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Guerra in Ucraina. Prese di posizione (11)


L’Ucraina di Putin e quella degli Ucraini
Si tratta di un dibattito organizzato dalla SISSCo (Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea) sull’Ucraina e la crisi in corso. Si è svolto il 2 marzo 2022
Vi hanno preso parte, coordinati da Andrea Graziosi, Simone Attilio Bellezza, Alberto Masoero, Simona Merlo, Niccolò Pianciola, ovverossia alcuni tra i maggiori esperti italiani di storia dell’Impero zarista, dell’URSS, dell’Ucraina e della Federazione Russa (studiosi che conoscono le lingue russa e ucraina e controllano perciò la letteratura scientifica in lingua sul tema)

Ancora sul capodanno 2022 in Piazza Duomo a Milano

Mariella  De Santis a colloquio  con Corrado Celata

 Le violenze perpetrate la notte di capodanno a Milano (cfr. anche qui), da parte di ragazzi anche italiani di seconda generazione, verso coetanee in piazza per festeggiare, ha provocato molto turbamento non solo per l’orrore della violenza sessuale ma anche per i dettagli relativi agli assalitori.  Continua la lettura di Ancora sul capodanno 2022 in Piazza Duomo a Milano

2022. Notte di Capodanno in Piazza Duomo a Milano

Questi sono i primi  cinque interventi di una riflessione che  speriamo corale su un episodio di cronaca che sembra, come altri consimili,  paralizzare e azzerare le nostre già affaticate capacità di  pensare e agire sugli sconvolgimenti in atto nella nostra vita sociale. Altri  sono in arrivo e verranno pubblicati mano mano. [E. A.]

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Qualche osservazione sui vaccini

di Giorgio Mannacio

 E’ sconfortante vedere come il “problema“ dei vaccini venga affrontato a prescindere dalla ragionevolezza e dalla posizione di alcune premesse di indubbia validità.

1.
L’epidemia Covid 19 esiste o no? Non è una provocazione ma una presa d’atto di affermazioni pubbliche in tal senso. Vi sono affermazioni radicate in una invincibile ignoranza o dettate da ragioni di oscura  convenienza contro le quali si può opporre solo la propria convinzione e la relativa dimostrazione di validità.
Entrato nel campo – prevalente – del “sì, la pandemia esiste“ – passo ad altra domanda.
Si tratta di una pandemia con qualche specifica caratteristica o no?
E’ paragonabile ad una “normale influenza“ o ha caratteristiche di gravità e pesantezza di manifestazioni rispetto alla funzionalità e benessere della persona tali da meritare una attenzione   particolare?
Su questo punto dati oggettivi uniti a notizie indirette mi portano a dire: sì.
Ho sentito cose inaudite: le file di morti (legate certamente in parte ai disservizi del …modello lombardo di sanità) si trasforma in una  messinscena di qualche Spectre. Evidentemente Spectre esisteva anche ai tempi della peste di Atene cantata da Lucrezio o di quella narrata da Manzoni. Lasciamo perdere.
Le epidemie sono sempre esistite; quella attuale ha caratteristiche di diffusività legate alla permeabilità delle frontiere nazionali, allo scambio sempre più fitto e inarrestabile dei rapporti internazionali, alla struttura complessa ed  estremamente dinamica della società di oggi.
Per quello che si sa – e bisogna dare per scontato (per non essere ingiusti) incertezze tecniche sulla propagazione del Covid 19 – esso si trasmette attraverso particelle  di una certa natura e composizione che passano da un infetto a un non infetto. Sembra perciò relativamente utile l’isolamento dell’infetto.  Il rigorosissimo isolamento degli infetti e il distanziamento rigoroso dei non infetti dagli infetti imposto dalle Autorità cinesi è dunque corretto. Semmai “primitivo“, ma occorre rilevare la carenza di medicamenti validi esistente nei momenti iniziali della pandemia. La libera circolazione di persone e merci che è caratteristica della struttura socio-economica mondiale implica la quasi  impossibilità di attribuire ai “ lazzaretti “ più o meno modernizzati la funzione salvifica  dall’epidemia. Renzo passa l’Adda e si rifugia nella Repubblica veneta libera dal contagio.. Cosa può fare un Renzo di oggi? Dove si rifugia?

2.
Nella resistenza alla vaccinazione sono riscontrabili diversi livelli di errore.
Il primo è la deriva antiscientifica che caratterizza la nostra cultura, deriva che risale nel tempo e colpisce anche livelli elevati di acculturamento. Si potrebbero portare esempi illustri di tale tendenza antiscientifica, ma non è il caso.
Eppure non si muore (quasi più) per il morbillo; non si vedono più persone  rese  gravemente inabili  a causa della “paralisi infantile“ (idest poliomielite). Ciascuno di noi può portare testimonianze anche personali sugli effetti benefici dei vaccini.
Il secondo – più sottile – si fonda sul rilievo che nonostante i vari vaccini si muore lo stesso per le malattie che essi dovrebbero evitare. Tale rilievo attribuisce alla scienza e in particolare alla scienza medica il carattere dell’infallibilità. Ma è un’osservazione utopica. La scienza procede per tentativi la cui validità si valuta statisticamente e cioè in ragione della percentuale del raggiungimento del successo o insuccesso dell’esperimento. Ciascuno di noi è arbitro della valutazione della convenienza di usare un farmaco o di non usarlo, ma deve essere chiaro che nessuna medicamento assicura sempre comunque la guarigione.
Lo stesso principio probabilistico si deve applicare – ed è sempre stato così – agli effetti indesiderabili dei farmaci. Non esiste farmaco che non abbia qualche effetto indesiderato, spesso grave e non prevedibile.  Della comune  e universale Aspirina si sa che fluidifica molto il sangue;  di altri non è certa o sufficientemente provata la natura “innocua“ o dannosa della somministrazione.
Si badi bene che effetti gravissimi per la salute e la stessa vita si manifestano – come fulmini a ciel sereno – in caso di consumo di certi alimenti (ricordo il favismo o addirittura il consumo delle noci) o a seguito di eventi tutto sommato comuni come la puntura di un’ape.
Concludo su questi punti – che non appartengono propriamente alle mie conoscenze e per i quali mi rimetto a chi “sa “ –  con l’aforisma di un filosofo (Nietzsche): “ Vivere, in generale  vuol dire   essere in pericolo“.

3.
Altro punto molto delicato e intrigante perché relativo alla “libertà e alla “parità di trattamento“ dei cittadini.
La questione è seria e delicata. Mi muovo in essa con l’interesse di chi – come me – ha svolto per quasi mezzo secolo funzioni giurisdizionali.
I principi costituzionali relativi al bene salute e all’interesse verso di esso sono contenuti in una norma sobria ma complessa.
L’art. 32 cost. inserisce la salute negli interessi collettivi e non potrebbe essere altrimenti se si considera che in tanto v’è un “patto tra consociati“ in quanto si fa parte   di  una società di persone. Non è il caso di osservare che un soggetto singolo è ibero di curarsi o non curarsi. Qui si considera solo la libertà individuale mentre l’incipit del precetto fa riferimento all’interesse collettivo. Sarebbe antinomico considerare la salute un bene collettivo da tutelare e permettere allo stesso momento che sia sacrificato o compromesso dalla scelta individuale. Si tratta dunque di valutare con ragionevolezza – stante l’esistenza della societas – quando è conveniente sacrificare in qualche modo e misura l’interesse individuale a quello collettivo. Da sempre e dappertutto – quale che sia l’assetto politico di una certa societas –   è tale  sacrificio è ammesso e a volte imposto. E le epidemie, come altre catastrofi naturali si inseriscono in questo quadro.

4.
Il punto relativo al principio di parità ha – a mio giudizio – un aspetto singolare.
Chi sostiene la libertà di non vaccinarsi – che in via di principio – non contesto –  DEVE  ammettere la legittimità della scelta opposta e cioè di vaccinarsi.
Quale delle due libertà va privilegiata in caso di astratto conflitto tra di esse?
Tutti, dico tutti, i patti fondativi di uno Stato; tutti gli aggregati sociali hanno criteri – palesi o virtuali – di risoluzione di tali conflitti.
Tale effetto ha due direzioni – verso il vaccinato e verso il non vaccinato – e dunque realizza contemporaneamente  la tutela del singolo e quella della collettività entro  la quale si muovono vaccinato e non vaccinato.
Non è possibile – a mio giudizio – invocare la parità di trattamento tra i due perché la meno giusta applicazione del principio di parità si verifica trattando egualmente situazioni differenti.
A parte questo si può fare un esempio pragmatico delle conseguenze che derivano dal non uso del vaccino.
Si immagini il titolare di un’impresa che abbia convinto tutti i suoi collaboratori a vaccinarsi. Costoro pensano e sperano – speranza attendibile alla luce della scienza – di essere più sicuri degli altri non vaccinati di NON AMMALARSI. L’imprenditore, assumendo il non vaccinato, accresce il  pericolo di coloro che – correttamente  – collaborano a   diminuire il rischio di TUTTI GLI ALTRI.
Chi non si vaccina e vuole lavorare o divertirsi a modo suo (le due  ipotesi si equivalgono) deve coerentemente invocare e pretendere l’isolamento totale e la  chiusura totale delle attività collettive che corrispondo a decine di interessi a volte altamente legittimi (si veda l’educazione e l’insegnamento).
C’è una sorta di violenza nell’atteggiamento di chi non vuole prevenire il contagio.
L’ultima assurdità è quella di invocare l’adozione generalizzata dei tamponi fingendo di non sapere che essi non sono un rimedio cioè un mezzo curativo ma solo un supporto diagnostico utile solamente  a sapere se in un dato momento SOLAMENTE  A SAPERE SE IN UN DATO MOMENTO si è positivi o negativi.
Stando così le cose restano valide le mie osservazioni precedenti. Quanta confusione.

Confusione e mutamenti da Covid: oggi e in prospettiva.

da Poliscritture 3 su FB

di Luciano Aguzzi

Su molte pagine Facebook e su altri Social assistiamo a un fenomeno che, tutto sommato, è a mio parere positivo, ma che riflette aspetti negativi della situazione di oggi determinata dal Covid. Anche modesti post, con osservazioni, ad esempio di appoggio o di sfiducia nei confronti della vaccinazione, suscitano in poche ore larghi, confusi, inconcludenti dibattiti, con centinaia di interventi che vanno dal cortese dissenso al convinto accordo, e degenerano poi in giudizi meno educati e corretti verso le persone e non più verso le idee e le decisioni.
La discussione è troppo calda e quindi non voglio, qui, entrare nel merito e parteggiare per l’uno o per l’altro. Mi pare che, salvo alcuni errori di informazione non determinanti, entrambe le parti abbiano qualche ragione a loro favore e qualche argomento ragionevole contro. Sarebbe necessario mantenersi allo scontro e incontro di argomenti senza passare allo scontro di caratteri e di persone, che è antipatico e indica una sconfitta dell’informazione e della logica che ognuno vanta per sé.
Mi interessa però fare alcune considerazioni complessive sulla discussione e sui suoi argomenti, osservando innanzitutto che un piccolo e semplice post ha già suscitato oltre 150 commenti (mi riferisco a quello di Raffaele Piccioli). Se si fa un giro in Internet si può vedere che la stessa cosa capita in altre, molte, pagine di Facebook e di altri Social, in blog e nei media cartacei e online, radio e tv.
Ciò significa:
1) L’argomento interessa perché coglie paure e incertezze da un lato, sicurezze – pretese o reali – dall’altro. E così fra chi ha la paura e la diffidenza come sentimenti principali e chi ha invece la sicurezza, risulta difficile mettersi d’accordo o anche solo discutere pacatamente.
2) In tutti i periodi di crisi e di emergenza le abitudini solite, sia quelle mentali sia quelle pratiche della vita di tutti i giorni, non funzionano più bene, le persone sono sollecitate a risposte che richiedono l’adozione di nuove idee e nuovi comportamenti, ma la capacità di resilienza (usiamo questo termine diventato di moda da pochi anni e che sostanzialmente significa la capacità di rispondere positivamente e di adattarsi) delle persone è variabile: ci sono quelli che si adattano subito e quelli che non riescono proprio ad adattarsi. In questo modo la crisi ha anche ripercussioni psicologiche e inter-relazionali fra le persone.
3) A livello generale e pubblico i punti critici riguardano in particolare questi aspetti:
3.1) La validità della scienza, fin dove essa arriva, fin dove dobbiamo rimetterci “ciecamente” a lei. Abbiamo assistito e continuiamo ad assistere a dibattiti fra esperti che dicono cose molto contrastanti. Abbiamo letto relazioni di organismi sanitari, come l’OMS, smentite da autorevoli scienziati o addirittura messe in ridicolo. Come sempre è avvenuto anche nei secoli passati la scienza non si afferma per l’autorevolezza dei suoi esponenti e per la certezza dei rimedi proposti, ma per i risultati pratici che si ottengono – quando si ottengono – nella pratica. La sperimentazione di laboratorio è solo una premessa: la verifica avviene successivamente, nei grandi numeri delle applicazioni pratiche. Ci vollero quasi cento anni prima di arrivare all’accettazione da parte di tutti del vaccino contro il vaiolo e furono i risultati pratici a convincere, non i numerosi studi teorici. I vaccini anti-Covid sono ancora “freschi” ed è quindi naturale che non convincano tutti e che lascino aperti molti elementi di discussione. Più convinti della loro utilità sono i medici che li utilizzano e gli studiosi (sociologi, statistici) che ne possono già misurare gli effetti pratici. Nonostante i dubbi e gli effetti negativi collaterali – riscontrati in percentuali molto basse – possiamo già dire che senza i vaccini staremmo peggio. Ma questa è una considerazione statistica che vale per i grandi numeri. Il singolo individuo può sempre chiedersi, con qualche ragione: e se un effetto collaterale negativo, magari mortale, capitasse proprio a me? L’incertezza fra la scelta individuale e la forza dei grandi numeri non è sopprimibile. Ogni individuo è chiamato a scegliere e ogni scelta comporta elementi di rischio.
3.2) Se la validità della scienza pone dei problemi perché non può mai essere un credo dogmatico indiscutibile ma sollecita le ragioni proprie di ogni singolo individuo, sia dei competenti sia degli incompetenti, problemi ancora più gravi pone la gestione politica della scienza e dei suoi ritrovati, a partire dalle fasi dell’orientamento e del finanziamento della ricerca a quelle di valorizzare l’una piuttosto che l’altra tendenza che emerge dal mondo scientifico, per finire nell’adozione delle decisioni politiche da tradurre in leggi e quindi in obblighi per i cittadini. Qui non si tratta più di dibattere sulla validità della scienza, ma sull’uso politico che se ne fa. È ovvio che le decisioni possibili siano diverse e che ci sia discussione e contrasto su quali siano le migliori, e sul perché e per chi sarebbero migliori.
3.3) Se la fiducia nella scienza e negli scienziati, nonostante gli elementi di discussione, è abbastanza alta, si ha meno fiducia in tutti quegli elementi che fanno pressione sulla ricerca scientifica e sulla produzione di vaccini e medicinali per ragioni non scientifiche, con effetti distorsivi. Già ho detto della gestione politica della scienza. Altro elemento di sfiducia è la gestione economica e finanziaria. Il gran parlare dei Big Pharma, cioè delle grandi case farmaceutico che guadagnano cifre enormi con la produzione dei vaccini, ha naturalmente un suo fondamento realistico. I costi di vendita dei vaccini, l’esclusività dei brevetti, le quantità prodotte e fornite ai vari Stati secondo contratti di vario tipo sono tutti elementi che è giusto discutere. La discussione perde però di realismo man mano che si allontana dai problemi veri e ipotizza complotti, fra cui strani e stranissimi complotti, come il dire che le dosi di vaccino contengono un specie di microchip molecolari che, una volta iniettati, permettono il controllo da remoto degli individui. Insomma, i vaccinati diventerebbero una specie di robot, o di zombie, facilmente manipolabili da chi ha in mano le leve del potere. Qui siamo alla pura pazzia fantascientifica. Ma cito anche questo caso per indicare la vastità di vie e di argomenti che ha assunto la discussione. Il che non è un segno positivo.
3.4) Un altro effetto che si è sempre avuto nelle situazioni di crisi e di emergenza, prime fra tutte le situazioni di guerra guerreggiata, è che le difficoltà e le complessità diventano materia non più di soluzioni e decisioni politiche “democratiche”, ma materia di soluzioni e decisioni tecniche. Le libertà cosiddette democratiche si restringono e prende il sopravvento la tecnica, sia essa militare nel caso delle guerre o scientifica nel caso della pandemia o economica e finanziaria nel caso di crisi economiche. Il restringimento del campo delle libertà riduce le possibilità di scelta dei cittadini e aumentano gli obblighi imposti per legge. Ciò è sempre avvenuto. L’obbligo per legge più forte e più contrario ai diritti di libertà personale è quello di andare a combattere, uccidere e farsi uccidere, per forza, pena, altrimenti, la fucilazione per diserzione. A confronto l’obbligo del vaccino – non ancora previsto in Italia – sarebbe meno grave, ma comunque appartiene allo stesso tipo di obbligo imposto dalla legge in nome di un comune (nazionale, sociale, europeo, universale) obiettivo che, in quanto comune, si intende giuridicamente di tutti e quindi superiore ai diritti di libertà dei singoli individui. Questo del restringersi della sfera delle libertà è un altro aspetto generale che fa discutere e pone in contrasto idee e filosofie diverse, sia in ordine all’impiego provvisorio delle misure di restrizione, sia in ordine al fatto che si è sempre verificato nella storia che le misure di restrizione delle libertà hanno lasciato sempre un certo seguito anche dopo superato il periodo di emergenza. Ciò vuol dire che chi detiene il potere ha conservato, anche alla fine dell’emergenza, parte del potere aggiunto di cui si era usato per combattere l’emergenza. È ciò che si dice aumento di regolamentazione legislativa della vita dei cittadini.
3.5) Ciò che convince molti cittadini ad accettare una riduzione della propria libertà e un aumento della regolamentazione legislativa delle proprie decisioni e dei propri comportamenti è lo scambio: meno libertà in cambio di maggiore sicurezza. È sempre stato così. Lo Stato promette più sicurezza in cambio di minore libertà, il che vuol dire in cambio di più potere decisionale per sé. Questo ha dei riflessi diretti anche sulla vita delle istituzioni. Non per nulla in questi ultimi mesi sono usciti diversi articoli che hanno registrato il maggior potere del Presidente della Repubblica, del Capo del Governo, la diminuzione di potere del Parlamento, ed altro ancora. La stessa Costituzione viene forzata da interpretazioni in senso autoritario, ad esempio sulla legittimità di imporre l’obbligo della certificazione verde.
3.6) Con quest’ultima osservazione si tocca un problema di prospettiva, che riguarda la gestione attuale della pandemia e le trasformazioni di lungo termine che essa sta determinando. Quando l’emergenza sarà finita non potremo più tornare alla situazione precedente perché molte cose saranno cambiate e fra queste anche il potere e le funzioni delle istituzioni politiche e i rapporti fra di esse e i singoli cittadini. La preoccupazione di molti – fondata obiettivamente – non riguarda solo le modalità di gestione attuale della pandemia ma la sua strumentalizzazione ai fini di arrivare a un riassetto dei poteri e delle relazioni sociali da cui alcuni traggono vantaggi e altri, la maggioranza dei cittadini, solo svantaggi, solo nuovi obblighi e nuovi oneri.
3.7) Ma spesso, errando, chi teme questi cambiamenti negativi per le libertà dei cittadini, estende la lotta anche ad elementi dell’attuale gestione della pandemia che di per sé hanno invece un impatto positivo. Così si mescolano dubbi seri con posizioni scientificamente errate contro i vaccini, fino alla teorizzazione e denuncia di deliranti complotti. In questa confusione, che ha purtroppo una delle sue origini nella confusione mediatica e nelle errate strategie informative di chi avrebbe invece il compito di fornire giuste informazioni e promuovere più fiducia, in questa confusione, dunque, proprio per l’impossibilità per la maggioranza di cittadini che non sono esperti di selezionare solo le informazioni corrette, tendono a prevalere reazioni fondate sui sentimenti e sulle passioni anziché sulla razionale analisi delle situazioni. Paura, fiducia, sfiducia, speranza, disperazione, rassegnazione fatalistica, sono tutti atteggiamenti soggettivi non fondati razionalmente ma, di fatto, determinanti nei comportamenti individuali.
3.8] Il largo dibattito sui Social, largo ma inconcludente, ci mostra proprio questo muoversi, agitarsi, in un mare di problemi di cui non si individuano gli esatti aspetti e non si riesce a controllarne gli effetti su di noi. La comprensione della complessità sfugge alla maggioranza dei cittadini, così la soluzione dei problemi e delle decisioni da prendere si allontana dallo loro sfera personale e non resta ai singoli individui che affidarsi, con fiducia o senza, con speranza o disperazione, con ottimismo o con paura, con rassegnazione o con gesti di rabbia e di contestazione, a ciò che altri decidono per noi. Chiudersi in casa con il lockdown, indossare la mascherina, tenere le distanze, lavarsi le mani, vaccinarsi, procurarsi il certificato verde ecc., man mano che il governo decide che cosa dobbiamo fare.
3.9) Questo cedere libertà in cambio di maggiore sicurezza, che spesso è solo una promessa di maggiore sicurezza che non si realizza nei fatti, rende la nostra società sempre più simile a quelle società distopiche in cui ogni potere è in mano a gruppi fortemente tecnologizzati che ci vengono raccontate da romanzi e da film. I cittadini, contenti della sicurezza e dell’assistenza statale, si riducono a limitare la propria libertà alla scelta di quali prodotti, fra i tanti proposti nei supermercati, acquistare e consumare. Quale canale tv scegliere, in quale ristorante andare. Mentre le libertà economiche e politiche sono ormai fuori dalla loro portata e quelle ideologiche, filosofiche, religiose, fortemente condizionate e comunque depotenziate di ogni loro possibile conseguenza e influenza sul predominio del potere tecnologico, la cui gestione politica è in mano a ristrettissime élite.
Milano, lunedì 20 settembre 2021

Riflessioni rapsodiche su “Il giardino dell’Eden”

di Franco Romanò

È consueto per il pensiero rivoluzionario immaginare l’utopia rivolgendosi al passato, specialmente quando il presente appare talmente desertificato d’avere almeno apparentemente cancellato tutte le tracce di utopie precedenti possibili. È quello che Walter Benjamin, nelle sue Tesi sulla storia, proponeva di fare in uno dei momenti più tragici per l’Europa alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale. Il filosofo tedesco aggiungeva però che occorre andare molto indietro nel tempo per ricercare i semi di una nuova utopia: Spartaco, oppure – citando Flaubert – resuscitare Cartagine. Il motivo, che si intuisce fra le righe di quello scritto così estremo, è che se si rimane troppo prossimi al momento storico che ci tocca di vivere, si rischia di rimanere impigliati, a volte senza rendersene ben conto, nelle code di pratiche politiche ormai esauste.

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Dei valori positivi in letteratura

di Elena Grammann

Se c’è qualcosa di Hegel e di quelli che lo hanno messo in piedi che mi è passato nella carne e nel sangue, è l’ascesi contro l’affermazione immediata del positivo.
                                                            (Th.W.Adorno)
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Su “Le rondini” e la polemica Casati-Grammann

di Ennio Abate

Tra critica dialogante  e stroncatura – entrambe legittime e utili in teoria – preferisco ancora la prima, malgrado i riscontri non siano incoraggianti e il “noi” reciprocamente critico che propongo fatichi a venir fuori. E perciò pubblico questa mia meditata lettura di “Le rondini” di Franco Casati accompagnandola anche con considerazioni sulla polemica tra lui ed Elena Grammann (ma ora vedo anche con Cristiana Fischer). La polemica può servire e questa mi fa tornare a riflettere sulla funzione di Poliscritture. Ho detto che è uno spazio aperto a più voci e a diversi orientamenti (anche in contrasto tra loro) e so che la critica dialogante, specie adesso che curo da solo il blog, è più complicata da esercitare.   Sui testi poetici, narrativi e saggistici che arrivano a Poliscritture, faccio una selezione poco severa. Ho rispettato il criterio dell’ospitalità e della segnalazione, pubblicando quasi sempre le proposte dei collaboratori, pur esprimendo spesso in privato le mie riserve. Anche perché solo in alcuni casi mi posso dedicare a letture veramente attente  e  ad approfondimenti critici meditati. So che ogni testo attende un critico che lo valuti. Purtroppo tra di noi non ce ne sono a sufficienza. E pur sapendo che pubblicare in un blog che si vuole «laboratorio di cultura critica» molti testi non vagliati a sufficienza è una contraddizione, penso di continuare a metterli in vetrina, ma i lettori sono avvertiti. [E. A.] Continua la lettura di Su “Le rondini” e la polemica Casati-Grammann

L’umano, chi?

di Cristiana Fischer

Arrivano di continuo echi di opinioni contrastanti su quanto accade nel mondo cattolico sotto questo pontificato. Ad es. sulla pagina FB di Adriano Sofri (qui) leggo: «una versione dello schieramento bipolare nei riguardi di Francesco, e non la meno significativa, oppone i credenti, compresi quelli impliciti, che sentono un sincero scandalo per il suo supposto cedimento a una religiosità universale e generica e compromissoria, ai non credenti, che lo figurano quasi affine all’idea che non si possa non dirsi laicamente cristiani, di cui “Dio non è cattolico” è a un passo dall’essere sinonimo. Si capisce che, essendo la vita contraddittoria, e la vita di un papa a maggior ragione, gli uni e gli altri siano di volta in volta rallegrati o infastiditi da accenti di Francesco che curvino di qua o di là dalla tradizione e dalla supposta ortodossia. Ma insomma, almeno in questa parte del mondo, il papa Francesco rischia di appartenere di più agli infedeli che ai fedeli, e di passare alla storia come colui che alla testa della Chiesa finì per ratificare un ecumenismo sospettamente agnostico».  Per un avvio di riflessione sulla questione, pubblico questa nota di Cristiana Fischer. [E. A.]

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