Riordinadiario 2011/ 1 giugno.
Lettera ad Attilio Mangano sulla recensione di Fiammetta Balestracci a
William Gambetta, Democrazia proletaria. La nuova sinistra tra piazze e palazzi,
Edizioni Punto Rosso, Milano, 2010
di Ennio Abate
Riordinadiario 2011/ 1 giugno.
Lettera ad Attilio Mangano sulla recensione di Fiammetta Balestracci a
William Gambetta, Democrazia proletaria. La nuova sinistra tra piazze e palazzi,
Edizioni Punto Rosso, Milano, 2010
di Ennio Abate
AVVISO di E.A.
Vari amici mi hanno fatto sapere che il video con l’intervista a Paola Caridi non è più visibile. Da You Tube ieri mi è arrivata questa notifica:
Buongiorno Rivista Poliscritture,
Sono stati rilevati contenuti protetti da copyright nel tuo video “CARIDI SU GAZA 6 MAG 25 RAI PLAY”. Di conseguenza, il tuo video è stato bloccato e non può più essere riprodotto su YouTube. Questo provvedimento non rappresenta un avvertimento sul copyright e non incide sul tuo canale.
Comunque, iscrivendosi a RAi PLAY a questo link:
https://www.raiplay.it/video/2025/04/Il-cavallo-e-la-torre—Puntata-del-05052025-481815e7-60f9-47fa-8fe8-a2d277cee1b8.html
potete seguire i ragionamenti lucidi e disperati di Paola Caridi.
Mi restano solo queste parole che buttai giù nel gennaio 2009…
Imperdonati, a perire ci avete condotto.
Perdonatevi da soli, se potete.
di Ennio Abate
Giorni fa la pubblicazione in Poliscritture su Facebook della recensione di una amica* su FB a “La rivoluzione palestinese del 7 ottobre” di Filippo Kalomenìdis ha suscitato uno scambio polemico a più voci. Queste note ne riprendono alcuni punti con l’intento di chiarire, per quel che è possibile fuori da retoriche e propagande contrapposte, il senso di eventi sempre più tragici anche per il complicarsi dello scontro tra i dominatori a livello mondiale.
Continua la lettura di Un disastro, non “la rivoluzione palestinese del 7 ottobre”
Pubblico la Lettera-Appello che sarà presentata domani martedì 4 febbraio 2025 presso la Commissione 8 del Senato dai rappreentati della Rete dei Comitati che si battono per bloccare la cosiddetta “Salva Milano” . Allo stesso tempo mi sento di far conoscere anche posizioni che parlano di un ritardo politico ormai quasi incolmabile nell’affrontare questi problemi e di responsabilità nella gestione del potere nella citta di Milano di lunga data, riportando brevi commenti di due osservatori attenti della vita politica milanese che seguo su FB:
1. Luigi Caprarella: “quando iniziò tutto ciò ovvero esattamente 15 anni fa su Milano ero solo, letteralmente solo, e discuterne pubblicamente portava risatine e sguardi di compatimento nel popolo bue/vacca della sinistra milanese … oggi dopo 15 anni gli stessi che dicevano che io stravedevo circa la merda che il centrosinistra e certa pseudosinistra stava generando ad ogni livello, lo stesso popolo bue/vacca infettato da brancofilia o semplice comodissima ipocrisia, si ammassa a far sentir voce e autosostenersi vicendevolmente nel denunciare ciò che tre quinquenni prima negavano ferocemente, e lo fanno oggi … quando oramai la città è compromessa. […] oggi come allora ripeto che l’inganno è il medesimo e che il sistema fondato sul progressivo decuplicarsi delle volumetrie e rafforzarsi di reciproche intese tra una casta di professionisti di Dirigenti pubblici di esponenti politici di imprenditori non è minimamente intaccato […] siamo una città di 1milione e 300/350mila residenti la cui componente over 60 sta aumentando esponenzialmente e di pari passo ad un anch’esso esponenziale impoverimento della classe media e marginalizzazione ed espulsione dalla città di coloro che non arrivano ad iniziare la terza settimana … c’è bisogno di ripensare radicalmente e quindi con coraggio tutto da capo, dalla base economica alla gamma di servizi e tutto ciò e tanto altro ancora … il problema è l’assordante rumore – prodotto da due retoriche, una contro l’altra opposte ma con eguale indifferenza verso questi e tanti altri problemi prodotti da contraddizioni strutturali del ‘sistema milanese’ – che sembra impedire concentrazione e aggregazione”;
2. Frank Cimini: “Il vento che doveva cambiare e invece cambiò un cazzo… fu un arcobaleno molto ingannevole… l’uomo che veniva dai Cocori’ [Giuliano Pisapia] si rivelò una delusione… qualcosa e pure più avevo capito ma non ebbi il coraggio di astenermi… fu l’inizio della fine … poi fu aperta la strada a Peppino [Sala] santo protettore dei palazzinari… la “salvaMilano””. [E. A.] Continua la lettura di Cementificazione e aria tossica a Milano
di Ennio Abate
Non ho letto il libro di Luperini e Corlito ma avevo letto (e mi sono riletto ora) l’introduzione apparsa su LA LETTERATURA E NOI (qui) e solo su questa intervengo per esporre alcune perplessità:
1. Va bene la testimonianza, la voglia di lasciare ”una sorta di testamento rivolto al futuro”. Ma parlare del ‘68 come di “uno spartiacque per cui nulla di quanto esisteva prima è potuto essere uguale, dopo” mi pare un’affermazione smentita dalla storia che, appunto, è venuta dopo e che ci ha lasciato con le ossa rotte. Spartiacque sarà stato su molte cose, ma come negare il persistere e anzi il prevalere poi di elementi di continuità (o di restaurazione) con la situazione pre ’68, se gli stessi autori della testimonianza temono ora di “dover morire fascisti o postfascisti”?
2. “Nessuno può dimenticare la propria gioventù”. e “questo anno ha lasciato un’impronta indelebile” in chi ha fatto o preparato il ‘68 – una minoranza preziosa ma, va detto, presto messa fuori gioco. Ma qual è il giudizio storico? Perché di questo c’è bisogno, specie a tanti decenni di distanza e se ci si lamenta che ben pochi sono gli studi degli storici sul ‘68. Se no, si rischia di dare troppa importanza alle proprie impressioni (“Ci sembrò allora che tutto il mondo fosse giovane“).
3. Nei tentativi di organizzare i desideri e i bisogni emersi nel ‘68-’69 si confrontarono posizioni vagamente luxemburghiane e posizioni leniniste o a volte “miste”; e abbiamo visto il fallimento di entrambe. Non capisco, allora, come mai e perché l’ipotesi della «lunga marcia attraverso le istituzioni» di Rudi Dutschke, (di taglio luxemburghiano) possa essere indicata come “l’unica ipotesi di rivoluzione possibile nelle società capitalistiche complesse”. Ma anche la stessa “progressiva conquista delle “casematte borghesi” teorizzata da Gramsci e strettamente connessa al suo concetto di egemonia”, qui evocata, è ipotesi praticata (dal PCI) e ha avuto risultati – negativi, credo io.
4. In mancanza di una analisi del capitalismo o dei capitalismi odierni e di un progetto politico capace di contrastarlo/li, che serve ribadire che “ il nostro obiettivo era e rimane una società di uguali”, mentre vediamo le diseguaglianze crescere a dismisura e non esistono forze capaci quantomeno di arginarle?
5. Anche rimandare la palla al futuro e ad altri (“La riflessione sul Sessantotto si potrà riaprire solo quando qualche movimento politico ne riprenderà la lezione e l’eredità, ne criticherà e supererà i limiti”), mi pare atteggiamento vago. Il futuro qui da noi in Occidente è compromesso o cancellato. La repressione è anch’essa senza argini. Colpisce lavoratori, studenti, giovani, immigrati ed ha in altre parti del mondo le dimensioni del massacro se non di peggio.
Può darsi – ripeto – che nel libro ci siano analisi e ragionamenti più convincenti e per ora sospendo il giudizio, ma non volevo tacere i miei dubbi.
Ci sedemmo dalla parte del torto perché gli altri posti erano occupati (B. Brecht). E ora ci stiamo alzando perché gli altri posti sono occupati dalle menzogne.
Cnn, decine di manifestanti arrestati in sgombero all’Ucla
LE TROUPE DELLA CNN SUL SITO DELL’ACCAMPAMENTO DELL’UCLA HANNO VISTO DECINE DI MANIFESTANTI ARRESTATI DAGLI AGENTI DELLA CALIFORNIA HIGHWAY PATROL.
RIPESCAGGI CASUALI/ EX SESSANTOTTINI/ MITI LETTERARI D’OGGI IN COSTRUZIONE: CARLO BORDINI
Oggi lo ricordano così: Carlo Bordini, linee biobibliografiche – “Tutto è stato già detto ma io lo dico di nuovo”, di Claudio Orlandi di Claudio Orlandi (QUI). Io lo ricordo così:
1. Aveva risposto ad un questionario su SINISTRA 2008 IN DISCUSSIONE (vecchio sito di Poliscritture perso):
quando stavo in un piccolo gruppo trotskista qualcuno mi chiamava “l’empirico”, perché non leggevo e non studiavo. in effetti non ho letto la maggioranza dei libri dell’elenco, e le mie idee di basano soprattutto sull’osservazione della realtà e sull’esperienza personale, oltre che su una pratica di ricercatore di storia dovuta al lavoro che sono stato obbligato a fare per anni.
consiglierei comunque di aggiungere all’elenco un paio di libri: la storia del pci di paolo spriano, in cui si dimostra che la vittoria del fascismo è stata largamente agevolata dalle manchevolezze le esitazioni e i settarismi del partito comunista e socialista (vedi l’esperienza degli arditi del popolo, organizzazioni paramilitari di difesa antifascista boicottate per legalismo dai socialisti e per settarismo dai comunisti), e l’affaire moro di sciascia.
per quel che riguarda la prima questione, sono propenso alla seconda soluzione. il movimento socialista è fallito in tutto il mondo, nonostante marx avesse capito e previsto dove stava andando il mondo, ed è inutile tentare di risuscitare un cadavere. in italia, poi, le nostre amate organizzazioni di sinistra hanno tirato la volata a berlusconi con la bicamerale, e hanno distrutto la sinistra più radicale (dimostratasi anch’essa abbastanza inconsistente) con veltroni, che ora fa da critico-amico a berlusconi. questa gente non serve, e anzi è di ostacolo. bisogna ripartire dal basso, dalle lotte, e creare nuove forme. anche le vecchie dottrine non servono, e fanno parte, purtroppo, del bagaglio delle utopie.
carlo bordini
2. Nel 2016 su LE PAROLE E LE COSE ci eravamo confrontati polemicamente così (QUI)
***
ANNI OTTANTA. MILANO-SPOESIA
Su un articolo di LPLC
https://www.leparoleelecose.it/?p=49073
Ennio Abate11 APRILE 2024 ALLE 08:04Il tuo commento è in attesa di moderazione. Questa è un’anteprima; il tuo commento sarà visibile dopo esser stato approvato.
Dimmi che aggettivi (vaghi o approssimativi) usi e ti dirò se il tuo stile è “mercantile”( G. Majorino) o meno:
1. convincente, improvviso: e di una nuova, convincente, tendenza all’affermazione individuale); per arrivare all’invecchiamento improvviso della sinistra storica in Europa
2. nuova, “amichevole”: Ciò che in Milano·poesia era ancora una germinazione di situazioni orientate in direzioni molteplici, è divenuto oggi rete collaudata di festival sostenuta dagli uffici marketing delle case editrici, di produzione cinematografica e delle gallerie d’arte: vari settori di una nuova “amichevole” industria dell’intrattenimento di qualità (ecco una definizione aggiornata della vecchia “industria culturale”).
3. adveniente: la convinzione di trovarsi sulla soglia di una adveniente stagione aurea che in realtà non arriverà mai.
Stralcio da “Su una mia critica a Israele mediante slogan”, 2014 (qui)
Domanda: «Quale idea di una soluzione del conflitto tra Israele e arabi palestinesi (perché ce l’avrai pure una tua idea di soluzione) devo aspettarmi da quello slogan?».
Risposta: Questa domanda è difficile e quasi me ne ritraggo. Quando una situazione di conflitto è da tempo tragica e senza vie d’uscita come quella in Palestina, le soluzioni ragionevoli – “per noi” o sulla carta – sono respinte dai contendenti e manca un ‘noi’ riconoscibile e autorevole – fosse pure l’Onu! -, io m’impongo di vedere le cose in maniera politicamente elementare; e cioè di ragionare – solo in apparenza “cambiando discorso” o “allungando il brodo” – sullo Stato, sugli Stati. Sarò schematico o rozzo, ma continuo a diffidare e non riuscirò mai ad identificarmi in pieno con uno Stato, neppure con quello italiano di cui sono cittadino. E non tanto perché tra le sue prerogative ci sono quelle di condannare, uccidere, incarcerare, fare guerra, ma perché convinto che le eserciti non contro i prepotenti ma soprattutto sui meno potenti. Non ho mai creduto alla sua imparzialità, alla sua obbiettività. È per questo che mi sono ritrovato con convinzione nell’analisi marxista dello Stato e ho accolto l’ipotesi comunista di un superamento dello Stato. Ed è per questo che sono ostile allo Stato di Israele che esercita un predominio spietato soprattutto contro i palestinesi; e pure agli altri Stati, che lo spalleggiano o ne tollerano le continue, “necessarie” prepotenze. Data l’esistenza di Stati – macchine predisposte alla difesa dei prepotenti (o dei dominanti, delle élites, delle lobby) -, in politica non sono mai riuscito ad accettare il pacifismo. Lo considero un atteggiamento ambivalente. Da una parte induce a comportamenti realistici: quando lo strapotere è estremo, fingersi pacifici è una via quasi obbligatoria. D’altra parte, se il pacifismo diventa ideologia, “visione del mondo”, fede nel valore astratto della Pace, spinge di solito alla rinuncia – motivata spesso da fattori religiosi o anche laico-umanistici -; o alla rassegnazione nei confronti dei prepotenti, all’accettazione di conviverci assieme (lasciandoli prepotenti!); oppure al godimento spicciolo di vantaggi a volte non trascurabili. Non per questo mi sono mai sentito di sbeffeggiare il pacifismo attivo. (Nell’aprile del 2011, commentando l’uccisione di Vittorio Arrigoni, ribadii che «contro l’orrore della guerra e contro le miserie locali è necessario costruire ed usare tutti gli strumenti di volta in volta necessari per contrastarla: in situazione di estrema debolezza solo la parola, la testimonianza da profeti disarmati (come faceva a Gaza Arrigoni); in situazioni di sperabile maggior forza con tutti gli strumenti di cui si riuscisse a disporre.». Questa convinzione – che pacifismo e “lottarmatismo” siano strumenti da usare a seconda le circostanze, più favorevoli o più sfavorevoli (li usano entrambi i prepotenti, perché non dovrebbero usarli i meno potenti?)- la devo al marxismo. Questo se si vuole realizzare un Progetto che miri a mutare i rapporti sociali di dominio (di prepotenza e violenza legalizzate) tra una parte degli uomini (le élites economiche, politiche, militari, culturali) e i restanti. Fino agli anni Novanta del Novecento mi pareva che tale Progetto potesse essere ancora il comunismo. Oggi non mi sento di indicare più con questo nome il Progetto. Che comunque mi pare da perseguire. Guardandomi attorno o guardando alla Palestina, non posso dire che questo Progetto sia rappresentato per me da Hamas. E tuttavia devo riconoscere oggi ad Hamas che, opponendosi allo Stato d’Israele, tiene aperta in qualche modo una prospettiva diversa da quella dell’occidentalismo mondializzato a egemonia statunitense. In modo giusto o sbagliato? Sbagliato “per me”. Perché lo fa ricorrendo alla religione, che per chi pensa laicamente è una regressione rispetto alla prospettiva illuminista e poi marxista o paramarxista. Ed è chiaro che Hamas è la negazione del marxismo o dell’opposizione laica allo Stato d’Israele. Certo, ho tanti dubbi che andrebbero meglio indagati. Dovrei – visto il liquefarsi di un pensiero marxista – apprezzare l’ideologia religiosa islamica solo perché oggi è l’unica che incoraggia ad opporsi nei fatti – pacificamente e/o con le armi – allo Stato d’Israele (e ai suoi alleati)? Come non vedere che al fanatismo religioso del Likud si oppone altro fanatismo religioso? Posso non badare a che cosa verrebbe da una eventuale (ma improbabile) vittoria di Hamas su Israele? Non ricordo forse gli equivoci in cui incappò Foucault invaghitosi della rivoluzione iraniana di Khomeyni? Posso non tener conto della razionalità della geopolitica, che, come detto, in alcune sue correnti considera semmai la Russia di Putin la più importante antagonista degli ancora strapotenti e ultraviolenti USA e quindi ritiene che è da lì che potrebbero “riaprirsi i giochi” e forse delinearsi i tratti di un “altro” Progetto?
Ammetto (ma senza sconforto) di brancolare nel buio. Anche se non si potesse più arrivare, come abbiamo sognato da giovani, al superamento totale dei contrasti dell’individuo e delle società, al “Mondo nuovo”, alla “Società senza classi”; e non si potesse eliminare del tutto la prepotenza, tagliarle le unghie, limitarla mi pare ancora un buon Progetto. E di fronte al dilemma tragico della storia umana, intuito e ben formulato da Manzoni in quel suo «non resta che far torto o patirlo», ho sempre scelto, per quel poco che mi è stato possibile, di tentare di far torto ai dominatori, che lo fanno sistematicamente ai dominati, ai più deboli di loro, a chi osa ribellarsi. Questi, per ora, i miei dubbi e il mio contributo a chiarire quelle che anche tu ancora chiami le «verità da proteggere per il futuro».