Archivi categoria: STORIA ADESSO

Del passato che resta e del presente che si fa storia

Guerra o pace?

Tempi sempre più bui. Non precipitarsi a parlare senza studiare i mutamenti in corso.

Conferenza organizzata da Centro Filippo Buonarroti e Casa della Cultura. Intervengono: Claudio Vercelli (Storico: autore del libro “Storia del conflitto israelo-palestinese”, Ed. Laterza) Carlo Antonio Barberini (Centro Filippo Buonarroti)

a cura di Ennio Abate

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Anni ’70. Sulla sconfitta della lotta armata.


Il problema della violenza nella storia (irrisolto? irrisolvibile in termini assoluti?) si ripropose nell’Italia degli anni ’70 del Novecento in termini di “falsa guerra civile” (Fortini)? Il principio pacifista avrebbe potuto suggerire pratiche che avrebbero evitato morti, sofferenze e  il “tramonto della politica” (Tronti)?  In “Aperte lettere” (2023) di Rossana Rossanda, di cui pubblicherò uno stralcio nei commenti, si legge una recensione ad “Extrema ratio”, libro di Fortini pubblicato nel 1990, dove la questione  dei “giovani delle lotte armate italiane” degli anni ’70, di cui torniamo a discutere  in Poliscritture, è posta nei termini in cui io pure credo di averla posta. E che Lorenzo Galbiati  non condivide e contesta. Forse nelle mie e nelle sue parole  – lui nato nel 1970,  io che sono del 1941 – ricompare uno scarto di cultura politica generazionale sul quale è bene riflettere. [E. A.]

di Lorenzo Galbiati

Raccolgo qui, schematicamente, alcuni pensieri spero ben ordinati che mi sono sorti leggendo l’articolo “Anni’70. Sconfitti sì, pentiti no.” (qui) e la lunga risposta a punti, sempre di Ennio Abate (qui), a un mio primo, improvvisato e soggettivo commento (qui). Continua la lettura di Anni ’70. Sulla sconfitta della lotta armata.

FOIBE, GIORNATA DEL RICORDO Ripasso di storia invece che polemichette

a cura di Ennio Abate

Raul Puppo, Trieste ’45. Dalla risiera alle foibe, Laterza 2022 pagg.254-257

 

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Il «giorno del ricordo» e la memoria corta degli italiani
di Enzo Collotti

Nella canea, soprattutto mediatica, suscitata intorno alla tragedia delle foibe dagli eredi di coloro che ne sono i massimi responsabili, la cosa più sorprendente è l’incapacità dei politici della sinistra di dire con autorevolezza ed energia: giù le mani dalle foibe! Come purtroppo è già avvenuto in altre circostanze, l’incapacità di rileggere la propria storia, ammettendo responsabilità ed errori compiuti senza per questo confondersi di fatto con le ragioni degli avversari e degli accusatori di comodo, cadendo in un facile ed ambiguo pentitismo, non contribuisce a fare chiarezza intorno a un nodo reale della nostra storia che viene brandito come manganello per relativizzare altri e più radicali crimini.

A parte la incomparabilità dei numeri – poche migliaia contro sei milioni – sono la logica e la storia che rendono incomparabili i due fenomeni. Fenomeno locale le foibe, fenomeno universale la Shoah. Anche dal punto di vista temporale il problema foibe si esaurì nel giro di poche settimane, al di là del perdurare della memoria, la Shoah si consumò nel corso degli anni della Seconda guerra mondiale, annullando confini ed ambiti territoriali, distanze sociali e stabilendo nuove gerarchie nazionali e sociali.

Continuare a deprecare le foibe senza porsi l’obiettivo di contestualizzarne l’accaduto contribuisce a fare della retorica, ad alimentare il vittimismo e a offendere ulteriormente la memoria di chi è stato coinvolto in una atroce vicenda e soprattutto di chi ha pagato, innocente, per responsabilità altrui. La vicenda delle foibe ha molte ascendenze, ma certamente la più rilevante è quella che ci riporta alle origini del fascismo nella Venezia Giulia. È una storia nota e arcinota, su cui hanno lavorato storici della mia generazione, (…), con posizioni diverse tra loro ma tutti impegnati a costruire le linee interpretative di un passato storico che, tenendo conto della complessità della situazione di un’area crocevia di culture diverse, contribuisca a creare una nuova cultura politica capace di fare uscire i comportamenti politici e culturali dalle secche dello scontro frontale fra gli opposti nazionalismi, la cui cecità si alimenta a vicenda delle speculari pretese di esclusione.

Sin quando si continuerà a voler parlare della Venezia Giulia come di una regione italiana senza accettarne la realtà di un territorio abitato da diversi gruppi nazionali e trasformato in area di conflitto interetnico dai vincitori del 1918, incapaci di affrontare i problemi posti dalla compresenza di gruppi nazionali diversi, si continuerà a perpetuare la menzogna dell’italianità offesa e a occultare (e non solo a rimuovere) la realtà dell’italianità sopraffattrice. Non si tratta di evitare di parlare delle foibe, come ci sentiamo ripetere quando ragioniamo nelle scuole del giorno della memoria e della Shoah, ma di riportare il discorso alla radice della storia, alla cornice dei drammi che hanno lacerato l’Europa e il mondo e nei quali il fascismo ha trascinato, da protagonista non da vittima, il nostro Paese.

Ma che cosa sa tuttora la maggioranza degli italiani sulla politica di sopraffazione del fascismo nei confronti delle minoranze slovena e croata (…), addirittura da prima dell’avvento al potere? Della brutale snazionalizzazione (proibizione di uso della propria lingua, chiusura delle scuole, chiusura delle amministrazioni locali, boicottaggio nell’esercizio del culto, imposizione di cognomi italianizzati e cambiamento di toponimi) come parte di un progetto di distruzione dell’identità nazionale e culturale delle minoranze e della distruzione della loro memoria storica? I paladini del nuovo patriottismo fondato sul vittimismo delle foibe farebbero bene a rileggersi i fieri propositi dei loro padri tutelari, quelli che parlavano della superiorità della civiltà e della razza italica, che vedevano un nemico e un complottardo in ogni straniero (…) Che cosa sanno dell’occupazione e dello smembramento della Jugoslavia e della sciagurata annessione della provincia di Lubiana al Regno d’Italia, con il seguito di rappresaglie e repressioni che poco hanno da invidiare ai crimini nazisti? Che cosa sanno degli ultranazionalisti italiani che nel loro odio antislavo fecero causa comune con i nazisti insediati nel Litorale Adriatico, sullo sfondo della Risiera di San Sabba e degli impiccati di via Ghega?

Ecco che cosa significa parlare delle foibe: chiamare in causa il complesso di situazioni cumulatesi nell’arco di un ventennio con l’esasperazione di violenza e di lacerazioni politiche, militari, sociali concentratesi in particolare nei cinque anni della fase più acuta della Seconda guerra mondiale. È qui che nascono le radici del l’odio, delle foibe, dell’esodo dall’Istria. Nella storia non vi sono scorciatoie per amputare frammenti di verità, mezze verità, estraendole da un complesso di eventi in cui si intrecciano le ragioni e le sofferenze di molti soggetti. (…) Da sempre nella lotta politica, soprattutto a Trieste e dintorni, il Movimento sociale un tempo e i suoi eredi oggi usano e strumentalizzano il dramma delle foibe e dell’esodo per rinfocolare l’odio antislavo; rintuzzare questo approccio può sembrare oggi una battaglia di retroguardia, ma in realtà è l’unico modo serio per non fare retrocedere i modi e il linguaggio stesso della politica agli anni peggiori dello scontro nazionali stico e della guerra fredda.

I profughi dall’Istria hanno pagato per tutti la sconfitta dell’Italia (da qui bisogna partire ma anche da chi ne è stato responsabile), ma come ci esorta Guido Crainz (in un prezioso libretto: Il dolore e l’esilio. L’Istria e le memorie divise d’Europa, Donzelli, 2005) bi sogna sapere guardare alle tragedie di casa nostra nel vissuto delle tragedie dell’Europa. Non esiste alcuna legge di compensazione di crimini e di ingiustizie, ma non possiamo indulgere neppure al privilegiamento di determinate categorie di vittime. Fu dura la sorte dei profughi dall’Istria, ma l’Italia del dopoguerra non fu sorda soltanto al loro dolore. Che cosa dovrebbero dire coloro che tornava no (i più fortunati) dai campi di concentramento, di sterminio, che rimasero per anni muti o i cui racconti non venivano ascoltati? E gli ex internati militari – centinaia di migliaia – che tornavano da una prigionia in Germania al limite della deportazione? La storia della società italiana dopo il fascismo non è fatta soltanto del silenzio (vero o supposto) sulle foibe, è fatta di molti silenzi e di molte ri mozioni. Soltanto uno sforzo di riflessione complessivo, mentre tutti si riempiono la bocca d’Europa, potrà farci uscire dal nostro nazionalismo e dal nostro esasperato provincialismo.

* Questo testo del grande storico italiano è parte dell’introduzione al libro “Dossier Foibe” di Giacomo Scotti, uscito per Manni editori – che ringraziamo – nel, 2022 (con sua introduzione e post-fazione di Tommaso Di Francesco).
https://ilmanifesto.it/il-giorno-del-ricordo-e-la-memoria-corta-degli-italiani

Odio tutte le guerre

Breve sunto  del libro che Raffaella  ha pubblicato  in Inglese su Apple Books: Tales Of Love and War. https://books.apple.com/us/book/tales-of-love-and-war/id6475421848  [E. A.] Continua la lettura di Odio tutte le guerre

Cominciando dalle vittime

Appunti su “Storia del conflitto israelo-palestinese” di Claudio Vercelli (1)

Ho appena finito di leggere questo libro e ci tornerò su a più riprese, perché tratta in modo chiaro e puntuale una questione che, come un tarlo, è da tempo presente nelle mie letture sulla storia del Novecento. (Cfr., ad esempio, qui, qui o qui). In questo primo appunto propongo una nota, apparentemente secondaria, del suo ultimo capitolo, che considero un punto ineludibile da cui partire per  riflettere su qualsiasi conflitto sociale e politico: Continua la lettura di Cominciando dalle vittime

Una ricerca storica sulla Basilicata tra 1740 e 1860

La Basilicata verso l’Unità d’Italia
– origini della Questione Meridionale – 1740 – 1860

E’ uscito con un ritardo di decenni –  segno sintomatico del degrado culturale  italiano dagli anni ’80 del Novecento ad oggi e della cancellazione della cultura della sinistra in questo Paese –  un libro di storia sulla Basilicata. L’ha scrittodi Giuseppe Natale – amico e studioso e, di recente, anche collaboratore  di Policritture -, il cui percorso di vita e di lavoro in varie occasioni si è incrociato in passato con  il mio. Lo segnalo volentieri proponendo  due brani: uno dalla presentazione di Giovanni Caserta – scrittore, storico, critico letterario e autore di una Storia della letteratura lucana (1993); e un altro con la spiegazione che l’autore dà sia della nascita della sua opera nel clima  di grandi speranze spuntate con il movimento studentesco del ’68 nella fucina intellettuale che fu l’Università Statale di Milano  in quegli anni – Franco Della Peruta e Lucio Gambi, ricordati da Giuseppe, furono tra l’altro anche miei professori –  e  sia della (forse paradossale e per me più incerta) attualità della gramsciana questione meridionale. Le vecchie botti del ’68  contengono ancora del buon vino. Assaggiatelo. [E. A.] Continua la lettura di Una ricerca storica sulla Basilicata tra 1740 e 1860

L’immigrazione italiana in Svizzera dal dopoguerra agli anni ’80

di Alessandro Le Goff

I brani qui pubblicati sono tratti da un’accurata e ben documentata tesina di maturità  di Alessandro Le Goff, uno studente svizzero figlio di immigrati (padre francese e  madre italiana). In essa ha trattato vari aspetti dell’emigrazione italiana in Svizzera  dal dopoguerra agli anni ’80 del Novecento: condizioni di vita e di lavoro, la fatica del viaggio, le difficoltà di integrazione, la costrizione delle rigide regole di ingaggio, specie degli stagionali, la condizione di clandestinità in cui erano tenuti i bambini dei lavoratori immigrati. Sono temi ben approfonditi dalla più recente storiaografia sulle migrazioni, ma  è importante vedere come  sono accolti e  rimodulati in un linguaggio chiaro e puntuale da un giovane che se ne serve per chiarire il suo passato familiare e la propria identità in costruzione. E anche i possibili legami (nonché le differenze) con le nuove migrazioni intercontinentali. [E.A.] Continua la lettura di L’immigrazione italiana in Svizzera dal dopoguerra agli anni ’80

Non solo banchieri. Ebraismo e proletariato a fine ‘800

di Salvo Leonardi

Di quel “sinistro miscuglio di semiverità e confuse superstizioni” (Arendt), che fra Otto e Novecento ha animato l’immaginario antisemita europeo, due miti – più di altri – si sono rivelati straordinariamente radicati e virulenti; l’attribuzione agli ebrei di uno abnorme potere nella sfera finanziaria da un lato, e il mito del bolscevismo giudaico dall’altro, agente internazionalista della sovversione rivoluzionaria e antinazionale. A saldarli nella loro pur eclatante contraddittorietà, il tradizionale refrain di un cosmopolitismo apolide e cospirativo, foriero – fra i cittadini di “razza ebraica” – di separatezza interna e scarsa lealtà nazionale, sino all’infamante estremo del tradimento, secondo un’insinuazione che nel successo mondiale di un colossale falso come i “Protocolli dei Savi di Sion”, e nell’affare Dreyfus, avrebbe ricevuto le sue più clamorose ed epocali testimonianze. Continua la lettura di Non solo banchieri. Ebraismo e proletariato a fine ‘800

Enzo Collotti Linkssozialist

di Brunello Mantelli

Nella notte tra il 6 ed il 7 ottobre scorso ci ha lasciati Enzo Collotti.
Era nato a Messina il 15 agosto 1929; dopo un’infanzia trascorsa tra Roma, Cagliari e la città natale, si sarebbe trasferito nel 1941 a Trieste, dove il padre aveva iniziato nel 1939 ad insegnare all’università.
Lì si sarebbe formato, in un luogo attraversato da tutte le linee di frattura dell’Europa, diventate prima incandescenti per l’azione coscientemente eversiva esercitata dai fascismi europei, e deflagrate poi disastrosamente nella Seconda guerra mondiale.
Come Collotti stesso ebbe a dichiarare, il suo farsi studioso di storia non nacque da una pura curiosità intellettuale, ma si radicò in quell’esperienza di vita: Continua la lettura di Enzo Collotti Linkssozialist