DIALOGANDO CON IL TONTO (4)
Me lo aspettavo che non avrebbe perso l’occasione per colpire. Infatti da poche ore i sindacati confederali avevano indetto: “L’apertura formale di una grande vertenza sulle pensioni”, che trovo appeso al cancello di casa un manifesto scritto a caratteri cubitali che ripete, con una serie di punti interrogativi artisticamente disposti, lo slogan della mobilitazione: “A testa alta: tutti insieme per rivendicare diritti e dignità dei pensionati”.
Mentre guardavo sconsolato la scritta dicevo fra me e me: l’età delle rivoluzioni culturali è defunta da decenni, anzi qualcuno si chiede se mai sia esistita; manifesti politici non se ne trovano più in giro se non dei mesti lenzuoli che, ogni tanto si vedono sventolare su qualche cavalcavia, ultima memoria di scadenze matrimoniali o innamoramenti ormai perduti nel tempo. Perciò ero lì che mi domandavo chi mai potesse essere quel buontempone che, nella ristretta cerchia dei miei amici, avesse avuto la balzana idea di riprendere una tradizione morta e sepolta e farmi fare una simile figuraccia nel quartiere.
Mi avviavo a togliere tanto obbrobrio che inizio a sentire qualcuno che sbatte una vecchia latta e suona, in quel modo stridulo che non ho mai sopportato, un fischietto. Si tratta di rumori che sono il segno di ben altri tempi quando la presenza degli operai nelle piazze faceva sentire il peso del mondo del lavoro. In quella fase storica i lavoratori avevano conquistato una serie tutt’altro che disprezzabile di diritti e di garanzie che nei decenni sono stati, l’uno dopo l’altro, erosi e fra essi anche una serie di non piccoli riconoscimenti per coloro che, finito il ciclo lavorativo, avevano la possibilità di andare in pensione senza dover vedere se stessi come meri strumenti del ciclo del capitale e perciò come strumenti dismessi, pure sopravvivenze in attesa di una biologica e definitiva rottamazione.
Dicevo che sento tanto tramestio che in una via piccola, come è quella in cui abito, dove non passa quasi una macchina, è ancora più assordante e vedo un mio amico, uno a caso, che si presenta davanti alla porta come un uomo sandwich con una scritta sul petto che è tutta un programma:
“Ma se sono stati loro, i signori dei sindacati, i primi a calare le braghe???”.
Che fare se non dire:
“Tonto perché ti è venuta la brillante idea di realizzare questa carnevalata? … In più se non erro Carnevale è già passato da tempo. In ogni caso vieni dentro che ne parliamo con calma, non è il caso di dare vita a una manifestazione pubblica … Qui fra l’altro sono tutti conservatori, pensionati moderati che se possono giocano in borsa per lucrare qualche cosa … sfruttando ancora un poco il lavoro super precario che i giovani realizzano grazie alle nuove leggi sulla flessibilità …”.
“Cosa vuoi – mi risponde il Tonto con il suo sorriso disarmante – quando ho letto le motivazioni della manifestazione indetta dai sindacati non ho potuto che pensare: dove vado a sfogarmi? Tu sei un bersaglio troppo ghiotto e allora ho pensato che visto che loro faranno la manifestazione nazionale io avevo il diritto di fare una mia manifestazione personale”.
“Sia pure, ma non ti pare di eccedere?”
“Hai letto le motivazioni con cui spiegano la loro “grande”, perché non può essere men che “grande”, mobilitazione?”
“Ovviamente no! … Sfiducia, disinteresse, non so dirti … ma non riesco a crederci e a trovare la forza per mobilitare le mie scarse energie in queste attività di lettura”.
“Allora sarò io a ripetertele, anzi a leggertele, anche se non sono molto diverse da quelle di qualche anno fa … tutte ripetute infinite volte e poi con altrettanta rapidità cestinate visto che anche una manifestazione della “moltitudine sindacale”, per quanto grande sia, vale per quei minuti in cui resta all’ordine del giorno sui giornali e nei media e poi viene rapidamente cestinata …
Allora, i sindacati ci vien detto “lotteranno” con pervicace volontà, sia chiaro sempre con “indomita” volontà, per la: “difesa delle pensioni di reversibilità; tutela del potere d’acquisto delle pensioni; recupero del danno prodotto dal blocco della rivalutazione; separazione tra previdenza e assistenza; uguali detrazioni fiscali per lavoratori dipendenti e pensionati; estensione degli 80 euro alle pensioni più basse; modifica delle legge Fornero per facilitare la flessibilità in uscita e permettere l’entrata dei giovani nel mondo del lavoro; maggiori risorse per l’invecchiamento della popolazione e una legge quadro per la non autosufficienza”.
“Manca solo – mi permetto di dire – che si propongano di spostare la rotazione di Marte e realizzare una modificazione del moto della Luna”.
“Sì – dice il Tonto che una volta tanto mi pare davvero incazzato – è una serie di richieste che fa pensare fin dall’inizio all’Armata Brancaleone. Si sono solo dimenticati di chiedere “tutto il potere per il popolo” che il resto c’è in sovrabbondanza …
Poi quando li vedi manifestare è spesso una cosa che ti fa provare una stretta al cuore.
L’ultima volta mi è capitato di trovarli relegati, qui in città, su una scalinata, pochi burocrati e qualche estremo reduce, messi in una specie di riserva indiana, un poco come fanno in Inghilterra quando i manifestanti vengono rinchiusi in spazi ben delimitati con quei rotoli di plastica bianchi e rossi che la polizia usa per definire gli spazi in cui non si può entrare perché si stanno svolgendo indagini su qualche delitto”.
“Insomma Tonto sei sempre fra quelli che dicono no, gli eterni insoddisfatti …”.
“Come si fa ad essere soddisfatti? Grazie alla inazione di questi signori, che con il loro buon senso hanno abituato i lavoratori ad accettare tutto … è stato quasi smantellato un intero sistema di difesa del mondo del lavoro. Sono riusciti a convincere la gente che il conflitto generazionale era la causa della crisi economica e che i vecchi derubavano i giovani. Poi hanno raccontato che flessibile è bello, poi che ognuno deve essere imprenditore di sé e che lo stato doveva essere smagrito perché privato è bello. In questo modo passo dopo passo tutto è diventato aggredibile dalla fame infinita degli speculatori e dei profittatori di ogni tipo e colore.
Pensa solo a due punti di questo libro dei sogni. Quello in cui parlano di “maggior risorse per l’invecchiamento” … Ma se invecchiare è quasi diventata una colpa? E poi le risorse dove le trovano visto che, colpo dopo colpo, perfino il sistema sanitario lo stanno smantellando; diventa sempre più privato o semiprivato e se si vuole una visita specialistica bisogna pagare o attendere tempi geologici.
E poi la legge Fornero? Ma con quale faccia tosta ne parlano se quando fu votata non venne indetto uno straccio di sciopero in nome della “responsabilità””.
“Sì, rammento bene. Fu una pagina fra le più tristi della storia di questo parlamento e di questa classe dirigente. Una casta di privilegiati del tutto cinici, un ministro piangente durante una fra le più incredibili conferenze stampa di tutta la storia repubblicana … Il tutto degno di una pièce di quart’ordine. Che tristezza … Ma ciò detto che fare?”
“Lo ammetto siamo in un cul de sac … Vedremo cosa riusciranno ad ottenere da un governo che nella sostanza sostengono e che in due anni li ha nei fatti totalmente delegittimati schierandosi apertamente dalla parte dei padroni, di Marchionne e della Confindustria … Forse una “grande manifestazione” riusciranno a imbastirla ma poi … nulla di più. E te lo dico con una stretta al cuore. Mala tempora currunt …
Per cui se ben capisco non verrai a Roma. Io nonostante tutto se solo posso ci andrò. E’ quella duplicità del mio volto che non sono mai riuscito del tutto a risolvere. Le due maschere quella di Tony e quella del Tonto, come dite voi … Me le porterò dietro anche questa volta e se mi vedrai tornare il 20 maggio depresso non farci caso … E’ la vita”.
L’ho visto uscire alla chetichella quasi senza salutare e non era di buon umore.
Devo riconoscere che mi dispiaceva lasciarlo andare, ma esiste fra di noi un codice non scritto che rispettiamo.
Domani in ogni caso è un altro giorno …
12 maggio 2016
…Tonto e professore sono in aperta sintonia, difficile anche con tutta la buona volontà dell’idealismo, negare l’evidenza…I sindatati della situazione italiana, che pur dichiarano disastrosa, hanno diverse responsabilità e lemanifestazioni, da loro indette, dove il copione si ripete alla “molto rumore per nulla” e tutti sembrano recitare una parte scontata, aprono soltanto “il libro dei sogni” che non si realizzerà mai. Dei clichè che si ripetono di tempo in tempo, come la festa del primo maggio per il lavoro che non c’è. Burattini e spettatori di un palcoscenico senza sorprese. Tuttavia penso che un sogno si stia realizzando sotto i nostri occhi, è quello della decrescita “felice”…della popolazione: i giovani con occupazioni precarie non riescono ad avere la sicurezza economica per enerare figli e si assiste alla diminuzione della natalità, i vecchi con pensioni da fame non possono accedere a visite specialistiche ( sempre più in mano al privato), medicinali, vaccinazioni e la speranza di vita diminuisce…Diventiamo noi gli scarti da eliminare, mentre il sistema si rinforza. Mi sento tanto il Tonto (Tony), perchè anch’io da diversi decenni ho in tasca una tessera sindacale, presa forse in tempi migliori..
Probabilmente sono io che non comprendo bene l’ironia e equivoco il senso ma non posso fare a meno di esplicitare qualche riflessione sulle affermazioni di questo “tonto”, che di cose inesatte e false ne dice molte:
– che la precarietà nelle normative del mondo del lavoro l’abbiano realizzata i sindacati, quando invece concretamente sono i governi e le forze politiche a farlo approvando le leggi specifiche in parlamento. Sicuramente l’azione di contrasto non fu adeguata ma solo per fare un esempio la grande manifestazione del 2002 a Roma era contro anche le politiche del lavoro di quegli anni (legge biagi, riforma Maroni ecc. ecc.);
– che in occasione della legge Fornero non furono fatti scioperi e manifestazioni. Non è vero, anche in questo caso non furono adeguati come molti nella stessa CGIL ritengono e io fra questi, ma in occasione della manovra Monti del 2011 il 12/12 si tenne lo sciopero generale e manifestazioni in tutta Italia; In ogni caso non capisco perchè il principale imputato della perdita progressiva dei diritti sociali in questo paese sia sempre e solo il sindacato mentre di altri corpi sociali in questo senso non si parli mai…che so, il no profit, gli operatori culturali, il volontariato, la “società civile”…
– non so della Cisl e della Uil ma dire che la CGIL sostenga questo governo contro il quale ad ottobre abbiamo fatto una manifestazione nazionale e poi uno sciopero generale ed ora stiamo raccogliendo le firme per un nuovo statuto dei lavoratori e per 3 referendum abrogativi degli articoli maggiormente rappresentativi del jobs act, mi sembra una affermazione che non trova riscontro nei fatti;
– è facile ironizzare sulla piattaforma della manifestazione di ieri, forse perchè non ci si rende conto (o non se ne ha la necessità materiale) che se solo qualcosa di quello che viene indicato trovasse applicazione normativa la condizione di vita quotidiana di molte persone cambierebbe da subito; magari di poco ma qualcosa cambierebbe (detrazioni e perequazione solo per fare un esempio);
Io non credo che il compito del sindacato sia quello di fare la rivoluzione ma in ogni caso, senza arrivare a tanto, per quale motivo un tentativo di modificare la realtà farebbe parte del libro dei sogni? qual’è invece la proposta alternativa? Stare a guardare la deriva in attesa che tornino i tempi politici per farle? Rispetto chi fa questa scelta ma non è la mia. Con questo non mi sottraggo e non sottraggo l’azione sindacale alla critica anche aspra e sono disponibile su questo a rimettere in discussione le mie convinzioni davanti ad altre argomentate opinioni. Con la derisione mi riesce più difficile…
…la presenza dei sindacati comunque rappresenta una voce dalla base e, se aboliti, saremmo in piena dittatura, come durante il fascismo…Tuttavia la libertà di pensiero e di parola se non è accompagnata da una forza contrattuale preventiva in grado di orientare e incidere sulla situazione sociale del lavoro e dei pensionati, perde il suo significato di difesa e di garanzia dei diritti… Iniziative sindacali e manifestazioni di protesta avvengono sempre a cose fatte, quando è troppo tardi. Ieri ho ascoltato alcuni pensionati nelle piazze e mai ho sentito discorsi in cui i vecchi si dichiarano collegati ai giovani da un filo comune di sopravvivenza. Un pensionato diceva che era lui a mantenere i giovani disoccupati di casa…Ho pensato ” e quando non ci sarà più?” Allora che si proponga la reversibilità anche per i figli almeno …Prolungare l’età pensionabile è stato un grosso errore, ma perchè accorgersi solo ora? ” E’ squallido essere giovani perennemente a carico di…Forse la rivoluzione la faranno loro, i giovani, tra qualche anno e per necessità, non per ideologia. Lo dico amaramente…
Sulle riflessioni di un “ tonto “
Quando ci si accinge ad affrontare problemi seri e complessi come l’attuale crisi economico-sociale,la disoccupazione, i rapporti politici tra cittadini \ formazioni sociali intermedie
( partiti, sindacati..) e Stato,strategie contro povertà ed emarginazione penso sia meglio lasciar perdere strumenti metaforici di comunicazione come apologhi,fiabe, racconti di fantasia etc. Più produttivo e meno fuorviante tentare analisi dirette e centrate su obbiettivi ben definiti. Ho attraversato esperienze piuttosto importanti nel campo del Diritto del lavoro.
La mia attività professionale di giudice di tale settore ha occupato gran parte della mia vita lavorativa. Sono passato dall’applicazione delle scarne norme del Codice civile alla stagione delle “ riforme davvero epocali “ ( come oggi si dice di qualunque novità innovazione ): Legge 604/1966 ( che ha visto l’introduzione del principio di legalità applicarsi anche al recesso-licenziamento ); Statuto dei lavoratori ( 1970 ); Legge sul processo del lavoro ( 1973 ). Quale estremo succo ho ricavato per quanto riguarda la posizione dei Sindacati ? Non ho mai riscontrato un arretramento di essi rispetto ad alcuni principi ispiratori e fondamentali per la loro stessa esistenza ( il conflitto pressocchè “ fisiologico “ tra capitale e lavoro ). Se vi è stato un qualche “ tradimento “ dei princìpi ispiratori della loro azione si è trattato di episodi isolati, casi personali. Oggi cosa sta succedendo che giustifichi critiche a volte feroci verso di essi ? Per stanchezza, delusione,prevalenza di altri interessi non mi occupo più in modo approfondito dei problemi del lavoro ma qualche considerazione generale desidero farla. Non si può affrontare tale tipo di questioni ( e più in generale ogni questione relativa a difficoltà del presente ) cercando a tutti i costi un responsabile, individuato in questa o quella entità più o meno fantasmatica . Bisogna, penso, articolare le critiche attraverso argomenti che tengano conto della complessità del tempo presente. Si può pensare che i Sindacati non siano , come tutti noi, influenzati da tali complessità ? I rapporti economici sono profondamente mutati, mutati perché è mutata profondamente non solo la struttura produttiva ma anche la struttura sociale. Il capitalismo non è morto ma ha trovato altre modalità di organizzazione e di questo è necessario tener conto. Un esempio per tutti è quello delle possibilità che, oggi, offre il mercato globale e – quasi paradossalmente – quel principio di libera circolazione di soggetti e merci che si suole ascrivere a dato positivo del nostro tempo. E’ un aspetto che implica – da parte del sindacato – una reale difficoltà nell’affrontare un certo tipo di difesa del “ posto di lavoro “. Si può accusarlo di debolezza o altro ? Non mi interessa parteggiare a favore o contro qualcuno. Non c’è esercizio più semplice che optare, a parole, per uno schieramento. Bisogna, penso, porre domande serie, dare risposte argomentate. Come può utilmente reagire un sindacato contro una situazione che implica una sua reale debolezza che non è stata da esso provocata ? Proseguo, solo a titolo di esempio, sul problema delle dislocazioni produttive in paesi diversi dallo Stato nazionale. Tale pratica – un tempo meno facile e meno lucrosa di
oggi – è diventata, oggi, uno strumento diffusamente utilizzato dal nuovo capitalismo. Vi sono poche strategie tradizionali che possano combatterlo. Ma si tratta di un fenomeno del quale è impossibile identificare “ i responsabili “ e facile farne arma per colpire un qualsivoglia bersaglio. E’ l’analisi delle cause di esso ,la conoscenza dei suoi meccanismi ,l’elaborazione di strategie adeguate ( che necessariamente implicano anche “ compromessi “ se non si opti per la radicale azione rivoluzionaria ) il cammino da percorrere. Gli esempi possono moltiplicarsi ed essi riguardano molti aspetti della “ vita reale “, anche i più minuti. Di fronte ad essi si diventa davvero “ tonti “ e in questo senso mi assumo tale veste.
Lavoro come volontaria presso la CGL di Saronno.
Quanta gente per strada, parla male e critica aspramente il sindacato! E poi me li ritrovo tutti là , a fare domande, richieste, disoccupati ,invalidi, extracomunitari in difficoltà (il Comune ha chiuso gli sportelli agli extracomunitari) . I tonti , sì anche i tonti aiutiamo e con il massimo impegno.
Tanti ringraziano, ti stringono la mano. Poi non li vedi più , ma ne incontri altri…i problemi sono sempre gli stessi. Facciamo il possibile per sistemare le varie situazioni fino a dove la legge ce lo permette. Non è facile, ma noi ci crediamo.
@ Chiarei
Tu stesso ammetti l’inadeguatezza dell’essere contro *a parole* o *testimoniare* simbolicamente una posizione che manca di mordente pratico-politico. E questo vale non solo per chi si sente in obbligo di difendere i sindacati, ma per tutti gli insoddisfatti o gli oppositori o i dissenzienti (me compreso) al di là dei toni seri, pensierosi, sarcastici, aggressivi, violenti che ognuno per vari motivi sceglie. Quindi mal comune mezzo gaudio? Se Il Tonto avesse tirato in ballo anche « il no profit, gli operatori culturali, il volontariato, la “società civile”», il suo discorso l’avresti accettato di più? A me pare che la questione di forma sia del tutto secondaria.
L’ironia di Toffoli a me pare comprensibile: rivela un disagio e uno scetticismo abbastanza diffuso verso certe “manifestazioni di bandiera” o certe dichiarazioni che sembrano “grida manzoniane”. E non viene riassorbito dalla tua obiezione («se solo qualcosa di quello che viene indicato trovasse applicazione normativa la condizione di vita quotidiana di molte persone cambierebbe da subito»). Proprio perché anche i ciechi vedono che il rapporto di forze tra sindacati e governo (o governi vari che si succedono per fare la medesima politica restrittiva) non è più scardinabile con metodi “normali”.
Sì, ci vorrebbe proprio una “rivoluzione”, ma (purtroppo secondo me) non se ne vedono ancora le premesse. Nel frattempo, però, come si fa a far passare una manifestazione che al massimo esprime un mugugno presentandola come « tentativo di modificare la realtà». Diciamoci sinceramente che in Italia esiste ancora il *diritto al mugugno*, accontentiamoci di difenderlo e stop. Diciamoci che in Francia mugugnano un po’ di più, ma da noi non si può; e passiamo ad altri discorsi.
Se poi qualcuno pensasse ancora possibile «modificare la realtà» ci scriva in carta da bollo e ce lo dimostri.
@ Locatelli
Sì, il senso comune della gente che ancora un po’ di pensiero politico ce l’ha vede l’assenza di una vera «forza contrattuale» (di un movimento o dei sindacati, che, a mio parere, solo in parte hanno oggi una «base» e riescono a rappresentarne gli interessi). Ma perché non ce l’hanno più? Perché l’hanno perso?
@ Mannacio
Come quella di Chiarei, la tua critica si appunta troppo sulla forma scelta da Toffoli per esprimere un disagio/denuncia abbastanza diffuso. La comunicazione metaforica non sarebbe adatta a cose “serie” come le questioni del lavoro? E perché mai? Ci sono discorsi seri che ci permettono di capire di più?
Il disagio c’è. E mi pare un bene esprimerlo, anche se non basta.
Quanto al fatto che il capitalismo sia mutato e il sindacato sia più debole o abbia perso la forza che aveva in passato ( o che gli veniva in passato da un forte movimento di rivolta sociale?) è una constatazione quasi ovvia. In parole più povere, i rapporti di forza tra capitale e lavoro sono oggi a tutto vantaggio del capitale. D’accordo su questo. Ma che dice di più di un discorso ironico metaforico?
Non altrettanto d’accordo sono sullo scartare qualsiasi discorso sulle *responsabilità* (« si tratta di un fenomeno del quale è impossibile identificare “ i responsabili “») sostituendolo semplicemente con uno che a me pare generico (e un po’ giustificatorio) sulla « complessità del tempo presente».
Eh, no. Di gente che sulla complessità della nuova situazione (globalizzazione, mondializzazione) ha riflettuto e prodotto analisi ce n’è stata dalla fine del Novecento a questi primi decenni del Duemila. Penso – e volutamente alla rinfusa per indicare la varietà delle posizioni che hanno tentato di capire il “nuovo” o “nuovissimo” capitalismo e che ho quantomeno orecchiato – a Bauman, Revelli, Negri, La Grassa, Bologna, Bellofiore, Finelli,ecc.
Il difficile è selezionare queste varie teorie e farne venir fuori una politica che indichi anche – a me pare necessario – dei “responsabili”, cioè singoli o gruppi o lobby che hanno poteri di decisione e che usano la *complessità* a loro vantaggio e a scapito di altri (noi compresi).
Certo, bisogna evitare le semplificazioni o la ricerca di capri espiatori, ma questa *complessità* va analizzata, smontata. Non può restare un feticcio davanti al quale inchinarsi. O da usare per giustificare i sindacati, i governi, la cosiddetta “società civile” o noi stessi.
Un’attenta analisi storica delle scelte fatte da chi ha poteri decisionali da noi mal compresi ( anche di guerra, non dimentichiamolo) un po’ di responsabili *veri* li farebbe venir fuori. E permetterebbe di uscire dal vago, dal mugugno, dalla semplice testimonianza.
@ Banfi
Sì, come le Dame di San Vincenzo di una volta, “facciamo il possibile”. E questi ingrati continuano a mugugnare e neppure ci ringraziano!
Purtroppo gli altri, quelli che comandano davvero, fanno l’*impossibile*. Noi però siamo più bravi e continuiamo solo a fare il *possibile* «fino a dove la legge ce lo permette». Perché «noi ci crediamo», neh! (Dixi et salvavi animam meam)
@ Ennio Abate
Ennio tu giudichi, vieni a fare un giretto da noi , così tanto per renderti conto.
Sono certa che usciresti con idee diverse.
Non ho detto che pretendo ringraziamenti, ci mancherebbe altro! Ho solamente constatato che qualcuno si sente in dovere di ringraziarci . mi vuoi dire che male c’è?
E poi dove le mandiamo tutte queste persone ? A casa tua forse, troverebbero le risposte che cercano? O a protestare nelle piazze? fino a quando?
E’ facile guardare e dire questo non va bene, quest’altro è da dame di San Vincenzo…stai molto attento come fai a parlare perché l’Emilia s’incazza terribilmente. Non ho mai sopportato chi prende in giro chi cerca di aiutare le persone.
“Non ho mai sopportato chi prende in giro chi cerca di aiutare le persone” (Banfi)
Di gente in giro che dicono di aiutare le persone ce n’è sempre di più. Si vede che la miseria cresce, no? Sull’efficacia oggettiva di questi aiuti è bene indagare. E pure sulle ambivalenze . Basterebbe anche solo rileggere il capitolo su donna Prassede dei “Promessi sposi” o per fare più in fretta dare un’occhiata al suntino di Wikipedia (https://it.wikipedia.org/wiki/Donna_Prassede).
Ci dev’essere – ma non mi viene in mente – anche un buon film di Ken Loach su questi aiuti “umanitari” che convivono con l’opulenza dei ricconi. Se no da dove si prendono i soldi per “aiutare”? E anche sulle Ong molte sono le critiche.
Del resto non si fanno le guerre umanitarie per “cercare di aiutare le persone”?
Sarebbe bene, dunque, riflettere e ne verrebbero fuori delle … brutte.
Altro che incazzarsi…
Ho indagato , non sei l’unico che cerca di capire.
Nel frattempo io mi sento di fare ciò che posso fare e che mi sento in dovere di fare.
Il supermugugno.
A tutti.
Tutti ( me compreso ) ci troviamo in una situazione di aporie. Toffoli esprime il suo mugugno in un apologo. Chiarei ed io avvertiamo l’insufficienza delle modalità metaforico-satirico nell’affrontare i problemi complessi ; Emy da buona lombarda ci espone la sua esperienza pragmatica di aiuto. Poi interviene Ennio con una posizione problematica articolata in cui :
a ) si chiede perché la modalità satirica dovrebbe essere censurata; b ) afferma che il richiamo alla complessità del reale ( da me invocata ) è una sorta di autoassoluzione ,così come lo è la da me affermata impossibilità di individuare i responsabili della “ crisi “; c ) avanza l’opinione che Emy sarebbe una sorta di manzoniana Donna Prassede ( in sedicesimo ); d ) rileva che gli aiuti umanitari sono o possono essere un gigantesco imbroglio; e ) sottolinea che le proposte di miglioramento possibile sono “ grida manzoniane “ e infine f ) ritiene che della rivoluzione non se ne vedono, oggi, le premesse.
Come rispondere in modo correlato alle singole osservazioni ?
Trascuro il punto sub a ), del tutto irrilevante. Se si censura una forma di espressione la questione è risolta riconoscendo a ciascuno il diritto di esprimere opinioni secondo la forma che preferisce ( fermo restando il problema dell’efficacia ) e ad altri di criticare tale forma.
I punti successivi sono variamente connessi. Non prendo le difese di Emy che si difende da sé e affronto il problema da un punto di vista generale.
Il problema degli “ aiuti umanitari in senso lato “ ( da quello minimale costituito dall’elemosina a quello dei soccorsi internazionali ) è antico e, nel tempo attuale, ha acquisito aspetti sempre più concreti. E’ – a mio sommesso giudizio – un problema di filosofia morale, l’unico settore, sempre secondo me, che vale la pena di coltivare.
Se un mio simile sta, in senso reale, morendo di fame sulla strada ed ha urgente bisogno di cibo, lo lascio morire solo perché dietro di lui c’è un’organizzazione criminale che riscuote la tangente sull’elemosina che gli lascio ? La domanda non è provocatoria perché con essa provoco me stesso. Lascio in sospeso la risposta. Ma osservo che lo strale lanciato giustamente contro le varie Prassedi di turno rischia di andare oltre il bersaglio.
Lo stesso rischio si corre osservando – con una dose di verità – che le varie proposte che si avanzano contro le situazioni di crisi rischiano di essere grida manzoniane. E’ certamente vero, almeno in parte, ma che senso ha questo tipo di giudizio ? Detto ciò si resta al palo e si arriva al silenzio.
Riconosco che nell’avanzare, sempre e comunque, l’aspetto complesso e interconnesso della realtà contemporaneità v’è una sorta di tentativo di autoassoluzione, ma questo rilievo toglie forse alla contemporaneità la sua fisionomia ? No di certo. Vi sono connessioni dappertutto. Se acquisto un paio di scarpette sportive confezionate in Turchia sfruttando orribilmente
“ schiavi minorenni “ non entro nella catene delle cause e degli effetti ?
Sono stato drastico nel dire che è impossibile individuare delle responsabilità dentro tale catene,ma – integrando e correggendomi – faccio leva – per seguire il filo dei miei ragionamenti – su un fatto reale che ci ha turbato tutti e continua a turbarci: l’Ilva di Taranto.
Vi è stato un contrasto tra due “ beni “: il diritto al lavoro e il diritto alla salute, entrambi di rango costituzionale. Nella “ realtà” sono entrati in conflitto e nella “ realtà” si presentano interconnessi. In questa situazione se non si trova un criterio per troncare la catena causa-effetto il rischio è quello che io, precipitosamente, ho definito impossibilità di individuare i responsabili. La catena, in linea teorica( sarebbe ingeneroso chiedermi di più: almeno mi sforzo di indicare un percorso mugugnando nel cercarlo ), si spezza (ri )costruendo
la nozione di “ valore “ e(ri)costruendo una scala di essi. Si sceglie di volta in volta il valore che va salvato e si elaborano gli strumenti per ottenere tale risultato.
Alcune volte basta un’opzione esclusivamente morale. Non lesinerò l’elemosina al mio simile che muore di fame sol perché vi sta dietro una organizzazione criminale. A volte la scelta è più complessa , però non prescinde mai da un valore. A volte due valori equivalenti possono essere salvati entrambi con operazioni di ingegneria politica . Il possibile contrasto “ reale “
( vale a dire che si presenta nella realtà ) tra bene salute e bene lavoro ( Ilva ) si risolve con l’adozione di misure di sicurezza estreme. Le risorse si “ debbono trovare “
La ricostruzione della nozione di valore presuppone la ricostruzione di una società organizzata che si curi, prima di ogni cosa, dei valori. Il vero problema, a mio giudizio, è che la “ nostra società “ non si occupa di questo. La c.d società civile ( della cui nozione ne ho, lo dico, piene le tasche: è una nozione generica che allude ad una massa amorfa senza precise mete ) si deve riorganizzare in scuole, formazioni intermedie stabili ( partiti, sindacati etc ) che abbiano la capacità di elaborare quella scala di cui ho parlato. Credo che o si fa questo e si agisce in questo senso o” si muore “.
Infine Ennio accenna alla “ rivoluzione “. Se da un lato non so se la ritiene auspicabile ed entro certi limiti non mi interessa neppure saperlo, dall’altro faccio due osservazioni. La prima mi sembra addirittura ovvia: la rivoluzione è un mezzo e non un fine. Si torna ai valori o no ?
La seconda è che lo stesso Ennio accenna che per essa “ mancano allo stato le premesse”
Questa inequivoca e sotto certi aspetti onesta dichiarazione introduce due problemi. Quali sono queste premesse e quali sono gli strumenti per realizzarle ( perchè il dilemma è questo: le premesse dipendono da noi o no ? Se non dipendono da noi si finisce per affermare l’ineluttabilità di certi processi storici e dunque aspettiamo ). Il secondo problema: cosa facciamo “ nel tempo intermedio “ ? A meno che non si dica- ma non mi pare che Ennio dica questo – che dobbiamo aspettare l’inevitabile esplosione delle contraddizioni della società attuale ( tanto peggio tanto meglio ).
Sono partito criticando il mugugno e ricadendovi.
Constatazioni
In questo mondo dove l’umiltà è considerata un difetto , i valori sarà molto difficile trovarli.
Finchè si pensa di parlare solo con i cosidetti ”dotti” e si consigliano i suntini a chi si pensa non abbia mai letto il Manzoni….c’è poco da sperare in un vero e buon cambiamento.
Lasciamo comunque le proprie convinzioni a chi non riesce a capire quanto sia importante anche dare una mano ai bisognosi senza farsi troppe domande.
Vivo in questo mondo e rispetto tutti , ma chi ha un futuro senza sbocchi deve essere accolto, aiutato e soprattutto ascoltato. Le strade per darsi da fare sono molte ognuno scelga la propria .
…secondo me, non è detto che a fare il bene, tra l’altro un concetto relativo, siano solo coloro che lo dichiarano, altri senza ostentarlo magari lo praticano nell’ombra, come il Vangelo, ma anche solo la modestia o il buon gusto suggeriscono…Inoltre il gesto “buono” è messo in conto dai potenti che strumentalizzano così sia chi aiuta, rendendolo complice, sia chi è aiutato, togliendosi un peso, tuttavia lo ritengo necessario quando si tratti di dare una mano a molti a sopravvivere in una società ad ostacoli come la nostra, ma solo nell’ottica di una parità sventurata di situazione
Sono del parere che fare del bene stando nell’ombra , produca pochi effetti .
Il male viene propagandato in tutti i modi possibili, il fare del bene dovrebbe essere divulgato. Il messaggio del Vangelo è davvero un’altra cosa, in questa società ,se non ci si unisce per trovare i valori che ci permettono di aiutare e soccorrere chi ha bisogno o che soffre , non se ne caverà un ragno dal buco.
Darsi da fare e farlo alla luce del sole , è il modo migliore per ottenere risultati.
La politica non ci pensa, Il Vangelo ci raccomanda di fare ma non dire, intanto tutto prosegue come nei secoli dei secoli. Amen
…Emy, ho nominato il Vangelo come una fonte possibile di ispirazione per il comportamento, ma comunque in quanto laica non desidero essere nell’elenco di benefattrici-ori, se mai in quello “da povera a povera”…
Ok, Annamaria,
da poveri a poveri, uniamoci!!!
@ Mannacio
Scrive Giorgio (Mannacio): « Se un mio simile sta, in senso reale, morendo di fame sulla strada ed ha urgente bisogno di cibo, lo lascio morire solo perché dietro di lui c’è un’organizzazione criminale che riscuote la tangente sull’elemosina che gli lascio?».
Accetto – ma solo per un momento – di mettermi su questo piano di discorso. Lo considero solo in parte *reale*, perché decontestualizza il problema della povertà dalla storia del conflitto generale esistente in questa società (capitalistica o ancora caratterizzata dal dominio capitalistico). O, detto in parole più semplici, ci fa vedere il problema della povertà come dal buco della serratura, lasciando fuori il resto, che è determinante.
Accetto e rispondo: sì, faccio l’elemosina. Ma dopo averla fatta, sono del tutto insoddisfatto di me e della mia elemosina.
Perché? Di fronte ad un singolo caso (come nell’esempio) si reagisce all’ingrosso secondo la morale che uno si è costruito o a cui *per abitudine*, senza sottilizzare o ragionare a fondo, è rimasto legato. Ma ben altra cosa – molto più importante – è riflettere sulla povertà come problema sociale, politico e culturale; e sulle cause che la producono, sugli attuali rimedi o meccanismi di solidarietà che sono in vigore nelle nostre società. (Mai separabili da quelli di contenimento della minaccia che essa può rappresentare per i benestanti o i ricchi).
E lo si deve fare, si deve trovare il tempo per farlo, non prendere sottogamba l’opinione dei “dotti” in proposito. No, non basta dare l’elemosina o “dare una mano ai bisognosi senza farsi troppe domande” o “darsi da fare”.
Quello che uno pensa e fa nel caso citato da Mannacio rimane su un piano etico e resta del tutto indifferente o subordinato a quello che accade sul piano *reale*, quello sociale e politico, davvero decisivo.
Possiamo non fare i conti con le politiche economiche e sociali che accrescono o diminuiscono la fascia di povertà di una società?
Chi pensa di non occuparsene (o perché capire queste politiche è troppo complicato o perché, anche dopo che le si è capite, non si vede oggi come si possa migliorarle o, se insufficienti, contrastarle o cambiarle, a me pare come un mulo che, appena comincia la salita, non vuole più andare avanti e preferisce trottare solo in pianura.
E qui mi collego al discorso di Toffoli e del Tonto sulla questione della manifestazione sindacale dei pensionati.
Le critiche di Toffoli ai sindacati e le mie alla carità alla donna Prassede o alla stessa politica della Caritas o del volontariato o delle Ong – tradizionalissime ma niente affatto qualunquiste o da gente che ha la puzza sotto il naso o che non riuscirebbe a «capire quanto sia importante anche dare una mano ai bisognosi senza farsi troppe domande» – non sono un invito al silenzio o all’indifferenza.
Mostrano i limiti di questa solidarietà coi paraocchi, la sua *ipocrisia politica*, la sua complicità con chi persegue politiche miranti a un profitto che non viene ridistribuito a vantaggio dell’intera società. E dobbiamo dircelo: questa *ipocrisia politica* è tipica della Chiesa e anche di questo Papa che pur passa per “comunista” e anche – sempre per tener collegati i due temi – dei sindacati.
È su questo che nella discussione siamo *divisi*. Diciamolo pure tra filantropi mugugnanti, che – pragmaticamente e «senza fare troppe domande» – credono di aiutare i poveri o i lavoratori torchiati dallo smantellamento dello Stato sociale e epigoni altrettanto mugugnanti di una tradizione marxista e rivoluzionaria sconfitta che vedono quanto sia vano strappare briciole ai ricchi e ai potenti.
È vero siamo, come dice Giorgio, al «supermugugno». Non è una bella situazione. Credo che sarebbe sterile esasperare le divisioni tra noi riconducendole appunto a vecchi schemi della storia da cui veniamo ( riformisti/rivoluzionari). Mi sento solo di suggerire un approfondimento dei temi delle responsabilità politiche e della complessità. Ho accennato alle ricerche di vari pensatori citandoli alla rinfusa. Forse sarebbe il caso di conoscerle di più.
@Ennio.
Cerco di seguire il percorso argomentativo di Ennio che non mi convince prima di tutto là dove ricava da un esempio limitato la mia indifferenza o incapacità ad inserire il discorso povertà nel problema delle cause complesse e interagenti ( economiche, sociali, politiche ) della povertà. Il mio esempio – come è evidente dal contesto – serviva solo a concludere che di fronte ad alcune situazioni ( una era appunto una situazione di povertà individuale ) la scelta del’intervento su di essa non può prescindere : a ) dalla posizione di un criterio di scelta; b ) dall’individuazione di uno strumento efficace. Certo ho indicato un “ valore etico “, coerente con l’esempio, ma non capisco perché la povertà come fenomeno collettivo non potrebbe essere affrontata secondo un diverso ( ancorchè analogo ) principio etico. Il “ governo della città “ può prescindere dalla posizione di tali valori ? Io credo di no.
Di fronte al problema delle cause della povertà e dello sfruttamento si hanno opinioni diverse. Non ho nessuna difficoltà a prendere per buona – se non altro per non bloccare sul nascere ogni approfondimento – cha tale situazione dipenda dalla concentrazione in capo a pochi degli strumenti della produzione, ma raggiunto tale traguardo provvisorio che si fa ?
Quali sono gli strumenti per eliminare tale causa? Non capisco se Ennio ritenga necessaria
la proprietà comune di tali mezzi ma, ancora una volta, aderisco a tale ipotesi. Il problema si sposta su come attuarla. Ci sono sicuramente esempi di società organizzate secondo tale schema. Se non sbaglio- ma sono pronto a ricredermi – si tratta di società ristrette caratterizzate da isolamento geo-politico –culturale ( comunità religiose o arcaiche ). E’ auspicabile un simile modello e- se sì – è realizzabile? Questa risposta implica necessariamente l’esame concreto della struttura attuale del mondo in cui viviamo. O si pensa ad un possibile ritorno “ all’antico “,ammesso e non concesso che fosse l’età dell’oro? Il richiamo al “ modo rivoluzione “ che risuona spesso nei testi di Ennio ( ci tornerò ) sembra accennare al fatto che uno schema “ comunista “ nel senso sopra implica una certa dose di violenza e cioè di dissenso di una determinato gruppo di consociati. Se ciò è vero dovremmo concludere- secondo ragione – che vi sono impulsi ulteriori rispetto a quelli che determinano in altre circostanze esperienze schiettamente comuniste, impulsi che si ritengono, in tesi, dominabili e indirizzabili in direzione diversa. Lascio aperto tale filone di indagine osservando però che il traguardo auspicato dal pensiero comunista ( Ennio mi corregga se sbaglio: gliene sarò grato ) di un comunismo necessariamente universale è una interessante spia del carattere “ radicale “di tale pensiero ( radicale come comprendente ogni aspetto dell’uomo ,cioè:nell’affermazione che ogni aspetto dell’uomo possa essere dominato ) . Il pensiero di Ennio mi sembra incompleto nei suoi sviluppi laddove da un lato afferma che per la
“ rivoluzione “ ( non si sa se temuta o sperata ) mancano i presupposti ( quali ? ) e dall’altro – costatata sul piano storico l’ inefficacia della rivoluzione comunista – ci si arresti a questa conclusione negativa non pensando neppure ad altre strade.
Le rivoluzioni non sono affatto esperienze negative se si estraggono da esse i principi ( etici ) che le hanno determinate e,penso, tra questi principi ve ne sono almeno due ( eguaglianza e libertà ) che mi sembrano particolarmente fondanti. Si tratta – a questo punto – da un lato di determinare il loro contenuto concreto e, dunque, la loro interazione ( implicante anche conflitto ) e dall’altro di elaborare strumenti per la loro realizzazione.
Se si esclude in via di principio la possibilità di esperienze comuniste o se ne osserva pragmaticamente la mancata attuazione nel reale, bisogna guardarsi in giro, prendere atto di altre e meno infelici esperienze, elaborare altre strategie e così via.
Il mio pensiero è sicuramente incompleto ma non ne nascondo i suoi presupposti dai quali ciascuno può trarre le conseguenze che preferisce.
@ Giorgio [Mannacio]
« Il pensiero di Ennio mi sembra incompleto nei suoi sviluppi laddove da un lato afferma che per la “ rivoluzione “ ( non si sa se temuta o sperata ) mancano i presupposti ( quali ? ) e dall’altro – costatata sul piano storico l’inefficacia della rivoluzione comunista – ci si arresti a questa conclusione negativa non pensando neppure ad altre strade»
Certo che il mio pensiero (che ha fatto finora riferimento alle esperienze marxiste e comuniste) è oggi quanto il tuo ( che – mi pare – faccia riferimento a quelle – non saprei dire meglio – “liberal-socialiste”) incompleto e insoddisfacente.
Se non lo fosse, non avrei scritto cautamente e con un po’ di disperazione: « È su questo che nella discussione siamo *divisi*. Diciamolo pure tra filantropi mugugnanti, che – pragmaticamente e «senza fare troppe domande» – credono di aiutare i poveri o i lavoratori torchiati dallo smantellamento dello Stato sociale e epigoni altrettanto mugugnanti di una tradizione marxista e rivoluzionaria sconfitta che vedono quanto sia vano strappare briciole ai ricchi e ai potenti».
Escludo però, qualsiasi «ritorno “all’antico”» (qualunque cosa si possa intendere con questa formula: ad es. «società ristrette caratterizzate da isolamento geo-politico –culturale ( comunità religiose o arcaiche») che ignori o conduca in modi approssimativi «l’esame concreto della struttura attuale del mondo in cui viviamo», che è appunto *complessa*.
E pertanto l’idea di rivoluzione, mancando tale esame, si riduce ad un auspicio soggettivo o, se si vuole, ad un’idea regolativa che desumo dalla lettura della storia umana e che mi convince di più rispetto a quella evoluzionistica o riformistica che altri traggono dalla loro lettura della storia. Quindi di fronte al problema della povertà (nelle variegate forme che essa assume oggi: povertà di beni materiali elementari (cibo, vestiario, abitazione), di lavoro, di istruzione e conoscenza, di rapporti “civili”, di ricerca del proprio piacere o felicità, ecc.) non so/non posso proporre un che fare, degli «strumenti per eliminare» le cause di tali fenomeni o ridurne gli effetti mortali e tragici per milioni di esseri umani (buoni o cattivi, credenti o non credenti, ecc.). E col mio «pensiero incompleto» e la mia propensione più per la rivoluzione ( è cosa secondaria se la si teme o la si spera) che per il “progresso” posso fare solo due cose: criticare le letture della storia e del presente che mi paiono deboli, approssimative, miopi, ipocrite o logicamente sbagliate; e, come ho cercato di suggerire, affondare lo sguardo in questa *complessità*, guardarla più a fondo. In tal senso cerco d’informarmi e appoggiare il mio pensiero su quello di altri pensatori di cui ho fatto i nomi alla rinfusa ( Bauman, Revelli, Negri, La Grassa, Bologna, Bellofiore, Finelli, ecc.), perché sono rimasto curioso e voglio fare i conti con tutte le posizioni che mi paiono di un certo interesse.
Si può, alla nostra età, mettersi a studiare e non accontentarsi di quello che ci passa per la testa o di quello che leggiamo sui giornali o di quelle che sono le idee già consolidate? Credo di sì. E perciò invito a leggere, a studiare e a riferire su letture e studi di questi o altri autori. Questo mi pare dovrebbe essere lo stile di Poliscritture. Non è detto che si trovi la soluzione ai problemi su cui ci affanniamo. Potrebbe anche essere una perdita di tempo. Ma io preferisco l’inquietudine della ricerca alla pace del benessere interiore.
SEGNALAZIONE
(dedicata in particolare a Giorgio Mannacio)
SU MARX
( in un commento di Pierluigi Fagan, un pensatore di “nuove forme sistemiche di pensiero”, come si definisce e di cui ho già notato alcune vicinanze al pensiero di G. La Grassa. Si trova sotto il suo saggio “Tempo e politica” in tre puntate, che consiglio di leggere a questo link: https://pierluigifagan.wordpress.com/2016/04/25/tempo-e-politica-13/)
[Al]pensiero di Marx, muovo tre appunti: 1) il sistema moderno occidentale detto capitalismo o democrazia liberale è senz’altro così e Marx ne è stato, di gran lunga, il miglior analista critico ma Marx ha esteso oltre il dovuto il valore di questa legge da spazio-temporale locale (l’occidente moderno) ad universale. Io non credo che sia un universale; 2) i rapporti tra struttura e sovrastruttura sono più complicati di quanto non pensò Marx. Io cerco sempre di non eccedere con la mente del poi nel giudicare ciò che ha partorito una mente del prima. Nel senso che immedesimandomi in Marx e nel suo tempo, ritengo straordinaria la ribellione del pensiero realista che compì Marx nel radere al suolo le convinzioni ideali, mostrando la struttura materiale che le condizionava. Non pretendo che chi compì questo disvelamento dovesse anche andare oltre, già questo movimento è essenziale per la storia del pensiero. Ma noi umanità continuiamo a pensare e così dopo un secolo e mezzo abbiamo evidenza del fatto che a metà tra la struttura e la sovrastruttura, l’intermedio, è proprio l’essere umano fatto di corpo e mente, di struttura e sovrastruttura. Così sappiamo che non siamo solo il nostro codice genetico, non siamo solo ciò che mangiamo, non siamo solo i nostri ormoni o la nostra fisica costituzione, non siamo le nostre preferenze caratteriali e comportamentali e non siamo neanche solo il nostro immaginare, credere, sapere, sperare. Così non siamo solo individuali e non siamo solo sociali, non siamo solo storici ma ci portiamo anche appresso strutture e sovrastrutture che hanno tempi molto più durevoli di quelli storici. E’ un discorso lungo ma in breve, più che gerarchie e subordinazioni ordinate che dicono che A dipende da B che discende da C, vedo grovigli di cose in reciproca relazione che danno forma a sistemi, sistemi che poi cercano il proprio adattamento storico-ambientale. La mia, più che una critica è un invito, l’invito a tesaurizzare Marx ed andare oltre, nel più ampio e nel più profondo. Nella Seconda tesi su Feuerbach, Marx ci invitava a verificare il pensiero nel come e quanto era riuscito a cambiare il mondo. Bene, il suo pensiero ha fatto il suo ma visto come il mondo è ancora oggi, vedo che c’è ancora molto da fare e da pensare prima di fare. 3) L’assetto delle società occidentali moderne detto capitalismo (e si dovrebbe poi trovare anche un altro termine – termine che infatti Marx non usava – perché capitalismo è una forma economica che poi in Marx diviene una forma sociale ma invero quel sistema è fatto sia da una forma economica e sociale che da una forma politica perché se quel sistema economico non avesse creato il sistema politico delle élite che votano se stesse per gestire il potere pubblico -la cosiddetta democrazia parlamentare rappresentativa-, tutto ciò non avrebbe mai funzionato come ha funzionato) è una variante di una forma millenaria: l’ordine gerarchico. Voglio dire che se per ipotesi riuscissimo a liberarci dalla forma del dominio delle élite della ricchezza, il dominio dell’uomo sull’uomo si esprimerebbe in un’altra variante come ha già fatto nella Storia con i sacerdoti, con i militari, con una etnia sull’altra, con un sesso sull’altro, con il potere dei vecchi su i giovani. Ora se il punto di chi combatte il dominio dell’uomo sull’uomo è combattere l’ordinamento gerarchico di qualunque versioni si tratti, le analisi, le diagnosi e le prognosi di progetto di emancipazione sono differenti da quelle del corpus marxista, stante certo che in questo c’è molto da cui attingere essendo il progetto più vasto e profondo mai prodotto dalla riflessione umana a riguardo.
Infine una nota personale. Il mio lavoro di pensiero muove dal principio riportato in esergo sulla testata del blog. Io cerco (con risultati forse maldestri, incerti e sicuramente incompleti) di indagare nuove forme di pensiero, nuove forme sistemiche di pensiero. Mi definirei quindi umanista (categoria del XV° secolo) se però si convenisse in una idea di umano che non è preda di partizioni dicotomiche come ideale-materiale o mente-corpo o individuale-sociale. Queste dicotomie riportano in genere poli entrambi figli dell’umanità, vanno quindi letti nella loro relazione non nella reciproca esclusione. In attesa mi venga in mente qualcosa di più brillante, inizierei proprio dal dividere il valore e la funzione che le dicotomie esercitano nell’organizzazione logica (il razionale) dal ruolo e funzione che hanno come fatti concreti e reali (il reale). Io, quindi non provo odiosità verso il pensiero di Marx, tutt’altro, a livello intellettuale ho una grande umana simpatia per l’uomo che s’incazzava per l’ingiustizia e mi identifico anche molto con questo suo imbizzarrito spirito di ribellione e grande rispetto per l’immensa capacità intellettuale, ovviamente. Forse ho meno simpatia per Hegel che postulava che il reale è razionale e viceversa e Platone che è il dominio del razionale gerarchico, pur avendone pari rispetto e considerazione. Il modo migliore per onorare il pensatore e continuare a pensare come risolvere i problemi che lui stesso si pose, raccogliere la bandiera ed andare avanti perché la trincea da assaltare è ancora molto ma molto lontana e di morti sul campo ne abbiamo lasciati troppi in relazione ai metri di campo che abbiamo conquistati.
@Ennio.
Non posso non condividere sul piano generale il testo di E. Aggiungo perciò alcune integrazioni al mio. Non ho mai manifestato nei miei banalissimi interventi odio verso Marx o giudizi supponenti sul suo pensiero che – anzi e per quel che vale il mio modestissimo giudizio – ho sempre dichiarato di apprezzare per profondità concettuale e conoscenza storica. La mia lacuna – che riconosco – consiste nella scarsa conoscenza di esso. Per circostanze strettamente connesse con le mie vicende personali ( cerchia di persone influenti, studi, letture etc ) ho avuto una conoscenza per così dire precoce dei socialismi reali e, per natura, sono portato a diffidare di ogni ricetta miracolistica che via via mi si proponeva. E’ stato per così dire naturale il mancato approfondimento del movimento marxista.
Di Platone – dato il multiforme ventaglio del suo pensiero- non posso fare a meno. Hegel ? Si leggano i giudizi di Schopenauer. E’il filosofo dello Stato prussiano, senza del quale sarebbe rimasto pressocchè sconosciuto. Come scienziato è ridicolo. Io figlio del tempo moderno guardo ai filosofi che hanno pensato – in qualche modo – alla scienza : Aristotele ad esempio e Democrito la cui acutezza speculativa è quasi miracolosa. Oggi penso che la filosofia –lasciato lo spazio che le spetta alla scienza -sia soprattutto Etica /Morale ( che presuppongono il rapporto con gli altri ) e dunque Politica perché viviamo come uomini nelle Città dell’uomo.
Il discorso di E. porta dritto all’esame della complessità del mondo attuale sulla quale tanto ho insistito, forse con una punta di retorica e autogiustificazione. Ma la complessità comunque invocata resta un dato di fatto costringendoci ad un confronto quotidiano tra Natura e Cultura e alle loro reciproche influenze e a soluzioni sempre più difficili dei conflitti( quale che sia la natura di essi )
Certo da E. mi separano altre cose , penso soprattutto alle strategie contro il tempo breve
( autocito il titolo di una mia poesia che ha però una valenza soprattutto personale ). Anche riguardo ad esse – forse – gioca un ruolo fondamentale l’esperienza di vita che ho fatto e in cui i risultati più “ buoni “ ( in senso etico e morale )sono venuti dalla prudenza, dall’equilibrio, dal bilanciamento degli interessi in conflitto, dalla considerazione delle compatibilità : in una parola dal gradualismo. Tuttavia ho una vena di millenarismo che – alla – mi serve almeno per avere visioni strategiche nel lungo periodo. Non pretendo che questo
“ modo “ sia il migliore o ,peggio, l’unico possibile. Esso mi permette di non rifiutare l’esame delle opinioni diverse e di provare rispetto ad esse una utile curiosità. Così vivo la mia quotidianità che è “ la vita “ che mi è stata assegnata dal destino e, in quanto possibile, da me stesso.
La discussione che si è sviluppata in questo post mi pare che non abbia considerato, in molti interventi, una questione fondamentale che io definirei come quella del “qui ed ora”. La domanda è se di un bisogno si vede solo la causa che lo determina, oppure vogliamo misurarci anche con la sua materiale concretezza e richiesta di soluzione “qui ed ora”? dunque esiste o no una domanda di tutela sindacale da parte dei lavoratori oggi nel 2016? Io credo di si e anche se il mio punto di vista è certamente di “parte”, più che crederlo lo verifico quotidianamente nel rapporto con i lavoratori e i cittadini.
In ogni caso la regolamentazione della relazione tra lavoratore e datore di lavoro quella è strutturale al rapporto di lavoro stesso per cui o la lasciamo all’iniziativa del singolo e dei rapporti di forza consolidati (modello caro al liberismo nel quale sta scivolando dentro anche molta “sinistra”), oppure la decliniamo in maniera collettiva e non individuale. Il qui ed ora per me non ha la valenza della rinuncia ad una prospettiva di cambiamento (perché dovrebbe essere così poi non capisco), ma di presa in carico del bisogno per la cui soluzione la risposta ideologica di salvifiche rivoluzioni lascia il tempo che trova. L’ironia su questo la trovo incomprensibile, come se si facesse satira sulla inutilità di salvare chi affoga nel mare perché le cause stanno nel sistema capitalistico, nelle guerre ecc. ecc. e salvato uno ne affogano altri 10…
In questa fase riteniamo di lasciare la tutela dei diritti alla contrattazione individuale oppure ci adoperiamo per rendere esigibili i diritti ancora disponibili? Io opto per la seconda ipotesi. Il generale arretramento delle politiche di welfare e del diritto del lavoro trovano la loro causa nel generale arretramento dell’influenza del sindacato in Europa e in Italia in un contesto di capitalismo assoluto. E’ evidente che mancano oggi i riferimenti politici se a proporre un nuovo statuto dei lavoratori è il sindacato stesso pressoché da solo. Scaricare su di esso, genericamente inteso e senza distinguo tutte le responsabilità, che sicuramente ne ha e non poche, non è corretto e soprattutto non aiuta a risolvere i problemi se dall’astratta teoria ci vogliamo misurare con la complessità del mondo del lavoro.