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Alberi pensati, 1976 -1992.

In grafica il tema dell’albero è per me dialettica tra tronco e fogliame, pesantezza e leggerezza,  forma massiccia e forma lussureggiante. Il tema s’è fatto strada tra 1976 e 1978 in segni schematici, arrivando – negli schizzi degli anni ’80 e ’90 – attraverso il tratteggio e la macchia anche di colore  a un accrescimento, ora drammatico ora perfino gioioso, del “fogliame”. Non posso dire di aver ricavato questi disegni d’alberi  dalla memoria. Solo nel caso dei tre esempi dell'”Albero attraverso la finestra” posso dire di aver tenuto presente o perfino guardato, mentre disegnavo,  un albero (Quale? Non saprei, il vuoto delle mie conoscenze di botanica è rimasto incolmato…), che appariva dalla finestra di una delle case che ho abitato. La dialettica di cui  ho detto permane nella mia mente. Lo provano i due esempi del 1992. Devo, dunque, concludere che ho solo ripensato gli alberi.  Forse con una sorta di rimorso per le sensazioni ormai perdute e irraggiungibili della mia infanzia in campagna. Allora  gli alberi  furono  per me una sensazione ben precisa,  collocati com’erano  nel tempo “speciale” dell’infanzia e nello spazio reale ed emotivo della “terra” di una mia zia a Baronissi (Salerno). Allora  ne sapevo nominare con sicurezza pochi (il pioppo, il nespolo, il fico, il nocciolo, il pero, il prugno, l’arancio, il mandarino). E mai avrei pensato di disegnarli.
[1 gennaio 2013]

Nel sogno contadino, anni ’70 – 1986.

Questa è una serie di disegni fatta negli anni Settanta (tra 1976 e 1978 soprattutto).  Ha un legame con alcuni ritorni al mio paese d’origine (Baronissi di Salerno). Gli alberi sono rappresentati come tronchi scheletrici, quasi ossificati e senza fogliame (tranne in “Uomo e albero, 1976”, dove, sempre schematicamente, il fogliame si tramuta in contorti geroglifici). O sono ridotti a stecchi, a fascine (si raccoglievano per bruciarle nei focolari e scaldare). Goffaggine delle posture delle figure. Volti-maschere che esprimono stupore e sorpresa. O, quando il volto è più elaborato (come in “Contadino, 1978 circa”), durezza, diffidenza e scetticismo. Mani e braccia sembrano voler trattenere qualcosa. Un “fagotto carbonizzato” come nella figura rannicchiata (e senza volto) di contadina del 1986: di fascine, di ricordi.
[30 dicembre 2012]