Archivi categoria: POESIA E MOLTINPOESIA

quella bella

di Marcella Corsi

calzini con le perle: le bancarelle
talora offrono regali sorprendenti e io
 
mi dico non scrivo perché ho altro da fare, forse
non è vero ma ho una madre
che ogni giorno dice che vuole morire e ogni giorno
m’intigno a farla sorridere, a tentare

io la prendo per sfida, lei non troppo di rado
 ci cade, qualche volta addirittura ride

*

Chissà com’eri madre, non ti sapevo affatto 
allora – seria nelle rade immagini 
che prendevano colore soltanto sulle labbra 
e movimento d’acque tra i capelli in tempesta

mi fosti nell’angolo culla imbottita di troppo cotone  
ma anche casa sicura, chiusa certo 
ché ancora dove vivo spalanco porte e finestre 
non solo alla luce del giorno

mi fosti pure tiepida rara morbidissima carezza
e specchio adulto di miei adulti probabili difetti 

“Quella bella” diceva la zia Ofelia ed eri bella
tu ragazza più di quanto si dovesse
ma appartata e ferma, tigrata in un’ombra 
che a tratti si apriva di limpidezze o di braci 

nessuna deriva nel tuo guardare
eri già piccola vetta di roccia viva

Chissà com’eri madre che non ti so nemmeno 
ora, che mi ripeti assoluta quel che eri e un po’ stranisco
e poi m’ingegno già da adesso di ricordarti bene
non so se come m’asserisci oppure 

come mi pare fossi allora e forse anche ora

*


quella febbre dava corpose allucinazioni 
colorate, la gonna viola – a balze di pizzo cucita 
per fianchi stretti – ballando per farmi ridere
l' indossò la tua matura maternità di rado ridente

non fosti mai così bella, tu così bella, madre

*

sola nella gioia nella disperazione d’albero vivo strozzato
davvero non ti ho mai saputa e non ti trovo addosso
nessun gesto che mi sia conosciuto carezzato o pianto

non ti trovo addosso nessun pezzo di me, così non so 
se dopo ti piacerà d’incontrarmi   

*

Sei nel vento lo so perché almeno dopo
pensavo vorrai andare e andare come mai forse nella vita

e respirare a pieni polmoni e cantare
quelle tue canzoni vecchie che ho imparato

anch’io ad amare   

  Poesia a partire da luoghi e gente incontrata o dall’immaginario?

 

 Tabea Nineo, Ragazzo  donna e pallina, pastello 1992

Lettere ai  moltinpoesia (1): 12 febbraio 2007

di Ennio Abate

Caro S.,
queste tue poesie (ma, a memoria, anche le precedenti che lessi) si distinguono per una freddezza analitica, che a tratti diventa quasi squisita. Eppure, a volte nei versi, che si allungano verso la prosa e s’affaticano nelle subordinate, colgo – in contrasto e per voglia di dialogare – un ritmo dolce, quasi elegiaco  o toni più andanti e quasi incespicanti. (Sarà «il musichio di morte feste»?).
Non farò analisi di singole poesie, stavolta. Mi preme di più un discorso generale, perché mi hanno colpito la diversità della tua poetica dalla mia, collegabile anche alla distanza generazionale tra noi.
Io, infatti, credo di essere rimasto tra quelli che costruivano poesia partendo soprattutto da impressioni o sensazioni venute dal contatto fisico e immediato con luoghi e gente incontrata o frequentata. E solo secondariamente a partire dai libri letti o studiati. Invece, tu e altri della tua generazione, di sicuro più “americanizzata”, sembrate costruirla con  estrema naturalezza dall’immaginario, nel tuo caso quello offerto dal cinema.Sì, fonte viva per la tua scrittura poetica è proprio il cinema, anzi un suo genere: il cosiddetto horror.
Non saprei dire adesso se si tratti di una tua scelta consapevole, ma mi pare che tu ne sia stato particolarmente attratto. Forse perché quell’immaginario s’avvicina di più al contenuto inconscio che ti assilla. E fino a sostituire o a ridurre drasticamente il rapporto con  il mondo che comunemente chiamiamo “reale”.
Questa tua poetica, consapevole o meno, è quella che ricondurrei al concetto di manierismo. E devo dirti che siccome presuppone l’accettazione della equivalenza o coincidenza completa e definitiva tra mondo artificiale e mondo reale, tra finzione e verità, ne diffido. Anche se so di essere considerato un sorpassato, non invidio affatto i molti poeti giovani che ne sono attratti e la giudicano esperienza pregiata e segno della loro appartenenza orgogliosa ai “tempi nuovi”. In proposito, ricordo di aver letto anni fa un articolo di Gabriele Frasca: valorizzava al massimo il proprio lavorio poetico a partire dalla “materia massmediale”. Posizione, mi pare, vicina alla tua che dici di partire da forme artistiche già elaborate o – addirittura! – classiche.
In me resta ancora la pretesa (la chiamo così!) di partire da un mio vissuto legato a luoghi e persone, come detto, che col tempo si è trasformato in un mio ricordare, che è stato e vuole essere pre-letterario. (Non posso dire pre-cinematografico, perché di film in fondo nella mia vita non ne ho visti tanti e il fatto non mi pare trascurabile).  Posso dire che questa mia esperienza ha, cioè, preceduto e ha convissuto in modi faticosi e contraddittori con l'”acculturazione” o partecipazione al “mondo dei colti”. E, in fondo, so che essa  contiene qualcosa che devo tentare di strappare direttamente. In altri termini, “lo spunto” che per me conta di più nel fare poesia o arte viene dopo aver chiuso i libri. E, devo aggiungere,  gli occhi. Raramente, infatti, ho preso l’avvio da  scritture altrui.  E anche i miei disegni o le mie pitture li ho costruiti dopo aver per così dire chiuso gli occhi. Partendo, cioè, da uno scarabocchio  o, dall’eco vaga, lontana, di quel che avevo sedimentato  guardando riproduzioni di quadri o libri d’arte.
Un’ultima cosa. Per quel poco che mi capita di vedere in giro –  (oggi mi è arrivata – mi avranno nel loro indirizzario – Le voci della luna n. 36, novembre 2006) –  il discorso critico che si fa in tante delle attuali  riviste è squallidamente salottiero.
Un caro saluto
Ennio

Su amore, accettare, soffrire, noia, uno/due e fine

di Franco Nova

PRIMA DI TUTTO L’AMORE
 
Molte fole per vivere,
amare la semplice verità;
la coscienza si piega in due
il cuore vuol essere solo.
In cielo l’azzurro dà fiducia,
le nuvole sornione sono rare
in genere stese all’orizzonte
e sempre vicine a dissolversi.
L’uomo furbo non si fidi
le nubi sono inaffidabili,
all’improvviso mentono
e l’azzurro si fa terso
partecipando alla congiura
segreta contro il cuore.
Per vincere basta il coraggio
di uscire da se stessi
lanciando il siluro dell’amore.
Dubbi e timori son dissolti
dalla tensione per l’amata.
Lontani i pericoli di errare;
se ciò accade è ormai tardi
per potersi ritirare. 
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