Archivi categoria: ZIBALDONE POESIA E MOLTINPOESIA

Poesia e critica della poesia

Al Crocevia

Filastrocche

di Rita Simonitto

Un bel dì a un crocevia
Si trovò una compagnia
Che volea saper del mondo.
S’era piatto, s’era tondo.
Se qualcun l’avea creato
O se il caso fosse stato.
Si poteva trasformare

O soltanto interpretare?
Senza poi passar per matto
Truffaldino, inadatto.
A cambiare quelle sorti
Che ragion danno ai più forti!
Un di loro silenzioso
Dai suoi dubbi era corroso.
Come può l’esser umano
Disbrogliarsi dal pantano:
Se il bene personale
Non concorda col sociale?
Cinque  cardini a rapporto…

Ma “stridea l’uscio dell’orto”*
Con l’amore che t’acceca
E silenzia in bacheca
Cineraria la ragione
E addio rivoluzione.

*Da “La Tosca= di Puccini

R ita Simonitto 
30.05.24

Rifacimento di una poesia di “Immigratorio” (2011)

di Ennio Abate

Ué, Salierne, ire china e zitelle 
cu l’uocchie triste. Cummannata 
ra prievete e avvocatuzze smuorte.
T’assaggiaie. ‘Na cirasa acre ire.

Po sì maturate. E sò maturate 
e figliole ca, qunn’ere giovane
e me ne jette, nun permesse 
accuvate, luntane  viriette. 
 
Mò si e sere so cumm’allore 
e pe vie toie nu poche chiove 
ancore, a piaghe nun se sana 
chiù e ma porte appriesse.
 
Nun chiù presepie,  munne sì. 
Cumm’ati munni  scumbinate.
E a lengua - mia e toia - accussì 
antiche? E' raggia. O è niente.

4 giugno 2024

Ué, Salerno, eri piena di zitelle / dagli occhi tristi. Comandata/ da preti e avvocatuci pallidi. / Ti assaggiai. Una ciliegia acre eri. // Poi sei maturata. E sono maturate / le ragazze che, quand’ero giovane e me ne andai,/ vidi proibite,/ nascoste, da lontano. //Ora se le sere sono come una volta e per le tue vie nu poche chiove * ancora, la piaga non guarisce e me la porto con me. Non più presepio, mondo sei. Come altri mondo scombinata. E la lingua – mia e tua – tanto antica? E’ ira. O è niente.

* da Salvatore Di Giacomo.

Appendice

Versione pubblicata in “Immigratorio” (CFR 2011)

Uè, Salierne!

Che città cummannate ra prievete
chiene r’avvocatucci pallid’e zitelle 
cu l’uocchie triste 
ca ire! 

T’assaggiaie, ‘na cirasa acre ire. 
Sì maturate. Sò maturate 
e figliole ca viriett’e studentess’e 
ma cose nascoste, punizione
sì state 
e sì rimaste! 

Me ne jette nu juorne 
e mò torne ancore. 
È sere, nu poche chiove 
ma rammelle jà 
chelle ca m’accuvaste
quann’ere guaglione 
e ‘mparave a vulà 
cumm’a n’aucielle.

 Sì, vulave, vulave 
e vulive ì luntane!
Ma e scelle erene debbule 
e te l’aje spezzate partenne
prime ro tiempe. 
A piaghe ca te sì purtat’appriess’e 
nun t’a pozze curà cchiù. 
Tuorne viecchie. E vecchia 
me truove. 
Nun sò chiù presepie 
ma munne cumm’ati munni 
tutta scombinate.
Chelle ca teneve to diette: 
sta lengua antiche
lengua e malincunie
ca parlavene e pariente tuoje
pe rusculià storje e mmuorte
ambresse ambresse
accussì strengevene meglie
a raggia mmiezz’e riente.



____________________________ 
Ué, Salerno! 

Che città comandata da preti/ affollata da pallidi avvocatucci e da zitelle/ dall’occhio triste/ fosti //Ti assaggiai, eri una ciliegia acre./ Sei maturata./ Sono diventate mature/ le fanciulle che vidi studentesse/ ma cosa non svelata, punizione/ sei stata/ e sei rimasta!// Me ne andai un giorno/ e adesso torno ancora. È sera, nu poche chiove/ma dammelo (suvvia)/ ciò che mi nascondevi/quand’ero ragazzo/ e imparavo a volare/ come un uccellino. //Sì, volavi, volavi/ e volevi andare lontano!/ Ma le tue ali erano deboli/ e te le spezzasti partendo/ prima del tempo./ La piaga che ti portasti dietro/ io non posso più curartela./ Torni da vecchio. E invecchiata/ trovi anche me.// Non sono più presepe/ma mondo come altri mondi/ tutta in disordine./Quello che avevo te lo diedi:/questa lingua antica/ lingua di malinconia/ quella che parlavano i tuoi parenti/ per rovistare nelle storie dei loro morti/ansiosamente,così stringevano meglio/ la disperazione tra i denti. 

La pioggia a Foggia

Filastrocche

di Rita Simonitto

Un bel dì in quel di Foggia
Affacciati ad una loggia
Si vedea salir la pioggia.
“Metti in salvo la tramoggia,
presto su, corri alla roggia
alle oche grida ‘sloggia’”.
E c’è chi invece sfoggia
l’equilibrio ché s’appoggia
sugli assunti in cui alloggia
un sapere non da foggia
ma si basa su esperienza
di cui l’uom non può far senza
e ti dice ‘abbi pazienza’
analizza con coerenza
mica vai con una lenza
se pescar vuoi la Lorenza!
Così fu che l’uragano
Intravisto da lontano
Si distrasse da una bella
Che giocava da monella
Proprio lì in mezzo al mare
Dove lui andò a cascare.
La moral del “jamme jamme”

Sempre è “cherchez la femme.”!


19.05.24

Noè

Chiesa di San Maurizio al Monastero Maggiore, in Corso Magenta, Milano, Aurelio Luini, 1556

 

di Cristiana Fischer

La vita cambia e non si ferma un'ora
tra insulti e precipizi interrogare 
in presenza ineluttabile la scienza 
e la ragione di questa assistenza/
assenza imprescrittibile
all'esistenza che ci lega. Non ce n'è ragione
altro che materiale survivenza. 
Testimoniamo a chi, denominiamo
il demone vitale che ci inchioda
a cui giacere insidiato dai dolori 
e tuttavia fecondo di pensieri. 
Vita demente e contraddittoria
l'unica che abbiamo e confidiamo
in speranze indefinite e eterne
di una pace ripiena di speranze 
come finite e mai cassate
come se fosse un fine all'esistenza
felicità perenne in una vita 
di spirituale eternità. 
Potrei desistenziarmi 
come alberi e insetti che circondano 
la vita naturale e conciliarmi
con una morte chiara che rinasce
in ogni forma naturale. Ma il pensiero 
che mi tormenta a tratti
e che mi storna dagli altri astratti 
organismi animali quasi simili
che forse non hanno pensiero 
della morte e fine individuale
ma noi perenni animali pretendenti 
abbiamo inventato noi già assieme
quel dio che ci assomiglia e la natura 
eccelsa della nostra differenza
da ogni altra specie, che la scienza
ci presenta diversa e che non ha
un dio che la difenda e la proietta   
con le altre specie in vera infinità
come Noé racconta in una storia
vecchia nella memoria. 

Filastrocca

di Rita Simonitto

La fanciulla all’imbrunire
Parlò al sol dell’avvenire.
Era ancora rosso e tondo
Ed a lui guardava un mondo
Di speranze e illusioni
Nonostante che i ‘maroni’
Da gran pezza fosser rotti.
Il modello “chiagni e fotti”
Sempre a pochi riservato.
Ed il bene del creato?
Addossato alla plebaglia
Se bruciava come paglia!
E se andava alla rovina?
Stringi i denti, testa china!
Ma allor il cambiamento
Ingannò un buon “percento”!
Che mi dici solicello
Che ti copri col cappello
Dell’ aver svelato arcani
Ma lasciasti nelle mani
Di moderne satrapie
Monopoli e ideologie?
La gestione del potere
Che passava dal sapere?
Ma il sol disse: “bella mia,
Libertà e autonomia
Non esistono in natura
E ci vuole lotta dura
Per gestir le ipocrisie
E affrontar anche eresie”.

17.05 2024 
 

Consigli al giovin scrittor d’oggi (febbraio 1998)

Omaggio camuffato a “Breve secondo Novecento” di Franco Fortini
in “La mosca di Milano” 

di Ennio Abate

1.

Se/ obbligato ai tic e vivaci moine/
per salotti e soirées/ fra ceti medi e alti/
hai corso/
qualcosa di grandioso e abietto/ sullo sfondo/
e in filigrana/
feroci e oscure circostanze
sveli/
la tua cartamoneta scritta/

Piena di leggerezza/ allor/
sarà nel crash delle utilitarie/
la tua danza davanti alla ghigliottina

2.

Or che alle domande capitali /
della religione e della storia/
ha risposto il Capital (rivista!)/
e le Avanguardie/
han fatto flop (o Blob)/
rifugiati in camera da letto/
e goditi la gamba della donna

Ovvio premunirti/ lo puoi/
e teco reca in scorta/ fra sensualità e amarezza/
fazzolettini ricamati della migliore educazione letteraria/
il tuo io stia / insieme egocentrico e decentrato/
comodo/ su un paesaggio di vacuità festiva/
di serenità appena minacciata dalla vecchiaia

3.

Trova dei critici simili a te/
non gemelli/ ma della tua medesima cultura/
Dissipa e moltiplica i punti di vista/
le fratture/ gli antagonismi storico-sociali/
smessi/ abbandonali a quelli/
del Leoncavallo/

Rendi comico/ il Tutto/
di D’Alema il sorrisetto sprezzante/
del Buttiglione il viso allucinato e scimmiesco/
il capital di Berlusconi / così cafone e illuminato poco/
Sii fine insomma/ anche con Fini/
Scrivi solo bene/ per nuova plebe/
un bel collage alla Eco/
o alla Calvino un esatto montaggio/
del Nulla

4.

Giammai nelle tue poesie/
la miseria delle latterie/
Ma dovessi entrarci a scaldarti/
da disoccupato/
(cor gentil non scansa/ il suddetto malanno!)/
o per innominabili/ questioni economiche/
nelle periferie languissi/
spargi in crudi romanzi/
pedofili spelacchiati da giardinetti/
adolescenti cannibali in pubblci cessi porno-graffiti/
lolite manipolate su banchi di scuola/
durante l’ora obbligatoria di sesso a iosa/
Più squallide che puoi/ descrivile/
americanizzale/ bronxeggiale per benino/
e avrai/ in centro/ di botto una mansarda

5.

Non scrivere le verità che hai/
nel povero tascapane della tua esperienza/
Ai lettor paganti l’ozio guastan/
e sol dispersi e vaganti/ in estinzione/
critici ancora gustan/
Tu dei saper/ che sol/
procaccia fama/
l’Internet de il piacere della lettura/
Se l’amena rete/
è già intasata/ insisti/
Recati pellegrin/ nei siti del tardo romanzo storico/
o della rinomata/
apologia del comico e dell’ironia
Frequentali/ seduci/ fai ridere/
Dai l’impressione di un livello di cultura/
molto alto/

Ridi, godi o fingi/
e ti comprerà/ il partito di coloro che ridono/
poiché il mondo vuole essere ingannato

Nota

Breve secondo Novecento è un “libricino” postumo di Fortini uscito nel 1996 da Piero Manni con prefazione di Romano Luperini. Non mi risultano commenti o echi di rilievo, dopo l’annuncio della pubblicazione da parte di Attilio Lolini (il manifesto 10 ott. 1996). E forse è meglio così, visto che la prima circolazione era stata pensata solo per amici e conoscenti.
A me sta caro: è una tessera in più del mosaico personale che mi vado costruendo della sua opera, che rappresenta una singolare scuola di avviamento ad una scrittura critica per intellettuali di massa. Specie per quelli d’oggi, rabbuiati e confusi.
Una lettura attenta di Breve secondo Novecento ci mette poi di fronte all’ineludibile conglomerato storico-letterario-politico a cui lo stesso Fortini è appartenuto e che è oggi quasi del tutto ignorato dal dibattito culturale.
Fortini è fra i più letterati del Novecento. Eppure anche in queste brevi ritratti di trentasei moderni – da Arbasino a Calvino, Eco, Luzi, Pasolini, Zanzotto – sfora la Letteratura come un palloncino. Con i suoi spilli critici la libera dai miasmi d’accademia, di cenacoli, di gang, di Radio 3. Senza svenderla né restituirla ai Sacerdoti della Parola o del Mito.
Altri hanno compiuto operazioni in apparenza più radicali. Ma, abbassandola fino alla Trivial-literature o dissacrando il già abbondantemente dissacrato e contribuendo a resuscitare, per reazione, orfismi e new age, l’hanno resa indovinello, spettacolino, giochino miniaturizzato, merce insomma al contempo più elitaria e più vendibile, ma umanamente inservibile.
Pagine “letterarie” si trovano su tutti i mass media. Ma il revisionismo letterario è florido quanto quello storico e i cattivi maestri vengono sbeffeggiati, ripesati con la bilancia del buonismo o del cattivismo permesso e liquidati dai loro ex allievi approdati alle cattedre, ai salotti, alla TV.
Nulla, perciò, a gran parte del pubblico ancora leggente dice più il nome di Fortini e tantomeno interessano i problemi teorici, politici e di poetica su cui assieme ad altri spese una vita.
Di recente persino una giovane saggista capace di una polemica non puramente televisiva, come Carla Benedetti, ha preferito parlare di «Pasolini contro Calvino», saltando a più pari la critica fortiniana ad entrambi.
Come il barone di Munchausen si volle tirar fuori dalla palude prendendosi per i capelli, la Benedetti cerca una «via d’uscita dal gioco bloccato della letteratura» scegliendo una delle sue varianti postmoderne: postuma, sciolta (come un’Alka Seltzer) o ammaliata dal caos esterno (Leggi: mercato).
Come allora ripronunciare nomi di scrittori innominabili e richiamare problemi in apparenza “superati” ad una generazione che cova tranquilla nella bambagia della fine della storia e non sa che farsene degli antenati? o tirar l’orecchio al giovin scrittore senza staccarglielo? e infine invogliarlo a farsi critico, senza sentirsi chiedere quanto costa e a quale scuola di scrittura bisogna rivolgersi?
Mascherandosi da cinico andante. Miscelando Parini e Fortini. Sgambettandolo mentre corre verso il successo preordinato. Ci ho provato. Prosit.