Archivi categoria: IL GUAIO COL METODO SCIENTIFICO

Intervista al fisico Carlo Rovelli (2014)

presentazione di Paolo Di Marco

Nell’articolo ‘Marx e la Crisi della Fisica’ molto spazio viene dato ai lavori scientifici del fisico Carlo Rovelli. Riproduciamo qui nella sua forma originale un’intervista pubblicata nel 2014 su Poliscritture cartaceo in forma di trascrizione. Contiene molti degli elementi delle sue riflessioni che poi si ritrovano anche nei libri e negli articoli scientifici ed è quindi ancora attuale.

per ascoltare l’intervista cliccare sul triangolino bianco su fondo rosso

 

Marx e la Crisi della Fisica

di Paolo Di Marco

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Il Gioco Segreto…che ci ha regalato quarant’anni

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Le armi segrete dell’impero, e la sua nemesi

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AI, Lavoro e Capitale

di Paolo Di Marco

1- AI

Ne suo articolo seminale (Computer Machinery and Intelligence, Mind 1950) Turing non chiede cosa sia l’intelligenza -compito disperato, dice- ma sostituisce la domanda con un’altra, rappresentata dal ‘gioco dell’imitazione’: una persona in una stanza deve indovinare mediante una serie di domande se il soggetto al di là della parete sia uomo o donna o, successivamente, macchina. Questo verrà poi chiamato test di Turing e rappresenta tuttora il criterio principe del riconoscimento di una Intelligenza Artificiale (in breve AI).
Ma c’è un problema: l’equivalenza fra le due domande è ingannevole; Turing non ci dice che la macchina al di là della parete è intelligente, ma che è indistinguibile. E nel 1950, dato lo stato delle conoscenze sull’intelligenza, questo poteva essere considerato soddisfacente.
Questa attenzione al risultato (il cosa), indipendentemente dal modo di raggiungerlo (il come), viene mantenuta in tutti gli sviluppi successivi, a partire dal convegno ‘fondativo’ del ’56 organizzato a Dartmouth da McCarthy, dove filosofia e scienze neurocognitive sono del tutto marginali rispetto al nucleo matematico-ingegneristico (‘quando il seminario inizierà avremo un accordo eccezionale sulle questioni filosofiche e linguistiche così potremo perdere poco tempo con quelle quisquilie’ scrive Minsky). Il risultato principale del convegno è porre le basi della ‘AI simbolica’ come insieme di regole per la manipolazione di simboli matematici.
Grazie a questo percorso nascono i primi ‘sistemi esperti’: un esempio interessante è il programma ELIZA (dello psicoterapeuta Weizenbaum) che alla affermazione del paziente ‘Io sono Giuseppe’ risponde ‘Da quanto tempo sei Giuseppe?’ e una successione di domande che rimandano sempre la palla al soggetto, lasciandogli la forte impressione di un colloquio oracolare. (Come un famoso programmino per ragazzi degli anni’60, ‘Pangolino’ che faceva credere al fruitore di avere un programma intelligente).
Come osserva Ross Ashby a Dartmouth ‘quando parte di un meccanismo è nascosta all’osservazione il comportamento della macchina appare notevole’. Ma su questa strada della manipolazione di simboli nascono anche macchine per la ricerca automatica di antibiotici come pure giocatori automatici di scacchi (Deep Blue di IBM) capaci di battere il campione del mondo.
A questo percorso se ne aggiunge in parallelo un altro, tradizionalmente legato al termine di cibernetica: sono tutti i meccanismi a retroazione (feedback) che forniscono i sistemi meccanici di capacità di autoregolazione. Dalla antica chiaccherina dei mulini all’umile sciaquone del wc al termostato questa capacità, aiutata e sviluppata dall’aggiunta di piccoli calcolatori programmabili, oltre a sviluppare l’automazione delle macchine fornisce ai robot un’altra vestigia umana.  McCarthy ci gioca (!973, ‘The Little Thoughts of Thinking Machines’) parlando dei termostati che spengono le caldaie perchè ritengono la temperatura troppo alta, e inizia un’abitudine nominale che si attaccherà alle ‘smart machines (le macchine furbe/intelligenti)’ di oggi.
Anche combinando questi due percorsi il risultato, però, resta insoddisfacente in elementi cruciali, come il riconoscimento delle immagini e del linguaggio: un bambino di un anno ha abilità inimmaginabili anche per le macchine più potenti.
Ma, visto che all’origine della ricerca era stato di fatto esclusa la parte sulla struttura dell’intelligenza umana, il cammino riparte dal gioco dell’imitazione e lo eleva a paradigma; si danno in pasto molti esempi di foto contenenti facce ad una macchina (simbolica) a reti neurali insieme ad un esempio di faccia, e si fanno variare le configurazioni della rete selezionando darwinianamente quelle che che restituiscono la maggior parte di corrispondenze vere, in un processo di affinamenti successivi. È un classico esempio di forza bruta: più esempi si hanno e maggiore è il successo. Altrettanto per il linguaggio. Il successo clamoroso di ChatGPT nell’imitare un colloquio umano è dovuta alla mole enorme di dati che ha avuto in pasto.
Questo però è accompagnato da distorsioni (bias) ed ‘allucinazioni’, che errori non sono ma caratteristiche intrinseche dell’imitazione. (Se pensiamo a un oggetto funzionale con una struttura articolata, un’imitazione può somigliarvi moltissimo ma non cogliere quei particolari che sono essenziali alla funzionalità..si veda anche qui ).
Potremmo dire che l’imitazione produce un linguaggio stereotipato, pieno di tutte le idiosincrasie e presupposti nascosti (che sono parte caratterizzante di ogni linguaggio) mescolati a caso. Come nelle immagini il passaggio dalla Gioconda ad Andy Warhol.
Come sempre poi c’è il diavolo nei dettagli: i modelli basati su una grande messe di dati (LLM) prendono il linguaggio di massa , più facilmente accessibile, e quindi anche privo di parole e costrutti rari. Quindi quello con minor quantità di informazione. E per risparmiare vengono assunti a valutare le parole e i costrutti dei giovani kenyoti sottopagati, come in ChatGP: uno strato di presupposti nascosti sovrapposto ad un altro.

2- lavoro
avvertenza: le previsioni sono basate su calcoli già distorti dalle assunzioni originarie: non si parla infatti tanto di AI quanto di un insieme di AI, automazione, sistemi esperti e simili.
le più accurate sembrano le previsioni IMF, laddove le indagini per paese (Francia, Italia, Cina) sono le più contaminate

A differenza dei redditi da lavoro dove i divari diminuiscono, con l’AI aumentano i divari nei redditi da capitale e nelle ricchezze. La ragione principale è che l’AI porta ad una sostituzione del lavoro e ad un aumento della domanda per capitale in AI, aumentando i redditi da capitale e i valori dei beni di investimento. In ogni scenario i tassi d’interesse (= profitto) di quasi 0,4 punti percentuali, col potenziale di compensare parzialmente la tendenza naturale alla discesa dei tassi di interesse in UK e in genere nelle economie avanzate

Come dicevamo queste previsioni mettono insieme automazione ed AI;

Dato quanto abbiamo detto sulla natura dell’AI, il lavoro più a rischio è quello
-dei livelli bassi del lavoro d’ufficio,
-delle agenzie di viaggio
-fino alle banche, alle agenzie di assicurazioni
-i contabili, rappresentanti di commercio
-gli addetti al ricevimento, i magazzinieri
-cassieri e commessi

non cambia la struttura dei call center e delle assistenze, che sono già state ridotte al momento a programmini tipo Pangolino fatti per impedire contatti telefonici reali;
anche con l’AI la funzione rimane la stessa, solo con un po’ di cipria in più.
Il World Economic Forum stima che l’AI sostituirà 85 milioni di lavoratori entro il 2025.
FreeThink ritiene che il 65% dei posti di commesso potranno essere stati automatizzati per quella data.
PwC valuta che a metà anni ’30 il 30% dei posti di lavoro potrebbero essere automatizzati, vuoi per automazione dei macchinari vuoi per sostituzione di impiegati.

Per il lavoro manuale semplice (dai campi alle città) è la solita automazione e le sue convenienze, l’AI rimane distante.

i limiti
Qualcuno sostiene che insegnanti e dirigenti, per fare due esempi, non saranno sostituibili, ma sicuramente ci proveranno.
Per il lavoro d’ufficio complesso qualcuno può illudersi all’inizio e affidarsi all’AI invece che agli umani, salvo poi , in genere, ricredersi.
Tutto dipende da quanto affamato è in quel momento il capitale finanziario e quanto è disposto a scommettere su di un bluff.

Se andiamo ad immaginare il risutato come sostituto di un nostro interlocutore di un ufficio significa che anche noi dovremo adeguarci a questa povertà informativa, in un continuo ciclo perverso. Ma è un modello di impiegato che entra in crisi ad ogni elemento nuovo od imprevisto; e la cosa si può estendere anche a lavori più impegnativi ma standardizzabili; un radiologo sostituito da un sistema esperto AI addestrato alla lettura delle lastre: funziona mediamente bene..finchè non arriva una malattia nuova (tipo Covid) i cui effetti non sono ancora codificati: o tutti i radiologi licenziati vengono riassunti (ma ormai non si trovano più) o la fiducia nei risultati crolla..e vengono licenziati anche gli amministratori.

Non solo il modello statistico dell’AI codifica tutti i pregiudizi e stereotipi riproducendoli con un’aura di oggettività computazionale. Ma, come dice O’Neil (Weapons of math destruction, 2016) il paradigma dell’AI, che si può leggere come proiettare il passato nel futuro, non funziona proprio in campi che cambiano o si evolvono.

3- il capitale barbone

La svolta avviene a cavallo degli anni ’70: le imprese ai piani decennali, poi quinquennali sostituiscono progressivamente termini sempre più brevi per i rendiconti;
il cambiamento è funzionale al capitale finanziario che diventa predominante, e si arriva fino ai rendiconti trimestrali.
L’attenzione si sposta dal processo produttivo e dall’oggetto al profitto disponibile a breve. La proprietà delle imprese si sposta progressivamente dall’imprenditore al capitale finanziario, la cui presenza dominante nei consigli di amministrazione diventa la norma (BlackRock controlla oggi un terzo delle imprese mondiali, e non è solo).
Il fuoco sul profitto immediato va anche a cambiare la forma del processo produttivo: il percorso laboratorio->fabbrica>grande fabbrica automatizzata non è più la norma, sostituito da processi mirati alla massimizzazione del profitto circolante (come il decentramento in tutto il mondo in cerca del lavoro a minor prezzo; v. la crisi e l’abbandono in Italia di Comau, l’impresa che per un certo periodo era la più avanzata per i processi di automazione).
L’innovazione tecnologica si manifesta sempre più come fuoriuscita dall’impresa madre di singoli o rami eretici, mentre il grosso si riduce a cambiamenti cosmetici che assicurino un rapporto indolore col ciclo del consumo.
Il capitale finanziario nutre una massa di renditieri, di cui alcuni (l’1!%) assorbono cifre paperonesche, ma coinvolge nella propria logica larga parte della popolazione: chi ha un piccolo risparmio, o vende casa ed è in attesa di comprarne un’altra, o ha dei soldi superiori alle necessità immediate lo affida alle finanziarie o alle banche (che lo passano alle finanziarie) e diventa compartecipe della stessa logica: non importa dove e in cosa sia investito, importa che renda il più possibile.
Così la mobilità del capitale finanziario, che dismette e riacquista per il solo tornaconto immediato diventa logica universale. Quella che una volta si chiamava la logica del barbone: meglio un bicchiere oggi che una bottiglia domani.

Questa fluidità del capitale finanziario è l’elemento più appariscente, anche se, volendo completare il quadro, dovremmo parlare delle isole intorno a cui questi flussi girano, dei mescolamenti, dei vortici e coaguli. Che poi descrivono la struttura del potere. La mappa ruota necessariamente intorno a questo capitale che generato dal lavoro se ne autonomizza e lo domina, e da qui allarga la sua sfera a inglobare anche ciò che  all’origine non ne era parte. Allargando anche radici e dimensioni della sua nemesi.
Ma, ricordando come Arrighi ha descritto il flusso del commercio e denaro genovese nel ‘500 (Giovanni Arrighi, Il lungo secolo XX, 2014) e come da questo nacque la Spagna e l’impero di Carlo V, la parte iniziale del lavoro è capire in che acque stiamo navigando.
Che, per tracciar rotte, è parte ineludibile.

Una nota

Quando Marx parla delle merci, osserva come per il capitalista non conti più il loro valore d’uso ma solo il valore di scambio. Che possiamo anche aggiornare dicendo che la presentazione, la pubblicità, la forma sono molto più importanti della funzionalità dell’oggetto.
Questa considerazione vale anche per l’AI. L’interpretazione del gioco dell’imitazione come Santo Graal dell’AI va a braccetto colla natura del capitalismo; e fa ben vedere come l’AI è entrata in sinergia coi mercati ed è evoluta in una disciplina dominata dai giganti della Silicon Valley ed è stata da loro ‘corporatizzata’.
Ma questo con una possibile Intelligenza Artificiale reale c’entra poco.
Come dice Dreyfus (What computers can’t do, ’72) ‘il primo uomo che si è arrampicato su un albero poteva affermare di aver compiuto un progresso tangibile verso l’ascesa alla Luna’, ma purtroppo raggiungere la Luna richiede metodi qualitativamente differenti dall’arrampicarsi sugli alberi.
Per un progresso tecnologico reale le imitazioni non bastano.

bibliografia ulteriore
1- Paolo Di Marco, L’automazione, D’anna
2- Paolo Di Marco, L’organizzazione del lavoro sociale, D’Anna
3- Franco Romanò e Paolo Di Marco, La dissoluzione dell’economia politica
4- Rapporto IMF SDN/2024/001, M. Cazzaniga et alii, Gen-AI: Artificial Intelligence and the future of work
5- Deepak P-Mere Imitation, Psyche/Aeon 24
6- Aghion P.-Artificial Intelligence, Growth and Employment:The Role of Policy
7- Capello, Lenzi-Automation and labour market inequalities: a comparison between cities and non-cities
8- Yang Shen & Xiuwu Zhang1, The impact of artificial intelligence on employment:
the role of virtual agglomeration

Covid, l’ultima parola


di Paolo Di Marco

a) premessa
Con un articolo sul NYTimes del 4 Giugno della biologa molecolare Alina Chan abbiamo finalmente e pubblicamente tutti gli elementi necessari a dire l’ultima parola sulla pandemia.
Dato che si presenta come un giallo colla classica lenta raccolta di indizi, la formulazione di ipotesi e i colpi di scena, per non dimenticare tutti i possibili depistamenti, ne seguiremo lo svolgimento lungo le tappe essenziali.
(nella foto: Fauci, Daszak e il Covid) Continua la lettura di Covid, l’ultima parola

25 Aprile: Socialismo o Democrazia

di  Paolo Di Marco

Che questo 25 Aprile in Italia lo festeggiamo (si fa per dire) con un governo di fascisti, leghisti e mafiosi (anche se tutti parodie di parodie, come dice Travaglio) è un tributo alla concezione del mondo dei nostri liberatori americani, il cui nome ufficiale è ‘democrazia occidentale’ e la cui sostanza si vede bene nei resoconti del secondo 25 Aprile che si festeggia in Portogallo, nel 50° della rivoluzione dei garofani.
Ci sono dei documentari su ARTE che ne ripercorrono le tappe drammatiche ed entusiasmanti; l’origine africana della rivoluzione, con Amilcar Cabral che ne è il fulcro; guerriero e teorico porta la Guinea Bissau, la colonia più povera, ad essere il Vietnam del Portogallo; anche dopo il suo assassinio la lotta degli africani nelle colonie, Mozambico, Angola, Guinea Bissau è la spinta alla rivoluzione dei capitani portoghesi -il paese più povero ed arretrato d’Europa dopo 48 anni di dittatura.
Quando anche le colonie acquistano l’indipendenza i marxisti terzomondisti come Arrighi vedono iniziare la traiettoria di un sogno che da Maputo arriva a Detroit.
Ma quello che succede in Portogallo è di chiarezza esemplare: i due giorni che rovesciano la dittatura fascista più longeva d’Europa (ma va ricordato che il segreto della sua longevità sono le Azzorre come base per gli alleati durante la Seconda Guerra e la partecipazione alla Nato come membro fondatore) sono il prodotto congiunto della rivoluzione dei capitani e della partecipazione popolare, che rende vincente il bluff dei militari ribelli. E questa partecipazione non si arresta, diventa volontà di protagonismo ed autogestione, nella società e nel processo produttivo. Un entusiasmo ed una cooperazione la cui bandiera naturale è quella rossa del comunismo.
Quello che colpisce è l’ottusità dei commenti di esperti e diplomatici, che vedono la situazione come espressione della dicotomia est-ovest, ignorando del tutto il popolo come possibile soggetto; ma è così che la trattarono allora i grandi giocatori. Esemplare la Germania, dove la CDU di Strauss appoggia e finanzia i golpisti di destra di Spinola (l’ex generale e presidente provvisorio) e la SPD finanzia in maniera segreta ma esorbitante i socialisti di Soares in funzione anticomunista. Mentre il KPD della DDR crea improbabili iniziative popolari comuni. Con gli accordi di Helsinsky (sia quelli ufficiali sia le trattative sottobanco) Breznev lascia all’Occidente mano libera.
Il che permette la realizzazione del classico gioco a quattro sponde, con la destra che promette il golpe, la sinistra che ci casca e cerca il contro golpe, la destra che prova il suo golpe e i socialisti che si presentano come i salvatori della patria..e, con l’appoggio ufficiale di tutte le potenze e quello ufficioso di finanzieri e banchieri vincono le elezioni.
E annunciano democrazia e sviluppo economico.
Ma quello che nei documentari si vede bene, si respira quasi, è l’abisso che separa la prima fase, con il popolo che aveva una libertà vera, la voglia e capacità di autodeterminarsi, di gestire il potere, dalla seconda, dove tutto quello che resta è il diritto di parola e una scheda da riempire.
Del resto che la ‘democrazia occidentale’ con la libertà abbia poco a che fare lo fanno vedere in questo periodo i governi europei ed USA, dove anche la libertà di parola è scomparsa. Quando a Varoufakis si proibisce di andare in Germania perchè potrebbe parlare di pace, quando alla Columbia di New York si arrestano gli studenti e gli ‘ebrei per la pace’ perchè appunto di pace vogliono parlare significa una delle due: o la ‘democrazia occidentale’ è degenerata a fascismo, oppure è sempre stata solo retorica, buona solo per volatili non volanti.  Come d’altronde il termine sviluppo economico è diventato una di quelle parole che le persone per bene non pronunciano più (soprattutto a tavola). D’altra parte la regola base è sempre stata  la stessa che era scritta sui tram: NON disturbate il manovratore. Che è una metafora della democrazia occidentalmente intesa.

 

Il guaio con la scienza

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L’Energia, i suoi equilibri e le forme sociali /1/

di Paolo Di Marco

1- L’auspicabile sparizione di Energia Oscura e Materia Oscura

L’Energia è uno dei concetti più semplici e insieme più abusati della Fisica.
Ovunque vi sia una forza se questa sposta un oggetto compie lavoro. (L≈FxS)
L’energia è la capacità di compiere lavoro, e ad ogni campo di forza quindi è associata un’energia, che si può misurare, combinare, trasformare (ad esempio da energia potenziale ad energia cinetica).
È un pò più complicato con l’uso in ambiti meno definiti, dato che è difficile stabilire una metrica e delle operazioni (controllabili e condivisibili) per l’energia morale o affettiva o mistica, per quanto uno senta di poterle descrivere e anche valutare.
Uno degli ultimi arrivati, stavolta in cosmologia, è l’Energia Oscura.
Malgrado il nome minaccioso il termine rappresenta semplicemente il fatto che l’Universo si sta espandendo, e viene quindi ipotizzata l’esistenza di un’energia (e quindi Forza) che causi questa espansione.
Ma dato che l’unico effetto visibile è proprio l’espansione (l’allontanamento delle galassie avviene come se qualcuno gonfiasse un pallone sulla cui superficie le galassie si appoggiano) e non si vedono responsabili diretti è stata chiamata oscura; e molti ricercatori basano la loro carriera su questa indagine.
Peccato che, come Rovelli si sgola a spiegare da molti anni (anche sul tubo), questa energia è così oscura che proprio non c’è: infatti l’espansione è già contenuta nell’equazione fondamentale della Relatività Generale, e specificamente in una piccola costante chiamata appunto costante cosmologica.
Va detto che il pasticcio è anche colpa di Einstein, che dopo aver scritto l’equazione vide che la costante era incompatibile con la stazionarietà dell’universo che era allora la convinzione generale. E quindi tolse la costante; solo che l’universo che risultava era sì stazionario ma instabile -come un acrobata in equilibrio su un pallone; e quindi alla fine ce la rimise. E recentemente le è anche stato attribuito un valore preciso, piccolo ma significativo. (Einstein chiamò questo pasticcio il suo più grande errore).
Solo che tutti i ricercatori che ricevono finanziamenti per studiare l’energia oscura sono ovviamente riluttanti a farsi convincere…per non parlare delle riviste dove attira molti più lettori dei leptoni o della gravità quantistica a lacci

(Arxiv, 21 Feb 2010, poi Nature,]Why all these prejudices against a constant?’, E. Bianchi, C.Rovelli)

Per la materia oscura la situazione è meno semplice; la sua esistenza serve a spiegare un’altra osservazione: che il comportamento di stelle e galassie segue traiettorie descrivibili solamente con molta più massa di quella che si vede.
Solo che la ricerca di particelle di materia esotica (talmente strana da essere invisibile) in quantità sufficienti non ha finora dato frutti, anche perchè la si vede all’opera sulle altre Galassie ma vicino a noi non appare rintracciabile. Eppure la massa in questione è tanta, più di quella visibile.
Ma forse c’è una soluzione, e proviene proprio dall’abbandonare il terreno di caccia preferito dalla gran parte dei fisici sperimentali, quello degli enormi acceleratori che vanno a combinare e scombinare tutti i tipi possibili di materia, e cominciare a ragionare su altre forme che massa ed energia possono assumere.
E su questa strada si è sviluppata un’ipotesi interessante, che non si tratti di altra materia ma di una fase diversa della materia: una fase semifluida (tipo i condensati di Bose-Einstein con cui si lavora in campo quantistico). dove gli effetti quantistici si estendono su larga scala. Questa ipotesi (Sabine Hossenfelder, Aeon, Feb 24) ha avuto molto successo a spiegare buona parte del comportamento ‘anomalo’ delle galassie, anche se rimane ancora strada da fare. L’elemento che mi sembra migliore è proprio la strada intrapresa fuori dagli schemi dei particellisti ad oltranza.
(Detto sottovoce, l’intelligenza contro la forza bruta).

2- Il bilancio energetico nella fisiologia umana

Progressivamente le ricerche sul funzionamento del corpo umano, o meglio del sistema corpo-mente, convergono su uno dei centri più antichi del cervello, l’ipotalamo. Il suo compito centrale è l’omeostasi, cioè il controllo del bilancio energetico. Ma per realizzarlo si deve occupare praticamente di tutti i meccanismi principali su cui la vita si basa, assumendo così un ruolo decisivo per l’organismo nel suo complesso.

Facciamo un esempio: un gruppo di raccoglitori/cacciatori che parte per una caccia all’antilope. Il modo in cui cacciano è assai diverso dalla caccia di oggi, basata sulle armi; allora la caccia era un lungo inseguimento, dove l’antilope scappava e i cacciatori correvano lentamente dietro; l’antilope li distanziava, poi doveva fermarsi a riposare, e i cacciatori la raggiungevano, e lei doveva scappare di nuovo; finchè alla fine si accasciava col cuore a pezzi e i cacciatori le davano il colpo di grazia. La resistenza dei cacciatori dipendeva da due elementi: la sudorazione, che permetteva di smaltire più velocemente il calore, e l’intelligente ripartizione dell’energia (anche tra i capofila che si davano il turno e tra loro e i cercatori di tracce  ma in ognuno nel sistema cuore-polmoni-retroazione muscolare-attenzione). Quindi il controllo omeostatico giocava su più fattori, compresi i meccanismi e le vie solo indirettamente implicati nella gestione dell’energia. E fra questi anche rigenerazione e longevità. Esaltando il ruolo delle interazioni mente-corpo che già sono responsabili dell’effetto placebo in tutte le sue varianti.
Questa potenza dell’interazione potrebbe venir sottovalutata dall’atteggiamento meccanicista che proviene da una metafora coniata da G. Gamow al tempo della scoperta del codice genetico: lo definì la ‘matrice’ (blueprint: cianografia nel suo uso tipografico) del nostro organismo; e da questo è nata un’immagine iperdeterministica del nostro sviluppo. In realtà (ci dice R. Prum su Aeon/Psyche di Gennaio) i geni sono solo la base di riferimento, con cui il nostro organismo è in dialogo continuo, in una interazione che cambia molti dei termini dello sviluppo. Prum applica questa visione dinamica in particolare al sesso, usando il linguaggio della ‘Teoria dell’eccentricità (Queer Theory)’, dove spiega la sessualità come il risultato del dialogo organismo-geni e quindi senza risultati rigidamente prefissati.
Ma questo punto di vista può venir allargato a molti altri aspetti del nostro essere, aprendo orizzonti che erno bloccati solo dal pregiudizio.

3-L’omeostasi nella società

Partiamo ancora dalla fisiologia, e dall’ipotesi atavistica del cancro:
Davies ci racconta che occorre risalire all’origine degli organismi multicellulari, quando esseri unicellulari si fusero insieme per ottenere vantaggi competitivi, arrivando progressivamente al livello di complessità degli animali moderni. Ma nel momento in cui una cellula si trova sottoposta ad uno sforzo eccessivo (stress) o a elementi nocivi (chimici, radioattivi, termici) indebolisce il proprio legame col resto dell’organismo e tende a tornare allo stato isolato; crea così un’isola individuale dove riprende le abitudini isolate (anche di rirpoduzione) comprese le difese nei confronti dei suoi vicini. E l’organismo infatti ogni giorno scatena scaglia attacchi contro le cellule che si ritirano dalla cooperazione e si sviluppano per contro proprio. (i tumori).
Una società che funziona in questo modo, fondata sulla cooperazione e insieme la divisione dei ruoli, e con una repressione feroce di ogni individualismo, è spesso stata invocata come esempio ottimale, anche dai nemici di quella dittatura socialista cui più assomiglia. A suo favore si potrebbe invocare un argomento apparentemente inoppugnabile: che in fondo questo è stato il risultato di un’evoluzione verso l’ottimo durato milioni di anni, e sarebbe quindi difficile fare meglio. Ma, come tutte le analogie, anche in questa si nascondono fallacie; e l’energia è il punto cruciale: mentre il passaggio dagli organismi unicellulari a multicellulari è spinto e guidato dall’omeostasi -l’efficienza nell’uso dell’energia, la società umana (sappiamo poco come si sia evoluta quella dei dinosauri) ha seguito questo criterio solo nella sua prima fase (circa trentamila anni, se parliamo dell’uomo moderno e progredito); poi se ne è progressivamente liberata trovando e creando energia (cibo incluso) abbondante.
E non conta che se guardiamo alla media degli uomini nelle varie epoche c’è sempre stata una minoranza che si prendeva la quota maggiore delle risorse, e quindi forse nella media non ci fosse sovrabbondanza: quello che conta, per il nostro paragone, è che a un certo punto l’equilibrio energetico non è più stato il criterio dominante per la formazione sociale nel suo complesso.
Da quello che ci raccontano gli archeoantropologi (Graeber) il bello delle prime forme sociali basate sull’omeostasi era che non c’era bisogno di strutture apicali che facessero rispettare le regole: queste erano autoevidenti, e così i comportamenti individuali erano legati ad abitudini le cui necessità erano palesi; ancora nel ‘700 nelle tribù irochesi i capi erano quelli con più capacità oratoria e di convinzione, e non c’erano punizioni per chi non rispettava le regole. La città ucraina di 10000 anni fa di 500000 abitanti senza neppure capi era anche un monumento all’efficienza di questo principio.

4- Un libro, due acrobazie, e ancora l’omeostasi

Le arti marziali vengono raramente studiate dal punto di vista della Fisica, e il caso meglio studiato è quello del Judo (A. Sacripanti). Però le complicazioni biomeccaniche che intervengono rendono assai difficile ottenere risultati generali. Negli altri casi si usano generalmente concetti tanto semplici da essere semplicistici e anche sbagliati.
L’Aikido invece fa categoria a sé: dal lato marziale non c’è la lotta fra due avversari, ma solo un attaccante che perde sempre e un attaccato che devia la forza dell’attaccante e nel caso la rivolge su di lui. Dal lato filosofico si rifà a buddhismo e taosmo e ha come maestro quello stesso Nagarjuna che usa Rovelli in Helgoland.
Ne prende a base la vacuità, cioè l’esistenza di qualcosa mai in isolamento ma solo rispetto a qualcos’altro e la usa come cardine del rapporto tra i due protagonisti, uniti anche nel respito.
E questo permette la prima acrobazia: l’analisi delle tecniche con la fisica diventa immediato, usando la relatività primigenia di Mach, e se ne ricavano leggi generali; di cui la sostanza è che vale sempre il principio di conservazione dell’energia.
La seconda acrobazia nasce passando all’aspetto biologico, dove gli anziani che praticano si trovano davanti tutti i problemi dell’età. E scoprono o riscoprono la profonda unità mente-corpo e le capacità del corpo di autorigenerarsi,se opportunamente convinto; attraverso vie che la moderna neurofisiologia sta riscoprendo ma che appartengono anche ad un bagaglio atavico.
Tutto questo in un libro testè uscito (in inglese) sia in forma cartacea sia come ebook con Amazon ed Apple:

Paolo G. Di Marco/The Physics of Aikido and the Body-Mind Unity

Ma implicito nel discorso del libro c’è anche un elemento centrale: che le tecniche dell’Aikido rispettino il principio di conservazione dell’energia significa che è stato introdotto nelle arti marziali un meccanismo di omeostasi; e riflettendo su come molte tecniche possano venir descritte come un ‘respirare insieme’ vediamo la competitività trasformarsi in cooperazione.. Il che significa non solo che l’aggressività non è elemento di base della natura umana (come ci spiega anche Graeber ne ‘L’alba del tutto’,) ma anche che quando si presenta può venir trasformata nel suo opposto. Bisogna solo trovare la tecnica giusta.