Appunti (da diario 2010)
di Ennio Abate
Se i padri ideali (e non solo quello naturale) hanno una importanza non sottovalutabile nella formazione e nelle nostre biografie, Cesare Pavese fu per me – prima di Fortini o di Marx o di altri poi frequentati (quasi esclusivamente attraverso i libri) – uno dei primi. Di lui lessi da giovane – tra 59 e ‘62 – quasi tutto. Poi lo persi di vista. O, più tardi, venni a conoscere anche interpretazioni feroci su di lui (di Moravia, di Luperini). O meditate (di Fortini). Un’occasione per rileggere «Lavorare stanca» e «Il mestiere di vivere» ci fu nel 2010. Non ricordo più su sollecitazione di chi. E ne pubblico solo oggi gli appunti (in due puntate) sotto la spinta di alcuni articoli o saggi letti sul Web che riparlano di lui (qui, qui, qui o qui). Le mie note hanno il taglio da riordinadiario, e cioè di un rendiconto/confronto molto personale.
Non so, perciò, se, come è stato scritto su Doppio zero, Pavese «vive oggi nelle riscritture degli scrittori che sono venuti dopo di lui o nelle creazioni in altre forme espressive, nella musica ad esempio, nella canzone d’autore, nella musica elettronica». E, dunque, anche nelle mie scritture. A me importa ripensare da vecchio quel rapporto che ebbi in quegli anni coi suoi scritti. Se susciterò tra gli amici e i lettori di Poliscritture qualche riflessione sarà un sovrappiù benvenuto. (Preciso che i numeri di pagina citati tra parentesi si riferiscono al volume einaudiano a cura di Italo Calvino «Poesie edite e inedite» del 1962). [E. A.]
Pavese/ Lavorare stanca
Rileggermi questo libro che a 18-20 anni fu per me “il libro di poesia”. Misurarne le distanze. Ripescare cos’ero come poeta allora.
[Ritrovo due appunti (dovrebbero essere del primo periodo a MI (‘62 circa) a matita a pag. 198: – «cioè che dà appiglio ai rimpianti, ai rimorsi, ai dubbi a rileggerlo?»; – «a proposito la nostalgia è un rimorso: scompare andando a SA: distruggendo gli altri come ricordo doloroso e mutandoli in ricordo».
Altri due appunti sempre a matita a pag. 253, dov’è la nota a “Verrà la morte…»: – «(tu?) come parole dette senza badare + ad esse ma tutto intento al sentimento che ci possiede»; – «finora solo [solitario] fra gente nuova: è il massimo che hai fatto dopo che sei stato addolorato: restare a volte solo per [tua] decisione]. Il mio “reliquario giovanile» ha un legame con Pavese, almeno nei temi della campagna (residuali oggi in me, ma ancora vivi per tutta l’adolescenza). Vedere come quei temi si “afflosciano” con l’esperienza a Milano e a Colognom.
Donne perdute (18). In questa fame di sesso e di donne ci somigliavamo («e piangevo pensando alle donne»). Toni pavesiani avevo usato per la poesia su Valki e quella [che ora non ritrovo] sugli uomini che avevo immaginato uscire dalla casa di una puttana.
Canzone (20). Il rapporto ancora cercato nel primo anno a MI con il verde degli alberi o dei prati nei parchi (ad es. quello di Porta Venezia). La solitudine mia nella grande città era ancora quella dell’adolescente triste e sperduto che fui a SA. La figura pavesiana di giovane è, invece, ancorata vigorosamente a una terra. Anche arrogante, ma ancora ben legata agli antenati («Ho scoperto che, prima di nascere, sono vissuto/ sempre in uomini saldi, signori di sé» (Antenati, 23). Tutt’altro il rapporto – dolente, di stacco non ben compreso – con i miei parenti (zii e cugini) [L’ho detto in quella poesia in dialettoii…]
Il vino triste (21). Figure da avvicinare alla gente che conobbi alla Latteria di Via Spontini? O a Colognom quelle figure di proletariato da prima immigrazione (un P., un C., un B. della Manuli di Brugherio).
La misoginia di «E le donne non contano nella famiglia…» (24). Allora, quando lo leggevo a SA, m’era del tutto sfuggita. O la sottovalutavo. [Come mi accadde poi di stupirmi e arrabbiarmi per un sua accenno di antimeridionalismo in un volume delle Lettere letto attorno al ‘64!]
Tradimento ( 25). La pesantezza del fascino femminile per l’adolescente impacciato ( e misogino?) Non si parlano. Lei seduce. L’immagine del corpo della ragazza sulla prua della barca (25). L’usai io pure [trovare poesia…]. La ragazza di Legnano che mi seguì a SA durante una vacanza e che poi non volli più vedere…
Il ragazzo che era in me (27). Immedesimazione con l’adulto duro, dopo che si è stati ragazzi impauriti dagli adulti.
Incontro (29). Non parla con la ragazza incontrata, ma dell’incontro con lei. I conti dell’evento li fa con se stesso, da solo. O col fantasma di donna che si è costruito. [Un po’ come la donna del detenuto di una mia poesiaiii]. In Pavese, però, è la donna che si confonde con la terra: la paragona a «una voce più netta/ e aspra insieme, una voce di tempi perduti».
Fumatori di carta (30). La Torino delle fabbriche sullo sfondo. Parla in modo vago di «ingiustizie» («trovò dappertutto ingiustizie»). Ma il lavoro è accettato «come un duro destino dell’uomo».
Pensieri di Deola (34) Mi fa pensare alla ragazza Carla di Pagliarani per quegli inserti di parlato.
Note
i Hanno cupe ferite da celare, le donne. Quelle che ancora sorridono senza malizia Fan chinare il capo lo stesso e muggire. Le labbra sono foglie tremanti. Bionda collega, sei fragile come un sorriso nei pullman affollati. Signorina spirituale, hai freddo; ma al mio paese (vale sì un biglietto di filovia) sono caldi tutti i pomodori negli stretti viali delle galline e i giovani operai ti guardano. Non ruberanno il tuo grembo, bionda e mediocre valkiria. (1960- 51?)
D’int’a stu dialette guaglione chiagneve - lengua ‘e raggia e malincunie ca e pariente mje parlavene ambress’ - rusculeie per’je, ancore cchiù ambress’ storie e ggente ca nun teneve niente
* In questo dialetto/ ragazzo piangevo/ - lingua d’ra/ e malinconia/ che i parenti miei/ parlavano di fretta/ rovisto pure io/ ancora più in fretta/ storie di gente/ che non possedevano niente. (anni '90?)
iii
sotto l’arcata di una prigione/ il detenuto le chiese:/ accompagnami!/ raccogliamo insieme mastelli di pioggia,/ contiamo galli.// Parlava da campi cintati, da orti d’approssimazione / spinto indietro fino ai filari di pomodori rosso sangue del dopoguerra // se zitto giungessi – pensava -/ fino al vicolo della varechina,/ fino al primo sapore di latte mattutino / meglio l’amerei// aveva fredde le mani/ e quando la carezzò/ vendemmiò in un attimo/ tutta l’uva di settembre/ che lei gli portava in regalo // sentiva la pioggia/ che scandìva il suo batticuore/ su pampini ormai spogli.// Il mondo morto/ gli conservava le candele/ e lo comandava:/ accendile, scendi sottoterra,/ sotto polvere, sott’aceto! // e che fare adesso di tutte quelle sementi partorite dal silenzio suo e di lei/ in quegli incontri furtivi?
(1966?)
DA POLISCRITTURE FB
X –
Anche Pasolini stroncava Pavese, immagino più come narratore, forse avrai visto il video https://www.youtube.com/watch?v=ZEGm3gcdFtk&t=593s
P.P. Pasolini intervista su Cesare Pavese
YOUTUBE.COM
Ennio Abate
Non conoscevo. Ho seguito (Tra l’altro si ripete due volte lo stesso spezzone…). Ma che brutta stroncatura! Lo dichiara uno scrittore medio (o mediocre) ma non spiega perché.
Leggi, invece, se puoi “Di Pavese” in ” Saggi italiani I” di Fortini ( pagg. 207- 2014)
Confesso di non avere letto le poesie, ma del Pavese narratore, invece, ho letto tutto. E lo preferisco a Pasolini. Sì, a un uomo come me lo scrittore piemontese ha dato comunque tanta poesia. L’ho “conosciuto” anch’io da giovane, ma lo ripenso tuttora, ogni volta che scrivo.
Ho appena scritto in Sbratto 4:2012 – 4 aprile: ” A tornarci sopra sui libri letti da giovane senza schermi critici, scopri un senso diverso, ti dicono altro. Come tornare su luoghi in cui sei passato. Quello che ti hanno dato lo ripensi in altro modo.”.
Si tratta di un tipo di attaccamento a uno scrittore perché è entrato nel tempo della tua giovinezza. Ma perché è entrato proprio lui? E perché non può forse entrare in altre vite – quelle dei più giovani, quelle dei miei figli o studenti ad es.?
Ho appena letto, smettendo però circa a pag. 500, La scuola cattolica di Albinati. Me lo sono un po’ imposto perché supponevo delle analogie e volevo confrontare la mia formazione cattolica con la sua. Ma alla fine ne sono rimasto deluso e respinto. E non ho trovato quasi niente di quel che immaginavo potesse aiutarmi nella scrittura di A vocazzione, a cui sto lavorando.
Ci sono, al di là dei discorsi critici su un autore o delle influenze che ci vengono dagli altri che ti spingono a leggerlo, delle cose precise che fanno scattare l’attenzione o – diciamolo pure – l’innamoramento. E non bisogna smettere di capire in cosa consistono.
…sono d’accordo sull’importanza della lettura nell’età giovanile e anche nelle età precedenti…vado sviluppando una riflessione un po’ personale, credo, ma tutti forse abbiamo in qualche modo dovuto affrontare un percorso tortuoso per la lettura…e salutare. Da bambina non amavo la Lingua Italiana(?), mi intimidiva molto, ma leggevo e leggevo quello che mi capitava, cercavo storie, avventure, misteri, ma pensavo di non amare la lingua italiana dato che ero un disastro per dislessia e disgrafia, per cui leggevo molto ma come per indovinelli, capivo correttamente solo una parola su tre, e scrivevo solo sotto tortura, se obbligata. Leggevo, e scribacchiavo anche, un po’ di poesia, ma per me, difficilmente spiegabile, la poesia non rientrava nella lingua italiana…Ci fu una svolta, avevo quindici anni: la nostra prof. di Italiano ci suggerì per l’estate la lettura del romanzo “L’idiota” di Dostoevskij…mi ricordo la fatica iniziale, ma il personaggio protagonista e la vicenda mi appassionarono talmente che la mia lettura divenne, procedendo con sempre meno fatica, più piana, le lettere cominciarono a collocarsi al posto giusto, come un puzzle che prende forma…da allora si può dire che passai dalla preistoria alla storia, potei cominciare non solo a leggere ma anche a scrivere più volentieri, non c’era più un vallo come tra due montagne invalicabili…comunque permangono rischi regressivi, ma la lettura continua a salvarmi…