di Lucio Mayoor Tosi
La maschera è un chiavistello sputa sentenze
per far ridere mentre insacca la sera. Angeli
stralunati nel bar, ali di quintessenza, dominio
sul tavolo da gioco. Notte. L’universo cammina
bordeggiando rovi. Non può rientrare, starà fuori
per sempre.
In casa – ma è un luogo questo? – tecnologie
di legno e metallo, sormontate da composizioni
di carta. Casa bunker: dopo la strettoia. Dove
vivono topi allegramente: santo, santo crocifisso
offrimi una sigaretta. – Pezzente! – Picchiatore fascista
dei miei stivali, giocatore delle paure – come potrai
fermare gli attimi delle la mie mani?
Sono non sono.
Parole generate da malware all’ombra paradise
del sistema balocchi, perfetta similitudine.
Dormi! Una dolce amica, dispensatrice
di bisogni elargirà amore terrestre. Non sentirti perso
stai solo girando su te stesso mentre il mondo
suona con rumori e bla bla di finestre. E’ un
continuo togliersi di dosso. Le dipendenze fisiche
son museali. Mancanze di prospettiva.
– Le butto lì come cenci.
*
Amore.
Noi abbiamo la percezione fisica del cosmo.
L’abbiamo nel corpo, il cosmo.
L’attimo che dura mezz’ora, s’imbriglia nel cosmo e dissolve in particelle.
Quel che vediamo nell’atomo è fibrillazione, tempo che non si rassegna
e danza.
Nel respiro autunnale, quando bruciano i rovi e brucia la terra
l’andirivieni delle navicelle.
Cosmo dice che ti dovresti allacciare meglio le scarpe.
Metterti in ordine, renderti presentabile.
Il tempo non ama scadere.
Scrivi: il nulla è solo continua dimenticanza.
Senza collisione è sicuro ogni naufragio; così senza una supernova
nemmeno noi ci saremmo incontrati.
Nel dubbio di non piacerti sarei caduto, foglia su altre foglie.
Un soffio di vento. Due necrologi in città diverse.
Fan ridere i cimiteri.
*
Uno scrittore di battute:
NON POSSEGGO NULLA
Problema, svolgimento.
Ho troppe cose.
Sparse dovunque
invadono la stanza.
Lupo dubbioso, annusando:
– L’aria non sa di steppa.
A quest’uomo gl’importa solo
di fumare sigarette.
Scrittore(.)com
musica annessa.
(Le immagini, se non comprese nel ritaglio
non verranno prese in considerazione)
L’esposizione d’arte si terrà al coperto
dentro una casetta artificiale
rivestita con sacchi riempiti di paglia.
Id Verification V7 [ XXXXX59 ]
Si prega senza sentimentalismi
all’ora sesta del pomeriggio.
Ogni giorno. Malgrado gli sguardi
non sentitevi estranei. Atei si diventa
ma se ne può parlare. Relatore
I-am MPS (mega prodotti stellari)
in cerca di verità.
Qui giunti
dopo la sigla […]
– Devo tener conto della mia mente
che non ce la fa.
– Pagherò il prezzo della mia rinuncia.
Un giorno saremo tutti illuminati.
La Terra si sentirà al sicuro.
– Cara Principessa, il vuoto che ci accompagna
è un regalo del cielo.
L’uomo depositò sul tavolo
il proprio sospiro.
– Dimentichiamo sempre che la mente
è madre di ogni nostra ossessione. Amen.
Una mente rilassata sa fermarsi
sa osservare, ascoltare.
[Famous group XXXZ12]
L’uomo entrò dalla porta a vetri.
Perfetto bianco argentato
non una nota fuori posto. Come va?
– L’imbecille sta cercando
di farmi pronunciare una battuta esilarante.
Prego Dio che mi assolva.
Piove nella dimora del tempo.
Piove sul glicine, sull’argine ondoso
che ti vide fanciullo inorridito
mentre speravi in qualcuno
che ti venisse a salvare.
Una fine in decolté.
Ambra. Nella cella di una geisha
aspettando primavera.
Mayoor – 2017
finalmente alcune “poesie”
[a mio gusto: soprattutto la seconda] che salutarmente sconfinano nella “storia della letteratura”…
Lieto che le siano piaciute.
Mi appare un contrasto tra il panorama mentale cosmico: “l’universo cammina/bordeggiando rovi”, ” quel che vediamo nell’atomo è fibrillazione, tempo che non si rassegna/e danza”, e le situazioni terrestri circostanziate dei koan. L’andirivieni delle navicelle è severo, annunciava già una mancanza di fondo.
Nel respiro autunnale, quando bruciano i rovi e brucia la terra
l’andirivieni delle navicelle.
Cosmo dice che ti dovresti allacciare meglio le scarpe.
Metterti in ordine, renderti presentabile.
Il tempo non ama scadere.
Se dovessi dire quale sia il mio intento, in relazione al lettore, direi che tendo a precederlo, come per indicargli strade diverse da quelle che si prefigura, o che può immaginare nei diversi incipit; perché lo immagino scaltro ma soprattutto abituato a seguire in sicurezza lo svolgersi del pensiero lineare. Ma non è così che queste poesie sono state concepite, perché nascono e si svolgono nella più totale insicurezza, o per meglio dire utilizzando pause di tempo e spazio tali da non consentire collegamenti annunciati. Si arriva quindi ad una frammentazione del senso, il quale senso verrà rivelato dall’insieme, quasi come si direbbe di un quadro ” che ha una sua faccia” indipendentemente dal significato. Facendo perno sull’evento, invece che sullo svolgimento, si tenta la creazione di una poesia viva. Quest’ultimo aspetto si ricollega, almeno per quel che mi riguarda, a tradizioni filosofiche ed esistenziali appartenenti allo Zen, dove si a cura di vivere l’attimo, che qui è gesto-parola.
Va bene, potrebbe dire qualcuno che so io: ma per dire che?
Per rispondere bisogna entrare in ogni singola poesia.
“Diego” è un disperato, si ritrova a vivere nella più completa discordanza con quel che si trova attorno. E reagisce a modo suo, con rabbia. Ma Diego è umano, oggi è così, domani potrebbe essere dolcissimo. La poesia non analizza i problemi di Diego, non ne trae spunto per un’indagine sociologica o politica. Diego è la risultante di un problema. La forma adottata non consente che si distinguano le diverse voci; se si vuole, la mia e quella di Diego si confondono parimenti.
“Non sentirti perso
stai solo girando su te stesso mentre il mondo
suona con rumori e bla bla di finestre. E’ un
continuo togliersi di dosso.
“Amore” porta questo titolo consumato in tutte le maniere, ma lo fa quasi con sfida, per non dare tutto per scontato. Arriva perfino ad inventarsi una teoria bizzarra, nella quale si sostiene che il tempo sarebbe materia; e se è materia è anche corpo, quindi contatto e relazione. La poesia tenta di approcciarsi diversamente all’amore, in maniera diciamo così scientifica. Ma a me non importa di dire chissà quali verità, m’interessa che ci si pensi, che si torni ad inventare. Per questo mi tengo alla larga da sentimentalismi. Mi vien da dire “riprendiamoci le salite”, non le dolci discese cui siamo abituati, e le scontatezze.
“Koan” prosegue l’intento del sobbalzo, che si cerca di far accadere in conclusione ad ogni frammento. L’ho scritta in veste di autore per cristosantoprogrammi di intrattenimento. Si fa curiosamente riferimento a crocifissi e ateismo: non è da me, son capitati perché la cultura cattolica mi è famigliare, come ad ogni altro italiano, suppongo.
…che belle poesie, Mayoor! La prima, anche grazie alla tua spiegazione, mi sembra una poesia “sulla strada”,alla Kerouac, dove Diego vive una vita precaria, spoglia di certezze, ma proprio lì “…l’universo cammina/ bordeggiando rovi. Non può rientrare, starà fuori/ per sempre”. Avrà freddo d’inverno il senzatetto, ma i brividi provengono anche da questo contatto più stretto con il cosmo, che è dentro ogni corpo, e permette incontri insperati…
La seconda poesia è, secondo me, sull’essere umano perennemente interrogante, che non raggiunge mai un senso nelle risposte e, se a lungo deluso, diventa dissacrante…Tuttavia i tre versi finali aprono diversi scenari: ” Una fine in decoltè. /Ambra./ Nella cella di una geisha/ aspettando primavera”
Grazie Annamaria. “Diego” toglie me stesso da una poesia che avrebbe potuto benissimo essere scritta con l’IO. Senza personalizzare la narrazione si oggettivizza e può consegnarsi libera a qualsiasi interpretazione. Nulla di nuovo, tranne forse il fatto che non nego, per principio, all’IO la possibilità di ripresentarsi ogni qualvolta lo desideri, perché anche l’IO è persona al pari di ogni altra e di ogni altra cosa. I processi di identificazione sono molteplici. Non è scrittura escludente, anzi proprio il contrario.
Il finale è lasciato alle nude parole, che se ci pensi sono il corpo della poesia, quel corpo che il significato vorrebbe sempre piegare al suo volere. Si scopre così che le parole, al pari di cose e oggetti, sono portatrici di immagini e a volte non hanno alcun bisogno di noi per poter essere. Questo è terreno fertile per il non senso, che io vado spesso a cercare proprio perché gli riconosco una validità “sociale” che considero onesta: quella di esprimere il non detto di gesti, emozioni e immagini che parlano da sé.
… dicendo del finale intendevo riferirmi a questo: ” Una fine in decoltè. /Ambra./ Nella cella di una geisha/ aspettando primavera”.
Mentre nella poesia “Diego” il finale è semplicemente un parlato.
Sono bellissime le poesie. C’è questa modalità di frammentare il senso e tanta bravura nel farlo. Un quadro entra comunque tutto in uno sguardo, mentre qui i frammenti scappano da tutte le parti, così è compito arduo sia per lo scrittore che per il lettore tentarne una qualsiasi ricomposizione.
Del gelo ho un rammendo radioso.
Mi tolgo il cappello e mi rimetto il capello
la notte lo sai raffredda le idee
ed a salve che i frammenti ci isolano,
del resto dovremmo saperla indossare la maglia
di lana. Chapeau è il vento degli dei.
(quei quadretti le stagioni dell’autunno, sono meravigliosi)
Grazie Tosi.
Ringrazio anche per l’ospitalità.
Grazie, Mauro
ero parecchio scombinato. Non che adesso vada meglio ma, con quel ritmo e in pochi anni, di buone architetture ne possono venire. E così è stato.