loro ambienti. I giovani dovrebbero svegliarsi e ribellarsi? Certo come no, contro chi? Forse contro i loro datori di lavoro che li hanno mandati a casa in base ad una legge che lo ha loro permesso? O contro una politica che li porta a sbandare ogni volta che pensano di aver trovato qualcosa che assicuri loro di poter costruire un avvenire?
    L’elettroencefalogramma piatto l’abbiamo avuto noi (io ho 66 anni), che dopo la contestazione abbiamo pensato che ciò che dovevamo fare era stato fatto e con la coscienza a posto, un lavoro e i soldi in tasca,abbiamo lasciato che tutto andasse come è andato.

    1. Ricordiamoci che, giovani o no, si è artefici della propria vita, nel bene e nel male. Inutile lamentarsi dei politici, dopo averli scelti “perché sono tutti uguali, ma cosa possiamo fare?”; o peggio – come sta accadendo sempre più spesso e non solo con i giovani – non andando a votare, ma guardandosi bene dal proporre soluzioni sociali ed economiche a questa situazione.

      Più che “ribellarsi”, i giovani dovrebbero proporre coi fatti. Spero che Annamaria abbia ragione (nel post sopra al tuo): solo il futuro darà una risposta.

  9. …che noi siamo del tutto artefici della nostra vita non credo, sono troppi i condiionamenti di ogni genere (interni ed esterni). ..I partigiani si prodigarono affinchè le cose, dopo, andassero diversamente, ma la delusione fu abbastanza forte già negli anni successivi, come questa poesia del poeta partigiano Renato Giorgi ci dimostra, con il suo angoscioso straniamento

    Amico

    Amico, c’è un mite sole,
    poco più che una strada nel deserto
    tutto il paese.

    Amico, la pena è molta
    e la fatica di continuare
    insostenibile.

    La memoria non ha più tracce,
    così la speranza è recisa.

    Inverosimilmente il mio corpo consiste.

    Non c’è turbamento nei cieli
    nessuno grida.

    1. RESISTENZA.

      Resiste anche stasera all’amica
      che ha saputo di essere incinta
      non lo vuole e allora viene a casa
      le spiega che se è maschio è diverso
      lei ci crede e forse lo tiene e poi si vedrà

      Resiste al padrone oh! Non si dice!Al datore di lavoro
      che si è rifatto il naso, la macchina, la donna
      e la lascia a casa se avesse la casa e vai da sua madre
      e lei le dice che non è giusto non preoccuparti
      ma da domani quello che trovi trovi
      perché senza lavoro non si può stare

      Resiste alla fame e va in stazione centrale
      là le danno una minestra che sa di pesce e la mangia
      poi s’addormenti e resiste alla sporcizia alla febbre

      Resiste alla mancanza di figli che la amano e poi
      la mandano all’ospizio perché rompe e non sa
      che loro hanno adottato un cane e lo portano
      nel parco a fare pipi e la cacca la raccolgono in un sacchetto

      Resisti sempre perché si deve resistere te lo hanno sempre detto
      resisti perché la strada è lunga e se non resisti anche i sogni muoiono
      e i sogni fanno vivere fanno sperare e …

      Emilia

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