di Italo Lo Vecchio
- a) Libreria spagnola
Dopo aver interrogato il computer, il giovane commesso della libreria spagnola di rue Monsieur Le Prince scuote il capo e gli comunica che né il libro di Alma Guillermoprieto, Historia escrita, né il romanzo di Jaime Avilés, Nosotros estamos muertos, sono disponibili. Ci vorrà perlomeno una ventina di giorni per averli, aggiunge con un tono di rincrescimento. Lui gli dice di lasciar perdere, non può aspettare tutto quel tempo, ma continua a guardare il commesso con un sorrisetto idiota stampato sulla bocca. Non si risolve ad andarsene, e nemmeno a rivolgergli la domanda che più gli sta a cuore: “Lei ha conosciuto Julio Cortázar?”. E’ questo che vorrebbe sapere, è entrato lì apposta. Ma il timore che il commesso gli risponda con pietosa condiscendenza, come si fa con i vecchi o i bambini, che soltanto da un paio d’anni lavora in quella libreria, e che in ogni caso è troppo giovane per averlo potuto conoscere, gli consiglia di tenere la bocca chiusa.
Gli è già capitato con la cameriera del Restaurant Polidor di fronte alla libreria, dove Cortázar aveva ambientato le pagine iniziali del suo romanzo 62 modelo para armar. Si prenderebbe a schiaffi per l’ingenuità d’aver pensato che fosse sufficiente rivolgere un paio di domande agli attuali dipendenti di quegli esercizi commerciali per avere notizie dello scrittore argentino. Indispettito con se stesso, esce in fretta senza congedarsi con lo stucchevole “bonjour” di prammatica. Una violazione gravissima dell’etichetta a cui s’attengono i cugini d’oltralpe, avvezzi a imbellettare la loro stronzaggine con una falsa cordialità, e che il commesso stigmatizza rifilandogli un’occhiata al fulmicotone.
Esiste un’altra ipotesi sull’Ulisse dantesco. Presentato da Virgilio come “facitor d’inganni”, l’anima ravvolta in una “fiamma cornuta” assieme a quella di Diomede, Ulisse racconta a Dante il suo ultimo viaggio per mare intrapreso dopo aver spronato i suoi compagni di viaggio a “seguir virtute e canoscenza”. Ora, se l’astuto ingannatore è condannato a scontare il suo peccato capitale nell’ottava bolgia dell’ottavo cerchio dell’Inferno, anche la narrazione d’Ulisse, che con la sua indole fraudolenta parrebbe non avere alcun rapporto di causa-effetto, potrebbe essere un inganno. Ma è possibile ingannare all’Inferno?
Nella settima delle Tesi di filosofia della storia Walter Benjamin, dopo aver definito il “procedimento d’immedesimazione” al quale ricorre lo “storico dello storicismo” come ciò “con cui il materialismo storico ha rotto i ponti”, prescrive allo studioso di parte marxista uno sguardo distaccato nell’abbracciare il cosiddetto patrimonio culturale di un’epoca, perché quest’ultimo “ha immancabilmente un’origine a cui non si può pensare senza orrore. Esso deve la propria esistenza non solo alla fatica dei grandi geni che lo hanno creato, ma anche alla schiavitù senza nome dei loro contemporanei. Non è mai documento di cultura senza essere, nello stesso tempo, documento di barbarie” (in Angelus Novus, Torino 1962, pp. 75-6).
Adeguata cornice alla riflessione benjaminiana mi sembra questo brano marx-engelsiano dell’Ideologia tedesca: “la concentrazione esclusiva del talento artistico in alcuni individui e il suo soffocamento nella grande massa, che ad essa è connesso, è conseguenza della divisione del lavoro”. Per cui, “che un individuo come Raffaello possa sviluppare il suo talento dipende dalla divisione del lavoro e dalle condizioni culturali degli uomini che da essa derivano” (in Marx-Engels, Opere complete, vol. V, Roma 1972, p. 407).
Se l’opera d’arte nasce dall’accentramento del talento nel singolo artista, frutto della divisione del lavoro, a fronte dello spossessamento delle capacità culturali e delle condizioni creative nella gran massa dei suoi contemporanei, anche la sua fruizione è condizionata da questo duplice aspetto. Da una parte abbiamo la bellezza artistica in sé che cagiona un immediato piacere estetico (la jouissance di barthesiana memoria), mentre dall’altra la sua ricezione è mediata da fattori di natura extra-estetica, che inducono il fruitore a distaccarsi dall’oggetto dato in una sorta di astrazione determinata volta a comprenderne l’origine sociale. E’ la complementarietà di queste due modalità “valoriali” all’interno dello stesso oggetto artistico a far dire al fruitore: “quest’opera mi affascina, ma non posso non inorridire dinanzi a essa”.
Una concezione del genere è stata espressa da Brecht, da colui che non mancò di far proprio il precetto benjaminiano di “passare a contrappelo la storia” (non a caso proprio la settima delle Tesi benjaminiane reca in epigrafe un distico di Die Dreigroschenoper di Brecht).
A proposito delle ville californiane di Santa Monica “costruite in stile americano o inglese o hanno torrette e curve mai viste”, in una delle quali andò ad abitare come profugo, il drammaturgo tedesco annota in uno scritto composto intorno al 1946: “Il mondo ha fame ed è ridotto a rovine, come si fa a lamentarsi di stare qui? Non vedevo alcuna possibilità di farlo, finché mi venne l’idea che queste graziose ville sono costruite della stessa materia delle rovine di laggiù; come se lo stesso brutto vento, che ha sfasciato laggiù gli edifici, avesse fatto turbinare sin qui un mucchio di polvere e di sudiciume trasformandolo in ville. Poiché è un fatto: viviamo in una città infame” (B. Brecht, “Lettere a un americano adulto”, in Quaderni Piacentini n. 36, nov. 1968, p. 51).
Sarebbe insufficiente interpretare queste riflessioni brechtiane unicamente alla luce delle distruzioni belliche in Europa. C’è dell’altro, c’è materia politica nel materiale con cui sono costruite le ville di Santa Monica, che Brecht analizza portando allo scoperto la “stessa materia delle rovine di laggiù”, ossia il “mucchio di polvere e sudiciume” levatosi dalle rovine degli edifici europei bombardati che lo stesso brutto vento ha portato “sin qui” trasformandolo in graziose ville. Anche per Brecht l’orrore è intrinseco alla bellezza, ne è, per così dire, l’aspetto nascosto, e questa dialettica della ricezione, che comporta una fruizione conseguente, Brecht ha provveduto ad applicarla ai simboli archittetonici che più definiscono la grandeur della società americana: i grattacieli di Manhattan, così belli che “visti al crepuscolo mozzano il fiato, ma non possono far gonfiare il petto” (B. Brecht, op. cit., p. 53).
- b) Hôtel des Ursulines
L’improvviso emergere dei ricordi. Il loro subitaneo pulsare negli ammanchi dell’esistenza. A lungo li abbiamo confinati nei più oscuri frattali della mente, tenuti a bada dai mastini dell’oblio, e quando crediamo d’essercene liberati, basta un nonnulla, paragonabile a un refolo di vento in una giornata afosa, a rimettere in moto il défilé d’immagini arrugginite e polverose che ci procurano un sottile turbamento emotivo.
In rue des Ursulines ha sostato a interrogare la facciata del palazzo che molti anni prima, al tempo degli assalti al cielo e delle verità in tasca, ospitava l’hôtel omonimo. Ha sussurrato al vento aspro del Nord un nome, Brigitte, quasi un addio assurdamente tardivo, o una riconciliazione posticcia con giorni disordinati e frenetici, scanditi dall’ansiosa attesa d’un messaggio della donna che, dopo aver accettato come omaggio alla sua bellezza il biglietto del treno Avignone-Parigi che lui le aveva procurato, era sparita senza lasciar traccia, inghiottita dalla solitudine multipla della metropoli.
Nubi nere come carbone e gonfie come la pancia d’un mulo costipato hanno colonizzato il cielo. Allunga il passo per sfuggire alla minaccia di pioggia imminente, che tuttavia scroscia implacabile mentre s’affretta in rue Saint-Jacques, inzuppandolo da capo a piedi prima che potesse raggiungere l’hotel dov’è alloggiato. Grondante d’acqua e di ricordi, di nessun conforto gli è il sorriso di solidarietà dell’impiegato della ricezione, che gli allunga la chiave della sua camera borbottando qualcosa sul tempo che pare impazzito in questi giorni di fine maggio.
L’Unione Europea non è in crisi, ma è crisi. Certuni parlano di “avanzato stato di decomposizione”. Anche non volendo essere così categorici nella diagnosi, dobbiamo comunque riconoscere che la disfunzionalità della UE è enorme. L’avvitamento “tedesco” sulle istituzioni europee, i suoi burocrati piazzati nei posti che contano a stabilire l’orientamento di Bruxelles, sono sotto gli occhi di tutti. Naturalmente c’è voluta l’approvazione della direttiva europea sui salvataggi bancari (bail-in, che poi in genovese sarebbe belìn), per farci accorgere che c’è un interesse preciso da parte degli ambienti finanziari stranieri a mettere le mani sulle banche italiane.
Con l’acqua alla gola e la spada di Damocle del benservito sospesa sulla testa, l’ex rottamatore s’affanna nel cercare d’arrestare la marcia imperiale del buon soldato Schäuble.
E’ l’alba del 25 maggio 2014. Nel villaggio chiapaneco della Realidad all’interno della Selva Lacandona, dov’era nato con “un trucco di magia terribile e meraviglioso”, alle 2:08, hora suroriental, il personaggio Marcos ha cessato d’esistere, e con lui s’è dissolto l’ologramma corrispondente, quell'”ombra spettrale dal naso impertinente” che per vent’anni ha fatto parlare di sé i media di tutto il mondo. Sparito, in un soffio di vento, in un sussurro di fronde, assieme allo scarabeo parlante Don Durito e al vecchio Antonio, l’indigeno tojolobal che gli era stato maestro nella sua iniziazione alla realtà del mondo indigeno. Sparito, senza lasciare nessuno di quegli strascichi romantici che il teatro occidentale ama mettere in scena: “Non ci sarà nessuna casa-museo o targa di metallo dove sono nato e cresciuto. Nessuno vivrà dell’essere stato il subcomandante Marcos. Non si erediterà il suo nome né il suo incarico. Niente viaggi per tenere conferenze all’estero. Non ci saranno trasferimenti né cure in ospedali di lusso. Non ci saranno né vedove né eredi. Nessun funerale, né onorificienze, né statue, né musei, né premi, niente di quello che fa il sistema per promuovere il culto dell’individuo e sminuire quel che fa il collettivo. Il personaggio è stato creato, e adesso noi, i suoi creatori, gli zapatisti e le zapatiste, lo distruggiamo”: Queste le sue ultime parole, consegnate alla lettera “Entre la luz y la sombra” (En la Realidad, Planeta Tierra, Mayo del 2014).
La Realidad (anni prima)
La Gang suonava Comandante e lui ricordava i murales della Realidad. Gli sguardi attenti e profondi dei volti giganteschi di Zapata e del Che affrescati sul muro della scuola della comunità in resistenza seguivano con discrezione il gruppo di visitatori appena arrivato.
Erano diventati diffidenti gli sguardi dei due jefes guerriglieri da quando, tempo prima, la giornalista Lolita de la Vega era scesa sul villaggio a bordo dell’elicottero di Tele Azteca con l’arroganza d’un conquistatore d’altri tempi. Lo spostamento d’aria provocato dalle pale del rotore aveva abbattuto un albero e scoperchiato il tetto della scuola, mentre alcuni pezzi di lamiera erano schizzati via ferendo alla testa un bambino indigeno. E se n’era andata, la giornalista, dopo aver intervistato alcune basi zapatiste e realizzato il suo reportage, che Tele Azteca avrebbe mandato in onda tra uno spot pubblicitario e l’altro. Era pagata per questo, e il suo impegno finiva lì, senza farsi coinvolgere in alcun strascico emotivo.
Ma loro, invece, in quel villaggio dove un ritmo diverso scandiva il battito del cuore di chi non ha nulla se non dignità e ribellione, loro che cosa erano venuti a cercare? Quale stillicidio di passioni, quali labirinti di specchi avevano portato fin lì quella dozzina di europei, e quali grumi di rovelli speravano di disciogliere al calore estenuante della selva?
La ricerca delle assi per allestire il tavolo e la preparazione della cena li impegnò a fondo, poi lo stonato sfrigolare di canzoni sull’allegria della sobremesa finì col rinviare al giorno successivo le risposte.
L’alba si levò che il sole era già vecchio per gli abitanti del villaggio, e loro si dovettero sbrigare perché il viaggio di ritorno sulla combi malconcia sarebbe stato lungo e snervante. Il vento, un vento fanciullo nato tra i rami frondosi della vecchia ceiba, indugiava incerto sulla direzione da prendere, e nel frattempo si divertiva ad arruffare capelli e pensieri di quei gringo alle prese con le loro incognite.
Le bocche di dodici zaini ingoiarono in disordine indumenti, posate, amache, libri e le tovagliette di cotone acquistate la sera prima dai bambini della Realidad, sulle quali le donne indigene avevano ricamato la fierezza del loro popolo. Nelle viscere degli zaini finì anche la manciata di domande che nessuno di loro riuscì a formulare. Perché il tempo non c’era per mettersi a fare della filosofia, e la vita della comunità non li comprendeva. Perché le cose prendono sempre una piega diversa da come ci immaginiamo che vadano, e quel gruppetto di gringo curiosi e inquieti non era diverso dai tanti altri arrivati al villaggio immaginando un santuario dov’erano solo baracche col tetto di lamiera zincata e un ruscello dalle acque cristalline, in cui gli uomini della comunità si bagnavano lontano dalle donne.
Impettite sotto uno spesso strato di polvere grigia, le begonie della Realidad parevano accompagnare il rientro a San Cristóbal dell’automezzo tappezzato di fango e ruggine che aveva portato alla Realidad (o forse si doveva scrivere realidad, ripetendo l’oramai logoro gioco di parole?) i dodici visitatori esausti, dai gesti intorpiditi e dallo sguardo ancora assonnato per la levataccia, mentre il rosso omaggio floreale si stava lentamente trasformando nella candida despedida delle ultime begonie.
Ritorno audio
– Nel suo intervento alla Camera il Presidente del Consiglio ha rassicurato i nostri partner europei che l’impegno sul vincolo di bilancio verrà rispettato e che nel suo prossimo viaggio a Bruxelles del 15 maggio sottoporrrà alla Commissione Europea il piano per la crescita approntato dal governo italiano. Il piano prevede tagli alla spesa pubblica dell’ordine di tre miliardi di euro necessari a finanziare la cassa integrazione in deroga che scade a dicembre e autorizza il pagamento della prima tranche del debito pregresso che la pubblica amministrazione ha nei confronti delle imprese…
Chiedo alla regia di togliermi il ritorno audio nell’auricolare
come dicevo i tagli riguardano i settori della pubblica amministrazione, della sanità e dell’istruzione. Sono finalizzati alla migliore razionalizzazione degli interventi dello Stato, con conseguente eliminazione degli sprechi delle risorse pubbliche in quei settori, che un recente studio della Confindustria…
Segnalo alla regia che ho ancora il ritorno audio nell’auricolare
dallo studio effettuato dal Centro-studi della Confindustria il 6 aprile scorso risulta che la cattiva amministrazione dello Stato ammonta, a considerare i soli settori dell’istruzione e della sanità, a una cifra pari a 1,8 miliardi. Questi sprechi sarebbero facilmente eliminabili varando misure di contenimento della spesa pubblica…
PREGO LA REGIA DI PROVVEDERE A TOGLIERMI QUESTO FASTIDIOSO RITORNO AUDIO CHE M’IMPEDISCE D’ASCOLTARE LE MIE PAROLE
anche i mercati hanno perso la turbolenza che ha caratterizzato lo spread in quest’ultima settimana, e dopo il discorso alla Camera dei Deputati del Presidente del Consiglio paiono più rassicurati. Va inoltre registrata la positiva performance della borsa nelle ultime due sedute, che ha portato il segno più all’incasso di ben 2,3 punti di percentuale…
Ora basta, perdio! E vaffanculo! fanculo al ritorno audio, all’austerity, alle inesistenti misure per la crescita, ai governi succubi degli eurocrati di Bruxelles, al terrorismo dello spread! Fanculo!
Non passò più d’un secondo che il giornalista si rese conto d’averla fatta grossa. Avrebbe preferito sprofondare sottoterra piuttosto che sclerare a quel modo. Per sua fortuna, il servizio non era in diretta. Alla solenne lavata di capo del direttore del telegiornale, contrappuntata dalle scuse penose del giornalista, da giustificazioni balbettate con faccia avvilita, dalla sua stessa condanna di quel suo comportamento inqualificabile, indegno d’un professionista, fece seguito un mese di sospensione senza emolumenti dal lavoro. Quindi la parola buona dello zio sottosegretario agli Interni, fatta arrivare con discrezione a chi di dovere, derubricò la gravità politica di quelle esternazioni a increscioso episodio di stress provocato da temporanee difficoltà di rapporti in ambito familiare.
- c) Rue du Sommerard
Attraversò la quiete verdeggiante d’un piccolo parco nell’ora meridiana a ridosso del calembour del tempo. Di fronte, il vecchio ristorante tunisino Chez Sophie dai prezzi contenuti dove era solito recarsi s’era trasformato in uno sconosciuto Chez Jaafar. Peccato per lo yogurt, era squisito, si rammaricò nell’allontanarsi.
Linguaggio da blogger ben costruito. Mi domando se questa svolta letteraria sia dovuta a scelte estetiche ben precise, oppure se son derivati della scrittura tecnologica. Derivati, non derive. Io, per apprezzare la validità di un mezzo espressivo ( video, cinema, arte, poesia e persino pittura), mi baso su quel che viene mostrato, detto, scritto; se il gioco valga la candela (espressione è di origine medievale. Del XVI secolo secondo altre fonti). Oggi però la fascinazione del mezzo pare superiore al contenuto: forse perché lo posticipa a un futuribile che, ovviamente, sarà migliore del tempo presente. Secondo me dovremmo interpretare il futuro, non leggendo dentro la sfera di cristallo, bensì nell’uovo ( per me, sodo) come fece Colombo. Altra metafora il pianerottolo: sei arrivato allo speaker? bene: sei al piano 16. Ci scusiamo per l’ascensore che è ancora guasto.
A parte gli scherzi, ho letto volentieri. Poi Parigi è sempre una bella cornice.
…queste pagine del diario di Italo Lo Vecchio sono scritte con il solito brio e smalto, ma vi traspare un tale senso di ripiegamento e di sconfitta, come vedere calare il sipario su tutto quanto fosse apparso promettente e bello…Gli scenari più diversi passano in rassegna… luoghi, anche della mente, dove in un tempo piuttosto recente si è accesa una speranza di rinnovamento dell’uomo, ora desolati. Personaggi, fatti e propositi “…al tempo degli assalti al cielo e delle verità in tasca…”caduti nell’oblio, dei quali resta solo “…un defilé di immagini arrugginite e polverose…”. la considerazione di un crescendo di disastri internazionali ed nazionali, dovuti a governi corrotti e ingiusti, che ci riguardano da vicino, in Europa in Italia, alla fine fa definitivamente perdere le staffe allo scrittore…Anche le opere d’arte e la bellezza sono concetti da rivedere ed integrare alla luce della storia…Ma la nota più cupa, secondo me, è il dubbio espresso dallo scrittore circa la sincerità delle parole di incoraggiamento di Ulisse ai compagni nell’inferno dantesco: “Fatti non foste a viver come bruti…Sulla natura stessa dell’uomo
@ mayoor
Grazie per la lettura partecipata. Quanto alla scherzosa osservazione: “Linguaggio da blogger ben costruito. Mi domando se questa svolta letteraria sia dovuta a scelte estetiche ben precise, oppure se son derivati della scrittura tecnologica”, la scrittura “tecnologica” vi gioca evidentemente un ruolo, non a caso utilizzo spesso come spunto argomenti d’attualità (politica. economica), tratti dalla rete, però mescolata alla allure da diario (eclettico) di questi frammenti. Un diario alla… Céline (mi viene adesso in mente, sarà forse che ultimamente sono condizionato dalla sua lettura, da me colpevolmente rinviata per anni).
@ Annamaria Locatelli
non ci avevo pensato, ma la sequenza di questi frammenti, così com’è venuta fuori, sa molto di ripegamento e di sconfitta. Del resto, qui prevalgono i ricordi, col loro senso (biografico e politico) un po’ opprimente.
Chi avesse scritto per l’emozione di aver letto Céline, negli anni ’60, non avrebbe certo prodotto uno scritto come questo, con questi ambienti e gli stacchi. Cambia il contesto e anche lo stile. Ridotto in solitudine, il ribelle viene salvato da una raccomandazione. Ai tempi di Céline potevi dirti ricco se avevi da fumare ogni giorno. Ma non farci caso, sono pensieri. Il racconto mi è piaciuto.
Godimento eccellente. Riservato a pochi. Quelli ripiegati di Annamaria, quelli orrorificati consapevoli degli altri tre. Destinati all’estinzione: bellica? o islamista? volontaria o necessaria? E resistere, resistere, resistere, per salvare memorie e fantasia, per trasmettere a chi? Dopo aver interrogato il computer, il giovane commesso della libreria comunica che né né con rincrescimento. Chissà se i tre lo avevano previsto.