Archivi categoria: RIORDINADIARIO

Appunti febbraio 2025 (1)

Riordinadiario

di Ennio Abate

Esperimento. Questa è la prima parte degli appunti selezionati durante le mie esplorazioni on line (per lo più su FB) del mese di febbraio 2025. E’ un tentativo di ritornare sulle notizie, ripulirle e rileggerle, distanziandosi. Nessun commento per ora. Il ripensamento verrà dopo, se verrà.

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Su “Il professore come intellettuale” (1998)

RIORDINADIARIO 1999. Stralci da una lettera a Romano Luperini

di Ennio Abate

Il 24 gennaio 1999 scrissi una lunga lettera a Romano Luperini sul suo libro Il professore come intellettuale. In essa mettevo in evidenza il processo di scollamento tra intellettuali universitari e intellettuali massa. Gli rimproveravo di accogliere “il processo “riformatore” di Luigi Berlinguer guardando le cose della scuola dal punto di vista degli appartenenti a una “corporazione buona”. Dicevo che: “i “nuovi” progetti e i “grandiosi” problemi “epocali” trattati da Ministro, Saggi, Esperti, ecc. si [andavano] ancora una volta scaricando sulle spalle di insegnanti e studenti costretti a marciare a testa bassa, ingolfati in assillanti “vecchi” e “nuovi” problemi quotidiani”. Notavo che, mentre Fortini aveva suggerito “una energica riduzione dell’insegnamento delle patrie lettere” e scriveva: “ Non so che cosa si aspetti a farla finita, ma sul serio, con Dante […] il silenzio e ‘ignoranza vera sono sempre preferibili alla pratica corrente del “tutto e male”, ossia dell’ignoranza falsa” (Insistenze, pag. 114) e Remo Ceserani e Lidia De Federicis aveva lanciato sul mercato Il Materiale e l’immaginario, anche lui, Luperini, pur con altro taglio, pubblicava un manuale La scrittura e l’interpretazione di dimensioni altrettanto gigantesche. Riletta oggi, di fronte al disastro della scuola italiana, mi sento di difendere ancora la mia inquietudine di allora niente affatto settaria (ma soltanto solitaria). Ne pubblico oggi alcuni stralci.

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Riordinadiario su Michele Ranchetti (1)

 appunto 1 (1995-1997)

di Ennio Abate

Michele Ranchetti, dopo Franco Fortini, è stato per me un altro dei “padri impossibili”. (Poi ci sono stati anche i “fratelli impossibili”, di cui qualcosa ho detto e dirò altrove). Ma anche in questo rapporto con Michele – tardivo, saltuario, forse intiepiditosi dopo la prima fase del “riconoscimento” da parte sua con l’ Introduzione alla mia “Salernitudine” (Ripostes 2003) di un pezzo della mia ricerca poetica e troncato d’improvviso dalla sua morte nel 2008 – ho imparato che si può volere bene anche ai “padri impossibili” e continuare la propria strada. [E. A.] Continua la lettura di Riordinadiario su Michele Ranchetti (1)

Riordinadiario 1989 (2)

di Ennio Abate

quella torsione violenta
del bulbo oculare e dell’intera testa

come in una marionetta!

fu il padre-prete
a condurre il suo sguardo
all'occhio tremendo di Dio
nel triangolo della stampa appesa al muro
nella stanza 

così  fu interrotta la visione
del seno materno
e il bimbo diventò uno strabico spione
che guardava di soppiatto e di traverso
il corpo desiderato
e se lo fingeva altrove

lontano sull’orizzonte del mare
invadeva la finestra assolata

l'esperienza recisa l'inseguì
nelle scaglie di pesce morto
o - più tardi - sul foglio bianco


(16 ottobre 1989)

Riordinadiario 1989 (1)

di Ennio Abate

OCCHETTO: “SIAMO UNA FORZA SOCIALISTA”

e sei servito/
nell’isolamento/
assieme a vecchi elefanti moribondi/
notte nera/ buio nel cuore/
coi morti /
e non c’è più tempo d’imparare/
quello che sai/ ti resta
i giovani compagni/
presto saranno/
soltanto amici irriverenti/ e distanti/
nel discorso che scrivi e rileggi/
conteranno i vuoti/ i silenzi/
da cui ripartiranno loro/
per dove, non sai più/

(4 novembre 1985)

Netanyahu: “Siamo in guerra”

Riordinadiario

7 ottobre 2023

 

A. LA NOTIZIA

Massiccio attacco di Hamas contro Israele: migliaia di missili lanciati da Gaza e irruzioni militari. 250 i morti israeliani e 1400 feriti, decine gli ostaggi. Netanyahau: “Siamo in guerra”. E ordina la rappresaglia: 232 morti e oltre mille feriti tra i palestinesi. Hezbollah cerca di sconfinare da nord

(https://www.rainews.it/maratona/2023/10/attacco-contro-israele-missili-da-gaza-e-irruzioni-militari-morti-e-feriti-d0475654-0b54-4d79-9004-28919ec99e08.html)

 

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In morte di Luigi Manzi. Un omaggio

di Ennio Abate

Rimando all’articolo e ai commenti del 4 agosto 2013 sul blog POESIA E MOLTINPOESIA

QUI

e aggiungo questo  mio appunto:

RIORDINADIARIO DI E. A./

A PROPOSIO DI LUIGI MANZI

12 marzo 2013

A G. Linguaglossa:

La poesia di Luigi Manzi è una bella poesia, ma non aiuta a chiarire l’uso equivoco che fai del termine «piccola borghesia». Ora anzi parli addirittura di «essenza «piccolo borghese»; e cioè sottrai la categoria al piano storico, l’unico per me valido per non sfondare verso una sorta di “metafisica sociologica”.
Se ci atteniamo a tale piano, sarà chiaro che possiamo ( o si poteva almeno fino agli anni Settanta del Novecento) parlare con una certa precisione di piccola borghesia. Era la classe intermedia (e tutto sommato secondaria) tra la borghesia e il proletariato, le due protagoniste del conflitto “fondamentale” nella società capitalistica. Era la visione classica marxista, che in certe sue ripetizioni scolastiche ha, quando erano forti i partiti della sinistra socialista e comunista, alimentato purtroppo atteggiamenti moralistici e di svalutazione nei confronti della reale piccola borghesia e da parte degli stessi intellettuali piccolo borghesi, spesso tra I più più sensibili al “conflitto di classe”. Conflitto che pareva imponesse loro di di stare, appunto, o con i dominatori (borghesi) o con i dominati (proletari o operai).
Questo residuo moralismo, oggi di segno ribaltato per il crollo di quelle ideologie, mi pare emerga nel tuo commento quando parli di Giovanni Giudici ed ironizzi sul «mandato catto-comunista di attenzione alla vita quotidiana degli “umili”, cioè i piccoli borghesi che edificavano a quel tempo la nazione».
Non mi pare poi che regga neppure la contrapposizione netta che vedi tra Manzi e Giudici o tra la poesia di Manzi e quella di Giudici.
Non so quale sia l’estrazione sociale di Manzi, ma non credo sia troppo diversa da quella di Giudici o da quella nostra; cioè di appartenenti al ceto medio (in via d’impoverimento) che possiamo considerare l’erede della piccola borghesia del secondo Novecento. Quindi, sul piano strettamente sociologico, piccolo borghese era Giudici e piccolo borghese all’incirca sarà anche Manzi.
Ma spostandoci sul piano simbolico, ti pare che l’attenzione «alla Attualità, al Quotidiano, al Privato» possa essere un attributo esclusivo di una poesia “piccolo borghese”? E dove stanno allora Manzi e la sua poesia, ammesso che riescano a prendere «le distanze da tutto» – (un inspiegabile “mistero” per me, se Manzi vive in questo nostro povero Paese) – o non siano «né di destra né di sinistra» e non puntino « al centro, né al cielo della cielità né alla terra della presunta terrestrità»?
Posso ammettere che la sua sia « una poesia senza mandato, senza mandatario», ma «senza messaggio»? E poi davvero «non si rivolge a nessuno né vuole convincere nessuno»?
Resto alquanto scettico. A me pare che, per correggere le distorsioni di una certa poesia “impegnata” o “propagandistica” di anni passati, si finisca per attribuire l’etichetta di «grande poesia» solo a quella che ha perso o cela i suoi legami con la storia e la realtà. (E sia chiaro che qui non mi sto pronunciando né su questa poesia di Manzi né su di lui).

Al posto della “vocazzione”

 Tabea Nineo, R dormiente, disegno 1978

Riordinadiario 28 aprile 1978/2002/2023

 di Ennio Abate

Da giovane l’ho desiderato. Ma i miei pochi tentativi di lavorare professionalmente come scrittore o come artista sono sempre falliti.  E ho accettato senza troppi drammi di fare altri lavori (impiegato, operaio notturnista alla SIP, insegnante) per mantenermi e mantenere la famiglia che mi ero fatto, continuando però sempre – sia pur da isolato –   sia a  scrivere (soprattutto) e, più episodicamente, a disegnare o dipingere. Continua la lettura di Al posto della “vocazzione”