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Archivi categoria: POESIA E MOLTINPOESIA
I poeti in tempo di guerra non pensano abbastanza (2)
Su “Le poesie italiane di questi anni” (1959), in “Nuovi saggi italiani” di Franco Fortini
Su comunicazione (in poesia) a pochi/molti
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quella bella
di Marcella Corsi
calzini con le perle: le bancarelle talora offrono regali sorprendenti e io mi dico non scrivo perché ho altro da fare, forse non è vero ma ho una madre che ogni giorno dice che vuole morire e ogni giorno m’intigno a farla sorridere, a tentare io la prendo per sfida, lei non troppo di rado ci cade, qualche volta addirittura ride * Chissà com’eri madre, non ti sapevo affatto allora – seria nelle rade immagini che prendevano colore soltanto sulle labbra e movimento d’acque tra i capelli in tempesta mi fosti nell’angolo culla imbottita di troppo cotone ma anche casa sicura, chiusa certo ché ancora dove vivo spalanco porte e finestre non solo alla luce del giorno mi fosti pure tiepida rara morbidissima carezza e specchio adulto di miei adulti probabili difetti “Quella bella” diceva la zia Ofelia ed eri bella tu ragazza più di quanto si dovesse ma appartata e ferma, tigrata in un’ombra che a tratti si apriva di limpidezze o di braci nessuna deriva nel tuo guardare eri già piccola vetta di roccia viva Chissà com’eri madre che non ti so nemmeno ora, che mi ripeti assoluta quel che eri e un po’ stranisco e poi m’ingegno già da adesso di ricordarti bene non so se come m’asserisci oppure come mi pare fossi allora e forse anche ora * quella febbre dava corpose allucinazioni colorate, la gonna viola – a balze di pizzo cucita per fianchi stretti – ballando per farmi ridere l' indossò la tua matura maternità di rado ridente non fosti mai così bella, tu così bella, madre * sola nella gioia nella disperazione d’albero vivo strozzato davvero non ti ho mai saputa e non ti trovo addosso nessun gesto che mi sia conosciuto carezzato o pianto non ti trovo addosso nessun pezzo di me, così non so se dopo ti piacerà d’incontrarmi * Sei nel vento lo so perché almeno dopo pensavo vorrai andare e andare come mai forse nella vita e respirare a pieni polmoni e cantare quelle tue canzoni vecchie che ho imparato anch’io ad amare
Moltinpoesia. Gli incontri dal 2007 al 2012
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Com’è nato il termine ‘moltinpoesia’
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Poesia a partire da luoghi e gente incontrata o dall’immaginario?
Tabea Nineo, Ragazzo donna e pallina, pastello 1992
Lettere ai moltinpoesia (1): 12 febbraio 2007
di Ennio Abate
Caro S.,
queste tue poesie (ma, a memoria, anche le precedenti che lessi) si distinguono per una freddezza analitica, che a tratti diventa quasi squisita. Eppure, a volte nei versi, che si allungano verso la prosa e s’affaticano nelle subordinate, colgo – in contrasto e per voglia di dialogare – un ritmo dolce, quasi elegiaco o toni più andanti e quasi incespicanti. (Sarà «il musichio di morte feste»?).
Non farò analisi di singole poesie, stavolta. Mi preme di più un discorso generale, perché mi hanno colpito la diversità della tua poetica dalla mia, collegabile anche alla distanza generazionale tra noi.
Io, infatti, credo di essere rimasto tra quelli che costruivano poesia partendo soprattutto da impressioni o sensazioni venute dal contatto fisico e immediato con luoghi e gente incontrata o frequentata. E solo secondariamente a partire dai libri letti o studiati. Invece, tu e altri della tua generazione, di sicuro più “americanizzata”, sembrate costruirla con estrema naturalezza dall’immaginario, nel tuo caso quello offerto dal cinema.Sì, fonte viva per la tua scrittura poetica è proprio il cinema, anzi un suo genere: il cosiddetto horror.
Non saprei dire adesso se si tratti di una tua scelta consapevole, ma mi pare che tu ne sia stato particolarmente attratto. Forse perché quell’immaginario s’avvicina di più al contenuto inconscio che ti assilla. E fino a sostituire o a ridurre drasticamente il rapporto con il mondo che comunemente chiamiamo “reale”.
Questa tua poetica, consapevole o meno, è quella che ricondurrei al concetto di manierismo. E devo dirti che siccome presuppone l’accettazione della equivalenza o coincidenza completa e definitiva tra mondo artificiale e mondo reale, tra finzione e verità, ne diffido. Anche se so di essere considerato un sorpassato, non invidio affatto i molti poeti giovani che ne sono attratti e la giudicano esperienza pregiata e segno della loro appartenenza orgogliosa ai “tempi nuovi”. In proposito, ricordo di aver letto anni fa un articolo di Gabriele Frasca: valorizzava al massimo il proprio lavorio poetico a partire dalla “materia massmediale”. Posizione, mi pare, vicina alla tua che dici di partire da forme artistiche già elaborate o – addirittura! – classiche.
In me resta ancora la pretesa (la chiamo così!) di partire da un mio vissuto legato a luoghi e persone, come detto, che col tempo si è trasformato in un mio ricordare, che è stato e vuole essere pre-letterario. (Non posso dire pre-cinematografico, perché di film in fondo nella mia vita non ne ho visti tanti e il fatto non mi pare trascurabile). Posso dire che questa mia esperienza ha, cioè, preceduto e ha convissuto in modi faticosi e contraddittori con l'”acculturazione” o partecipazione al “mondo dei colti”. E, in fondo, so che essa contiene qualcosa che devo tentare di strappare direttamente. In altri termini, “lo spunto” che per me conta di più nel fare poesia o arte viene dopo aver chiuso i libri. E, devo aggiungere, gli occhi. Raramente, infatti, ho preso l’avvio da scritture altrui. E anche i miei disegni o le mie pitture li ho costruiti dopo aver per così dire chiuso gli occhi. Partendo, cioè, da uno scarabocchio o, dall’eco vaga, lontana, di quel che avevo sedimentato guardando riproduzioni di quadri o libri d’arte.
Un’ultima cosa. Per quel poco che mi capita di vedere in giro – (oggi mi è arrivata – mi avranno nel loro indirizzario – Le voci della luna n. 36, novembre 2006) – il discorso critico che si fa in tante delle attuali riviste è squallidamente salottiero.
Un caro saluto
Ennio
Su amore, accettare, soffrire, noia, uno/due e fine
di Franco Nova
PRIMA DI TUTTO L’AMORE Molte fole per vivere, amare la semplice verità; la coscienza si piega in due il cuore vuol essere solo. In cielo l’azzurro dà fiducia, le nuvole sornione sono rare in genere stese all’orizzonte e sempre vicine a dissolversi. L’uomo furbo non si fidi le nubi sono inaffidabili, all’improvviso mentono e l’azzurro si fa terso partecipando alla congiura segreta contro il cuore. Per vincere basta il coraggio di uscire da se stessi lanciando il siluro dell’amore. Dubbi e timori son dissolti dalla tensione per l’amata. Lontani i pericoli di errare; se ciò accade è ormai tardi per potersi ritirare.Continua la lettura di Su amore, accettare, soffrire, noia, uno/due e fine