Archivi categoria: SAMIZDAT 2005-2021

Critiche, dissensi, piraterie

Su una petizione a favore dei migranti della Open Arms

di Ennio Abate

Donatella Di Cesare, la studiosa di filosofia che si è distinta per la sua costante e indignata attenzione alla tragedia delle odierne migrazioni e ha pubblicato nel 2017 «Stranieri residenti», un libro importante, una vera e propria «filosofia della migrazione» tesa a smantellare i pregiudizi identitari e “sovranisti” che vedono il migrante come il «malvenuto», un «essere fuori luogo» o l’accusano di «occupare il posto altrui», ha invitato a firmare una petizione indirizzata al presidente del consiglio Giuseppe Conte [tra l’altro appena dimessosi] su Change.org (qui) con questa premessa: «È possibile una tale crudeltà politica? Noi che che abbiamo ancora coscienza, sentendoci impotenti, firmiamo».

Avendo da tempo su Poliscritture affrontato la questione delle nuove immigrazioni (qui), non ho alcun dubbio nell’apprezzare l’intenzione umanitaria di questo appello. E non intendo insistere troppo sul fatto che in genere ogni appello viene ignorato dalle autorità politiche che hanno una precisa politica di strumentalizzazione delle migrazioni. Voglio però ricordare una cosa: la «crudeltà politica» che Donatella Di Cesare attribuisce a Salvini non è solo «possibile» – la si sta infatti praticando (e Salvini (Lega), con l’approvazione di Di Maio (M5S), segue le orme lasciate già da Minniti (PD) – ma non viene più affrontata politicamente da quanti a queste politiche migratorie disumane pur intendono opporsi.

Perciò prima di firmare – così ho scritto in un commento nella bacheca della Di Cesare – vorrei che si chiarisse che *accusiamo* FIRMANDO quelli che tale crudeltà politica la permettono o l’approvano. E vorrei anche che si dicesse che oggi dobbiamo ricostruire una cultura politica capace di combattere costoro con tutti i mezzi. Anche con quelli “crudeli” che essi non esitano ad usare contro i più deboli e in difficoltà. Anche se oggi non ne disponiamo. Dico questo per desiderio di vendetta? No, di giustizia. Firmare, invece, «sentendoci impotenti» e senza porsi lo scopo di costruire una potenza benefica a favore degli umiliati ed offesi, a me pare un gesto generico e senza senso (politico). Essendo il vero scandalo che da anni stiamo sopportando non la ferocia istituzionalizzata di questo o quel ministro (e non solo verso i migranti ma anche verso le classi sociali medio-basse indebolite dalla crisi in tutti i paesi) ma proprio la viltà e i calcoli da azzeccagarbugli di quanti – Salvini o chi per lui – combattono solo a parole e con vecchie, consunte “belle parole”. Posso anche considerare che siamo arrivati al punto che non sia più possibile disobbedire in massa ai loro diktat. Ma allora, al posto degli appelli generici, meglio tacere e riorganizzarsi da zero.

Il plebeo-leninismo (socialista?) di Formenti e Visalli

di Ennio Abate

L’idea sarebbe quella di «partire da un’ampia alleanza di soggetti sociali che abbiano almeno la potenzialità di evolvere in senso socialista» e «nella prima fase prevedibile» è d’obbligo che questi soggetti sociali assumano un «carattere nazional-popolare e neogiacobino con l’obiettivo primario di ricostruire almeno le precondizioni (del socialismo)» che consisterebbero in una «reale partecipazione al processo decisionale e di redistribuzione del reddito». Questa, in sintesi, è la proposta del libro «Il socialismo è morto. Viva il socialismo» di Carlo Formenti che la recensione di Alessandro Visalli (qui) condivide e avalla.

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Il tarlo di Genova. Commento

Tabea Nineo, disegno 1987
da SAMIZDAT COLOGNOM foglio semiclandestino per l’esodo
Numero 3 aprile-settembre 2001

di Ennio Abate

Genova 18 anni dopo. Ripubblico quanto scrissi – isolato allora come oggi – su una rivistina fotocopiata che distribuivo a mano agli amici. I problemi qui accennati sono gli stessi che ho appena ridiscusso in questi giorni qui e qui. [E. A.]

1.

Cosa sentivo e pensavo prima dei fatti di Genova?

Prima: ero curioso e attento alla galassia “antiglobalizzazione”, ma ne sono rimasto distante per varie ragioni. Non condivido la sua enfasi ottimistica sui diritti umani. Ero scettico verso la scelta del “dialogo alla pari” continuamente cercato con i rappresentanti del governo. Mi sento estraneo alla sua ideologia: un pacifismo così assolutizzato, profondamente dominato dall’impostazione della Chiesa cattolica – un nuovo Super-ego “non-militante”, molto oratoriale (Rete Lilliput) o neopopulista (la rivista Carta), ben espresso nelle sbrigative tesi di Marco Revelli nel suo Oltre il Novecento.

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Il vecchio e la morte della letteratura

di Ennio Abate

 
 In quei tempi vidi un vecchio – un letterato mancato.
 I più giovani, figli suoi quasi per età, ora disquisenti 
 di Simonetti, Saviano, Cavazzoni e Scurati - pedinava. 
  
 Attento a ciascuno, che a  turno - rasato o occhialuto,
 a tratti  animato nel gesto o nel volto, la nota spigolosa
 l’esatta e mai claudicante citazione dagli appunti estraeva. 
  
 E Campoformio? E il caveat dell’Ingrato  di via Legnano 
 che aveva scritto di un alloro insidiato dagli insetti?
 In mezzo al  pubblico  di faccia devota, maldicente solo 
  
 nel bisbiglio compìto all’orecchio, una  bionda annotava: 
 «Nel mondo il capitalismo è diventato sistema economico 
 unico e on line la letteratura – oh cara! - il suo loculo avrà».
  
 Sempre a lezione, sempre a ripetizione? – gli sussurrai.
 Resti in ascolto del vento invano. Perché ancora sognare
 l’aula magna della Statale di Milano irta di voci e strida
  
 dove di potere operaio e studentesco in accoppiata, 
 da spretati, con la fede truce dei Sessanta, straparlaste?
 Riaprì gli occhi. Dalla tomba merce risorgerà!- mi borbottò.
 
 
 
   

*Commento alle videoconferenze “Gli Stati Generali della letteratura” ascoltate su LE PAROLE E LE COSE2: qui

Negri su Balestrini

di Ennio Abate

Su “il manifesto” dell’8 giugno 2019 (qui) è comparso un ricordo di Nanni Balestrini scritto da Antonio Negri. L’ho letto, riletto, meditato e ho scritto questi appunti critici. [E.A.]

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Appunti politici/riletture/passato prossimo/2010

a cura di E. A.

Violenza, democrazia, diritto internazionale di Danilo Zolo

1. Quale democrazia?

Prima di iniziare questo mio breve intervento sul rapporto fra uso della forza, regimi democratici e diritto internazionale desidero precisare che vorrei fare riferimento a una nozione di democrazia un po’ rigorosa, che non si riduca ad una formula retorica o addirittura, come accade spesso nella comunicazione politica occidentale, platealmente propagandistica. Proporrei di lasciare da parte i modelli ‘classici’ di democrazia – quello partecipativo e quello rappresentativo -, perché troppo esigenti e ormai non realizzabili entro società differenziate e complesse. Potremmo attestarci, in via stipulativa, su una nozione post-classica di democrazia (schumpeteriana, pluralista, minimale), secondo cui un governo democratico è contraddistinto da un grado accettabile di responsiveness e di accountability. Un regime è democratico se le autorità politiche ‘rispondono’ alle aspettative dei cittadini rispettandone e promuovendone i diritti fondamentali, e se sono ‘responsabili’: se cioè devono rendere conto delle loro decisioni di fronte ad un elettorato capace di valutazioni sufficientemente autonome e competenti.

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Appunti politici/riletture/passato prossimo/2005

a cura di E. A.

Che gli Stati Uniti coprano quasi la metà della spesa mondiale in armamenti è abbastanza noto. Ma forse non tutti sanno che l’Italia occupa il settimo posto nella classifica per la spesa militare complessiva, staccando di ben quattro lunghezze una superpotenza nucleare come la Russia. In termini relativi l’Italia si fa ancor più onore: 362 dollari per abitante (equivalenti 2000) sono molto meno dei 1419 degli USA o dei 1551 di Israele; ma sono superati solo dalla spesa pro-capite di Arabia Saudita, Regno Unito, Francia e Giappone. La spesa militare globale, che si era ridotta fra il 1987 e il 1998 ed era aumentata moderatamente fino al 2001, ha subito un’impennata – a partire dagli USA – dopo l’11 settembre. Peraltro, nell’ultimo decennio il numero di attentati terroristici internazionali è in diminuzione e la maggior parte degli attentati contro obiettivi USA non ha matrice islamica o mediorientale, ma avviene in America Latina. Tra le regioni italiane la Toscana ospita la maggioranza dei militari statunitensi stanziati in Italia: su 15.500 militari ben 11.000 si trovano a Camp Darby (Livorno). A tutti dovrebbe interessare sapere che la rete di sorveglianza Echelon può controllare l’intero flusso globale delle comunicazioni mobili, oltre ad intercettare le informazioni via satellite e attraverso i cavi sottomarini. E anche che, secondo alcune fonti, lo sfruttamento sessuale dei bambini rifugiati è una pratica abbastanza diffusa fra i Caschi blu e gli operatori umanitari delle Ong e delle Nazioni Unite.

(da M. Deriu, Dizionario critico delle nuove guerre, con la collaborazione di Aloisi Tosolini e Daniele Barbieri, Editrice Missionaria Italiana, Bologna 2005, pp. 507, ISBN 88-307-1399-6. Recensione di Luca Baccelli https://www.juragentium.org/books/it/deriu.htm)

Elezioni europee. Nessuna vera pietra nello stagno

a cura di Ennio Abate


Qui sotto la mia opinione sulle europee e uno scambio di pareri con alcuni “amici fessbucchiani”. [E. A.]

Istintivamente non andrei neppure a votare o annullerei la scheda. Perché entrambe le prospettive più realistiche (tenuta degli europeisti, affermazione clamorosa dei sovranisti) o conserverebbero lo status quo o lo peggiorerebbero. Ma uno potrebbe sempre pensare che gli attuali europeisti sono il meno peggio rispetto ai leghisti e lepenisti etc. e dargli il voto.

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Neofascismi. Un appunto

di Samizdat (E. A.)

Nella critica ai neofascismi (Casa Pound, Forza Nuova, ecc.) c’è qualcosa che mi lascia perplesso e mi fa chiedere: alla fine questa “lotta antifascista” risulterà una partita giusta o truccata?

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Pasolini, l’antifascismo, Casal Bruciato, tirapiedi al 100% o all’80%

a cura di Ennio Abate

Pubblico questo scambio su Facebook tra me e Gianfranco La Grassa perché mi pare un buon esempio di come una tradizione di sinistra anche critica, come quella di Pasolini, possa essere usata – per delusione, per disperazione, per volontà di oltranza astratta, per eccesso di realismo politico – non tanto contro la sinistra e a favore della destra ma contro ogni ipotesi (oggi purtroppo cancellata dal dibattito intellettuale e resa quasi impensabile) di spezzare il gioco tra dominatori comunque simili (“tirapiedi” di tipo A o di tipo B). Questa ovviamente è la mia opinione che sottopongo alla discussione. [E. A.]

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