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critiche, dissensi, piraterie

Eravamo con gli operai

 

In morte di Vincenzo Martinelli

in questa sempre brutta periferia
inermi e senza più compagnia
signora Morte ci trascina via

a cura di Ennio Abate

Questa testimonianza sulla vita di Vincenzo Martinelli la raccolsi nel 2018 in vista della preparazione del libro STORIE DI PERIFERIE. COLOGNO MONZESE NEGLI ANNI ’70 a cura del gruppo “on the road” – edizione fuori commercio 2020.
Vincenzo delinea un percorso comune nei decenni ’60-’70: dalla condizione iniziale di isolamento, vissuta da migliaia di immigrati dal Sud diventati al Nord operai in fabbrica – per lui  in quel piccolo inferno dell’hinterland  milanese (la Manuliplast di Brugherio) –   Vincenzo si ritrova a vivere un momento esaltante e straordinario di rivolta e di vera democrazia (’68-’69). Scopre la politica e il sindacalismo. E diventa un militante politico di base, un leader legato alla sorte degli operai.
Poi percorrerà – sempre come tanti –  la via crucis  della sconfitta: perdita del lavoro, difficoltà economiche, sbandamento. E dovrà accorgersi – con quanta sofferenza non lo dice, lo lascia intuire – che la passione sua e dei suoi compagni e la prospettiva che si potesse cambiare  o addirittura rivoluzionare la fabbrica e l’intera società erano state presto riassorbite e cancellate. Con le stragi e la strategia della tensione. Con i compromessi  e le scelte moderate delle organizzazioni che controllavano e guidavano le lotte operaie (PCI e Sindacato). Con l’estremismo  suicida e omicida delle formazioni armate (Brigate Rosse e altre) che, coinvolte in modi tuttora misteriosi e controversi nel rapimento e nell’uccisione di Aldo Moro, ebbero comunque un effetto certo: chiudere la bocca a lui, agli operai e a migliaia  di militanti della Sinistra (storica o nuova).
Anche Vincenzo si dovette adattare alle condizioni degli sconfitti. Dopo gli anni Settanta s’impegnò nel volontariato e si occupò di patronato da sindacalista scrupoloso e attento alla difesa quotidiana dei lavoratori. 

Rileggo oggi questa testimonianza nel momento di lutto per la sua morte. La trovo sobria e sincera. E’ soprattutto ricca di riferimenti puntuali  alla durezza, alla nocività, ai rischi per la salute (e a volte per la vita) del lavoro in fabbrica. Vincenzo non taceva sulla sua gestione militaresca da parte dei dirigenti aziendali. E neppure sulla repressione antioperaia da parte di carabinieri e magistratura. Questo è il vero nucleo di verità collettiva e storica vissuta e incisa nella sua memoria. Sul resto, quando svela un certo antintellettualismo sia pur temperato dall’amicizia o una diffidenza e un rifiuto quasi  morale verso le esperienze giovanili  o femministe o più culturalmente americanizzate (cfr. il giudizio verso l’esperienza del Circolo la Comune  e anche dell libreria Celes) mi pare a disagio e troppo guardingo. Nel rielaborare la sua storia non ha mai potuto o voluto abbandonare la nostalgia per la sua giovinezza  di militante politico («Posso dire che sono rimasto ideologicamente di AO»). Come se  fosse rimasto per sempre legato alla durezza di quel mondo  operaio scomparso, che l’aveva accolto e riconosciuto come leader. E forse alla matrice contadina originaria e profonda del Sud. Due ragioni del suo rifiuto istintivo delle seduzioni ambigue di quel desiderio dissidente (Fachinelli), dilagate  tra i giovani e le donne. Da considerare, comunque, con grande rispetto. [E. A.] Continua la lettura di Eravamo con gli operai

Il futuro è Nato?

di Marisa Salabelle

Si è svolto a Venegono superiore (Varese), il 4 e 5 febbraio 2023, il convegno dal titolo “Il futuro è Nato?”, organizzato da “Abbasso la guerra” in collaborazione con diverse altre associazioni. Un convegno particolarmente nutrito di interventi, con relatori di livello tra i quali Manlio Dinucci, Alex Zanotelli, Alberto Negri, Antonio Mazzeo e altri. I temi toccati sono stati diversi: l’identità e l’evoluzione della Nato, le sue campagne militari, i suoi rapporti con L’Europa e l’Italia, il rischio nucleare, l’inquinamento e le malattie legate alla sua attività sui vari territori, l’informazione e la disinformazione. Continua la lettura di Il futuro è Nato?

Poliscritture Colognom. Dormire o risorgere?

di Ennio Abate

DORMIRE O RISORGERE? (1)

Il comunicato di Alessandra Roman TomatÈ ORA DI (NON) METTERCI LA FACCIA (https://www.facebook.com/…/pfbid0k4RrHURPqN232bppSgMvyF…) è l’amara ammissione della difficoltà, se non della impossibilità, di collaborare come liste civiche con i grossi partiti in maniera dignitosa.
Si ripropone Il dilemma antico: INTEGRARSI O NO? O in altri termini: restare legati a un ceto politico che, mummificandosi, tenta di autoconservarsi o tentare di risorgere ma su altre basi culturali? Difficile rispondere. Tenterò di farlo con una riflessione a puntate. In questa prima la prendo molto alla larga, partendo dalla crisi politica della generazione del ’68-’69 che io ho vissuto. e ripubblicando (con tagli) la mia POESIA DELLA CRISI LUNGA che porta la data del 28 gennaio 1978.
La dedico con stima a Maurizio AttanasiMauro Cambia e Alessandra Roman Tomat che stanno vivendo la loro in modi onesti e senza ipocrisie.

Poesia della crisi lunga

1.

che fare a cologno monzese /compagni
nel duro congelarsi delle speranze?
nella città
dagli scantinati si odono/rumori di scalpelli
pause allarmate/schianti stanchi
pavimenti/immagino/ disordinati
dai calcinacci
assenze di mobilio
si preparano/ nuovi/ non percepibili eventi/
brevi biblioteche/
cresciute in questi anni/
di riunioni lotte manifestazioni/ nostro contorto/ immaginato/
e spezzato percorso/
quanta insidiosa industria culturale/ nei libri allineati/acca tastati/
e neppure letti/
opuscoli di realtà provvisorie/ conservati per scrupolo/
senza più esibizione/
che ci convinsero a metà/
a tre quarti/ di sbieco/ come fantasni che ritornano/
speranza freddata/ di sostituirli/ con dieci cento incontri/
spurgati da equivoche passività/
lontani/ dal crepitante chiacchiericcio/ di via vetere/
bandiera rossa/ sventolante stinta/
o penzoloni/ per quelle piogge mai lugubri/
degli inverni conc1usi/

2.
andarsene in giro invece/
per la mi1ano guardata con sospetto e ira/
in centinaia di cortei/
ritrovarla immobile/ e più cinica/
rintanarsi/ come estranei/ di passaggio/
sperduti/ con occhi mollicci/
per preoccupazioni inspiegabili
cl:iacchierare/ senza rigore/
come tentano con angosciata testardaggine/
i pensionati
ritelefonare stupidamente
all’ amico/ all’amica perduti di vista
per ricontrollare
distacchi consumati/inaridimenti
sussulti di desideri
affondati nella routine di allora inesplorati per viltà
o sbrigative semplificazioni/
3.
le carte dell’affanno si rimescolano/
e si segue ormai su radio e giornali/ senza calore dentro/
la metamorfosi indisponente/ si sporge/ in forme ansanti/
cronachetta/ ricamata/ nell’intrico/ di bisbigli/ telefonate/
e annusamenti smarriti/
contorto elucubrare/ in cui pare che trapassando alla nuova fase/
dicono così i più svegli/ i provvisti di cinismo
a sufficienza/ ormai sfebbrati/
si partorisca/
un pedestre giudizio universale/
con rantolare/ di pochi/ cadaverici personaggi/
o s’addensa/ nella nostra quotidiana esistenza/
in tessitura fitta e veloce/ la pioggia/
di brevi/ bizzarri/ bisogni/
prima che il tergicristallo/ dell’esperienza
non li spiani/
ricostruendo un’impietosa tabula rasa
[…]
5..
il tergicristallo passa e ripassa
insistono le gocce/ minuscole di cronaca gelida/
si spiaccicano presto/ s’addossano languide/
se gonfie di passato/ in brevi spensieratezze/
scorrono/ illiquidendosi testarde/
scompigliando i programmi/ in alto approntati/
[…]
8.
No/ non si riforma presto il partito/
delle luccicanti gocce/
come abbiamo sperato/
il linguaggio storico ci rimane interdetto/
sotto le plasticate sfoglie/ delle città riciclate/
la calamita/ delle classi in lotta
ci agita / in convulsa limatura ferrosa/
schegge atomizzate/ di produzione e d’improduzione/
discorsi sfracellati/filosofie annerite/
la gestualità quotidiana leggerisce/
barcolla/
soffia il vento/
mulinella dunque?/ no/
ondulano come relitti su1 mare/
procelle/
in disordini abissali/ altre molecole pesanti/
sospettiamo ristrutturazioni/ stupefacenti/
ma attardati in dogmatici osservatori/
la parola s’inceppa/ in gola/
il linguaggio storico è sfiancato/
o rotola stereotipata/
nei vialoni/ già illuminati/ ma deserti adesso/
del flusso passato/
le nostre esperienze pensieri/diciamo/
come in patetico/ anemico dialetto/
10.
uno sputo catarroso/ il sessantotto/
non la calamita onniprensile/
che rivoluzionaria/ emergesse/
oggi che il paese delira/
sotto a coltre di puteolonti compromessi/
in mezzo a quella/
sconvolta/ surrealistica montagna di spazzature/
famelici nouveaux philosophes/
saccheggiata/ rivendicata/ impacchettata/
dal facile operaismo/ sterile lievito
nelle lugubri fabbriche di periferia/
da pop-artisti della politica/
impacchettata/rivendicata/ saccheggiata/
strenna drogata/ in vaghi ghirigori/
il campo è ormai aperto/
a strategie incomprensibili/
in mezzo a macerie/ recenti macerie/
[…]
15.
“hai saputo?/ ascoltano guccini/
s’occupano/ spendendo quel poco/
di fotografia/
continuano logoranti riunioni/
s’imbarcano su navi tremende!/ oh iolanda!/
s’iscrivono/amputati/ al PCI!
criticano i tentativi/ di cambiar solo pelle/
programmano un dibattito/
raccolgono religiosamente/gli sfoghi
riprendono contatti/
lavorano alla biblioteca/
s’iscrivono alle serali/
riprendono l’università/
fanno un figlio/ si sposano/
vendono ancora il quotidiano/
trafficano nel sindacato/ tentano un giornaletto locale/ scrivono poesie/
si suicidano/
muoiono a san vittore/ sparano a Roma/
fanno cose frivole/
rileggono di carter e andreotti/ s’interrogano/s’interrogano/
i compagni/
i compagni teneri e brumosi”/
[…]
15.
“che fare a cologno monzese?”/
un vero /ecco/ lavoro di talpe/
restando davvero talpe/ sì
spolverare il consapevole / dov’è la calamita?/
esplorare gli asfalti d’inconsapevolezza/
della città/ vigili controllori della nostra sconfitta/
e che nessuna voglia di volantino/
e di improvvisa teoria/ rabbercia/
16.
“ che fare a cologno monzese?”/
certo un giornale/ rischiando/ municipalismo e politica casereccia/
tener su un collettivo/ fragile officina
su un limaccioso proletariato /
inosservati/ rimuginare ancora/
sotto lampade di mezzanotte/
un pensiero acre/ sbozzolandolo/
da quotidiani interrogatori/
di oggetti/ di case/ di prezzi/
di volti/ di parole/ di amici/ di donne/
di nemici/ di gatti/ d’insetti/ di erbe/
di macchine/ di morti/…
in cerca di odio intelligente’
[…]
20.
senza falsi allarmi/ che di cielo/
a lungo/ non ne vedremo/
o impazienze/ qui da noi mai generose/
21.
riconoscerci in zona ambigua/ tutti/
col grado implicito/ di inutilità/
e errore/
22.
“:per me/ la libreria “aperta a tutti”/
non è zona franca/
gli assessori del psi/ non nostri alleati/
fra i compagni del pci/ ci aggiriamo sorvegliati/
e temo/ il vuoto municipalistico/
e le ruffianesche /zone cuscinetto/
che regalano/ ai dispersi”/
23
certo in zona infida/ siamo/
nell’intrico di rapporti algosi/ immersi/
vedo nascondimenti tra le righe/
movimenti da amebe /precoci invecchiamenti/
che murano possibilità/
24.
saremo pignoli ?/ dureremo?/
scommettiamo

DORMIRE O RISORGERE ?(2)

Domanda scomoda: i partiti (PD o SI) e le liste civiche (ArtLista, CSD), che a Cologno in questi anni hanno privilegiato il lavoro istituzionale (partecipazione alle elezioni, consiglio comunale), di quali risultati positivi hanno da vantarsi, visti gli insuccessi delle coalizioni di centro-sinistra alle elezioni del 2020 (ma anche alle precedenti del 2015)?

Non possiamo più sorvolare sulla crisi di tutti i partiti. (Si guardi innanzitutto all’astensionismo). Ma anche su quella ormai evidente delle liste civiche.
A Cologno questa crisi è esplosa “a destra” con la caduta della Giunta di Angelo Rocchi, il commissariamento del Comune e vari strascichi giudiziari. Ma “a sinistra” con una penosa e contorta via crucis (https://www.facebook.com/…/colo…/posts/5983779988392624/) che ha portato – solo a due mesi dalle prossime elezioni di maggio – alla designazione abborracciata del candidato sindaco (Stefano Zanelli) del centro sinistra.
L’unico resoconto di questo fallimento delle liste civiche lo si legge nell’intervento di Alessandra Roman Tomat (https://www.facebook.com/…/pfbid0kNENYyirqaEPA3NFKMxRLJ…) e nel comunicato stampa di Cat (https://www.facebook.com/…/pfbid02ymNRzQo9N5azcG51CwLCw…. (Mentre CSD è passata con ipocrita disinvoltura dal silenzio alla propaganda elettorale a favore di Stefano Zanelli, come se niente fosse).

Quale lezione trarre da questi fatti? Io osservo che:
1- le liste civiche non crescono ma diventano sempre più asfittiche;
2 – accettando di privilegiare il piano istituzionale (elezioni, partecipazione al consiglio comunale), devono obtorto collo, allearsi con il PD, che ha ancora un bacino di voti calante ma superiore di gran lunga al loro;
3 – abbiamo avuto abbondanti prove che – nel 2020 con la candidatura a sindaco di Alessandra Roman Tomat e ancora oggi nelle trattative che si sono concluse con la candidatura di Stefano Zanelli – l’alleanza delle liste civiche col PD può avvenire soltanto IN MANIERA SUBORDINATA . Anche per la miopia politica e la rigidità conservatrice dei suoi “storici” dirigenti locali. (Lo stesso forse vale anche per la lista di Angelo Rocchi rispetto a FdI o alla Lega, ma questo è un altro discorso, che ora metto da parte).
Come si può allora, con questi chiari di luna, arrivare – si dice, si spera – a convincere il PD almeno su alcuni singoli punti e ad indurlo a qualche scelta più aperta al “sociale”?
La conclusione è che le liste civiche saranno sempre vasi di terracotta fra vasi (i partiti) se non di ferro abbastanza di più duro coccio. E rischiano ogni poco che al loro interno si riproducano le stesse paralisi o dinamiche frazionistiche dei partiti maggiori. Mentre il PD – anche se sempre più antipatico, ammaccato o quasi mummificato – si autoconserva. E le liste civiche o si subordinano o si trovano isolate. Con lo strascico delle delusioni o delle tardive e impotenti secessioni (Alessandra Roman Tomat:«E quindi il simbolo di ArtLista non ci sarà»).

Mi pare perciò valido quel che ho ricordato rispondendo a Monica Motta:
« I partiti sono QUASI uguali NON uguali. Non sono IL MALE DI QUESTO PAESE ma, al massimo, un rimedio ai suoi mali (storici) che non funziona più da tempo. (Credo dal ’68-69…). E purtroppo rimedi più efficaci non se ne vedono. Le liste civiche – e vale a Cologno anche per la lista Rocchi e non solo per ArtLista o CSD – sono il prodotto della crisi dei partiti non la soluzione.».
Tuttavia, volendo ragionare senza pregiudizio ostile, mi chiedo: le liste civiche possono realisticamente soltanto adattarsi all’alleanza subordinata con un PD così ingombrante e conservatore dell’esistente? O potrebbero scegliersi un alleato potenzialmente meno miope e più generoso (il M5S di Conte? la neonata Unione Popolare?).
Non è un consiglio! Da tempo lascio fare e so che i vecchi come me o Salzarulo [1] vengono vissuti come troppo “critici” o “intellettuali”.
Si può, dunque, sempre insistere sulla stessa strada del fallimento. O sperare che prima o poi si trovino nuove energie (i famosi, imprendibili giovani!). O proporsi di fare meglio quello che si è fatto finora maluccio. O compattare meglio i propri seguaci ed elettori. O ricorrere ai cliché del “politichese” doc: “non vogliamo mica guardarci l’ombelico”, “la gente ci chiede cose pratiche”, “la gente non vuole discutere di “massimi sistemi”, “non possiamo escluderci dal “gioco elettorale” o non essere pìresenti in consiglio comunale dove le cose si decidono”. E scivolere via via verso il relativismo e il pragmatismo più spiccioli. Fino ad arrivare a strisciare terra terra nella “colognosità”. Come fa Giovanni Cocciro. Anche lui, disinvolto quanto e più di CSD, ha la faccia tosta di scrivere; «Il centrosinistra “UNITO” che si presenta all’attenzione dei cittadini alle prossime amministrative, ha idee e un programma amministrativo serio e realizzabile in grado di fare uscire dalle “secche” dove l’ha cacciata la destra colognese, la nostra città».
Oh, beata colognosità!

 

Nota

[1] “Io non tendo a chiudere rapporti, ma occorre vedere come si comporta l’altro/a. Soprattutto se può avere l’età di un tuo figlio o un tuo nipote. Soprattutto poi se i rapporti vengono vissuti in certi ambienti. Tra “rottamazione”, “vaffa” e “nuovismo”, oggi i vecchi si tengono ben lontani, ad esempio, dagli ambienti politici.” (Donato Salzarulo, Geno Pampaloni: «I giorni in fuga», https://www.poliscritture.it/…/geno-pampaloni-i-giorni…/

DORMIRE O RISORGERE? (3)
Tornando alla domanda iniziale (integrarsi o no?) e concludendo. Richiamo la tesi da me proposta: i partiti (di destra e sinistra) sono in una crisi irreversibile, perché sono inadeguati a governarla e siamo entrati in un’altra epoca, caotica e in gran parte indecifrabile nei suoi sviluppi a livello mondiale; e le liste civiche sono solo un episodio di questa crisi ma non un’alternativa o un soluzione.
E allora che fare a Cologno Monzese? Cosa vuol dire dormire o risorgere in questa città?
La mia risposta è questa:
1. dormire significa stare alla coda del PD o riconoscergli un’autorità che non ha più. E che neppure la nuova segreteria della Schneil (dopo quelle fallimentari di Bersani, Zingaretti e Letta) potrà restituirgli. Oppure ritagliarsi uno spazio gregario e minimo alla sua ombra. Come stanno facendo i partecipanti alla ultima coalizione: COLOGNO SOLIDALE E DEMOCRATICA, MOVIMENTO 5 STELLE, ALLEANZA VERDI-SINISTRA, RADICALI DI COLOGNO MONZESE E LA LISTA CIVICA COLOGNO LIBERA.
Non so se nelle ultime trattative per la candidatura a sindaco del centro sinistra ci siano stati o no margini per un compromesso migliore di quello che ha portato a scegliere o a imporre il caidato sindaco Stefano Zanelli e alla secessione di ArtLista e di CAT. Non so neppure dire se abbiano pesato di più la miopia o la rigidità del gruppo dirigente del PD colognese o eventuali impuntature di ArtLista e CaT. Parli chi sa. Vedremo a maggio chi è stato più lungimirante e coerente.
2. risorgere o tentare un «inizio diverso», come l’ha chiamato Maurizio Attanasi in un suo commento, vuol dire tentare e ritentare tenacemente la costruzione di un noi (lo si chiami Forum, gruppo pensante, associazione politico-culturale) che sappia – com’è accaduto diverse volte in passato – mettere in primo piano, far conoscere in modo critico i legami economici, politici, culturali che collegano Cologno col mondo. E agire in modi accorti e intelligenti per cambiarli a favore dei lavoratori, dei disoccupati, della gente comune. Ci vuole un nuovo spazio aperto dove sia possibile formulare idee nuove per questa città.
Non mi faccio illusioni. Abito a Cologno Monzese dal 1964 e conosco bene la “colognosità” di buona parte del suo ceto politico. Conosco, cioè, la testardaggine conservatrice con cui esso isola, silenzia, distorce, sparla di ogni proposta innovativa. Ma possiamo/posso solo insistere.
Una proposta argomentata la feci già nel 2018 (Cfr. immagine MANIFESTO PER “COLOGNO BENE COMUNE” e una riflessione a questo link: https://www.facebook.com/…/colo…/posts/3359456050825044/
Ne ripropongo oggi nel 2023 il contenuto (il nome potrà anche essere diverso).
Importante è che risorgere o nuovo inizio significhi sfuggire ai cappi della democrazia rappresentativa dei partiti e delle liste civiche. Nonsi può mettere più al primo posto la partecipazione alle elezioni e puntare ad ottenere una maggioranza di consiglieri (delegati) per governare la città. Si deve ritentare la via della democrazia diretta, che è quella di chi mira a una partecipazione che sia innanzitutto sociale e il meno delegata possibile.

Poliscritture Colognom. Per fare un sindaco ci vuole…

Riordinadiario 3-7 marzo 2023

di Ennio Abate

….meno colognosità. Pubblico  i miei interventi, i commenti di amici e amiche, i  documenti (manifesti, comunicati stampa) già comparsi negli ultimi giorni sulla pagina FB di POLISCRITTURE COLOGNOM. Ruotano attorno al problema del vuoto politico, che  si svela nella sua miseria a Cologno Monzese, città dell’hinterland  milanese di ex immigrati che votavano a sinistra e ora votano Lega e Fratelli d’Italia. La discussione  ha per tema le prossime – si terranno a maggio – elezioni comunali.  E dà uno spaccato veritiero e allarmante della crisi politica come  oggi  viene rappresentata (o teatralizzata? o annacquata?) nella mente e nelle parole di individui concreti in una situazione dannatamente concreta. E finora senza vie d’uscita. Ci si dibatte, infatti, tra vecchie logiche di partito e  ricerca di un nuovo che stenta a essere definito. Colognom come microcosmo dell’Italia d’oggi? Può darsi.

Continua la lettura di Poliscritture Colognom. Per fare un sindaco ci vuole…

Non bastano gli ultimi mohicani nella scuola

di Ennio Abate

L‘affetto e la grandissima stima che ho per Romano Luperini non mi impediscono ancora oggi – in tempi politicamente  così bui –  di esprimere  un mio fraterno dissenso (o almeno la mia perplessità) per la sua – purtroppo insufficiente  presa posizione [Vedi APPENDICE). I buoi sono già scappati dalla stalla (della scuola italiana) e il pensiero critico è stato espulso non solo dall’università ma dalla società italiana. Non basta la lodevole resistenza da ultimi mohicani nella scuola.
È una critica che espressi (vanamente in verità e non per colpa sua) in una lettera che gli scrissi nel lontano aprile 1998 dopo aver letto il suo  “Il professore come intellettuale “. Continua la lettura di Non bastano gli ultimi mohicani nella scuola

Perché oggi un ministro può dire che Dante è di destra?


In margine a una polemica in corso

di Ennio Abate

” l’opinione sul “Dante di destra” non regge alla prova dei fatti, ma è il frutto di un’interpretazione fortemente orientata che rischia di far dimenticare il ruolo proprio di ogni grande opera artistica” ( da Alberto Casadei, Dante di destra, alla prova dei fatti, qui)

Mi interrogherei su cosa sia accaduto nella realtà politica e sociale italiana per permettere a una tale opinione di uscire  oggi dalla bocca di un Ministro della Repubblica.

P.s.

Ancora nel 2014  discutevamo  di Dante (forse  con interventi troppo lunghi ma appassionati) così:

Ennio Abate<blockquote>Su Dante “monumento” e Dante “poveraccio”. Risposta a Roberto Buffagni<blockquote>

Ennio Abate<blockquote>Sulla grandezza di Dante (e di Mandel’štam)<blockquote>

Ennio Abate<blockquote>Sulla grandezza di Dante<blockquote>(e di Mandel’štam). Coda di discussione n.1: @ Buffagni<blockquote>

Ennio Abate<blockquote>Sulla grandezza di Dante <blockquote>(e di Mandel’štam). Coda di discussione n. 2: @ Banfi, Bugliani e Simonitto<blockquote>

Catacombe cercansi

Mio commento  a “REPUTAZIONE ACCADEMICA E LIBERTÀ INTELLETTUALE” di Emanuele Zinato su Le parole e le cose (qui).

“chiedersi cosa resti della nostra libertà intellettuale a processo di aziendalizzazione consumato. Non solo per criticare i modi e i rapporti di forza in cui oggi si concepisce, s’impone, si misura e si produce il “valore” di un Ateneo, ma anche per verificare se si possono allargare gli interstizi residui del nostro pensiero critico.” (Zinato)
*
Scusa, Emanuele, quando i buoi sono già scappati dalla stalla (universitaria, nel vostro caso), vuoi “criticare i modi e i rapporti di forza”? E “allargare gli interstizi del […] pensiero critico”, che è stato espulso non solo dall’università ma dalla società italiana? Cercarsi – ammesso che sia ancora possibile – delle catacombe, mi pare più saggio e (forse) lungimirante. Un saluto

Guerra tra generazioni?

a cura di Ennio Abate

Su FB può ancora capitare che s’incrocino un giovane (o  ex giovane, a suo dire) d’oggi e un vecchio, abitanti entrambi  nella medesima città dell’hinterland  milanese. E, invece, di salutarsi e tirar  per la loro strada,  inizino  qualcosa che sta tra il dialogo spicciolo e il battibecco puntiglioso. Perché ce ne sono di cose non dette, mal dette, maledette alle loro spalle e attorno a loro.  E così  nei loro commenti  rispuntano modi – diversi? contrapposti? inconciliabili? – di vedere la città,  la sua storia, la vita politica locale e l’immagine di un possibile futuro.  Chi ha curiosità provi a leggere. Questo oggi passa per la mente e il cuore di due – un vecchio e un giovane/ex giovane – che vivono mugugnando e insofferenti  a Cologno Monzese. [E. A.]

Continua la lettura di Guerra tra generazioni?

Vogliamo dircelo?

commento a un post su FB di Lea Melandri

di Ennio Abate

Non sono mai riuscito a condividere la cancellazione del Marx “vecchio” a favore del Marx “giovane”, quello che secondo Lea Melandri «non sembrava ancora Marx». (E potrei aggiungere – anche se il discorso per vastità si complicherebbe troppo – la cancellazione della «Dialettica dell’illuminismo» a favore dell’illuminismo. O del Freud “vecchio” di eros e thanatos dal Freud “giovane”. O del Fortini di «Il dissenso e l’autorità» a favore del Fachinelli del «desiderio dissidente». O del ’68 con il suo strascico militante e anche sanguinoso degli anni ’70 fino all’uccisione di Moro a favore del ’68 “innocente”). E non perché preferisca il “vecchio” al “giovane”, la scienza (dentro il Capitale) all’utopia. Ma perché non si deve nascondere un fatto incontrovertibile: che nel corso dei decenni successivi i «“limiti” e le inadeguatezze della politica tradizionalmente intesa» sono cresciuti. E che dopo quel “movimento-lampo” del ’68 di lampi non ce ne sono stati più e anzi siamo in tempi bui. Certo, allora «si è cominciato a ragionare e a prospettare cambiamenti su quell’area di esperienze, individuali e collettive, che è stata considerata “non politica”», ma vogliamo dircelo che non si è andati oltre l’inizio, il balbettio, l’urlo? E che la sinistra è scomparsa non perché sia rimasta ancorata al Marx “vecchio” ma perché ha scaricato il Marx “vecchio” e quello “giovane” consegnandosi al pensiero (heideggeriano) di destra o alle sue varianti (“There is no alternative”)?
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Questo il post di Lea Melandri:

I “Fantasmi” di Marx

Nei “Manoscritti economico-filosofici” del 1844, gli scritti giovanili dove Marx non sembrava ancora Marx, compariva a margine della critica dell’economia politica un interrogativo radicale, indicato come l’ “enigma della storia”: che cosa spinge “originariamente” l’uomo a quel “sacrificio di sé” che è la consegna del proprio lavoro, e del prodotto del medesimo, nelle mani di un altro uomo che se ne fa in questo modo “proprietario”.

Questa domanda richiamava per me l’altra, non meno essenziale, posta da Freud come “enigma del sesso”: il sacrificio di sé che viene chiesto alla donna -espresso indirettamente nel “rifiuto del femminile”- affinché da forza attiva e centrale nel processo generativo si trasformi in “tramite” o mediazione ad una discendenza solo maschile, di padre in figlio.

Mi piaceva anche nei “Manoscritti” che si parlasse di “ritorno all’ umano”, inteso come “totalità di manifestazioni di vita umana”, quella “autorealizzazione” da parte dell’uomo che il ’68 ha creduto di prefigurare nella “tensione utopica” che permette di vedere il possibile “attualmente impossibile”, e che a Franco Fortini sembrava invece un “benefico sovrappiù”, conseguente “solo” alla trasformazione del mondo, cioè alla rivoluzione.

L’uscita dalla dimensione essenzialmente “privata” della vita mi è stata possibile quando, per l’improvviso capovolgimento di gerarchie date come “naturali”, immodificabili, si è cominciato a ragionare e a prospettare cambiamenti su quell’area di esperienze, individuali e collettive, che è stata considerata “non politica” – e di conseguenza sui “limiti” e le inadeguatezze della politica tradizionalmente intesa: un’area vastissima, estesa quanto il tempo che occupano vicende cruciali dell’essere umano, come la nascita, la morte, l’invecchiamento, il gioco, l’amore, la memoria, sulle quali si possono vedere i segni di una “disumanizzazione “ non meno violenta di quella che agisce nello sfruttamento economico.

E’ l’area che la sinistra ha sempre considerato genericamente “improduttiva”, popolata da “fantasmi” che stanno, dice Marx, “fuori dal regno della produzione”, soggetti variabili –diversamente dall’operaio, soggetto per eccellenza, che resta fisso anche quando è in via di sparizione: studenti, pensionati, disoccupati, ecc.; variabili anche nel posto che occupano nell’elencazione, come capita per le donne, sempre difficili da “collocare”.

Oggi questi orfani della politica, assegnati in epoche di gloriose lotte operaie al “territorio” circostante la fabbrica, assomigliano sempre più ai “fantasmi” descritti da Marx: “i furfanti, gli scrocconi, i mendicanti, i disoccupati, l’uomo da lavoro affamato, miserabile e delinquente”, una parte considerevole di umanità che esiste solo “per gli occhi del medico, del giudice, del poliziotto”.