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Poesia e critica della poesia

Dieci poesie

di Umberto Di Donato

Prima dei versi, qualche considerazione in via preliminare-.

*
Usciamo da un equivoco: si afferma che chi scrive vuole farsi leggere. È vero, ma dipende da chi. Per quel che mi riguarda, condivido totalmente ciò che Mandel’štam dice benissimo nelle poche pagine del saggio Sull’Interlocutore. Completando il quadro, aggiungo soltanto che alcuni profeti, spirituali, maestri da strapazzo, riconoscono alla poesia doti universalmente salvifiche, qualità magiche, terapeutiche, curative, basta mettersi all’ascolto. Io non ci credo, l’universale puzza di complotto, ed in più dico che il poeta non è la poesia, ma compone poesie, ripeto, non è la poesia, così come una fonte non è l’acqua. È quest’ultima che noi dovremmo bere, non la cannella. I poeti che profetizzano, che salvificano, che fanno sermoni, in realtà vogliono essere bevuti; e possiamo noi lettori in verità non soddisfarli!? Ora, ponendoci dal punto di vista dei singoli testi, gli unici a dare qualche minima certezza, si può sostenere che se non vengono letti non hanno vita? Non lo so, ma comunque è un loro problema, non il mio, ed in definitiva non di chi le scrive. 

**
Il gesto, l’azione senza frutto, un interlocutore ipotetico, un altro me. Lotta serrata alle piccole vanità. 
Mi preoccuperebbe molto sapere che un mio testo possa emozionare chi frequenta i teatri, i cinema, i festival, gli eventi, i luoghi deputati alla cultura. Anche il libro è un luogo deputato. Il libro non è l’opera, è un supporto, e la possibilità della fruizione attraverso il supporto influenza la collocazione, la distribuzione, induce ad organizzare i singoli testi nello spazio del commercio. Io stesso ho commerciato nella mia preistoria testuale, soggiogato dal libro/supporto e pensandolo nelle mani di qualcuno. Ho recintato, secondo una logica indotta dall’esterno, dodici anni di esperimenti in quattro libri che materialmente non esistono ancora: Motore a combustione interna (1993-2002), Fossa comune (lugliosettembre 2001), Per fortuna non lavoro (2003), Reo confesso (2003-2005). Ormai il danno è fatto.

Vigliacco! 

Poi ho capito. Niente più organizzazione, sequenza esclusivamente cronologica. Massima concessione: titolo alla sequenza per connotare l’arco temporale, per connotarlo a me (ma non ne sono ancora certo). Ridurre al minimo la schiavitù. 

Nel 2004 scrissi questo testo:

“In verità è il poeta che ammazza la poesia, la violenta, la percuote, è la sua voglia di piedistallo. Quando il poeta contemporaneo va in televisione, ed aspira ad andarci, viene schiacciato nei ritmi serrati della distruzione scientifica, della telecamera crematoria. Poi la pubblicità, che rappresenta il momento in cui l’immagine si sposta dalla piramide dei cadaveri al fumo delle ciminiere di Auschwitz.

Anche nel libro vive lo spirito del gulag, del lager: l’ordine, la disciplina, la sequenzialità degli atti, le sezioni, multipli e sottomultipli; la morte. Ma è una morte che ha in potenzialità la sua resurrezione. Per me il libro, cioè quel tanto d’ordine che si cerca di dare al naturale spirito da fuggiasco del poetare, è il box con recinzione morbida in cui si mettono i bambini. Essi stanno lì, giocano, piangono, si aggrappano alla rete, ma siamo certi che cresceranno, che supereranno il varco. E poi il filo spinato/copertina non è attraversato dall’elettricità. Toccandolo non si corre il rischio di essere folgorati.”.

Adesso lo integro e lo supero nella direzione sopra esposta.

1

Il mio è un lavoro di concetto,
ma so che alcuni
lavori manuali sono
davvero tremendi per cui penso
che tutti vogliono andare in ufficio.
Invece no: «mai otto
ore in galera, meglio
spargere col caldo nero catrame».
 
Il problema non è il concetto oppure il manuale,
ma quell'otto,10,12,
così come sei ore a scuola [e che strazio fu per me la scuola!].
 
Riformare: competenze, competizione, i migliori,
che nove volte su dieci non sono
figli di poveri o quasi poveri.
Sburocratizzare: che vuol dire
sostanzialmente tagliare senza
risolvere il problema perché i tempi
lunghi sono nelle procedure.
 
Io ho risolto in questo modo:
ho un impiego, ma non lavoro,
o comunque lavoro poco
-e per piacere non si sparga
troppo in giro la voce-.
 
Desiderare un lavoro. Incredibile!
 
«Che lavoro vuoi fare da grande?».
Così comincia presto la rovina.
 
Io volevo fare il terrorista, ma poi
ho ripiegato sul pubblico impiego.
 
Chiedo comunque aiuto.
 
Bisaccia, 02.04.2021, ore 09.00-09.30, stanzetta, in tv si parla di lavoro e di riforme.




2
 
I versi che scendono troppo
nel presente hanno di certo vita breve.
Ma non importa,
nun me ne fréca pròbbie niénde.
 
Morire violentemente mentre si lavora!
 
Io sto lavorando, seduto, senza
gocce di sudore sulla fronte.
 
Si lavora non più solo  
per mangiare, ma per tanti
piccoli bisogni singolari.
 
Ipocrita! Eppure la mia
colpevolezza è poca cosa
rispetto a chi dirige/arricchisce/imprende,
governa o vuole governare
[poca cosa ho detto, si badi,
e il poco è un essere comunque].
 
Amministrare il contingente, va bene, è giusto,
ma un po' si può pensare
-dico un po', un nonnulla- a come lavorare tutti meno,
ad alternarci tra fabbrica e concetto, a costruire
guardandoci negli occhi quel futuro
che a me non appartiene?
 
Non ci serve più governo,
ma un governo amorevole che dica:
«non avete bisogno di me».
 
Non capisco, non avviene nulla.
 
Io ho un programma, minimo, di annientamento,
velleitario forse, ma sincero.
Al momento ho convinto solo tre persone.
 
Il suo nome ha origini
polinesiane e significa
godersi il tempo libero.
 
Incredibile la beffa!
 
Grosseto, 06.05.2021, ufficio, ore 11.30-12.00 circa, pensando a Luana morta sul lavoro, e pure a quiru pòveriéddo re Peppino.
 


 
3
 
Vedo vari gruppi, coppie, famiglie, amici.
Il tempo libero,
il che significa che la rimanente
parte del tempo libera non è. Giusto?
 
Cosa si fa nel tempo libero?
Niente di libero ovviamente:
centri commerciali con acquisti pilotati,
bevute e cene in cui
si è delle comparse, relazioni
con sceneggiatura sottostante.
 
Non si tratta neanche più di massa
-e stiamo parlando di una massa grassa-,
o di società del consumo;
melma, melma, melma.
 
Non è la cultura che manca,
o le buone letture
-esiste anche la melma colta-,
manca l'uomo, l'uomo dignitoso,
lo schiavo che sa di essere
tale per merito delle bastonate.
 
Schiavo anch'io, ma voglio andare in miniera,
che siano torture tutti i giorni.
Non so cosa farmene
di questa schiavitù con l'aperitivo,
con visita guidata nei musei,
della promozione fasulla dei diritti,
del patrocinio di ministri ed aguzzini.
 
Anche la banca, che già ruba l'altro tempo,
vuole il mio tempo libero e mi scrive:
«Ciao, hai pensato alle prossime vacanze?»,
(ma io e la banca da quando siamo amici?
-memorandum: prosciugare il conto-).
 
Ma dove sono finito?
 
L'unico tempo libero che mi aspetta
inizia sulla soglia del cimitero,
... e meno male.
 
Grosseto, centro, 13.05.2021, ore 19.00-19.30 circa.
 
 
 
 
4
 
Pose il comune in memoria dei caduti
del quindicidiciotto: sei persone
"che con sacrificio onorarono la patria".
Chissà se lo rifarebbero,
se pensano ancora di aver onorato!
 
Anche questa è una radiosa giornata di maggio,
e si dice che siamo in guerra
contro un nemico invisibile.
I miei nemici al contrario sono
onnipresenti e mi guardano storto.
Mi considero in una fase da categorie del politico,
e devo difendermi purtroppo
-anche da questo cane, da questi gatti,
da questi uccelli provinciali.
 
In linea d'aria il mare è vicino, 
vedo il Giglio, qualche vela,
la città sfavillante nella piana.
Il borgo medievale
naturalmente è tutto pietre,
archi, vicoli e mattoni.
 
Silenzio! Il paese vive
prepotentemente in me.
 
In realtà dovrei fare l'asceta, dovrei
compiere il passo decisivo come già
feci mille anni fa; sono caduto
tante volte, ma non in guerra,
e tante volte ancora cadrò.
 
Non posso credere che oggi
lanciano bombe invece
di abbracciarsi felici e fare un picnic.
Cosa trattiene tutta quella gente?
Anch'essi vogliono onorare?
 
Terra santa? Dite?
 
Mi rendo conto solo adesso
di essere seduto in Vicolo
della Saggezza, 2 ... -ed io pensavo che fosse cieco-.
 
Bene, bevo, riempio
le borracce e riprendo a pedalare.
Il ritorno è quasi tutto in salita.
 
Montorsaio, 15.05.2021 ore 10.00-10.30, panchina, notizia bombardamenti in Palestina.



 
5
 

Un clima, un momento, un'aria
che anticipa e che presuppone;
intorno a me, meglio:
su di me come una muta.
E quindi un ritmo, interno,
sereno, serrato, da qualche parte,
emerge e pian piano s'impone.
 
Scelgo di dare o di non dare corso.
 
Poi sarei figlio del mio tempo, della mia epoca.
Ma lei di chi è figlia?
Ha vita propria oppure
è un congegno creato per sfinire?
Cosa vuole da me?
E se la misura della mia vita
fossero i millenni a quale
epoca apparterrei?
 
Schiavo di tutto,
...
se già nelle strutture
del linguaggio si annidano il potere,
la gabbia e la prigione; quindi
si consiglia di sabotare la sintassi,
di attaccare dall'interno ma per molti
interno significa cravatta.
 
Sabotare il linguaggio a mio avviso non si può.
Neanche col silenzio.
 
Già che ci siamo perché non ai ceppi?
 
Così è la muta -non la musa-
che mi viene in soccorso, che mi affranca, che mi aiuta.
 
"Con potete culo quelle pulirvi il bandiere".
 
Non sono riuscito a dargli torto
-pur nella la normalità della sintassi-.
 
Bisaccia, 02.06.2021, festa della repubblica, stanzetta, poi la voce di un contestatore, ore 12.30-13.00 circa.
 
 
 
  
6
 
Seduto sotto il tiglio sto pensando,
rimuginando, ma non dovrei.
Non renderò quest'albero sacro, e credo che oggi
non m'illuminerò -nel senso del Buddha intendo-.
 
Non illuminato, ma comunque tranquillo.
Estendere questo stato, isolarmi, stare solo.
 
Devo risolvere il problema
del sostentamento: occupazione, reddito, stipendio.
Se mi licenziassi domani, pur riducendo
al minimo i bisogni -un tetto, mangiare e bere- non ce la farei.
Non so rubare, scassinare, investire in borsa,
non so ingannare. E allora?
E allora una bestemmia ci starebbe bene,
ma non Antonio però, il santo patrono
al cui cospetto tutto questo accade.
 
Non posso nemmeno farmi monaco,
prete perché dovrei
battezzarmi e tutto il resto
(e tutto il resto è in ogni confessione).
 
Pietrificarmi? Magari!
 
Il mio futuro, tolto lo svanire degli affetti,
è nel suicidio o nell'ascesi -in ufficio infatti
ho iniziato a meditare, concentrazione
su un solo punto-.
...
...
Ma cosa c'è?
Sembra che il vento adesso stia parlando:
«Perché non aspetti la pensione?».
 
Maledetto, vuoi provocarmi, vuoi litigare?
 
Calmo.
Un solo punto,
un solo punto.
 
Bisaccia, 18.07.2021, Convento, ore 10.30-10.45, più o meno.
 
 
 
 
7
 
Insomma ho provato, letto,
riletto, analizzato, pensato.
E allora anch'io
nel mio parlar voglio esser aspro[1]:
mi stanno con dolcezza inculando,
ma non ancora del tutto violato
ad un'azione cruenta sto pensando.
 
Se Dante il sommo celebrato
in parlamento, nelle chiese e nei bordelli,
ha condannato decine di persone,
perché non posso io desiderare
che qualcuno bruci vivo nelle fiamme
di un talk show televisivo?
 
«Bastardo, ti vaccineremo».
Povero me.
No pax.
 
Mi disturba tutto,
dico sempre le stesse cose
-ma le dico bene-,
ho raffinato le mie capacità
di analisi, di sintesi e la mia
forma non è poi così meschina.
L'amore non mi basta, i miracoli, la gioia,
gli appelli alla bellezza che si fa
puttana, consolazione e propaganda.
 
Non parlerò più con nessuno, ho deciso,
neppure con gli uccelli.
Io mi svago al tavolino e lavoro in società[2].
Visto che non sopporto più il lavoro
è tempo di tagliarlo nella parte
che non mi dà sostentamento.
 
Si, l'uomo è un essere sociale,
ma io credo non essenzialmente.
Non mi interessa cos'è nella sua essenza,
non ho voglia adesso di filosofare.
Mi basta evitare per il momento il fango.
...
Inizia così
il mio mediocre medio evo.
 
Grosseto, 12.08.2021, sul letto, ore 20.00-20.30 circa, rielaborando registrazione vocale.
 
 


8
 
Mio caro parliamone,
ma sii chiaro, diretto, schietto.
 
Desidero un milione di euro
-anche il porcospino lo voleva,
ma io coscientemente-.
La realtà mi assale,
e la realtà sono anche gli altri.
Poeti, filosofi e scienziati
non mi servono più a nulla.
Dove un po' di pace?
Forse in un bosco percorrendo un bel sentiero.
 
I sostenitori della realpolitik
non rompessero oltremodo.
Non sono confuso, o frustrato;
spesso i realisti affermano
che posizioni e posture tali
sono una forma di disturbo,
... o meglio: una forma d'impotenza.
Come se dovessi per forza dire
che la vita è vita ed è così com'è.
No, non lo dico e preferisco
subire, incassare, prendere legnate.
 
Quante parole, è un turbinio di bocche aperte,
un ammasso di coglionerie.
I giornalisti andrebbero tutti imbavagliati,
mi avvelenano il sangue.
Non lo posso permettere.
 
-Sessanta secondi di pubblicità-.
 
Monopolio della forza legittima.
Gira e rigira sempre questo è il punto.
 
Ma si, maledico tutti i miei contemporanei,
oggi mi è presa così; e per non dimenticare
che questa è una poesia faccio presente
che la pineta di fronte è come il colle,
l'orizzonte -neutrale- è mio compagno,
e il naufragar m'è dolce in questo stagno [zampilli d'acqua, tre papere, un ranocchio].
 
Vai, adesso mi sento meglio,
lo sfogo è servito. Ritratto 
la parte non lirica.
 
Grosseto, Parco Giotto, 23.08.2021, ore 19.00-19.30, più o meno.




9
 
Perché un essere umano,
un buon cittadino non dovrebbe
provare odio?
Dicono che odiare sia dannoso,
che questo sentimento è brutto,
peccaminoso. Stupidaggini!
 
Io di questi tempi odio, ed anche tanto.
Il treno è in ritardo, niente coincidenza,
sono mascherato, controllato,
divise ovunque e poi transenne, obliterazioni, tornelli.
È chiaro che non la finiranno più.
 
Oggi non farò colpi di testa (domani chissà),
ma fatemi almeno odiare.
Così, banalmente, prevedibilmente,
da intelligenza mediocre e luogo comunista,
mi vedo solo con un mitra in mano,
e di fronte a me tanti governi
in fila, sindacati, imprenditori, intellettuali.
Sono questi maniaci
dell'apparire, dell'emergere, gestire,
questi cultori della norma, dementi
seriali, democratici per finta, animali, vermi,
a tenerci adesso tutti sotto scacco.
 
Su, via, sono inerme,
dal punto di vista della prassi innocuo,
ma lasciatemi almeno sognare, vagheggiare il clic
creativo di un grilletto.
Tanto sparirò da questa vita senza colpo ferire.
Allora dite quello che vi pare,
già conosco l'apparato
retorico che mi si potrebbe
di certo contrapporre.
 
Detto questo,
io non mi rodo il fegato,
né ho del fegato.
 
Dopo tutto resto un moderato.
 
Roma, stazione Termini, 27.08.2021, ore 10.15-10.45, più o meno.




10
 
In certi momenti esprimersi è fatica,
e vorrei cedere il passo.
Ma non devo,
ma non posso.
Non sono irresponsabile come un dio,
ed ogni giorno è una piccola conquista.
 
Mi disturba la mia mortalità,
dover lavorare per nutrirmi
e per poter lavorare domani.
 
Edificare esige tempo.
 
Sono tormentato, di giorno e di notte,
ma non si tratta del tormento
ridicolo dell'artista. Sacrificherei
tutta l'arte del mondo
per un attimo di chiarezza,
per uno sguardo diretto sull'abisso,
sull'oscuro, sull'orrido e il melmoso.
 
Non ho risposte all'assurdo che c'è nell'esistenza,
e il volere non è potere in questo campo.
 
Formalizzare una volontà,
abbattere il mostro,
quello che ci opprime dall'esterno,
e quello che ci schiaccia dall'interno
-che poi è lo stesso mentre si diverte
 ad una festa di carnevale-.
 
Io non rivendico per me cose speciali,
quello che voglio lo voglio per tutti:
poche/nulle pene per il sostentamento,
e poi tempo, tempo, tempo.
 
Se un giorno si arrivasse
a risolvere definitivamente il problema
delle necessità materiali,
a risolverlo urbi et orbi,
resterebbe comunque quello
della mortalità. E qui saranno guai!
Si sarebbe tentati di dire
che le esperienze sublunari sono
un argine in qualche modo
(ed infatti non mi lasciano
disperare di certo a tempo pieno).
[  ]
A proposito di disperazione: oggi si va a votare;
ma io no, così da tempo ho deciso.
«Allora devi stare zitto,
non ti puoi lamentare».
E chi si lamenta.
Io affermo, io asserisco,
io subisco l'ordine
parlamentargovernativo.
Io sono incudine!
 
La rappresentanza non mi interessa,
e non voglio rappresentare.
Bocciato il pensiero liberale,
se considero il linguaggio di molti
autori marxisti mi manca il respiro.
Potrei anche condividere
molte cose, ma l'aria è tutto.
Così preferisco le soleggiate
scampagnate fuori porta delle dolci
correnti libertarie.
 
Adesso posso dirlo caro Errico,
e non si tratta di una semplice opinione:
tra una mite utopia e la cruda
certezza dei macelli scelgo
la prima e incasso.
 
Concludendo, noto che in tv
stanno da tempo sibilando i draghi;
io non sono (ahi me) l'arcangelo Michele,
ma dico amichevolmente ai miei nemici:
tenetevi il PIL,
scopatevi il PIL,
impiccatevi al PIL.
 
Grosseto, 03.10.2021, sul divano, ore 21.00-22.00.
 
 
 
 
 
 
 


[1] Dante, Commedia.
[2] K. Kraus, Detti e Contraddetti.

La sfera blu

di Marina Massenz

Di quando i “grandi” diventano piccoli e i “piccoli” si fanno grandi, parlando un’altra lingua che dice del tempo già scaduto. In loro sostegno e come segno di partecipazione anche verso tutti coloro che si impegnano lottano lavorano per… ho pensato stamattina di pubblicare questa mia poesia inedita. Non scritta per l’occasione, ma esito forse di molteplici eventi sordamente in me accumulati e che oggi sento di voler condividere con voi tutti.

La ragazza ha visto la sfera blu
da astro nello spazio sospesa
e ammira e ama quel verde
e le acque le pecore i musi
bagnati nell’erba umida.  E’ la terra.
Così bella e fragile come creatura
che non diresti sospesa nel nulla
che non diresti abbia bisogno
della tua mano, per appoggiarsi
sul palmo aperto ad accogliere.
La vita così per alcuni decenni
ci sta nel palmo, la mano è la stessa,
ma a volte dimentica, lascia cadere
e tutto cade e cade e cade
finché si ferma proprio lì,
dove stanno le pecore, sotto l’albero.

2.11.21

Cinque testi del tempo sospeso

di Giorgio Mannacio

RIMPROVERO ALL’ETERNITA’
 
 
Avresti dovuto arrivare
nel giorno della gran neve
quando stentavo a decifrare
un brusio così lieve, mio vicino.
E’ la seconda volta
nel tempo così breve
che un difetto d’amore ti sorprende.
Ma adesso anche tu
o forse tu soltanto
conosci la mia storia.
Il resto è letteratura e tu lo sia:
non so più leggere ormai.
 
 
 
 
INVERNO
 
I.
La neve ha rivelato
chi parte e chi ritorna:
nessuno può passare inosservato.
Del primo le notizie
si  sfaldano in una scia
sempre meno profonda
e ciò che avvenne dopo è un'altra cosa.
Si sa che l’apparenza non permette
altro che struggimento
se non bastasse il fumo verticale:
lampada o focolare,
incendio del giudizio.
Nella fuga geometrica dei vetri
(non a specchio, ma spia)
una luce si sposta e trova
rovistando tra le reliquie
un’ora da esorcizzare.
 
II.
E’ questa l’occasione
che rende il mare alla sua vera origine,
quasi immoto come se fosse
il giorno stesso della separazione
da un cielo ancora irato.
Si mostra adesso la benevolenza
che induce all’utopia
d’un viaggio senza conquista,
senza
comandi circa la destinazione
e quella
sottile esitazione
tra un’onda e la successiva
sembra fermare il mondo.
 
 
 
 
 
IL NOTES STRACCIATO
 
A volte sembra che il tempo incontri
qualche perplessità nello sfogliare
le pagine del suo diario.
La precedente si può stracciare
in minuti frammenti
non più ricomponibili
se non nel verso senza conseguenze
della memoria e della riflessione.
La successiva svela
prima di ogni altra cosa
un punto di sutura:
la trama di un filo bianco
il segno di un’effettiva incollatura.
Ma la scrittura che pretenda adesso
di riempire di veri eventi
l’estasi dell’istante
nulla può regalare all’apparenza.
   
 
 
 
 
FIGURE DEL SONNO
                             
Rannicchiato dormiva
abbracciando il cuscino.
Si stupivano le infermiere
nei loro giri insonni
tramando confidenze,
minime riflessioni
e pietà sconvenienti.
Sembra che voglia
stringere a sé vicino
una persona amata,
disegnare remoti sentimenti
per non dimenticare:
così si nasce, così muore.
 
 
 
TESTA O CROCE
 
                per Antonio Sagredo, amico sconosciuto
 
Si aspetta
che la tempesta arrivi;
si aspetta che la tempesta passi.
Si spera che tutto cambi,
che tutto resti eguale.
Nella moneta gettata in alto
e rovinata al suolo
si scioglie ciò che annoda
attesa e compimento.
 

Poesie

Mario Carbone ed Emilio Gentilini, Roma

di Marc Alan Di Martino traduzione di Angela D’Ambra

Runaway

My mother is sitting alone on a park bench in Villa Borghese, eating a sandwich. It isn’t an easy thing to find a sandwich in Rome in 1966. She had to root out the Bar degli Americani on Via Veneto, near the embassy, in order to find ham on white bread. No mayonnaise. Imagine that: a Jewish girl eating a ham sandwich on a park bench in Rome with no mayo. What is she doing there, so far from home? And where is home, anyway? Her parents’ home in Brookline, Massachusetts? That isn’t home. Not anymore. She ran away from that home, came to Rome via Paris via San Francisco. Anywhere but at the shabbos table with that tyrant her mother and her ineffectual father. A ham sandwich on a park bench is better than that, she says to herself as a dapper man appears, dressed in a smart black suit. She notices his teeth. Naively, she thinks he might be Marcello Mastroianni, her singular destiny to meet a movie star, fall in love, and become his wife. Live happily ever after. The fantasies that run through a young woman’s head. This man is not Eddie Fisher. Nice Jewish boy. Dungaree Doll. This man is a smooth-talker. He wants to sell her something. Realizing she is American, he begins speaking in broken schoolboy English. He turns on the charm, and she is charmed. What is he selling? Wine - what else? You are in Italy, poor girl, eating a sandwich, all alone. He overwhelms her, makes her feel like Audrey Hepburn. She, in turn, is an easy target. Not like Italian women. To get into their pants you have to go through their families. He knows. He has two sisters. He’s always beating up guys in his neighborhood for putting their hands on them. He’s got a reputation. But everyone knows American women are unmoored. Why else do they come here?  To get into trouble. To meet a Casanova. To have what they call a ‘fling’. (He learned that word in a movie.) Then they go back home and get married to a Rock Hudson or a John Wayne, have two kids and two cars and pursue their dreams of happiness. Europeans have history, Americans have dreams. That seems to him a profound insight. My mother crinkles the cellophane into a ball, rolls it in her palm, brushes the crumbs from her  skirt. He looks at her knees, the skin boldly exposed, wonders what’s beyond them. She isn’t thin, he thinks, as he absorbs her body with his eyes. He isn’t subtle. You don’t need to be in 1966. All you need to have is charm, and he has excellent charm. She decides in that moment she will go anywhere with this man. She will do anything he asks. She has nothing to lose, no one waiting for her on the other side of the ocean, no Eddie Fisher. Her brother is married to a German. Her brother the magician, who disappeared into a German woman and never came out. How she would like to disappear into this man, fall into the black hole of him, learn to curse her own parents in his tongue, allow the sensual inflections of Italian to evict the Yiddish gutturals lodged in her throat like fish bones. How she would like to learn to trill her r’s, double her consonants, put a crucifix around her neck for the sheer pleasure of seeing her mother’s dumbstruck punim, bury her alive with Roman invective li mortacci tua - fuck your dead ancestors - tear the crucifix off and flush it down the toilet, having exhausted its usefulness. She smooths her skirt, a little flushed.

Fuggiasca

Mia madre siede sola su una panchina di Villa Borghese; mangia un panino. Non è impresa da poco trovare un panino a Roma nel 1966. Aveva dovuto scovare il Bar degli Americani, a via Veneto, vicino l’ambasciata, per trovare prosciutto e pane bianco. Niente maionese. Immagina la scena: una ragazza ebrea che, su una panchina di un parco, a Roma, mangia un panino al prosciutto senza maionese. Cosa ci fa là, così lontana da casa? E, comunque, dove è la sua casa? La casa dei suoi genitori a Brookline, Massachusetts? Quella non è la sua casa. Non più. Da quella casa è fuggita, è venuta a Roma via Parigi via San Francisco. Ovunque, fuorché al tavolo dello shabbos con quella tiranna di sua madre, e il padre inetto. Un panino al prosciutto su una panchina del parco è meglio di quello, si dice quando appare un uomo azzimato, che indossa un elegante abito nero. Ne nota i denti. Ingenuamente, pensa che potrebbe essere Marcello Mastroianni, e che il proprio destino speciale sia incontrare una star del cinema, innamorarsi, diventarne la moglie. Vivere per sempre felici e contenti. Le fantasie che frullano nella testa d’una ragazza. Quest’uomo non è Eddie Fisher. Bravo ragazzo ebreo. Dungaree Doll. Quest’uomo è un adulatore. Vuole venderle qualcosa. Accortosi che è americana, inizia a parlare in un inglese scolastico. Accende il fascino, e lei è affascinata. Cosa vende? Vino; che altro? Povera ragazza, in Italia, tutta sola a mangiare un panino. La perturba, la fa sentire come Audrey Hepburn. Lei è, peraltro, un bersaglio facile. Non come le italiane. Per portartele a letto, devi passare per le loro famiglie. Lui lo sa. Ha due sorelle. Sta sempre a picchiare i ragazzi del quartiere che le molestano. Ha una reputazione. Ma tutti sanno che le donne americane sono senza legami. Sennò perché verrebbero qui? Per mettersi nei guai. Per incontrare un Casanova. Per avere quello che chiamano ‘fling’: un’avventura. (Aveva imparato quella parola in un film.) Poi, se ne tornano a casa, si sposano un Rock Hudson o un John Wayne, hanno due figli e due auto, e inseguono i loro sogni di felicità. Gli europei hanno una storia, gli americani hanno sogni. Questa gli parve una profonda intuizione. Mia madre accartoccia il cellophane in una palla, se lo fa rotolare nel palmo, spazza le briciole dalla gonna. Lui le guarda le ginocchia, la pelle audacemente esposta, si chiede cosa ci sia oltre. Non è magra, pensa, mentre ne divora il corpo con gli occhi. Non è scaltro. Non è necessario esserlo nel 1966. Tutto ciò che ti serve è fascino, e lui fascino ne ha d’avanzo. Lei, in quell’istante, decide che andrà ovunque con quest’uomo. Farà tutto ciò che le chiederà. Non ha niente da perdere, nessuno ad aspettarla dall’altra parte dell’oceano, nessun Eddie Fisher. Suo fratello ha sposato una tedesca. Suo fratello, il mago, scomparso in una tedesca, e mai più riapparso. Come vorrebbe scomparire in quest’uomo, cadere nel suo buco nero, apprendere a maledire i propri genitori nella lingua di lui, permettere alle inflessioni sensuali dell’italiano di sloggiare le gutturali yiddish alloggiate nella sua gola come lische di pesce. Come vorrebbe imparare a vibrare le proprie r, raddoppiare le consonanti, mettersi un crocifisso al collo per il puro piacere di vedere il punim esterrefatto di sua madre, seppellirla viva sotto insulti romani li mortacci tua - vaffanculo i tuoi antenati morti - strapparsi il crocifisso e buttarlo nel water, dopo che ha esaurito la sua funzione. Si liscia la gonna, un po’ rossa in viso.

“Geniza”


A scrap of parchment in the hand of Maimonides
drifts down to us quietly
through ten centuries of blood and dust
lands in the hands of a researcher
in Tel Aviv, New York, Budapest
whose eye has been trained to mend
desiccated fragments, resurrect
mummified inklings, perceive
the worth of such undertakings. Dust
to lust[1], one culture’s erasure is another’s
treasure. Here sacred suckles profane
and must be tweezed apart
so as not to alter both. Crate by crate
smuggled by steamer out of Egypt
tiptoed their way past gods and guards,
again nearly drowned in the sea.

The luck of history.




“Gheniza*[2]



Un brandello di pergamena, di pugno di Maimonide
discende silenzioso fino a noi
attraverso dieci secoli di sangue e polvere
approda nelle mani di un ricercatore
a Tel Aviv, New York, Budapest
che ha occhio allenato a riparare
frammenti essiccati, resuscitare
indizi mummificati, percepire
il valore di tali imprese. Polvere  
alla passione, la rasura d’una cultura è il tesoro
di un’altra. Qui il sacro sugge il profano
e va diviso con le pinze
sì da non alterare entrambi. Cassa dopo cassa
usciti di frodo dall’Egitto via piroscafo
cauti superarono deità e guardie,
e quasi si re-inabissarono nel mare

La fortuna della storia.

 

The Skaters
 
                   “and years - so many years”
                       - Virgil, Aeneid
 
 
The dragonflies of summer have all vanished.
      Now people warm their hands above strange fires
blazing from big green oil drums. There are holes
 
in the sides. I wonder what made them there. 
      Neighbors, mostly. Girls lacing up their skates
in packs . The smoke and spark of firesticks
 
jutting out over the lip, burning, burning.
      My parents are somewhere, walking on water
together. My sister is here, her hand in mine
 
steadying me. Off to the right is where
      the man with the Firebird lives, the one
who followed me, in those apartments over
 
there. Don’t go there by yourself. Repeat. Don’t
      go...when my father hoists me and we’re off! 
 
 
 
 
I pattinatori
 
“E anni, così tanti anni”
                 - Virgilio, Eneide
 
 
Le libellule estive sono tutte scomparse.
       Ora la gente si scalda le mani sopra strani fuochi
che ardono da grandi fusti di petrolio verdi. Hanno fori
 
ai lati. Mi chiedo cosa li abbia fatti là.
       I vicini, per lo più. Ragazze s’allacciano i pattini
in gruppi. Fumo e scintille di stecchi
 
che sporgono oltre il bordo, e bruciano, bruciano.
       I miei genitori sono da qualche parte, a camminare sull’acqua
insieme. Mia sorella è qui, la sua mano nella mia
 
a rendermi saldo. A destra è dove
       vive l’uomo con la Pontiac, quello
che mi seguì, in quegli appartamenti lag-
 
giù. Non andarci da solo. Ripeti. Non
       andare ... quando mio padre mi solleva e via, sul ghiaccio!

 

“Still”
 
 
There are still birds, still things coming to life
in unexpected ways. Still nights and days. 
Nocturnal, diurnal. Circadian rhythms
scratching an itch* at the back of the throat.
Still family, still friends. Still love
slapping you silly with its rubber tongue,
salt that makes your stomach sing a psalm,
palettes of rusted foliage, stray bees
in November, still buzzing in the lavender.
 
 
 
“Ancora”
 
 
Ci sono ancora uccelli, ancora cose che prendono vita
in modi inaspettati. Ancora notti e giorni.
Notturno, diurno. Ritmi circadiani
a raschiare un pizzicore in fondo alla gola.
Ancora famiglia, ancora amici. Ancora amore
a schiaffeggiarti, sciocco, con la sua lingua di gomma,
sale che al tuo stomaco fa cantare un salmo,
tavolozze di fogliame rugginoso, api vaganti
in novembre che ronzano nella lavanda, ancora. 

[1] Nd’A: dust to lust:è un gioco di parole “dalla polvere alla brama”:  la polvere dell’artefatto e la brama del ricercatore per le scoperte

[2] Nd’A: *la gheniza era una specie di sgabuzzino nelle sinagoga antica del Cairo dov’era stato trovato un accumulo enorme di manoscritti vecchissimi, che poi è stato trasferito a Cambridge e che contiene molti tesori letterari di natura ebraica

Marc Alan Di Martino is a Pushcart-nominated poet, translator and author of the collection Unburial (Kelsay, 2019). His work appears in Baltimore Review, Rattle, Rust + Moth, Tinderbox, Valparaiso Poetry Review and many other journals and anthologies. His second collection, Still Life with City, is forthcoming from Pski’s Porch. He lives in Italy.

Marc Alan Di Martino è un poeta nominato per il Pushcart, un traduttore , ed è autore della raccolta Unburial (Kelsay, 2019). Le sue opere sono apparse su Baltimore Review, Rattle, Rust + Moth, Tinderbox, Valparaiso Poetry Review, e molte altre riviste e antologie. La sua seconda collezione, Still Life with City, è in uscita da Pski’s Porch. Marc vive in Italia.

ANGELA D’AMBRA ha conseguito la laurea quadriennale in Lingue e letterature straniere presso l’Ateneo di Firenze (2008); un diploma di Master II in traduzione di testi post-coloniali in lingua inglese presso l’Ateneo di Pisa (2009). Si è laureata in Lettere moderne presso l’Ateneo fiorentino nel 2015. Nel 2017 ha conseguito un diploma di Master I in traduzione di testi biomedici e legali presso ICON (Pisa). Nel 2019, la LM in Teorie della Comunicazione presso la Scuola di Studi Umanistici dell’Ateneo fiorentino. Dal 2010 traduce non-profit testi poetici (En > IT). Le sue traduzioni sono state pubblicate su varie riviste italiane e straniere tra cui El GhibliSagaranaMosaiciSemicerchioJITGradivaOsservatorio Letterario. Ha pubblicato (in traduzione italiana) una selezione di testi dall’antologia poetica On Being Dead in Venice di Gary Geddes (novembre-dicembre 2019) e una selezione di testi dall’antologia poetica Dancing Birches di Glen Sorestad (febbraio-marzo 2020).

Poesie

di Yuri Ferrante

UNA STANZA 
 
Non condividiamo nulla
se non l’aria di una stanza,
le stesse leggi della fisica,
la gravità che ci schiaccia.
 
E allora cosa cerco in quelle braccia?
Cosa mi spinge a raccontarti cose
che non hanno mai avuto parole,
che i pensieri non sanno contenere,
che io non so di contenere.
 
Non volevo abbandonarmi,
non volevo ribellarmi
alla morsa del gelo.
Ma più mi avvicino al calore del tuo sangue
più brucia la solitudine
di questa pelle.
 
 
 
IN NATURA
 
Ogni giorno più distanti dalla terra,
dalla sabbia che ci forma,
dalla roccia e dall’argilla.
Ogni gesto, ogni momento,
un sasso sopra l’altro
monumento a sé stesso
a memoria del vagito del creato,
di un istante sopito,
soppresso, svanito.
 
Si osserva la natura intorno
come sconosciuta, imprevedibile
sorpresa, non racchiusa
nella programmazione standard
di elettronica provincia.
 
Sarebbe meglio stare fermi, alzare le braccia,
lasciare scorrere clorofilla sulle labbra.
 
Mentre il pino ci osserva, ed anche la quercia,
è vigile il gallo, la capra, la merla,
la rosa, il cavallo, non dicono niente
ci notano e basta, sospirano, belano,
infine appassiscono, si fanno toccare
da mani e pisciare da cani, bagnare da gocce
di pioggia, e noi, in mezzo alla folla
copriamo la testa, i capelli, la faccia,
con vesti, ombrelli, giornali e diciamo
convinti la nostra parte, ci piace farla
a regola d’arte, e in punto di morte
ci spogliamo nudi, per ricordare
chi siamo, da dove veniamo
e senza parola, poiché muore anch’essa
in gola, e torniamo al gemito,
al fremito, all’imbrunire, a sentire
l’acqua scorrere tra le pupille
e sfiorare la vita, in punta di dita
che premono il senso animale, perduto,
nascosto per anni, inumato, muto.
 
E all’ultimo tocco
un picchio
da dietro un vetro,
ci guarda
e ci riconosce.
 
 
I TEMPORALI
 
Ci sono lampi che non si spengono
nemmeno quando le luci muoiono,
quando i corpi riposano
per poche ore
o per spazi eterni.
Sono voci di temporali
da qualche parte, dentro di noi
continuano ad esplodere,
bagliori all’orizzonte
ora vicinissimi
ora inarrivabili.
 
 
 
UN GIORNO
 
Vorrei vivere il dolore
come lo vive una farfalla.
 
Così poco tempo
per volare,
per amare,
non c’è spazio
per il male.
 
E se il volo
dura un giorno,
quanto vale
ogni secondo.

Eventi (virtuali) di poesia

Reykjavík Art Museum –  Foto di Luca Chiarei

di Luca Chiarei

In attesa di definire come sostituire in Poliscritture 3 la rubrica  ZIBALDONE POESIA E MOLTINPOESIA pubblico questa cronaca puntuale e abbastanza disincantata di alcune iniziative  celebrative dell’ultima Giornata Mondiale della Poesia.  [E. A.]

 Da quando la conferenza mondiale dell’Unesco nel 1999 proclamò il 21 marzo giornata internazionale della poesia, nel nostro paese – definito da fonte equivoca di poeti navigatori e santi, non sono certo mancate iniziative di ogni tipo per celebrarla. Districarsi in questo proliferare di eventi che attraversano lo stivale da nord a sud è una operazione complessa, per non dire impossibile. Nonostante questo, non sbaglieremmo se individuassimo nel magma una tendenza generale alla celebrazione, che si manifesta con letture pubbliche, concorsi e premi banditi ad hoc dai soggetti più vari (associazioni, pro-loco, comuni e fondazioni…), microfoni aperti nei quali la poesia scritta nel cassetto ha l’occasione per uscire allo scoperto. Continua la lettura di Eventi (virtuali) di poesia

Per te ho raccolto il mirto, poca la menta

di Rita Simonitto

                                        A Giava

 
Per te ho raccolto il mirto, poca la menta
perché non ti piaceva, ma rosmarino
a mazzi dove con felina goduria smusavi,
a onde le scure strisce sull’oro
del mantello, micro felicità di tigrotta
addomesticata, distolto da me lo sguardo.
E anche adesso,
le pupille che mi tagliano fuori
dai tuoi lidi perduti toccano note
di linguaggi inaccessibili al contrabbando
di malcelate convenzioni.
Continua la lettura di Per te ho raccolto il mirto, poca la menta

Per un’operaia morta sul lavoro

 
                                                                               
di Ennio Abate   
                                                                                                                    a Luana D’Orazio di anni 22
Ingombri d’ansie
i tuoi giovanili ardori.
Mai pensavi all’Eterno.
Alla gente ti eri offerta
e sei morta.

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