Dialogando con il Tonto (17)
di Giulio Toffoli
Ritrovo il mio amico, insolitamente affaticato, davanti alla Rotonda.
Entriamo, ci sediamo su una panca, poi a bassa voce gli dico:
“Tonto, come mai non ti sei più fatto sentire?”
“Colpa del referendum” mi risponde.
Lo guardo stupito e allora aggiunge: “Domenica scorsa è stata una giornata piuttosto faticosa, in pratica quasi venti ore e quando sono arrivato a casa ho dovuto smaltire …”.
“Che cosa? – gli chiedo – Forse i risultati …”.
“Macché i risultati, quelli non interessano a nessuno se non ai politicanti che ci ricameranno sopra prendendoci tutti per i fondelli. No, in parte è stata la stanchezza e in parte mi sono sentito coinvolto da quasi venti ore di convivenza con i giovani che hanno fatto gli scrutatori nel seggio, giovani che potevano essere miei figli e con cui ho cercato di costruire, in quelle lunghe ore, un dialogo nel tentativo di comprenderli. Sono loro che costituiscono il problema …”.
“In che senso? – gli chiedo – Proprio non ti capisco. Non è stata una ritualità burocratica come altre?”
“No. Almeno per me proprio no. L’intenso dialogo che ho realizzato con loro mi ha costretto a pormi una serie di domande a cui non so rispondere e che se vuoi posso cercare di esportele”.
“Ok, son qui tutt’orecchi …”:
“Allora mi sono trovato probabilmente per la prima volta di fronte a tre scrutatori e un scrutatorisegretario che avevano dai venticinque ai trentacinque anni. Una vera e propria festa della vita, su quel crinale che porta i giovani dalla conclusione della fase degli studi alla organizzazione di una propria esistenza autonoma. Si è trattato di un campione che mi è parso abbastanza significativo della nuova società italiana che si sta costituendo alle nostre spalle.
Proverò a descriverteli.
Erano due maschi e due femmine. Iniziamo da queste ultime. La prima, una ragazza di poco più di trent’anni che dopo aver conseguito la laurea in legge si è indirizzata verso la professione di agente immobiliare, con una propria piccola agenzie in qualche modo supportata da un’esperienza pregressa di tipo famigliare. Mi son trovato di fronte a una giovane solida con una formazione culturale di matrice cattolica, non priva di qualche sfumatura superstiziosa, chiaramente conservatrice ma nel contempo anche spigliata e molto pragmatica. Dotata di una bella loquela si è dimostrata capace di coinvolgerci e inserirci con grazia nel suo mondo.
La seconda invece è ancora studentessa universitaria di economia e commercio. Immersa negli studi, riservata e chiaramente alla ricerca di una sua identità. Critica nei confronti della educazione religiosa che ha ricevuto nella scuola e piena di entusiasmo, anche se nel suo discorso non mancava una qualche vena di pessimismo, ad esempio nei confronti del percorso universitario che va facendo.
Dei due maschietti il primo, laureato in legge, ha detto esplicitamente di essere politicamente “più di destra che di sinistra”; è impiegato presso un grande complesso bancario dove è stato assunto, subito dopo la conclusione del ciclo di studi, con un contratto a tempo indeterminato. Abbastanza soddisfatto della sua condizione professionale si è presentato come un amante del calcio e soprattutto del fantacalcio.
Passione che condivide con l’ultimo membro del seggio che, concluso il ciclo triennale dell’università, invece che proseguire gli studi ha preferito cercare un inserimento nel mondo del lavoro. Anche lui ha trovato, sia pure da poco tempo, una collocazione in una finanziaria dove ha ottenuto un primo contratto trimestrale rinnovabile …
Fin qui i miei quattro compagni di avventura al referendum”.
“Un modello sociale – aggiungo – abbastanza normale … Si tratta di giovani come mille altri”.
“No … Evidentemente non hai capito. Proverò allora a descriverteli con una modalità un poco diversa. Tutti e quattro sono giovani seri, molto ragionevoli, portatori di un pensiero moderato e posato, venato di un certo pessimismo, privi di grandi passioni, relativamente disinibiti nei confronti dei modelli di comportamento tradizionale ma nel contempo già identificati con una certa visione del mondo di stampo conservatore. Insomma quelli che noi un tempo avremmo definito dei piccolo borghesi.
Se si vuole perfino non molto diversi da quello che potevamo essere noi prima del ‘68.
Ciò che mi ha colpito, se ho ben compreso i loro discorsi, è l’assenza di un background culturale che sia alternativo a quello oggi dominante. Certamente provano un qualche imbarazzo, intuiscono che le cose non vanno bene e che la società in cui vivono è segnata da contraddizioni pesanti che si rifletteranno anche sulla loro esistenza; ma non riescono, non hanno gli strumenti, per andare al di là dell’espressione di un disagio che non trova sbocchi e che nei fatti si risolve in una accettazione passiva della logica delle gerarchie e dei ruoli come vengono delineati dal vivere sociale in cui sono inseriti.
Non hanno conosciuto altro che questo mondo dominato dal pensiero unico e non hanno alcun universo di segni e di simboli a cui fare riferimento che siano davvero alternativi al primato del telefonino, dell’aperitivo al venerdì sera, della macchina di lusso e di tutta quella costellazione di modelli simbolici che costituiscono l’essenza della nostra società.
In effetti, se ci pensiamo bene, sono tutti nati dopo il 1989.
Per loro la rivoluzione russa è qualche cosa di estraneo, lontano anni luce, poca la differenza con la rivolta di Spartaco. Anzi, rispetto a quella, una lotta contro la schiavitù, la rivoluzione russa è carica di un disvalore, che si esprime nell’identificazione del concetto stesso di rivoluzione con la violenza e il totalitarismo, che la logica dell’accademia e della politica in questi decenni hanno imposto all’opinione pubblica.
Anche parlare loro del ’68 è arduo. E’ passato mezzo secolo e non hanno gli strumenti per capirlo. In una società che giorno dopo giorno li ha educati al culto della meritocrazia, della concorrenza, della selezione come è possibile riuscire a farli partecipi di un discorso che invece faceva del diritto alla eguaglianza il suo perno? Al massimo per loro quegli anni sono gli anni della violenza, del terrore ….
Il loro immaginario culturale è costituito da un unico paradigma, quello elaborato e imposto dalla storia moralizzata di stato, quella per essere chiari dei «giorni della memoria», che passo dopo passo si è venuta affermando grazie a una imponente campagna di manipolazione. Si tratta di una cultura che identifica il comunismo con il male assoluto, e che come reazione arriva quasi a sdoganare le forme più aberranti di pensiero reazionario di destra. Una cultura manichea e puritana che legittima e/o sfrutta a proprio favore la «guerra fra i sessi», le «guerre di religione», le logiche delle contrapposizioni fra diversi status e diverse condizioni pur di mantenere un saldo dominio sulla società”.
“Insomma, se ti chiedessi di ridurlo ad una formula semplice, mi spieghi cosa vuoi dirmi?”
“Che probabilmente dobbiamo cambiare davvero completamente il nostro approccio.
Liberarci dal nostro passato e dai suoi fantasmi.
Dobbiamo pensarci come viandanti che si muovono in un deserto e che debbono perfino mutare il loro linguaggio pur di trovare il modo di entrare di nuovo in comunicazione con questi giovani. I miei giovani amici di domenica nulla sanno, se non in forma talmente manipolata da esser quasi aberrante, del XX secolo. La grande battaglia culturale e ideale del socialismo gli è del tutto estranea. D’altronde hanno forse intorno a loro un qualche segno di quella tradizione?
Basta guardare le sinistre di opposizione per mettersi le mani nei capelli.
Non so dirti come, ma di una cosa son certo: è davvero inutile che parliamo fra di noi di comunismo se non ci impegniamo prima a trovare un linguaggio che costituisca un ponte con i giovani.
Senza di loro il nostro discutere è davvero nulla di più che un parlare al vento”.
Dopo la lettura, a un primo moto di incredulità, mi riporto alle vecchie solide categorie, che del resto anche il Tonto usa, del conservatorismo identificato socialmente, con un’educazione cattolica, familiare e scolastica, con ambizioni di lavoro nel mondo economico. Le due cose in qualche modo le vedo idealmente collegate, per educazione religiosa non si intende di solito don Milani, e se si studia legge o economia e commercio non si pensa di fare volontariato o di impegnarsi in politica per ideale. Quindi mi sembra normale che quei giovani siano come sono, con una corretta dose di lucido pragmatismo.
Trovo però acuta anche l’osservazione che fa il Tonto a un certo punto, che quei giovani non sono neppure troppo diversi “da quello che potevamo essere noi prima del ‘68”. Come dire che, se iniziasse una fase di rivolgimenti, la loro ideologia che non va al di là di “un disagio che non trova sbocchi” troverebbe forse modo di superare l’accettazione passiva “della logica delle gerarchie e dei ruoli” esistente.
Proprio per questo inviterei il Tonto a cercare, per rallegrarsi un poco, altri giovani e seniori meno pacificati. Da lontano vedo molte donne vivaci e combattive, giovani e no, quelle di Non Una di Meno, per esempio. Si vedono momenti di lotta per il lavoro, e in campo di ordine pubblico. E’ difficile fare ponti in partibus infidelium, ma si può cominciare con chi parla la stessa lingua, facendo chiarezza su chi ha la lingua biforcuta.
…condivido lo scoramento del Tonto e l’appello che lancia al termine delle sue riflessioni su un campione di giovani da lui frequentato…Solo un campione di quelli “privilegiati” che sono entrati in qualche modo nel sistema in cui vivono e che non si sognano di mettere in discussione…Ma purtroppo, per quello che ne so, anche molti altri giovani meno o per nulla inseriti, blanditi da una propaganda ovattata e promettente, si sentono soltanto la ruota di scorta di una lussuosa e attraente macchina che prima o poi li ingloberà…Pezzi di ricambio che presto o tardi avranno l’onore di salire sul carrozzone. Le frustrazioni sono notevolissime, però pochi, giovani e meno giovani, arrivano a contestarle radicalmente, risalendo alle cause…Distratti, addormentati, ipnotizzati…ma anche sfiduciati, rassegnati, annullati…Beh sì, sarebbe ora di entrare in comunicazione con loro, con tutti, con un linguaggio diverso, “che costituisca un ponte…”