di Angelo Australi
Il sasso era rimbalzato ben sette volte a pelo d’acqua, prima di andare sotto. Poco distante un pesce saltò e subito scomparve con in bocca qualche insetto, mentre da un canneto si alzarono in volo una coppia di fringuelli, cinguettando e rincorrendosi fino a che non sparirono nella vegetazione della riva. Spartaco fissò quei saltelli con uno sguardo concitato e pieno di soddisfazione, era stato un lancio perfetto e nessuno dei suoi compagni si sentiva stimolato a tentare di far meglio. Non facile da ripetere nemmeno per lui: un gran colpo di fortuna aver trovato quel ciottolo di uno spessore minimo, affusolato, perfettamente rotondo, e di averlo lanciato istintivamente in un punto ampio del fiume dove l’acqua rifletteva l’ombra di alcune forme astratte di paesaggio nella lucentezza dei colori del cielo fissati in quella superfice statica.
Intanto, sulla sponda opposta del fiume, una donna che era entrata in acqua legandosi la gonna in vita come un’attrice del cinema, aveva iniziato a schizzare l’uomo a dorso nudo che stava lavando l’auto sulla riva. Il gruppo dei ragazzi, provocato da una presenza così inusuale a quell’ora di pomeriggio, tentò di farsi notare diventando chiassoso.
Li aveva seguiti anche la sorella di Marco, lasciando le amiche a giocare in una corte tutta ombreggiata dalle case. Fu lei la prima a consigliare Sauro di non mettersi così in mostra con una donna che poteva avere l’età di sua madre.
Erano le tre di pomeriggio e il sole, con l’ora legale, si trovava ancora al centro del cielo e illuminava tutto quanto indistintamente. In quel punto dove si trovavano, i raggi filtravano appena dalla fitta ombra delle acacie che tremolava sull’acqua, finendo per creare dei riverberi così lucenti da infastidire gli occhi. La banda veniva sempre in questo punto del fiume perché sull’ampia riva si affacciava una fitta boscaglia di acacie, salici e alti pioppi dove nidificavano aironi, garzette e qualche falco pescatore. Questo posto del fiume si chiamava “La Colonia” perché negli anni ‘trenta, per i sabati fascisti estivi, i giovani del paese venivano portati a fare ginnastica su quella spiaggetta ormai invasa dai rovi, finendo il pomeriggio con un bel bagno rinfrescante; mezzo crollati e nascosti dalla vegetazione, si distinguevano ancora i resti di alcuni casottini in muratura risalenti a quel periodo.
– Se vuole farci un favore, la signora deve spogliarsi – disse Sauro.
Marta gli fece un pizzicotto all’altezza del fianco sinistro che lui, con uno scatto nervoso in avanti, riuscì a schivare solo in parte.
– Hai timore si venga a sapere che siamo venuti al fiume?
– Sì ho paura – disse Marta, – perché, hai qualcosa in contrario?
– Io? … niente, ma penso che devi smetterla di venire con noi, se vuoi sempre trattenerci su tutto.
– Se i nostri genitori vengono a sapere che siamo stati qui, per noi l’estate è finita prima di cominciare. Sarebbe da scemi farsi scoprire – ammonì Marta.
Per realizzare l’Autostrada del Sole, alcuni anni prima, erano state asportate dal letto del fiume quantità di materiale sufficienti a costruire un’intera città di cemento armato, e dopo la realizzazione di quest’opera che attraversava in lungo tutta la valle, negli ultimi anni l’amministrazione comunale aveva iniziato a costruire una nuova viabilità per fare in modo che lo sviluppo urbanistico si concentrasse nelle zone ben visibili da quel traffico a scorrimento veloce. La massiccia escavazione di rena e ciottoli dal letto del fiume fatta in un decennio, aveva lasciato dei pericolosi vortici in prossimità delle buche, che qualcosa era cambiato in quel punto dove ci abboccavano delle carpe gigantesche per primi lo avevano capito i pescatori, con loro la novità fece il giro dei bar del paese, e in seguito fu pretesto di conversazione in ogni abitazione. La notizia era diventata di dominio pubblico proprio alla fine di quell’anno scolastico, ma per quei ragazzi che non facevano le vacanze al mare era impossibile rinunciare ai bagni, anzi, sfidare il divieto dei genitori serviva ad eccitarli maggiormente, a farli sentire come dei ribelli sciolti da ogni vincolo con il mondo degli adulti. Le promesse fatte alle raccomandazioni urlate dalle madri, quando erano a giocare in strada, venivano immancabilmente disattese, a quel punto della stagione le pescaie costruite sui piccoli affluenti del fiume contenevano poca più acqua di una vasca da bagno e loro, che sentivano un’attrazione speciale a fare dei tuffi nell’acqua limacciosa, non avrebbero mai rinunciato al gioco che ripetevano ogni anno come una sorta di rito ancestrale. Durante le vacanze estive nascevano degli amori, si rafforzavano vecchi legami, si formavano nuovi gruppi che poi avrebbero mantenuto i contatti per tutto l’anno: un po’ come cambiar pelle.
– Ha delle gambe stupende! – esclamò Sauro.
La sua insistenza aveva spinto tutto il gruppo a parlarne.
– Tra lei e tua sorella non c’è partita! -. Salamandra afferrò al collo Marco per costringerlo a fissare Marta. – Potrebbe anche togliersi dalle palle, non ti pare?
– Se parli così di mia sorella, io me ne vado.
– Coglione! – urlò Salamandra. – Vai pure a squagliarti sotto un altro sole, sei così permaloso che non meriti la nostra stima.
– Ti credi migliore di me solo perché sei più grande?
– Non è questione di età, ragazzino, ma di saper stare allo scherzo.
Salamandra aveva compiuto da poco quattordici anni e per il gruppo era come una sorta di capo carismatico, quello che proponeva gli altri lo facevano senza grandi polemiche, fosse una battaglia con le altre bande, il bagno al fiume o una sortita sulle colline più distanti dall’abitato in cerca di frutti da rubare dalle piante. Nella calura di quei pomeriggi estivi che il paese entrava in letargo, l’esistenza dei ragazzi esprimeva una gran sofferenza, per le strade non c’era un’anima, anche il rumore proveniente dalle botteghe degli artigiani sembrava sopirsi nella canicola. Forse avrebbero inventato qualcosa di diverso da fare nel tardo pomeriggio, che allora Spartaco sarebbe andato di corsa a prendere la bandiera che distingueva la loro banda, per spostarsi nuovamente a esplorare la campagna arida e piena di polvere, per il momento, nonostante i rischi e le promesse fatte sulle raccomandazioni dei genitori, dopo aver mangiato una granita al chiosco della pineta, il caldo li rendeva assolutamente refrattari a tutto ciò che non fosse legato al rapporto con il fiume. La maggior parte di loro ancora non era mai stata al mare, il legame con il fiume sicché aveva qualcosa di primitivo, e quando i più fortunati rientravano dalle vacanze al mare, raccontando le loro scorribande non si sentivano affatto meno fortunati, anche se, per nuotare si adattavano a fare dieci, venti bracciate nei brevi tratti dove l’acqua gli arrivava appena ai fianchi.
Salamandra aveva gettato Marco addosso alla sorella e lei lo evitò spostandosi bruscamente di lato. – Stupido! – gli disse. – A me non serve un avvocato, so difendermi da sola.
La polvere sollevata dai camion lungo la strada sterrata si perdeva sulle anse del fiume, come se nel tratto in cui la nuova circonvallazione si avvicinava così fortemente alla riva, ci fosse un incendio che avvolgesse tutto quanto di un fumo denso e compatto. Era un viavai di mezzi pesanti che trasportavano rena, ghiaia e terra di ogni tipo, per rialzare le corsie della nuova strada dal livello dei campi fin sopra gli argini, così su ogni albero e su ogni pianta di granturco e di tabacco si era come calcificato una spesso strato di polvere che rendeva innaturale il verde del fogliame.
Sull’altra sponda del fiume l’uomo intanto aveva finito di lavare la sua auto e si era sdraiato a fumare una sigaretta sulla sabbia bianca di quella spiaggetta sorta a ridosso della riva. La donna uscì dall’acqua e si sedette accanto a lui guardando verso i ragazzi che correvano e sguazzavano a pochi metri da loro. L’uomo le accarezzò quelle gambe lucenti e lei si piegò a baciarlo velocemente, nascondendo il suo volto.
– L’ho riconosciuta! – urlò Dario.
– Anch’io – disse Spartaco, con un tono di voce più basso. – E’ la commessa del negozio che sta sulla piazza. Ci sono andato una volta con mia madre a comprare delle magliette, e ci ho anche parlato. E’ bella anche di faccia. Mia madre l’ha chiamata Vanna … mi sembra; o Vanda? Ma certo non abita in paese, viene da fuori.
Sauro aveva ringhiato come un felino, mimando col braccio un’erezione.
– Deficiente! – lo riprese Marta, – cosa credi di essere facendo così?
– Sicché Marta è la tua ragazza? – gli chiese Salamandra.
– Ti sbagli, non ho nessuna ragazza; sono libero come l’aria! – disse Sauro nervosamente e con fervore.
– Sembra gelosa come una moglie, …invece – disse Salamandra.
– Io non sono fidanzata, tantomeno di uno con quella faccia da scorfano!
Sauro allungò una mano a toccarle il piccolo seno nascosto dalla sua maglietta color fucsia. Dopo quel gesto si diede alla fuga e lei lo rincorse urlando inferocita che se ci avesse riprovato, gli avrebbe staccato a morsi un orecchio. Tutto il gruppo restò immobile ad osservare le loro schermaglie, finché non scomparvero dentro in un fitto canneto che cresceva sulla riva, a ridosso di alcune acacie, con le foglie che frusciavano come mimando il suono dell’acqua corrente.
– Tua sorella non ha intenzione di aspettare il matrimonio – commentò Patrizio, rivolgendosi a Marco. – Alla mia non consentirei tutta questa libertà.
– Quanti anni ha la tua sorellina? – gli chiese Marco, quasi a cercare lo scontro.
– Sedici, appena finiti.
– E dove credi si trovi adesso?
– Non lo so, … forse a casa di qualche amica del cuore – gli rispose Patrizio.
– Sbagliato, perché lei adesso sta pomiciando alla grande!
– Non devi dirmi certe cose solo per farmi arrabbiare, altrimenti ti gonfio la faccia di pugni. Brutto cretino!
– Sei te che hai cominciato a prendere in giro, io non ci pensavo neanche.
– Ho espresso un giudizio, … e allora?
– Tu hai espresso un giudizio di fantasia, io invece l’ho vista davvero l’altro ieri baciucchiarsi con un ragazzo molto più grande di lei. Guardami bene, … l’ho vista proprio con questi occhi: lei lo stringeva durante il bacio, mentre lui la palpava sotto le mutandine.
– Sei uno stronzo, ecco cosa sei! – urlò Patrizio.
– Forse sì, ma tu dove credi che sia adesso?
– Non m’importa dov’è!
– E come ci stava volentieri a farsi toccare la fica.
– Ragazzi, dateci un taglio … mi state facendo annoiare.
– Hai ragione, Salamandra – disse Spartaco. – Io questa cosa di mettersi a litigare sulle sorelle non la capisco.
– Per forza, sei figlio unico – disse Dario.
– Ma che c’entra?
– A mio padre non piace che le ragazze giochino a mescolarsi con i maschi – disse Dario, – vuole che sia un po’ come a scuola: classi separate.
– Certo – disse Salamandra, – perché tuo padre bazzica in chiesa tutti i santi giorni.
– Questo non è vero, ci va solo di domenica per la messa.
– Marta … Marta!
Marco urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni. Era capitato altre volte e lo sapeva benissimo, quando sua sorella si aggregava succedevano sempre delle schermaglie che prima o poi lo avrebbero messo a disagio. Non che fosse geloso di lei, ma perché non capiva di metterlo in difficoltà a stare in un branco di ragazzi che a parlare di sesso si comportava come se fossero gatti in calore?
Il sole accendeva di strani riflessi l’acqua del fiume, e mentre quella lite proseguiva tra il caldo e la voglia di tuffarsi in acqua, sull’altra riva l’abbraccio dell’uomo e della donna ormai aveva formato un corpo unico. Ai ragazzi non era mai capitato di vedere una coppia lasciarsi travolgere dalla passione così, davanti a un pubblico. Appena l’ombra delle piante si fosse allungata sulle rive, sicuramente sarebbero arrivati dei pescatori a guastare la festa. Nel frattempo Sauro aveva raggiunto i suoi amici, era apparso all’improvviso colpendo Marco con un pugno sulla schiena, proprio mentre stava parlando. Dopo aver corso respirava con affanno, e con la faccia tutta sudata si informò degli sviluppi sulla conversazione che si era prodotta in sua assenza.
Di lì a poco tornò anche Marta, che si avvicinò a suo fratello facendo delle smorfie.
– Ti sei perso una visione magica! -. Dario aveva gridato per vincere sul silenzio che si era creato, ma Salamandra gli mise una mano sulla bocca.
– Stai lì, … fanatico – gli disse ridendo. – Vuoi farti sentire in tutto il paese?
– Si sono abbracciati stretti stretti, poi lui le ha tolto le mutande -. Adesso Dario parlava sottovoce.
– Non ci posso credere – disse Sauro, – è una balla.
– Contento te, … – disse Dario.
– Sì, contento te, noi siamo stati meglio – disse Patrizio.
– Davvero li avete visti?
– Certo – disse Spartaco, – E’ stata una scena come non si vede al cinema.
– Appena appena cinque minuti fa, … solo questo ti dico -. Salamandra lo fissò negli occhi, ma poi per non ridere distolse lo sguardo su Patrizio che, seduto sui alcuni ciottoli della riva, guardava l’immobilità di Marco perso nell’isolamento di uno sguardo fissato altrove.
– Per la miseria! – urlò Sauro.
– Non si è perso mica niente, lo sapete? – Gli occhi di Marta erano pieni di una rabbia sconosciuta, mentre un alito di aria calda increspava leggermente l’acqua stagnante della riva.
– Eppure è così, cara bambina – disse Salamandra.
– Voglio sperare che riprendano dall’inizio, altrimenti per me sarebbe una maledizione.
– Sì, ti fanno una replica adesso! – disse Patrizio.
– Invece, sì … – disse Sauro.
Intuendo che li stava invidiando scoppiarono tutti a ridere convulsamente, fino allo spasimo. In un gesto di stizza Marta spostò bruscamente il corpo e ritrasse la mano, così Sauro perso l’equilibrio cadde in acqua tutto vestito. I suoi amici lo raggiunsero con un coro di fischi, di applausi e parole di scherno, ma invece di uscire dall’acqua per fare a pugni, com’era consuetudine di fronte a certi atteggiamenti di aperta sfida, lui si diresse nel punto dove l’acqua più alta del fiume poteva nascondere quelle buche nelle quali si formavano i vortici. Pensando al pericolo i suoi amici gli urlarono di fermarsi, di tornare indietro, ma Sauro si voltò e nel prepararsi a nuotare disse: – Brutti fessi con la patente di stronzi, ora vado a chiedergli se è vero.
– Che fai, scemo! – urlò Marta. – Torna subito indietro. Non ci siamo mai arrivati a nuotare in quel tratto di fiume, costì non puoi sapere cosa si nasconde… Ditelo anche voi di fermarsi, per piacere.
– Sauro, torna indietro … Stavamo scherzando –. Spartaco si era impaurito, nel vederlo allontanarsi dalla zona delle acque a loro familiari.
– Idioti, se poi non è vero ve ne faccio pentire!
– Vieni qui, non fare lo stronzo – disse Salamandra.
– Dai Sauro, era solo uno scherzo – disse Dario.
Forse era esausto, o forse aveva già bevuto quell’acqua torbida prima che i suoi amici se ne rendessero conto. Quando intuirono che ormai stava annegando, gli restò il tempo di chiamarlo una o due volte, prima di vederlo sparire in un vortice di quell’acqua che a causa della siccità era così scura da non distinguere il letto del fiume. Tutto accadde in una misera frazione di tempo, mentre stavano ridendo come dei matti in quel gioco di bugie e di finzione, ma alla fine, urlando come degli isterici, si misero a correre lungo la riva. L’uomo sull’altra sponda si tuffò istintivamente in acqua, mentre la donna, arrivando di corsa all’auto, si avventò sul clacson.
Arrivarono per primi degli operai che lavoravano in quel tratto alla nuova strada, richiamati da quel suono nervoso del clacson, ma nel giro di un’ora il ponte e gli argini brulicavano di curiosi, mentre una squadra di pompieri setacciava il fiume con la barca. Nel frattempo un vigile urbano aveva fatto rannicchiare quei ragazzi sotto una grande quercia che aveva il tronco impastato dalla polvere dei camion, dove erano assaliti da gruppi di grosse formiche nere che spuntavano da ogni parte. Nessuno parlava. Non avevano nemmeno la forza di guardarsi in faccia, aspettavano solo sperando in una risposta positiva dagli eventi, che fosse ancora possibile ritrovare il loro amico in vita; magari si era salvato approdando stremato in qualche punto della riva, a monte o a valle da dove si era tuffato per nuotare. Dopo un singhiozzo che sembrava un rantolo Marta aveva vomitato. Faceva schifo vedere tutto quel cibo rigurgitato impastarsi ai loro piedi nudi, ma non si spostarono di un centimetro. Sembravano raffigurare la statua di un groviglio di corpi appena abbozzati, dove non era semplice distinguere i caratteri, i lineamenti: erano come una specie di spugna in grado di assorbire la liquidità dei pensieri uno diverso dall’altro.
Spartaco si strinse nelle spalle e cominciò a ripensare continuamente al fiume, a quell’unico svago estivo che finite le scuole lui e gli altri ragazzi potevano vantare. Si incontravano tutti al chiosco di Tito che si trovava nella pineta, dietro le mura medioevali del paese. Il chiosco era riparato dall’ombra dei pini, così potevano mangiare la granita senza che subito si sciogliesse. Sbracati sulle sedie attendevano l’arrivo di Sauro per andare a fare il bagno, era sempre lui l’ultimo ad arrivare, perché prima di raggiungerli aspettava che suo padre si appisolasse sotto il fico dell’aia. Quando poi arrivava sembrava camminare nel sonno, e l’unica cosa che riusciva a ricordarsi era quel suo sorriso di sfida, fatto di una certa circospezione perché comunque, per stare con loro, era scappato via dai suoi doveri di figlio e la sera con molta probabilità ne avrebbe buscate. All’inizio gli andavano incontro sulla collina che nascondeva la sua casa rossa tra le viti e gli oliveti, ma giunti in vetta sentivano i cani abbaiare e le urla di suo padre che ordinava di restare per aiutarlo più tardi, nel lavoro dei campi. Era stato più pratico per tutti incontrarsi al chiosco. Spesso, mentre mangiavano la granita, Tito rompeva l’attesa del loro amico parlando delle sue origini marinare, delle quali aveva sempre un po’ di nostalgia. Gli raccontava della bellezza del mare nel punto in cui quel loro fiume ci si buttava dentro. – Siete ragazzi d’acqua dolce – gli diceva ridendo, – non potete immaginare quanto può mancarmi questa visione di avere davanti agli occhi sempre e solo il mare.
La tragedia poi era cresciuta da sola, il corpo di Sauro fu adagiato inerte sulla riva dai vigili del fuoco e subito coperto da un telo, mentre la disperazione di sua madre si infrangeva sul frinire delle cicale che assordavano quella parte di mondo.
Quando sua madre lo chiamò, Spartaco la raggiunse. Era stata l’ultima ad avvicinarsi perché si era fermata con il maresciallo dei carabinieri che le aveva chiesto di portare suo figlio il mattino dopo in caserma, per rilasciare una testimonianza sui fatti. Avendo corso come una forsennata, adesso era in preda ad un costante tremore di tutte le membra. Quando lo abbracciò, Spartaco sentì gonfiare la disperazione nel suo odore acre di sudore raffreddato. Mentre lo abbracciava aveva tirato un sospiro di sollievo, poi lo aveva costretto a salire il greto del fiume tenendolo per mano. Per più di due chilometri, dalla sua casa al fiume, aveva corso fino a farsi scoppiare i polmoni, perché ancora nessuno le aveva detto il nome del ragazzo che era annegato, e quando lo scorse, rannicchiato insieme agli altri, non sapeva più se piangere o mettersi a ridere dalla gioia di trovarlo vivo.
Mentre salivano dalla riva verso gli argini, lui ogni tanto si fermava a guardarla, così anche lei si fermava, lo abbracciava e lo baciava. Avrebbe voluto dirle che stavano solo scherzando, come tante altre volte era capitato di fare, non potevano certo immaginare una simile conclusione, ma sempre gli si affacciavano nelle mente quelle mani di Sauro che lottavano contro la forza sconosciuta del vortice d’acqua, erano come dei moncherini staccati dal resto del corpo, che lottavano aspramente e senza più appigli, per non sprofondare nell’oscurità del mondo. Questa voglia di spiegarsi si strozzava sempre nei singhiozzi ogni volta che si fermava, perché sentiva il bisogno di parlarne. Alla fine lei gli cinse la testa con le mani, perché ormai giunti sugli argini non si voltasse verso il fiume assassino. Poi inciampò sui suoi piedi e alcune lacrime le rigarono la guancia, ci passò in fretta la mano per asciugarsi, pensando che lui non se ne fosse accorto.
– Scarica tutta la tensione, amore mio … che ti fa bene. Piangi pure, se ne senti il bisogno.
In assoluto silenzio si incamminarono sulla strada sterrata, tra i camion carichi di terra che gli davano il passo e la gente accorsa dal paese che li guardava incuriosita.
Oltre il ponte lui si voltò per un attimo indietro, però l’argine del fiume in quel punto ormai era deserto. Vide che le lamiere ondulate dei tetti delle baracche sembravano lucidate dal sole come delle perle, e poi sentì l’urlo della sirena che si allontanava infrangersi quasi subito nei rumori del cantiere.
« Il sasso era rimbalzato ben sette volte a pelo d’acqua, prima di andare sotto». L’incipit di questo racconto, davvero molto bello, di Australi sembra quasi alludere al suo ritmo: una serie di scene -non so se siano proprio sette come i rimbalzi del sasso, non ho controllato – che ora descrivono ambiente e personaggi in modi lenti e pacati ora creano slarghi psicologici (le punte di erotismo adolescenziale scorbutico espresse dai dialoghi e dai gesti dei ragazzi) prima del momento tragico. Che uno comincia ad aspettarsi per certi segnali premonitori ben nascosti nel fluire lento della narrazione, come questo: « La massiccia escavazione di rena e ciottoli dal letto del fiume fatta in un decennio, aveva lasciato dei pericolosi vortici in prossimità delle buche».
Grazie Ennio.
Molto bravo Australi.
Natura,sensazioni,rapporti,gioventu’,chiusi in un solo grande effetto che fa pensare davvero ad un racconto ben riuscito e molto coinvolgente.
“…la disperazione di sua madre…” “…Quando sua madre lo chiamo’…” Le due madri che confondono il loro dolore, mi sembra questo il punto piu’ alto della narrazione. Angelo Australi puo’ accostarsi alla tragedia solo di riflesso, per pudore, per inadeguatezza, ma ugualmente sembra di vedere “La Pietà” che prende movimento tra silenzio e singhiozzi, per un dolore che non ha uguali sulla faccia della terra…Un po’ “Mamma Roma” di Pasolini e nell’indifferenza del cantiere che prosegue il suo lavoro nonostante la vittima innocente…
Aspra e dolce al tempo stesso, la tua penna, come sempre, si muove frugando nell’animo dei personaggi. E’ ritrovare un mondo scomparso che parla di umanità: quella di giochi sereni e quella di tragici eventi, come questo; entrambi accarezzano lo scorrere del tempo e lasciano la scia di sapori ormai lontani; anche aspri, come l’accettare una morte così crudele, assurda.
Grazie, caro Angelo, di questi regali.
Lucia