Non è la prima volta che vari amici, a cui ho segnalato l’attività di POLISCRITTURE, visitato il sito, di fronte a certi articoli si sono lamentati della loro lunghezza o dello spazio concesso a “scritture troppo difficili” e che – dicono ironizzando – non si rivolgono certo al “popolo”. Non voglio fare orecchio da mercante e, pur sapendo che la questione è quasi irresolubile, la ripropongo nuovamente alla discussione, prendendo lo spunto da una una mail appena ricevuta dall’amico Luigi Paraboschi. Pur non concordando con alcune delle sue opinioni, la ritengo preziosa. Perché dice con schiettezza cose che di solito si pensano e non si dicono. Gli ho chiesto perciò l’autorizzazione per pubblicarla. Spero che ne nasca una, magari accesa, ma utile discussione. Tanto più che come redazione di POLISCRITTURE il prossimo 8 ottobre c’incontreremo a Firenze proprio per fare il punto sugli obiettivi della nostra rivista (cartacea e on line). Ecco qui sotto il testo della mail di Luigi. [E. A]
buon pomeriggio caro Ennio,
stamattina volevo scriverti per chiederti quali titoli avesse quel tal Sagredo per stroncare con dubbio gusto il lavoro di Ederle, che, neppure a me è piaciuto molto, molto lontano dalla mia formazione e sensibilità, ma per la miseria, un po’ di delicatezza ci vorrebbe di fronte al dolore di una persona!
Ma poco fa ho aperto da voi e ho visto le poesie di Sagredo, e …….le tue note a margine.
E come puoi pensare, scusami amico caro, che il numero dei frequentatori del tuo sito cresca, se pubblichi testi di poesia lunghi quasi come la “Divina commedia”, e una esegesi come la tua che potrebbe benissimo essere inserita in una antologia critica talmente è ricca e bella.
Credimi, non ce l’ho fatta ad arrivare alla fine né delle poesie, né della critica.
Il fatto è che se ripenso che io ho avuto la sfrontatezza di giudicare un tuo libro di poesie e di farlo anche pubblicare, mi vergogno terribilmente di me e della mia presunzione, però credo che le poesie di Sagredo siano una bella pizza, ed io non comprerei mai un suo libro.
Scusami Ennio, so che sei indulgente e apprezzerai il mio contributo immodesto al tuo lavoro
a presto
luigi
“Per chi scrive Poliscritture?” Spero e credo che sia una domanda retorica. La risposta infatti è fin troppo facile: Poliscritture scrive per gli autori che pubblica. Potrebbe sembrare una risposta riduttiva e laconica perfino sarcastica ma in verità non lo è affatto. Altra cosa sarebbe stato rispondere alla domanda. “chi sono i lettori di Poliscritture?”. Fatto salvo l’esiguo (e ripetitivo) numero dei commentatori, quanti altri e quali altri? Qui, essendo la domanda reale e non fittizia, la risposta diventa assai difficile e io confesso che non sono in grado di darla. Mi limito però a ricordare che l’essere letti è e continua ad essere un privilegio e non un diritto.
a quel tal Luigi rispondo che è debole di mente e di corpo e che di Poesia non capisce nulla… fa la critica alla lunghezza del componimento e allora sia dia agli HAIKU!
e lei non possiede né formazione e né sensibilità per dire il pur minimo giudizio su chicchessia… non ha la forza mentale per leggere non solo i commenti di Ennio Abate ma anche del più cretino degli uomini che di certo, costui, è più capace di lei: povero uomo, misero oltre ogni dire! Si levi di torno! Non è capace nemmeno di essere un affossatore, se non di se stesso, e allora davvero non le resta che la sua vergogna e la sua presunzione! Mi fa pena e Le consiglio di non leggere nessun poeta tanto: legga solo le strofette sentimentali di qualche e sdolcinate, sperando che almeno queste comprenda.
Quando i toni si alzano e si arriva all’insulto, credo che si esca dal tema.
Ottaviani ha ragione almeno a metà quando afferma: «Poliscritture scrive per gli autori che pubblica». L’altra metà potrebbe essere che scrive anche per gli amici, conoscenti e curiosi degli autori che pubblica. E non credo che il pubblico dei lettori, tolti quelli occasionali, vada al di là di questa cerchia. Del resto ci sono decine di blog e di siti e di riviste e giornali online e di gruppi in Facebook e ognuno di noi ne segue almeno una diecina, ed è difficile farlo bene e con costanza.
Ma, detto questo, che significa ancora poco, mi sembra di poter aggiungere che Poliscritture sito (e ancora di più Poliscritture FB) presenta una contraddizione, forse inevitabile. Contraddizione ai miei occhi, ma forse non a quelli di altri. Chissà!
1) Da un lato Poliscritture si presenta (o si presentava, almeno all’inizio dei miei primi interventi, di pochi anni fa a proposito della poesia di Eugenio Grandinetti) come un sito letterario, di scoperta o almeno di segnalazione e valorizzazione (quando era il caso) di autori fuori dalla cerchia del successo garantito dall’industria culturale/editoriale e dal giornalismo “maggiore”.
2) Dall’altro lato si presenta come un sito politicamente orientato in modo preciso, anche se non chiuso entro confini rigidi.
I due aspetti, nonostante che Ennio Abate abbia sempre cercato di legarli in un unico progetto, a mio parere non si sono sempre fusi e armonizzati, né mi sembra possibile farlo, perché ognuno dei due tende a occupare più spazio ai danni dell’altro.
3) Un terzo elemento è poi il fatto che Poliscritture, sostanzialmente, va avanti soprattutto grazie all’attività di Ennio Abate, che indubbiamente ha il diritto di dare un orientamento al sito, ma che, altrettanto indubbiamente, nel darlo finisce per allargare o restringere qualche lato del confine in cui si muove e – sempre a mio soggettivo parere – negli ultimi mesi si è orientato più sull’anima politica del sito e meno su quella letteraria. E lo ha fatto anche recuperando materiali più o meno autobiografici della sua storia politica e letteraria (che poi, per lui, è forse un tutt’uno), interessanti per chi ha vissuto esperienze analoghe ma meno, credo, per altri.
4) Infine, come quarto elemento, ci metterei anche il carattere di diversi contributi pubblicati nell’ultimo anno che non rientrano nelle due caratteristiche dei punti 1) e 2). Interventi, a volte lodevoli, ma più adatti a riviste specialistiche, come certi articoli su autori classici non italiani e redatti in modo accademico o quasi. Ovviamente non ho nulla contro questi contributi in sé, affermo solo che non mi sono sembrati in linea con il carattere (o il presunto carattere da me concepito probabilmente a torto) del sito Poliscritture. In sostanza il sito si è un po’ sgranato, ha perso di concentrazione, forse ha alzato il tiro e si è fatto più ambizioso, ma anche più dispersivo. Ma se perde concentrazione e caratteristiche sue proprie finisce per diventare, per i suoi diversi aspetti, concorrente di altri siti più specializzati dove magari si rivolge meglio chi cerca un articolo sul no al referendum costituzionale, o un saggio su un classico spagnolo, o una critica alla CGIL e così via.
Si badi bene, a scanso di fraintendimenti. Non sto criticando la validità dei singoli interventi, ma la perdita di concentrazione, di “anima” del sito Poliscritture. O almeno l’impressione che si stia avviando su questa china. Che per alcuni aspetti è la china della rivista di cultura e di intervento con un raggio troppo ampio, troppo generico, e per altri è quello del sito politicamente connotato dal prevalere di riferimenti al passato di una specifica linea della sinistra, che non rifiuta il nuovo, certo, ma che lo legge alla luce di quel passato, dandone una lettura distorta.
Concludo con due parole sulla critica di Sagredo alla poesia di Ederle. Critica aspra, forse troppo, ma tecnicamente precisa e in gran parte condivisibile. A questa critica, presa come stroncatura, hanno risposto altri con elogi alla poesia di Ederle, interessante coinvolgente ecc. Ma, al di là della volontà dei singoli intervenuti, a me non sembrano in contrasto insuperabile la critica e gli elogi. Anche a me la poesia di Ederle è parsa interessante e coinvolgente, emotivamente e letterariamente coinvolgente, ma, nello stesso tempo, con difetti formali non trascurabili. Non è un peccato, né una contraddizione, affermare che quella poesia mi è piaciuta, ma che mi sarebbe piaciuta molto di più se l’autore avesse curato maggiormente l’aspetto formale, evitando – come segnalato da Sagredo – tante trascuratezze che si traducono poi in debolezze nell’efficacia poetica. Sagredo, a modo suo, ha segnalato punti davvero criticabili, ed è improprio rispondere evitando la puntualità della critica ed elogiando, per altri aspetti, la poesia. E senz’altro mi sembra fuori luogo e davvero di pessimo gusto arrivare all’insulto o quasi nei confronti di Sagredo per i suoi rilievi critici. I titoli di Sagredo, che li abbia o no, non contano nulla. C’è nero su bianco la sua critica, ed è a questa che, chi non è d’accordo, dovrebbe rispondere, sforzandosi di essere altrettanto preciso e circostanziato. In modo analogo mi sembra del tutto fuori luogo la risposta di Sagredo a Luigi, accusato di essere «debole di mente e di corpo». Suvvia! Si dovrebbe sempre risponde agli argomenti con altri argomenti, non agli individui con insulti.
In modo simmetrico, credo che si debbano evitare, oltre alle critiche debordanti e non argomentate, anche gli elogi debordanti e non argomentati, perché altrimenti si finisce col dargli il valore generico e amichevole del «mi piace» in FB. Cioè nessun valore. Spesso nemmeno quello dell’impressione emotiva momentanea.
Sono dell’avviso che non si dovrebbe ricorrere troppo spesso al copia-incolla; nulla di male se se vuol proporre una discussione, ma nello spazio dei commenti sarebbe meglio scrivere usando la propria testa. Il problema delle lungaggini deriva in gran parte da lì. E occhio, quando si vuol fare copincolla, perché è inevitabile che si operino scelte dettate da faziosità.
Proprio perché interattiva, penso che la comunicazione su web dovrebbe essere diversa dal cartaceo: certamente meno specialistica, ma non per questo superficiale…
Poliscritture non sbaglia a trattare di cultura e politica, sbaglia quando li separa perché così facendo si dà una doppia identità. Il rapporto tra poesia e politica resta irrisolto, ma in egual misura sia dai poeti che dai politologi. Si decida una volta per tutte quale sia l’identità della rivista. Moltinpoesia, pur con tutti i suoi limiti e malgrado sia venuta meno ad alcune aspettative, si posizionava in modo più chiaro, anche se vista in rapporto con altre riviste.
Gentile Aguzzi,
non sono insulti: ho scritto quel che si merita questo Luigi, anzi sono stato anche troppo buono; e ripeto se la misura critica di costui è la lunghezza dei versi (testi lunghi come i capelli!) potete stare certo che non ha letto mai la Divina Commedia, Milton, Blake, Goethe ecc. e che dire dei moderni Rimbaud, Holan e per ultimo con Walcott, ecc.
Il poeta non ha necessità di ottimi lettori, ha necessità degli asini, per divertorsi e fare divertire!
… in effetti il post è troppo lungo, è quasi un libro; e i libri non si leggono stando inchiodati al computer. Questo non c’entra con la qualità di quanto viene proposto, c’entra con il mezzo che si è scelto per farlo… a meno che uno non sia disposto ad aspettare due settimane per ricevere un commento. E forse nemmeno in quel caso perché qui tutto si fa e si disfa con altre velocità, rispetto al libro. Propongo una pubblicazione a puntate, o uno stralcio con indicazione su dove trovare libro e critica.
Io invece vorrei tanto che Sagredo mi spiegasse qualche sua poesia. Il suo stile mi affascina, devo ammetterlo, è come se mi portasse in un mondo in cui è difficile camminare, dove le chiome degli alberi sono a terra e le radici chissà dove, i fiumi ti scorrono sopra il capo e i monti sotto i piedi in un cammino pieno di voragini in cui si può precipitare , presi dalla curiosità nel vedere da vicino un panorama sotterraneo pieno di gente che cammina tra due parentesi e ad occhi sbarrati, meravigliati, mai malinconici….appunto da spiegare, da conoscere. Ma si sa gli intellettuali sanno spiegare molto bene gli altri, per se stessi ….preferiscono il mistero. Va bene anche così.
Per ora resta tutto bloccato, non so chi accetterà di nuovo di rendere pubbliche “cose che di solito si pensano e non si dicono”. Ma Sagredo continuerà a dire, autorizzato dall’ottima compagnia in cui si colloca.
Invece elementi per un terreno comune di critica sono stati avanzati. Per poterci permettere stroncature sbrigative, e sciolti apprezzamenti, occorrerebbe avere, scrive Ennio, “una certa condivisione su alcuni criteri di giudizio ritenuti validi da una parte significativa di quanti si occupano di poesia” (Canto per Paola, 25 sett, 8.49). Riguardo Ederle, ai rilievi di Sagredo sui primi sei versi di Canto per Paola, rilievi formali sugli accostamenti tra verbi aggettivi e nomi per comporre l’immagine mentale, ho risposto che l’esperienza quotidiana del compagno dà per scontato il brillio dello sguardo dell’altra, i moti delle labbra per articolare parole, il calore del suo corpo e il pulsare del cuore sotto la pelle: conoscendo l’abilità verbale, metrica e critica di Ederle, ho escluso la banalità (le cotolette rifritte), e ho puntato all’intenzione: la piana comunione quotidiana. Mayoor sospetta di essere bacchettone moralista, quando scrive di seduzione e di profumate furberie…
Non apprezzo neanche Aguzzi, che se la cava salomonicamente: la poesia di Ederle “mi sarebbe piaciuta molto di più se l’autore avesse curato maggiormente l’aspetto formale”, e non specifica le trascuratezze, non puntualizza le critiche, non mostra la leggerezza degli elogi.
Intanto si potrebbe definire almeno uno spazio e delle coordinate di lettura e analisi dei testi, come scrive (“nei suoi anni mortali”) Berardinelli : “attenersi ai testi, al loro funzionamento, alla loro leggibilità, alle tecniche verbali, all’energia e vitalità linguistica, mimetica, espressiva, cognitiva, ludica di ogni singola poesia”. Proprio il minimo, ma condivido l’allargamento di Ennio che prospetta “i temi più ‘teorici’ che a me stanno a cuore (poesia esodante, rapporto tra poesia e storia e politica, formalismo estetizzante e forma in rapporto col vissuto individuale, il sociale, i conflitti)” (Canto per Paola, 23 sett, 21.24).
Con questi temi Ennio si impegna nella critica di Sagredo. Oscura, barocca, rifugiatasi nel sublime. Con un “fondo nichilista e astorico. Che è assertivo e forse invalicabile […] radici di un pensiero distruttivo”.
Un mondo, quello di Sagredo, che esiste nella scrittura, una proposta di mondo “da prendere o lasciare, insomma”, da condividere solo *nella scrittura*. Sagredo scrive, e chi legge traduce quel mondo nella sua realtà vitale, storica e letteraria, su cui si accendono reali rifiuti, ammirazione e dubbi. Ma il mondo scritto è sempre più solo una parte del mondo conosciuto, e del resto i frequentatori di Poliscritture fanno parte del mondo della scrittura.
Nell’orizzonte del mondo scritto, e in quella sua parte che è tradizione letteraria alta, sublime, io leggo Sagredo frastornata dalla ricchezza di richiami, concordo con la sua intenzione del controllo e recupero della memoria, sono in accordo sul rinnovamento dei canoni, ma non posso non chiedermi -non a Sagredo che risponde da par suo nei fatti- non quale sia il peso, che è ormai leggero, ma il ruolo della poesia voce del tempo, della poesia sapere elitario, della poesia profezia annichilente… No, forse in quest’ultima incarnazione,lucida e materialista, la poesia è ancora, e sempre, primaria e efficace.
chiedo venia a tutti
Ecco come sono diventato cane
Ebbene, questo è davvero insopportabile!
Tutto così come sono, sono mordicchiato dalla collera.
Mi arrabbio non così come vi arrabbiate voi:
come un cane ho un viso di luna dalla nuda fronte –
mi prenderei
e mi metterei ad abbaiare tutto intorno.
Saranno stati i nervi…
Esco,
vado a spasso.
Ma anche sulla strada nessuno è riuscito a calmarmi.
Una tizia ha gridato buona sera.
Bisogna rispondere:
lei – è una conoscente.
Voglio.
Sento – ma non posso in modo umano.
Ma che sconcio è mai questo!
Dormo, o che?
Ho cominciato a testarmi:
sono così, come ero,
il viso è quello stesso al quale sono avvezzo.
Ho sfiorato il labbro,
un dente canino.
In un lampo ho coperto il viso come per soffiarmi il naso.
Sono corso verso casa, raddoppiando i passi.
Cautamente giro alla larga dal posto di polizia,
d’improvviso assordante:
“Poliziotto!
Ha la coda!”
Mi sono passata la mano e – sono rinato di pietra!
Di questa qui,
non mi ero accorto nella corsa pazza,
che è più pulita di qualsiasi zanna:
di sotto la mia giacca
si è sventagliato un codone
e mi attorce di dietro,
grande, canino.
E adesso?
Uno s’è messo a gridare, accrescendo la folla.
A un secondo se ne aggiunto un terzo, un quarto.
Hanno pestato una vecchietta.
Lei, facendosi il segno della croce, gridava qualcosa sul diavolo.
E quando, arricciati nel viso i baffoni-scope,
la folla si ammassò,
enorme,
maligna,
io mi misi carponi
e cominciai a latrare:
off, off, off!
La communis opinio doctorum e la sua magica capacità trasformativa!
scappaaa scappaaaa!!!!
Sembra ambigua anche a me la domanda “per che scrive Poliscritture?”, di un’ambiguità però che ronza insieme a tante altre questioni attinenti all’atto scrivere, che è poi il risultato di un pensare, frutto a sua volta di un’elaborazione più complessa. E non mi è chiaro, lo dico con convinzione, se colui che scrive debba preoccuparsi per chi scrivere e non invece porsi il dubbio del perché o, ancora meglio, del ‘cosa’ scrivere.
E mi sembra giusto quando Paolo Ottaviani dice che sapere di essere letti (e magari apprezzati) ci ricompensa. Ma poi, l’atto può dirsi giustificato in un simile risultato? E dopo? Torniamo alle nostre mille solitudini?
Sono pensieri buttati lì questi miei. Mi rendo conto che probabilmente siamo troppo ‘frazionati’ da una miriade di richiami e incombenze per poterci soffermare oltre il limite di un momento per riflettere adeguatamente che un pensiero, un articolo, una poesia riceverà l’attenzione di altri e forse di tanti altri, eppure considerare questo significa essere anche scrupolosi nei confronti delle persone.
Venendo alla polemica su cosa sia poesia e cosa no, molto brevemente (spero di potermi soffermare sull’argomento con più calma in un secondo momento), quando ho letto la poesia di Arnaldo E’derle vi ho colto come un grido, sicuro richiamo e elemento che ritengo importante per me. La poesia può essere sgraziata, difettosa nella forma e tutto ciò che non dovrebbe, ma se mi ‘comunica’ non ne resto indifferente. In pratica, è forse quel rapporto 1 a 1 che sta mancando sui blog, considerare la forma e non la sostanza (il senso) di uno scritto. Con i risultati che si vedono, qui come altrove.
Gentile Emilia Banfi,
sia più chiara con quel “scappaaa scappaaaa!!!!”…
Che intende dire?
A chi è diretta questa Sua esclamazione?
Nessuno la comprende.
OOOOh, caro Sagredo….immodestamente l’avevo messa alla fine dei suoi versi.
Come avrà capito sono una persona molto semplice.
Perché, sa, io sarei fuggita.
APPUNTO N. 1
CONFESSIONI DI UN BLOGGER CHE, DATI I TEMPI, FAREBBE VOLENTIERI IL COMMENTATORE
*Scherzando, ma non troppo…
Cosa è meglio fare da vecchi: il blogger o il commentatore di blog? Di certo il commentatore. Puoi farlo senza troppa fatica, nei ritagli di tempo, sentendoti moralmente a posto, pizzicando con battute brillanti e velando la tua opinione in modo da non risultare antipatico. Fare invece un blog o una rivista cartacea, raccogliere cioè i tanti *io* oggi più dispersi che mai (e le “poliscritture” di questi *io* poi, che vanno in direzioni diverse e spesso con caparbietà tutta *io-io*!) e farne – per quel che è possibile (ed oggi ben poco è o pare possibile!) – almeno degli *io-noi* un minimo dialoganti tra loro su questioni serie (politiche e non solo), stanandoli dalle loro tane di *io-monadi* (oggi però con porte e finestre – magari solo virtuali perché c’è il Web, c’è FB – sul mondo, che non si sa cos’è, non si sa dove vada), visto che puntare ad un *noi* (troppo ideale e rischioso e ovviamente fallimentare: un secolo e mezzo di lotte ormai lo ha dimostrato anche ai ciechi)… oh quanto è faticoso e persino noioso e poco poetico!
Perché allora insisto (e dal 2004, anno del numero zero di Poliscritture cartaceo) e appunto quasi da solo? Per la convinzione che – suppongo, ma prenderei volentieri in considerazioni altre ragioni che mi sfuggono se mi venissero proposte – la stessa cosa farebbe ciascuno di voi, se, invece di esservi accomodati a fare i commentatori – fissi o saltuari e comunque “liberi” da questa fatica e da questa noia di “amministratore” di blog e coordinatore di una rivista in fondo ancora amicale o lettori silenti e vaganti che ti lasciano ogni tanto un *like* e un *emoticon * , vi chiedeste: ma non c’è da stufarsi a stare sempre dentro la pelle di un *io-io*? Non è che se ne può e se ne debba uscire (ogni tanto o una buona volta)? Non è che – ohibò! – si può tentare o si debba tentare di “fare gruppo” – culturalmente e politicamente ragionante e indipendente? Fosse pure solo per far dispetto agli unici che li organizzano (i gruppi, i partiti, le associazioni, le ong, ecc.) con la potenza del capitale e del denaro sia per obiettivi politici (partiti) che commerciali e secondo ipocriti o mellifui schemi pseudolibertari tipo Zuckerberg o Google?
Certo che non è facile assumersi la responsabilità di gestire un blog mirante a “fare gruppo” oggi. Specie se si sa che nessuno ci paga il tempo impiegato per farlo. Specie se il gruppo che riesci a raggranellare è in partenza un “non gruppo” (però con tante “anime”!) e rischia di esserlo a lungo e fino a quando muori o decidi di smettere (Vedi Fofi e «Lo Straniero»:http://lostraniero.net/lo-straniero-cessera-le-pubblicazioni/). Specie se – a parte le differenze non irrilevanti d’impostazione teorica o di obiettivi (di cui parlerò nei prossimi appunti) – quello che davvero distingue Poliscritture dalle riviste o dagli altri blog sponsorizzati o pagati da quelli che contano nell’editoria o nelle università, è – diciamocelo per capire chi siamo e non farci illusioni! – la “povertà di mezzi” (economici innanzitutto e di competenze specialistiche). Perché noi – dopo la morte di Gianmario Lucini, l’unico piccolo editore che aveva accettato di fiancheggiarci a modo suo, cioè come poteva, perché non si sottraeva alle situazione incasinate e conservava almeno la passione per la cosiddetta dimensione “civile” ed era uscito dall’*io-io* sempre a modo suo – possiamo per il momento solo permetterci di pagare un webmaster amico per la gestione tecnica del blog della quale siamo incompetenti. Vedete invece che progetto articolato fa Doppio Zero (Cfr. Appendice) tanto per capire ancora chi siamo e in che mondo capitalistico ci troviamo. Cioè – fuori dai denti – “noi “un po’ d’idee e d’intelligenza ce l’abbiamo (perché “poveri” siamo ma non “poveri di spirito”), ma i soldi e gli appoggi giusti proprio no. E di conseguenza tra “noi” mancano quei bei sentimenti giusti (di “affiliazione”, di “fedeltà” , di “collaborazione” convinta al progetto) che ci fanno sentire bravi e buoni. E allora la gestione del blog (o del cartaceo) volentieri la lasciamo a qualche “martire” o “don chisciotte” o “coordinatore-facchino”. È molto più comodo dedicarsi a fare i commenti e assumersi un altro tipo di responsabilità oggi di gran moda: dire quello che ci passa per la testa, dirlo in modi brillanti – rudi o soavi -, fare lo sgambetto o le pulci a Tizio o Caio. Troppo difficile o faticoso argomentare, dialogare, confrontarsi fino in fondo, inventarsi i modi giusti per non mandare la comunicazione in vacca.
APPENDICE
Chi siamo
doppiozero è una rivista culturale, con edizioni in italiano e in inglese, e una casa editrice, in rete dal 14 febbraio 2011.
Collaborano a doppiozero oltre 900 scrittori, critici, giornalisti, ricercatori, studiosi di diverse discipline, in un ecosistema che riunisce intellettuali di fama, giovani autori e studiosi affermati.
Le attività di doppiozero includono
• una casa editrice digitale di saggistica e narrativa;
• la curatela di percorsi editoriali e curatoriali per istituzioni come Unesco, la Biennale di Venezia, il Museo del 900, il Festivalletteratura di Mantova, La Stampa, il Sole 24 Ore, Electa, Pearson Italia, Comune di Milano, Festarch – Abitare, Officine Cantiere Ansaldo;
• progetti speciali che legano i nuovi media all’arte e alla letteratura, come la riscrittura delle Fiabe italiane di Calvino su Twitter (unico progetto italiano selezionato al Festivalletteratura di Twitter a New York).
Vogliamo mettere il rinnovamento culturale al centro del dibattito, come valore capace di spingere il cambiamento in una direzione democratica e in cui sia fondamentale rispetto per il lavoro e la dignità di chi lo svolge. Il contenuto non prima della forma, ma nella forma migliore possibile per arrivare a più persone, per arrivarci prima e in maniera chiara ed efficace.
Perché non si perda la memoria mentre si transita verso il futuro, per aprire spazi a chi ha cose nuove da dire. Perché quando tutto sta per cambiare il rischio più alto è che nulla cambi.
doppiozero propone ai suoi lettori uno spazio aperto di idee, un luogo per l’approfondimento, la scrittura e l’elaborazione di progetti culturali innovativi. Per costruire una comunità capace di sfidare criticamente i conformismi contemporanei. Per un futuro diverso, e non per pochi.
(http://www.doppiozero.com/chi-siamo)
Credo che chi, se pur saltuariamente, si impegna nella fatica, talvolta piacevole talaltra terribilmente noiosa, della lettura di blog che, a seconda dei casi e delle circostanze, con indubbie o assai dubbie competenze, trattano di letteratura, di poesia, di storia e, per dirla alla vecchia maniera di “Belfagor”, di “varia umanità”, sia incondizionatamente degno non solo del massimo rispetto ma anche di ammirazione e gratitudine.
“Essere letti infatti resta sempre un privilegio”. Dimenticare che si è divenuti oggetto del dono della lettura e, in nome di una supposta superiore funzione che ci si è autoassegnata – “il blogger” alla perenne ricerca di un “io-noi”- , trattare il lettore-commentatore come uno scansafatiche – “puoi farlo senza troppa fatica”- e un ipocrita – “sentendoti moralmente a posto”, “velando la tua opinione in modo da non risultare antipatico”, che altro è se non il segno inequivocabile del proprio fallimento? “Fallimento”. Pronuncio questa parola di verità con amarezza e speranza perché so che da ogni più rovinosa caduta, se non si è morti, ci si può rialzare.
Che puntura!
Metanoia
Quel furore inusitato che m’hai prestato in contumacia è una meraviglia
che solitaria brucia sugli specchi come una sfacciata ipocondria,
ed è avvizzito il suo delirio sulla volta di una quinta deformata
per il grido di un numero che sfidava in moto la materia oscura.
Ma sul libro è spento lo spasimo di Palermo che un ferino giorno
declamai per il mio disprezzo, e per quella gloria che il marmo
mutava in corona siciliana l’Omero che riconobbe in un signore
il mare, che s’apriva al suo passaggio e alla schiuma dei cavalli in corsa.
Non riconosci nei miei versi il sublime duraturo e il filiale affetto
che nell’anima agita la tua ascesa, e la baldanza di chi ritorna alla lettura
per ritrovarsi alle cinque fonti… umile, senza enfasi, ti sei rinvigorito.
Ma quei poeti sono luridi nel loro circolo mediocre, e mortale!
E mi sento fuori dell’urna in questa primavera, nei pigolii inermi delle gemme,
e dell’infanzia non sai godere il mio furore giacobino in usufrutto – ma la città
si concede ai requiem, ai canti di cera dei crocicchi – e la mia pietà, Anna,
cortese ammira dal tuo celeste, e la rovina che mi tallona il sangue, e la mia vita!
antonio sagredo
Roma, 7 marzo 2011
Signor Ottaviani,
Lei ha ragione a porsi queste domande, ma credo che “Poliscritture” scriva per tutti, per il Tutto e per il Nulla; per quelli che non vaneggiano invano; per quelli che si sforzano di comprendere cosa sia la Poesia: sia questa oscura o poca oscura; per quelli che rispettano la gioia e il dolore di tutti (“io sono dovunque c’è dolore”); per quelli che sono dotati di lungo respiro per affrontare “testi lunghi” ( e siano ad esempio i grandi poemi del secolo scorso); per quelli che sono capaci di scrivere commenti esaustivi e fondamentali poi che hanno commentato grandi versi – taluni dicono sublimi -; per quelli che sanno cosa sia la Bellezza, e non per quelli che apostrofano la Poesia soltanto perché è una “bella pizza”; per quelli che compreranno in futuro i libri con le mie poesie (mai pubblicato un cartaceo in Italia! se non in alcuni blog nostrani, ma solo in Spagna e in USA); infine “Poliscritture” svolge una attività sostanziale poi che pubblica i trionfi e i fallimenti di tutti i poeti, bravi e non; insomma incito Ennio Abate a continuare il suo lavoro poi che lo svolge egregiamente e che si pone come arbitro nonostante i conflitti e le piccole liti, e che ha la pazienza di sopportare gli insulti vari (compresi i miei, che sono rarissimi, ma quando sono necessari sono dovuti; in passato ho insultato poeti notissimi anche di dubbio valore: i fatti mi hanno dato ragione poi che adesso si affossano con parole educate… adesso… ma le mie azioni hanno già 40 anni! – e certo non mi tiro indietro oggi); “Poliscritture” scrive anche per tutti quei grandi POETI che in tutti i tempi sono stati insultati e che hanno risposto come si doveva. L’insulto più grande per un Poeta è quando viene ucciso! e spesso si fa passare per suicidio quello che è stato un assassinio!
—-
“E mi sento fuori dell’urna in questa primavera, nei pigolii inermi delle gemme,
e dell’infanzia non sai godere il mio furore giacobino in usufrutto – ma la città
si concede ai requiem, ai canti di cera dei crocicchi – e la mia pietà, Anna,
cortese ammira dal tuo celeste, e la rovina che mi tallona il sangue, e la mia vita! ”
Bellissimo!
@Antonio Sagredo
Grazie infinite della Sua lettura e della Sua attenzione. Anche io credo, come si evince dalla chiusa del mio intervento, che Ennio Abate debba continuare il suo lavoro. Credo altresì che lo debba fare cambiando radicalmente molte cose, a cominciare dal maggior rispetto che deve a se stesso e a quei “tutti”, a quel “Tutto” e a quel “Nulla” di cui Lei parla.
Cordialmente.
… Partendo dal lavoro quasi artigianale di Ennio sul blog, nella sua scelta di testi da proporre ai lettori adatti a suscitare dibattiti, commenti, critiche, confronti, anche accesi, da non potersi paragonare alle attività, progetti, sponsor internazionali e galattici di una rivista, sito come Doppiozero, dove ci si sente per lo più “arrivati”, sembra semplice rispondere alla domanda “Per chi scrive Poliscritture? Almeno, secondo me, l’essere presente come lettori in questo blog significa, nel confronto con i testi e con i commenti di altri lettori o critici, condurre una ricerca personale e di gruppo su vari fronti, che può aiutare…per migliorare, no?
APPUNTO N. 2: LODE (A CERTE CONDIZIONI) DEI COMMENTATORI
@ Ottaviani
Nell’Appunto 1 ho voluto render conto della fatica di redigere e gestire in condizioni (le nostre) non favorevoli una rivista cartacea o un blog. Dal mio punto di vista, certo. Scherzando (amaramente e l’ammetto con un po’ di sarcasmo verso i commentatori). Che però non sottovaluto affatto né voglio reclutare alla « supposta superiore funzione» che mi sarei « auto assegnata». Tu (ma prima Luigi Paraboschi con la sua mail *necessaria*) mi ricordi che c’è anche la fatica del lettore (e – a volte – commentatore). D’accordo. Non la metterei, però, come fai, sul piano del *dono*. A volte di certi “doni” (e a scanso di equivoci, non mi riferisco ai tuoi commenti) si farebbe volentieri a meno. Altre volte sono avvelenati. Altre ancora dispersivi rispetto al discorso che Poliscritture tenta di svolgere. Non condivido neppure la tua opinione che «essere letti resta sempre un privilegio». Che privilegio riceve uno dall’essere letto, ma non capito o travisato? E perché un lettore dovrebbe fargli il suo “dono”, se l’articolo lo annoia o lo respinge o gli risulta incomprensibile? Insomma, non è che ci dobbiamo tollerare vicendevolmente e diplomaticamente. Meglio dirci verità anche sgradevoli o parziali. Che – ecco la *possibile funzione positiva* sia dei testi proposti su Poliscritture sia dei commenti – possono essere precisate o smentite nel dibattito, quando condotto dagli interlocutori lealmente e fino in fondo. Quanto al «fallimento», credo sia sempre in agguato. Ma sia per chi scrive sia per chi legge. La riuscita di questo lavoro politico-culturale (per me) e il clima – cordiale, teso, ipocrita, svagato – che si crea attorno a una rivista o ad un blog viene dai buoni articoli ma anche dai buoni commenti. Ci sono sempre buoni articoli e buoni commenti su Poliscritture? Come da sottotitolo, Poliscritture vorrebbe essere «laboratorio di ricerca e cultura critica». Ci riesce sempre? Non credo. E i commentatori, quando intervengono migliorano sempre il tipo di ricerca a cui Poliscritture mira o dovrebbe mirare? Non credo. «Degno non solo del massimo rispetto ma anche di ammirazione e gratitudine per me sono soltanto gli articoli e i commenti che,sintonizzandosi col progetto della rivista e del blog, lo fanno crescere. Quanto alla «ricerca di un “io-noi”» forse non c’intendiamo. Ma per me “fare gruppo” è indispensabile. Com’è indispensabile puntare verso il dialogo/confronto con l’* extra nos*. E acconsentirei a parlare di «fallimento», se dovessi convincermi che « Poliscritture scrive per gli autori che pubblica» o al massimo «anche per gli amici, conoscenti e curiosi degli autori che pubblica» (Aguzzi); se, cioè, «il pubblico dei lettori, tolti quelli occasionali,[non dovesse mai andare al di là di questa cerchia». Ritengo perciò una necessità *costruire un pubblico nuovo* utilizzando le energie disponibili (quelle dei redattori e dei commentatori abituali). Che inevitabilmente però tendono a chiudersi in un discorso amicale, *inter nos*. Da qui l’apprezzamento per chi denuncia questa tentazione e pone il problema, che a volte ci poniamo e a volte perdiamo di vista. Insomma a me pare indispensabile bloccare il cattivo dialogo, il tono da salotto autocompiaciuto, l’insulto gratuito, l’applauso non argomentato, il messaggio troppo soggettivo e individualista. Per spingere redattori, commentatori e lettori sia verso la costruzione di un discorso che raggiunga altri, molti altri, sia verso un discorso che attragga delle élites culturali che non rifiutano il problema di confrontarsi con i “tonti”. ( Su questo aggiungerò altro rispondendo al commento di Aguzzi).
L’Appunto n.1 di Ennio è scritto in modo un po’ contorto, forse per la scabrosità dell’argomento. Se capisco, per “fare gruppo”, Ennio intende “argomentare, dialogare, confrontarsi fino in fondo”.
(Accidenti a me, se mi sono mai tirata fuori dal “confrontarmi fino in fondo”, con qualche “grana” che mi sono procurata!)
Paolo Ottaviani ritorce l’argomento contro chi lo ha alzato: “Dimenticare che si è divenuti oggetto del dono della lettura e, in nome di una supposta superiore funzione che ci si è autoassegnata – ‘il blogger’ alla perenne ricerca di un ‘io-noi’ -, trattare il lettore-commentatore come uno scansafatiche … che altro è se non il segno inequivocabile del proprio fallimento?” Con ciò riportando tutto alla singolarità, ai tratti umani.
Però non ho capito che senso abbia per Ennio presentare il Chi siamo di Doppiozero: è ironico? o l’attivismo di Doppiozero è un modello a cui tendere, raggiungibile argomentando tra “noi” fino in fondo?
Allora si tratterebbe di “argomentare” sul piano di iniziative da prendere, che so, diventare editore, proporre un premio della critica, un giornale della poesia… sempre argomentando dialogando e confrontandosi prima per stabilire un terreno comune…
Ma, senza sarcasmo, “fare gruppo culturalmente e politicamente ragionante e indipendente” realisticamente, per la mia esperienza, si lega a un’attività, è l’oggetto che tiene insieme un “noi”, che -fuori dalle attività connesse- se anche non radicalmente, tuttavia diverge in altri aspetti, anche teorici e politici.
La questione tuttavia, concretissima, è l’oggetto Poliscritture, rivista e sito, che non costituisce il “noi” auspicato da Ennio. Forse occorre un salto, un di più, un “oggetto” più vincolante?
APPUNTO N. 3. CONTRADDIZIONE SI’ (TRA ALTO E BASSO, TRA POLITICA E LETTERATURA/POESIA)
Scrive Aguzzi: « ci sono decine di blog e di siti e di riviste e giornali online e di gruppi in Facebook e ognuno di noi ne segue almeno una diecina, ed è difficile farlo bene e con costanza». E allora?
È vero che la moltiplicazione delle fonti comunicative (di ogni tipo) richiederebbe che seguissimo davvero decine di blog. Ma dove viene convogliata questa conoscenza eterogenea accumulata navigando nel Web ( o ancora leggendo libri)? Nella propria testa (nell’io) o mira al “fare gruppo”? È bene guardarsi attorno, ed è giusto sentire varie campane ma è giusto anche selezionare quelle che a nostro avviso suonano meglio o aiutano a pensare meglio e a scrivere secondo il nostro progetto di «ricerca e cultura critica».
Ma, allora, per chi selezioniamo e scriviamo? Il titolo che ho dato al post mi pare calzante, perché la domanda comprende anche il «perché o, ancora meglio, del ‘cosa’ scrivere» (Di Leo). Per chi scrive Poliscritture equivale a dire per quale pubblico, per quali destinatari scriviamo. E anche a scegliere – ma qui il problema è diventato più complicato che in passato – su cosa scrivere.
Cito da un mio saggio su “Disobbedienze» di Fortini:
Nel secondo di tre importanti articoli intitolati «Scrivere chiaro» del 1974 Fortini affermava: «[Chi scrive (e chi parla)] suppone un destinatario capace di decifrare il suo messaggio. Dice «pane» e quasi tutti (sul territorio della Repubblica) lo capiscono. Dice «nella misura in cui»: lo capiscono solo quelli che hanno frequentato una sezione del Pci….» (Disobbedienze I. p.55). E sul problema dello stile avvertiva: «Tutti dovrebbero sapere ormai che un certo stile e linguaggio […] serve a confermare l’autorità di chi lo emette più che a trasmettere una certa comunicazione. Così lo stile burocratico rafforza la burocrazia, lo stile funzionariale rafforza i funzionari, lo stile pretino i preti, ecc.» (p. 100). Consapevole che nel giornalismo «l’imbroglio ideologico ai danni del lettore» (I, p. 55) avviene nel momento in cui il linguaggio settoriale viene corretto con quello colloquiale, rifiutava la facile chiarezza: «Questa chiarezza la so usare ma non voglio usarla. Non parlo a tutti. Parlo a chi ha una certa idea del mondo e della vita e un certo lavoro in esso e una certa lotta in esso e in sé» (p. 56). Per lui il difficile di certi articoli non stava tanto nelle parole usate, ma piuttosto «nei passaggi da una proposizione alla seguente; è nei salti della sintassi. È in quel che non è detto, che è dato per sottinteso» (p. 56). E a chi lo rimproverava:«Parla più semplice sono un operaio, non ho studiato, io» faceva notare la malafede della richiesta: perché vantarsi di una situazione di svantaggio? (p. 56) E perché – obiettava – «spesso, a lamentare l’incomprensibilità degli «studiati» (o degli “intellettuali”) sono proprio gli «studiati»?
Tornando ora all’oggi e a noi di Poliscritture. C’è forse da correggere il taglio di certi articoli, perché sarebbero troppo accademici o inaccessibili al lettore “comune” d’oggi? Da rendere gli articoli più brevi, perché il tempo di lettura si è drasticamente ridotto per tutti? Sì e no. Come diceva Fortini, non possiamo parlare contemporaneamente « a chi ha una certa idea del mondo e della vita e un certo lavoro in esso e una certa lotta in esso e in sé» e a tutti. Dobbiamo (ma «in medio stat virtus» ancora?) rivolgerci ad un lettore medio ideale, evitando i due estremi (il discorso per specialisti o il discorso “per tutti”)? Io penso che realisticamente ci si dovrà muovere tra i vari livelli (alti, medi e bassi) e tra linguaggi speciali e massificati, rendendo fluidi gli scambi tra loro. Non rifiutandosi alle spiegazioni, alle “traduzioni” e alle semplificazioni, quando il pubblico è di “gente comune” (in apparenza “semplice”), ma strapazzandola anche quando rifiuta lo studio e la fatica per affrontare i discorsi “difficili” (la poesia di Sagredo, ad es. o un testo di un filosofo, di un critico letterario, di un fisico). Sapendo in partenza però che – come si è visto – non è facile far incontrare le ragioni (e le attese) di Sagredo con quelle di Paraboschi. Legittime, entro certi limiti e se non s’ congelano nel rifiuto uno dell’altro, entrambe. Sì, questa è «una contraddizione, forse inevitabile» (Aguzzi). E ci sarà – oggi più che in periodi ormai lontani – anche la contraddizione tra politica e letteratura (o – ancora Aguzzi – del «sito politicamente orientato in modo preciso, anche se non chiuso entro confini rigidi» contrapposto al «sito letterario, di scoperta o almeno di segnalazione e valorizzazione (quando era il caso) di autori fuori dalla cerchia del successo garantito dall’industria culturale/editoriale e dal giornalismo “maggiore”»).
Non credo sia possibile oggi (e non so se sarà mai possibile) fondere o armonizzare specialismo e divulgazione o letteratura e politica. Su questo, dunque, un po’ sono d’accordo con Mayoor:« Poliscritture non sbaglia a trattare di cultura e politica, sbaglia quando li separa perché così facendo si dà una doppia identità». Ma, sapendo quanto «il rapporto tra poesia e politica resta irrisolto» (specie oggi), un po’ devo dare ragione anche Aguzzi quando dice:«i due aspetti, nonostante che Ennio Abate abbia sempre cercato di legarli in un unico progetto, a mio parere non si sono sempre fusi e armonizzati, né mi sembra possibile farlo, perché ognuno dei due tende a occupare più spazio ai danni dell’altro». Tuttavia lavorerei lo stesso per evitare la separazione netta tra queste due dimensioni (quelle che Fortini chiamava del filosofo e del tonto). Non credo, come aggiunge Luciano Aguzzi che negli ultimi mesi io mi sia «orientato più sull’anima politica del sito e meno su quella letteraria». Faccio presente che – data la già ricordata “povertà dei mezzi” – posso programmare molto limitatamente la pubblicazione dei vari articoli. Devo cioè tener conto con realismo di quel che mi arriva. E cerco di alternare contributi più letterari (ma preferibilmente non del tutto impolitici o apolitici) con contributi più politici. Sapendo che i politici-politici storceranno il naso di fronte allo spazio dato alla poesia e i poeti-poeti per quello concesso al politico. (E comunque i contributi di Alessandro Scuro non mi pare rientrino nell’accademismo. Avevo, all’inizio della sua collaborazione, ora assidua, fatto presente da subito questa esigenza ad Alessandro, che sta facendo del suo meglio. Infine, può anche darsi che «il sito si è un po’ sgranato, ha perso di concentrazione, forse ha alzato il tiro e si è fatto più ambizioso, ma anche più dispersivo». Eppure – non a giustificazione – io ricondurrei questi difetti allo stato caotico e alla confusione d’idee in cui ci agitiamo un po’ tutti. Non si tratta di «“anima” del sito Poliscritture». Si tratta della realtà che è caotica e tremenda. Non penso neppure che si possa con un atto d’imperio o eroico decidere « una volta per tutte quale sia l’identità della rivista» (Mayoor). É un processo che deve avvenire e che noi possiamo seguire o inseguire. La nostra (il nostro *io-noi*) è una identità in costruzione e non si può decidere a priori. Si fa coi mattoni (e le “rovine”) che troviamo in giro. O che arrivano nel nostro cantiere. O che prendiamo da cantieri altrui più o meno affini. Non rimpiango affatto Moltinpoesia, perché in quell’esperienza l’aspetto politico e critico era troppo rifiutato da un bel po’ di poeti e poetesse. Infine non mi pare che siamo un «sito politicamente connotato dal prevalere di riferimenti al passato di una specifica linea della sinistra, che non rifiuta il nuovo, certo, ma che lo legge alla luce di quel passato, dandone una lettura distorta» (Aguzzi).
Vorrei consumare qualche byte riferendomi all’ironia (così Ennio la chiama, ma in realtà si tratta d’una vecchia storia ammannita nella solita salsa) di quei certi amici “populisti” (e mi perdonino i populisti veri se uso impropriamente questo nobile termine) che si lamentano degli articoli troppo lunghi ospitati dal sito perché… non si rivolgono al popolo. Be’, se è vero, come leggo, che “Poliscritture” ha una pagina su FB, allora questa è la prova del nove che “Poliscritture” si rivolge al popolo. Se poi “Poliscritture” istituisse al suo interno una rubrica di gossip su, che so, il Grande Fratello o il celebre calciatore, allora sarebbe matematico che si rivolgerebbe al popolo. Credo che nemmeno Gramsci, quando scriveva, pensava di rivolgersi al popolo. Per cui, mi chiedo, perché “Poliscritture” dovrebbe rivolgersi al popolo?
“Ma, allora, per chi selezioniamo e scriviamo?”
Considerando che la platea si compone anche di parecchi outsider – perché pensatori disordinati, poco allenati se non anche ostili alla dialettica – l’assumersi il compito di “aiutare a pensare meglio” potrebbe essere quello più meritevole.
Pare che il principio di non-contraddizione sia stato superato dalla logica quantistica; finalmente, perché in poesia – dove l’illogico è spesso di casa – la questio si fa problema che non si può risolvere, a meno di concedersi più ampi spazi libertà.
Il “pensare meglio” riguarda le forme espressive e gli ambiti in cui si tenta di comunicare; ma non può riguardare il pensare-giusto. Se mai il pensare-vero. In questo vedo comunanza tra poesia e politica. Nel percorso di ricerca verso una maggiore libertà, logica e illogica cederebbero il passo al vero-non vero. Credo sia questo l’impegno, l’etica comune a poesia e politica. Mi sembra che Poliscrittura si muova su questa strada.
@ Fischer 1 ottobre 2016 alle 0:10
Chiarisco: la «scabrosità dell’argomento» , che mi ha indotto al «modo un po’ contorto» dell’Appunto n.1 dipende da questo: ho scaricato sui commentatori buona parte dei malumori che mi procura svolgere un ingrato e troppo squilibrato ruolo di supplenza al posto della redazione di Poliscritture. Che resta in buona parte *sulla carta*: i 478 articoli finora pubblicati li ho messi on line sempre e soltanto io. Quindi non posso dare torto ad Ottaviani (Vedi Appunto n. 2) se si è un po’ risentito e ha tutto il diritto di dirmi: ma tu che vuoi dai commentatori? dovresti ringraziarli perché già fanno la fatica di leggere e commentare. L’incontro a Firenze dell’8 ottobre dovrà sciogliere questo ed altri nodi.
Sì, la presentazione del «Chi siamo di Doppiozero» voleva essere amaramente ironica: intendevo far notare lo scarto tra la nostra fragile barchetta e un veliero culturale ben equipaggiato e col vento del capitale in poppa. Invidia o desiderio di quel vento? No, solo « per capire ancora chi siamo e in che mondo capitalistico ci troviamo».
…”aiutare a pensare meglio” (Mayoor) per agire anche sulla realtà, se possibile per vederci chiaro e trasformarla, passando attraverso la politica e la cultura, nei suoi contenuti e livelli “alti, medi e bassi” in tensione continua tra loro…Un percorso di ricerca che comprenda “il vero-non vero” del quotidiano e dell’immaginario-visionario, sembrerebbe l’impegno di chi scrive o sceglie di pubblicare o commenta in Poliscritture…Senza rigide separazioni, tanto è vero che spesso a commento di articoli che riguardano la situazione politica attuale, compaiono scritti in versi o riferimenti a opere letterarie, ma anche viceversa. Cercare di definire anche solo a grandi linee un oggetto specifico di tale lavoro è forse un po’ difficile, ma magari non inutile…Personalmente non riesco. Come oggi, per me, leggere e commentare sul blog è come assistere alla lavorazione di un’opera scultorea a più mani, in continuo e affascinante mutamento…
Quadro ad olio al 1 ottobre 2016.
Titolo augurale: POLISCRITTURE TRA MOTO E STASI
Nelle proprie opere pittoriche Ennio Abate ha dimestichezza con il soggetto: le Fanciulle. Ricordo con nostalgia La Fanciulla rapita.
Nel dipinto dal titolo: “Fanciulla tra moto e quiete” Ennio trova il modo di far brillare il suo intento: da un lato la pace e dall’altro la partecipazione cosciente nella vita della società, la scelta di essere criticamente nel mondo. Si tratta di un’impresa intellettuale, una visione particolare della realtà.
Mi piace immaginare che la fanciulla ivi ritratta, quando sbircia la colomba, stia canticchiando a bassa voce:
“ E se Berlino chiama -ditele che s’impicchi
Crepare per i ricchi
-crepare per i ricchi
E se Berlino chiama -ditele che s’impicchi
Crepare per i ricchi
-non lo vogliamo più …”
Ubaldo de Robertis
“Tra moto e stasi” sarebbe, a mio parere, un titolo più consono al quadro, tralascerei infatti la parola “Poliscritture” perché continuo a vedere e a “sentire” uno iato troppo profondo tra l’Ennio Abate scrittore e l’Ennio Abate pittore, preferendo di gran lunga il secondo…. (Addolcirei leggermente la punta del grande angolo nero sulla destra come vago richiamo al ginocchio della donna fermata nel suo equilibrio danzante… in ogni caso… Complimenti!)
Il moto ben raffigurato. La stasi penso sia la parte nera.
La donna sempre interprete.
Io l’avrei intitolato ” Movimento e noia”
Nella bacheca personale FB l’ho intitolato : Fanciulla tra moto e quiete.
Anche ‘Poliscritture’ mi pare incerta (e danzante?) come la ‘fanciulla’. Da qui l’identificazione e l’augurio. Lo *iato* c’è. Non solo in me, però. Come ho tentato di spiegare e tra continenti esplorati/inesplorati di realtà (politica e poesia, etc). Sarebbe bene approfondire questa questione.
“Fanciulla”? Sembra più una “ragazza”. Ottima cosa comunque aver tolto dal titolo del quadro “Poliscritture”. Lo “iato”, quando c’è e dove c’è, andrebbe ridotto e, se possibile, colmato. E già questo piccolissimo gesto della correzione di un titolo va nella direzione giusta… molto meglio e molto più dei vasti, spesso eccedenti e vani, tentativi di spiegare realtà comunque diverse “tra continenti esplorati/inesplorati”. Di Leonardo da Vinci non ne nascono molti. Se la natura ci elargisce un talento, quello soprattutto coltiviamo!
Compivo delle riflessioni oggi pomeriggio, riguardo una mia lunga esperienza in un gruppo, di pensiero, di relazioni, di scrittura. Ero arrivata a questa costatazione: c’è un progetto che unisce più persone, e c’è o ci sono alcune figure leader che impersonano e sostengono questo progetto. Altre, altri, si collegano al progetto accendendo tra loro molteplici relazioni duali che si intrecciano e rendono corposamente reale il gruppo che si riunisce intorno al progetto.
Fin qui non c’è nulla di strano, molti gruppi politici, poi diventati alcuni di essi partiti, ma anche artistici, hanno questa storia e struttura.
Ma riflettevo che, per la mia esperienza (che credo si possa proiettare per esempio sul gruppo che ha dato luogo al pcd’i nel 1921) oltre al progetto esplicito, spesso il o i leader hanno anche un altro progetto, a un altro livello, che sostiene il primo. I seguaci lo “sanno”, più o meno consapevolmente, seguono apparentemente quello espresso, in realtà spesso seguono anche quello implicito sottostante che è un motore nascosto del primo, oppure rompono proprio su quello.
E’ questa realtà esplicita e implicita lo iato tra continenti esplorati e inesplorati di realtà di cui ha scritto Ennio?
Più chiaramente: il progetto ufficiale di Poliscritture (nel Chi siamo del sito), che sostengono lettori, commentatori, autori dei post e il blogger, è tutto quello che c’è da sapere?
Forse però conoscere la parte inesplorata non conta troppo, se invece conta la capacità espansiva e inclusiva del progetto, se è quest’ultima che viene avvertita mancante. Il pcd’i aveva alle spalle l’unione sovietica, Poliscritture non ha il vento del capitale in poppa.
I suoi strumenti sono la disponibilità a ragionare di politica e cultura in modo indipendente “Non è che – ohibò! – si può tentare o si debba tentare di ‘fare gruppo’ – culturalmente e politicamente ragionante e indipendente?” (Ennio, 30 sett. 9.42). Indipendente da che? da un finanziamento esterno, certo. Ma non dalla condizione sociale, nè da più massicci e invisibili vincoli culturali in cui si è immersi (che però sono come l’aria, anche se inquinata, per vivere si deve respirare).
Ragionare è il progetto, non solo dei condizionamenti, un esercizio ormai acquisito e perfino un po’ logoro.
E allora? Forse dei dispositivi e dei modelli proposti, politicamente e culturalmente, che asserviscono? Lavorare sul falso, finto, contraffatto, che viene spacciato per nuovo?
@ Ottaviani 1 ottobre 2016 alle 19:19
Paolo, lo Zingarelli dice:
– fanciulla: giovinetta di età compresa tra i sei e i tredici anni| (est.) Giovane donna;
– ragazza: giovane donna nell’età dell’adolescenza, giovinetta.
Non mi pare valga la pena di sottolineare così tanto la differenza. Non siamo a scuola, no? Nell’immaginario poi sono affezionato al termine ‘la fanciulla’, che nella mia fantasia si estende ben oltre l’adolescenza. Non ho poi «tolto dal titolo del quadro “Poliscritture”». Nel contesto della discussione di questo post su Poliscritture mi è venuto di sostituire ironicamente il termine ‘fanciulla’ (usato nella mia bacheca FB) con il nome della rivista. Che poi, nata nel 2004, ha dodici anni e, a rigore, sarebbe più fanciulla che ragazza. E – mi pare – abbastanza indecisa tra afferrare la pallina (il mondo) o far volare quella specie di colomba (la pace?). Sullo ‘iato’ ( per me più concretamente quello tra letteratura/poesia e politica) ho detto: « lavorerei lo stesso per evitare la separazione netta tra queste due dimensioni». Lasciamo stare Leonardo da Vinci, ma tra i talenti elargiti o meno dalla natura, mi ritrovo anche quello di curiosare «tra continenti esplorati/inesplorati». Ciao
@Ennio Abate
Ennio, non ho consultato i dizionari e certamente non siamo a scuola. Ho solo guardato attentamente il quadro. Mi è sembrato di scorgere due bei seni sotto l’attenta veste. Una giovane donna con bei seni, nel mio immaginario, mi viene di chiamarla “ragazza” e non “fanciulla”. Ma si tratta solo di immaginari diversi. Troppo diverso e per me fuorviante se il tuo immaginario si spinge ad equiparare, se pur “ironicamente”, “fanciulle” e “Poliscritture”. Ciao
@ Ottaviani
Ma è il mio povero tentativo di ridurre, se non colmare, lo iato tra poesia e politica!
@Ennio Abate
Tentativo davvero “povero” e sbagliatissimo. Intanto stiamo parlando di un quadro, quindi di pittura e non di poesia. Ad ogni arte, politica compresa, le sue competenze. Lo iato con la politica e con la storia si riduce, se vuoi paradossalmente, approfondendo al massimo delle nostre capacità quella sola arte che ci è più congeniale. I più grandi poeti, i più grandi pittori, i più grandi musicisti e quindi le loro singole arti sono quelle che meglio ci rappresentano storia e politica. E’ nell’esercizio estremo dell’arte che si colma lo iato con la storia… e forse allora si aprono altri abissi…
@ Ottaviani
Può darsi. Ma il quadro io l’ho messo come intervento ironico-politico sulla questione di fondo del post: Per chi scrive Poliscritture?
Torniamo a quella. (Appello che rivolgo a commentatori/trici a cui essa sta a cuore.
Parto dalla rappresentazione pittorica tenendo conto sia del suo titolo (“Poliscritture. Tra moto e stasi”) che del lungo dibattito del post.
Sinceramente ci vedo più dinamismo interno nella figura femminile a destra, quasi una pietra grezza che spinge e sta per prendere vita, che non nella figura danzante, stereotipo di movimento come indicherebbe anche la colomba (?) la cui ala pare atrofizzata, o il sasso sospeso: non cade perchè manca l’aria, manca l’attrito.
Certo che l’apparenza della danzatrice che si mostra in primo piano è, senza alcun dubbio, molto seducente e il “mumble mumble” della figura maschile alla sinistra, è come se rappresentasse la difficoltà della scelta.
Tenendo conto di questa lettura e tornando al tema del post “Per chi scrive Poliscritture?”, sarebbe come mettere a confronto l’apparenza brillante di DoppioZero (sito *dove ci si sente per lo più “arrivati”*, come scrive Annamaria, 30.09 h. 21.07), la ‘vetrina’ dove apparire, e lo sgranarsi dell’esperienza di Poliscritture, “Laboratorio di ricerca e cultura critica”, come recita il suo sottotitolo.
Il nome di quel sito (e dopo aver letto il suo programma) non poteva non farmi venire alla mente la farina “OO” (Doppio Zero), farina bianca raffinata che si ottiene attraverso la macinazione industriale del chicco di grano. Il che comporta l’eliminazione del germe (ovvero il cuore nutritivo del chicco, che contiene aminoacidi, acidi grassi, sali minerali, vitamine del gruppo B e vitamine E) e della crusca (la parte più esterna, particolarmente ricca di fibre). Una farina depauperata ma ricchissima di zuccheri!
Altra musica si suona in Poliscritture, un laboratorio artigiano ‘sui generis’, dove non c’è un ‘maestro’ che insegna un mestiere, mostra le regole e i segreti, ma ognuno impara attraverso il confronto con gli altri e si confronta con gli altri. Anche ‘scazzandosi’ con gli altri.
Per questo ho trovato illuminante e utile l’intervento di Sagredo a commento della poesia di Ederle (“Canto per Paola”). Fatta salva la solidarietà per il lutto e la sofferenza del poeta (e la dichiarazione di questi ‘affetti’ non è certo mancata) , rimaneva da affrontare il rapporto fra sentimento, espressione e strumenti atti a rappresentarlo. Perciò concordo con L. Aguzzi (29.09 h. 6.21) quando scrive *Sagredo, a modo suo, ha segnalato punti davvero criticabili, ed è improprio rispondere evitando la puntualità della critica*.
Se da un lato sento l’auspicio di Ennio rispetto al “fare gruppo culturalmente e politicamente ragionante e indipendente”, nello stesso tempo recepisco il richiamo al ‘realismo’ da parte di Cristiana (1 ottobre 2016, h. 0:10) quando afferma che per tenere assieme un gruppo eterogeneo (un “noi” che *tuttavia diverge in altri aspetti, anche teorici e politici*) ci vuole un compito, una attività che ‘lega’. E senza il miraggio di ‘fare vetrina’ utilizzando il gruppo come predellino.
Ed è un problema.
Perchè il disfacimento culturale e politico in cui siamo volenti o nolenti immersi – cultura e politica sono strettamente connesse e, come in un gioco di specchi, si interfacciano -, ci rende difficile pensare ad un progetto di largo respiro senza andare a cozzare con tutti i condizionamenti che il sistema impone.
Anche per questi motivi il lavoro di coordinamento di Ennio è molto più faticoso
e il minimo che può chiedere è: * Insomma a me pare indispensabile bloccare il cattivo dialogo, il tono da salotto autocompiaciuto, l’insulto gratuito, l’applauso non argomentato, il messaggio troppo soggettivo e individualista* (Ennio, 30.09, h. 22.31. Appunto n. 2).
Che cosa si ottiene in cambio? Credo che disporre di un luogo dover poter far lavorare il pensiero, anche attraverso ‘scontri’, sia una possibilità da non sottovalutare.
Un pensiero che si misura, dunque, senza essere esclusivo ed escludente.
E utilizza un luogo che, come scrive Sagredo più sopra, sia aperto alla partecipazione: *credo che “Poliscritture” scriva per tutti, per il Tutto e per il Nulla; per quelli che non vaneggiano invano; per quelli che si sforzano di comprendere cosa sia la Poesia: sia questa oscura o poca oscura; per quelli che rispettano la gioia e il dolore di tutti (“io sono dovunque c’è dolore”); per quelli che sono dotati di lungo respiro per affrontare “testi lunghi” ( e siano ad esempio i grandi poemi del secolo scorso); per quelli che sono capaci di scrivere commenti esaustivi e fondamentali poi che hanno commentato grandi versi – taluni dicono sublimi -; per quelli che sanno cosa sia la Bellezza*.
Questa sarebbe la mia risposta alla domanda iniziale del post: “Per chi scrive Poliscritture?”.
R.S.
Brava Rita, un colpo di ramazza sulla polvere, e si riparte. Dal pulito.
… E cosi, come forse era giusto che fosse, il poeta che secondo la lettura di Ennio Abate – lettura che personalmente ritengo assai interessante ma in qualche modo parziale e “ideologica” – si caratterizzerebbe per il “consolidato nichilismo di fondo…antilluminista, ostile ad ogni distinzione tra vero e falso o tra oscurità necessarie e oscurità superflue o insidiose…dalle radici di un pensiero distruttivo (E. Abate -Sette note a “Poesie Beate” di Antonio Sagredo) avrebbe finalmente risolto il problema del “Per chi scrive Poliscritture?”… Nemesi…Nemesi….
@ Ottaviani
non ho capito… sarebbe come dire che nelle mani di Sagredo (il quale *si caratterizzerebbe per il consolidato nichilismo di fondo … antilluminista, ostile ad ogni distinzione tra vero e falso … dalle radici di un pensiero distruttivo* [ma di queste ipotesi, sia pure interessanti di Ennio, dove si è mai discusso? C’è stato un contraddittorio?]), sarebbe depositata la risoluzione del problema del “Per chi scrive Poliscritture?”?
O sarebbe come dire che questo poeta non può cavarsela con un birignao laudativo a Poliscritture ma che deve cambiare le sue impostazioni?!
Non capisco l’orientamento della Nemesi, qual è l’oggetto verso cui essa si rivolta.
R.S.
@Simonitto
Ma non c’è molto da capire se, secondo l’autorevole parere di Simonitto, l’unico a dare risposte convincenti al quesito in oggetto è Antonio Sagredo che non ha certo bisogno di alcun “birignao” (sic!) né laudativo né demolitore… la nemesi, senza attendere contraddittori, si “orienterebbe” su Poliscritture…
@ Ottaviani (ma anche in generale)
Non è proprio il caso di scomodare l’autorevolezza!
Per quanto fosse enfatico (da poter essere interpretato come un birignao attoriale) il discorso che ho selezionato dall’intervento di Sagredo l’ho sentito sottoscrivibile (ovviamente un sentire mio personale che può non essere condiviso da altri).
Ovviamente non l’unico dotato di *risposte convincenti al quesito in oggetto*, così come non può esserlo quello di chiunque altro, nemmeno di Ennio stesso.
Perché non di unicità si tratta ma di mettere assieme più pensieri, anche controversi. Qui sta la grande difficoltà (che Ennio patisce in pieno) di navigare tra Scilla e Cariddi: evitare il pensiero unico ed evitare il potpourri o il sincretismo spinto.
R.S.
@Simonitto
D’accordo. Ma la Sua precisazione era necessaria e forse il mio intervento ha contribuito a produrla… L’autorevolezza, quando è reale, è bene richiamarla proprio ad “evitare il potpourri o il sincretismo spinto”. Cordialmente
@Ennio Abate
per me persistono le stagioni contrassegnate da travagli fisici e solo a dibattito concluso ho avuto modo di leggere il post: Per chi scrive Poliscritture?
Tu sei l’ideatore, il conduttore/nocchiere, l’animatore della Rivista. Tutto si regge, senza nulla togliere agli altri Redattori, sulle tue spalle. Ti muove il gusto intellettuale per le Arti e per la Politica, ne deriva una mescolanza tra le due cerchie. Collaboratori e lettori colgono via via l’unificazione di questi due ambiti e o le divergenze.
Io rilevo che per te è ancora più doveroso pensare bene che scrivere bene, che comunicare ricorrendo alla buona letteratura.
Ciò è comprensibile per uno che ricerca la verità, la conformità tra parole e cose, la giustezza delle idee.
Quando si tratta di indicare la strada corretta che Poliscritture dovrebbe seguire provo una sorta di disagio per le eventuali possibili interdizioni. Le regole alla fin fine delimitano, finiscono per angustiare.
Bene il linguaggio con tono diretto alle persone colte. Il popolo minuto può e deve raccoglierlo. Abbassarne il livello sarebbe l’ennesima mistificazione della cultura populista.
Un caro saluto,
Ubaldo de Robertis