…il dipinto sembra rappresentare un paesaggio alluvionato: rivoli d’acqua tra gli alberi e uno sgretolarsi di forme. Al centro, la donna si muove in fuga tra acque dirompenti e detriti, come per divincolarsi, e il vecchio la segue o insegue. Sul corpo di lei sottopelle traspaiono fasci di nervi, un geografia variegata e intrecciata, lui, esile, veste un copricapo importante di foggia araba. i loro sguardi convergono in un punto, ma non si incontrano. Un volto di donna sopra la scena guarda altrove e perde pezzi…Sembra in corso una metamorfosi
La giovane donna si porta via tutto . Il vecchio la segue. Nulla si trasforma forse solamente il ricordo di una figura materna, Anche il verde se ne sta andando. Costruzione di segmenti che portano il pensiero ad una ricostruzione della vita. Il movimento di Abate è quasi sempre una fuga. Inquietante ma soprattutto desiderio di rivoluzione.
Ho proposto su “Poliscritture FB” e sul sito di “Poliscritture”
UN ESPERIMENTO
Prendo da un articolo di Pietro Bianchi su “Le parole e le cose” del 1 feb. 2017 (Al di là dei nostri occhi. Il Reale dello sguardo lacaniano )
questo brano:
“Che cosa vuol dire guardare un’immagine – si chiede implicitamente Lacan ne I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi? Per molto tempo si è pensato che guardare volesse dire mettere in contatto un agente percipiente con un oggetto percepito, un polo attivo con un polo passivo. Tale descrizione dell’esperienza visiva secondo cui la percezione non è altro che una freccia che collega un punto a un altro in uno spazio neutro e astratto non è troppo lontana da quell’implicito empirista che fa da sfondo alla stragrande maggioranza degli studi sul cinema. Ogniqualvolta siamo messi di fronte a un’immagine non supponiamo tacitamente che tutti stiamo guardando più o meno lo stesso oggetto?
Lacan imposta la sua argomentazione sull’oggetto-sguardo in due passaggi. Nel primo mette in discussione l’implicita oggettività dell’immagine con un assunto fenomenologico: contrariamente a ciò che si pensa, quando guardiamo un’immagine stiamo tutti facendo un’esperienza minimamente differente. Non solo perché le condizioni della percezione sono sempre diverse come assicurerebbe qualunque studioso della percezione o scienziato cognitivo, quanto perché guardiamo sempre con un corpo. E il corpo, insegna la psicoanalisi, è innanzitutto corpo pulsionale. Uno psicotico che soffre di allucinazioni visive vedrà un’immagine completamente differente, ma anche i sintomi di un qualunque nevrotico definiscono il campo visivo secondo modalità che sono sempre singolari.”
E vi chiedo di dirmi cosa vedete in questo mio quadro.Poi vi dirò perché. Grazie
Ricopio dal sito di Poliscritture due risposte
mayoor 14 febbraio 2017 alle 9:15
E’ come guardassi bassorilievi dell’antico Egitto; m’interrogo sulle loro esistenze, l’organizzazione sociale, le credenze religiose e quale il loro senso della bellezza.
In questa tua rappresentazione, trovo dolorosa la figura centrale, perché nuda, arrossata e come senza pelle. Ma la posa è quella di una pattinatrice o di qualcuno che danza o corre; verso cosa o perché, non si sa: son tutti profili, rimandano a qualcosa che sta fuori dall’immagine. Due terzi dell’opera sono in rosso, le figure vanno a destra. In altro guardano a sinistra. Le figure in alto sembrano andare in controcorrente.
Luciano Aguzzi 14 febbraio 2017 alle 9:23
Quello che Ennio propone può essere un gioco come un altro, con implicazioni serie, se lo si vuole interpretare seriamente. Innanzitutto mi sembra ovvio che il «vedere» è un’attività complessa che implica una marea di problemi e aspetti. Se così non fosse, non esisterebbero i numerosi test sul vedere (clinici, metrici di misurazione, psicologici cognitivi e proiettivi come il test di Rorschach e così via). Gli studi sulla visione hanno dimostrato che il vedere non è una capacità congenita già formata, ma congenita è solo la facoltà di imparare a vedere nelle circostanze “normali”. Ci sono casi di persone nate cieche che hanno recuperato la vista dopo anni (a seguito di operazioni chirurgiche o per altri motivi). Per tutti il “vedere” è stato un trauma difficile da superare, l’apprendimento del vedere è stato lungo e in alcuni casi non ha mai portato ad una capacità definibile normale. La deprivazione subita per anni non è stata recuperata interamente e in qualche caso, addirittura, queste persone hanno chiesto di essere operate di nuovo per farsi accecare e così recuperare l’equilibrio sensitivo e cognitivo che avevano raggiunto prima nel loro mondo buio ma significativo, esploso e perduto con un vedere non appropriato.
Detto questo, è chiaro che l’operazione del vedere è anche sempre un’operazione di organizzazione di elementi fisici, neuronali e intellettuali e di interpretazione degli stessi. Operazione complessa che, se scendiamo al dettaglio, è sempre diversa da individuo a individuo. È pertanto soggettiva, ma di un soggettivo che dipende da una serie di elementi oggettivi, che non è quindi un soggettivo libero, che è possibile scegliere con un semplice atto di volontà.
Nel quadro di Ennio (che ora, scrivendo qui sotto nel format apposito, non posso vedere perché non ci sta nel monitor del pc), imbeccati dal titolo, ci si vede subito due figure, un viso in alto a destra, che dovrebbe essere la «giovane donna», e una figura a corpo intero, seppure stilizzato e deformato, al cento, che dovrebbe essere il «vecchio». Ma le figure non indicano chiaramente la loro condizione di giovane e vecchio, per cui potrebbe anche non essere così, per Ennio o per altri.
Si vede poi una terza figura, solo una testa, alle spalle della figura centrale. Le tre figure, tuttavia, non sembrano gli elementi più pieni e visibili del quadro, dal punto di vista del “vedere”, e non dell’estetica o comunque dell’interpretazione di senso. Ciò che al primo sguardo caratterizza il quadro è l’insieme di reticoli bianchi che contornano e delimitano degli spazi colorati. Si potrebbe pensare a strade, o canali, e a campi o terreni più o meno coltivati e colorati di verde o marrone o altri colori in tono. È solo all’interno di queste aree che le figure umane emergono, come formazione spontanea, fra il casuale e il voluto, derivata dalle rughe e righe e altri elementi dei campi (campi di colore, campi come parti del quadre delimitate e riconoscibili).
Righe e campi, a loro volta, possono essere interpretati come un grafico complesso a sé, tipo le famose linee che in alcune zone dell’America del Sud sembrano tracciare scritte e simboli leggibili solo sorvolando il tutto in aereo o elicottero. Sono dunque interpretabili come simboli che rimandano a significati non precisati ma individuabili.
A questo punto si può passare a percepire una struttura prospettica nel senso dell’estensione della profondità o altezza. La figura umana centrale giace sul territorio articolato in campi e in parti bianche separatrici, ma pur giacendo si innalza su di essi e si muove in essi e sembra l’unico disegno dotato di individualità, corpo e movimento e, dunque, di volontà. Le due teste svolgono un compito meno importante, più di contorno e più inserito nello sfondo, che però non è solo sfondo perché è capace di cogliere il primo sguardo, emergendo in primo piano.
Se si volesse scendere nei dettagli, si potrebbe cercare di vedere altro, ad esempio i tratti fisici delle figure (età, colore della pelle, tratti etnici, elementi di abbigliamento o di nudità ecc.) e il rapporto fra di esse e con la natura in cui sono immerse.
A questo punto il quadro tende a diventare un racconto. E ognuno potrebbe raccontare il suo. C’è anche un leggero effetto di trompe-l’œil , di inganno dell’occhio. Infatti, se si fissa la figura centrale dopo averla individuata in tutti i suoi contorni, questa emerge in primo piano, mentre al primo sguardo essa giace in secondo piano. E più si guarda il quadro, più la figura centrale tende a emergere e a impoverire di senso e di dettagli ciò che gli sta intorno. La figura dell’uomo nudo al centro, in movimento, pur essa stessa composta da parti. quasi da corpo senza pelle o da collage di frammenti di carta o stoffa, a un certo punto domina, “imperializza” il quadro intero. Che significato ciò potrebbe avere, dirlo non è più compito del vedere ma del successivo passo di interpretazione intellettuale/culturale di ciò che si è visto.
…il dipinto sembra rappresentare un paesaggio alluvionato: rivoli d’acqua tra gli alberi e uno sgretolarsi di forme. Al centro, la donna si muove in fuga tra acque dirompenti e detriti, come per divincolarsi, e il vecchio la segue o insegue. Sul corpo di lei sottopelle traspaiono fasci di nervi, un geografia variegata e intrecciata, lui, esile, veste un copricapo importante di foggia araba. i loro sguardi convergono in un punto, ma non si incontrano. Un volto di donna sopra la scena guarda altrove e perde pezzi…Sembra in corso una metamorfosi
La giovane donna si porta via tutto . Il vecchio la segue. Nulla si trasforma forse solamente il ricordo di una figura materna, Anche il verde se ne sta andando. Costruzione di segmenti che portano il pensiero ad una ricostruzione della vita. Il movimento di Abate è quasi sempre una fuga. Inquietante ma soprattutto desiderio di rivoluzione.
Ho proposto su “Poliscritture FB” e sul sito di “Poliscritture”
UN ESPERIMENTO
Prendo da un articolo di Pietro Bianchi su “Le parole e le cose” del 1 feb. 2017 (Al di là dei nostri occhi. Il Reale dello sguardo lacaniano )
questo brano:
“Che cosa vuol dire guardare un’immagine – si chiede implicitamente Lacan ne I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi? Per molto tempo si è pensato che guardare volesse dire mettere in contatto un agente percipiente con un oggetto percepito, un polo attivo con un polo passivo. Tale descrizione dell’esperienza visiva secondo cui la percezione non è altro che una freccia che collega un punto a un altro in uno spazio neutro e astratto non è troppo lontana da quell’implicito empirista che fa da sfondo alla stragrande maggioranza degli studi sul cinema. Ogniqualvolta siamo messi di fronte a un’immagine non supponiamo tacitamente che tutti stiamo guardando più o meno lo stesso oggetto?
Lacan imposta la sua argomentazione sull’oggetto-sguardo in due passaggi. Nel primo mette in discussione l’implicita oggettività dell’immagine con un assunto fenomenologico: contrariamente a ciò che si pensa, quando guardiamo un’immagine stiamo tutti facendo un’esperienza minimamente differente. Non solo perché le condizioni della percezione sono sempre diverse come assicurerebbe qualunque studioso della percezione o scienziato cognitivo, quanto perché guardiamo sempre con un corpo. E il corpo, insegna la psicoanalisi, è innanzitutto corpo pulsionale. Uno psicotico che soffre di allucinazioni visive vedrà un’immagine completamente differente, ma anche i sintomi di un qualunque nevrotico definiscono il campo visivo secondo modalità che sono sempre singolari.”
E vi chiedo di dirmi cosa vedete in questo mio quadro.Poi vi dirò perché. Grazie
Ricopio dal sito di Poliscritture due risposte
mayoor 14 febbraio 2017 alle 9:15
E’ come guardassi bassorilievi dell’antico Egitto; m’interrogo sulle loro esistenze, l’organizzazione sociale, le credenze religiose e quale il loro senso della bellezza.
In questa tua rappresentazione, trovo dolorosa la figura centrale, perché nuda, arrossata e come senza pelle. Ma la posa è quella di una pattinatrice o di qualcuno che danza o corre; verso cosa o perché, non si sa: son tutti profili, rimandano a qualcosa che sta fuori dall’immagine. Due terzi dell’opera sono in rosso, le figure vanno a destra. In altro guardano a sinistra. Le figure in alto sembrano andare in controcorrente.
Luciano Aguzzi 14 febbraio 2017 alle 9:23
Quello che Ennio propone può essere un gioco come un altro, con implicazioni serie, se lo si vuole interpretare seriamente. Innanzitutto mi sembra ovvio che il «vedere» è un’attività complessa che implica una marea di problemi e aspetti. Se così non fosse, non esisterebbero i numerosi test sul vedere (clinici, metrici di misurazione, psicologici cognitivi e proiettivi come il test di Rorschach e così via). Gli studi sulla visione hanno dimostrato che il vedere non è una capacità congenita già formata, ma congenita è solo la facoltà di imparare a vedere nelle circostanze “normali”. Ci sono casi di persone nate cieche che hanno recuperato la vista dopo anni (a seguito di operazioni chirurgiche o per altri motivi). Per tutti il “vedere” è stato un trauma difficile da superare, l’apprendimento del vedere è stato lungo e in alcuni casi non ha mai portato ad una capacità definibile normale. La deprivazione subita per anni non è stata recuperata interamente e in qualche caso, addirittura, queste persone hanno chiesto di essere operate di nuovo per farsi accecare e così recuperare l’equilibrio sensitivo e cognitivo che avevano raggiunto prima nel loro mondo buio ma significativo, esploso e perduto con un vedere non appropriato.
Detto questo, è chiaro che l’operazione del vedere è anche sempre un’operazione di organizzazione di elementi fisici, neuronali e intellettuali e di interpretazione degli stessi. Operazione complessa che, se scendiamo al dettaglio, è sempre diversa da individuo a individuo. È pertanto soggettiva, ma di un soggettivo che dipende da una serie di elementi oggettivi, che non è quindi un soggettivo libero, che è possibile scegliere con un semplice atto di volontà.
Nel quadro di Ennio (che ora, scrivendo qui sotto nel format apposito, non posso vedere perché non ci sta nel monitor del pc), imbeccati dal titolo, ci si vede subito due figure, un viso in alto a destra, che dovrebbe essere la «giovane donna», e una figura a corpo intero, seppure stilizzato e deformato, al cento, che dovrebbe essere il «vecchio». Ma le figure non indicano chiaramente la loro condizione di giovane e vecchio, per cui potrebbe anche non essere così, per Ennio o per altri.
Si vede poi una terza figura, solo una testa, alle spalle della figura centrale. Le tre figure, tuttavia, non sembrano gli elementi più pieni e visibili del quadro, dal punto di vista del “vedere”, e non dell’estetica o comunque dell’interpretazione di senso. Ciò che al primo sguardo caratterizza il quadro è l’insieme di reticoli bianchi che contornano e delimitano degli spazi colorati. Si potrebbe pensare a strade, o canali, e a campi o terreni più o meno coltivati e colorati di verde o marrone o altri colori in tono. È solo all’interno di queste aree che le figure umane emergono, come formazione spontanea, fra il casuale e il voluto, derivata dalle rughe e righe e altri elementi dei campi (campi di colore, campi come parti del quadre delimitate e riconoscibili).
Righe e campi, a loro volta, possono essere interpretati come un grafico complesso a sé, tipo le famose linee che in alcune zone dell’America del Sud sembrano tracciare scritte e simboli leggibili solo sorvolando il tutto in aereo o elicottero. Sono dunque interpretabili come simboli che rimandano a significati non precisati ma individuabili.
A questo punto si può passare a percepire una struttura prospettica nel senso dell’estensione della profondità o altezza. La figura umana centrale giace sul territorio articolato in campi e in parti bianche separatrici, ma pur giacendo si innalza su di essi e si muove in essi e sembra l’unico disegno dotato di individualità, corpo e movimento e, dunque, di volontà. Le due teste svolgono un compito meno importante, più di contorno e più inserito nello sfondo, che però non è solo sfondo perché è capace di cogliere il primo sguardo, emergendo in primo piano.
Se si volesse scendere nei dettagli, si potrebbe cercare di vedere altro, ad esempio i tratti fisici delle figure (età, colore della pelle, tratti etnici, elementi di abbigliamento o di nudità ecc.) e il rapporto fra di esse e con la natura in cui sono immerse.
A questo punto il quadro tende a diventare un racconto. E ognuno potrebbe raccontare il suo. C’è anche un leggero effetto di trompe-l’œil , di inganno dell’occhio. Infatti, se si fissa la figura centrale dopo averla individuata in tutti i suoi contorni, questa emerge in primo piano, mentre al primo sguardo essa giace in secondo piano. E più si guarda il quadro, più la figura centrale tende a emergere e a impoverire di senso e di dettagli ciò che gli sta intorno. La figura dell’uomo nudo al centro, in movimento, pur essa stessa composta da parti. quasi da corpo senza pelle o da collage di frammenti di carta o stoffa, a un certo punto domina, “imperializza” il quadro intero. Che significato ciò potrebbe avere, dirlo non è più compito del vedere ma del successivo passo di interpretazione intellettuale/culturale di ciò che si è visto.