Archivi categoria: ZIBALDONE POESIA E MOLTINPOESIA

Poesia e critica della poesia

Dediche. Autunno, Acheronte, e Gesualdo

di Antonio Sagredo

Quel tumulo di suoni rococò                                    
raccolse le palpebre  come briciole del pianto -
un cipresso, stupito fino alle radici,
sbirciava la Signora, e in penombra
la sua risurrezione, a malincuore.
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Dediche. A Emilio Villa

di Antonio Sagredo

                                                                                                
                                è una lama d’assenza che ci unisce
                                                      Emilio Villa
  
                                            
  
 Consegna alla Sibylla il tuo oracolo non scritto,
 fa che l’Enigma resti inattuale e inappagato,
 procedi inesistente lungo la demarcazione orale
 perché dell’Uno non resti il Tutto, ma un Responso.
  
  
 E se di frenesia s’è nutrito il Labirinto avido
 dopo il pasto di specchi e d’onniscienze, immacolata 
 è la  rivolta d’un oggetto che nega alla bianca pagina 
 d’essere simile alla sua distruzione inascoltata. 
  
  
 Il mio Testamento fu ed è un Dedalo dove  Pizie e Arpie
 reclamano dagli Ordini la mia dissipazione, e il Canto
 d’una  parola che crocefissa manca un fine non spiegato
 o assenta il Fondamento che la genera e la nega sussistente.
  
  
  
 Antonio Sagredo       
 Vermicino, 07-10/03/2005  
   

Carissima Angela

di Arnaldo Éderle

Questo, che ha per tema un’accorata meditazione sui “poveri figli della droga e di altri disumani/piaceri”, è l’ultimo poemetto inviatomi prima della sua morte dall’amico Éderle che dovevo pubblicare. Molti sono i testi che in questi anni, a partire dalla morte di Gianmario Lucini, egli ha voluto mandare a Poliscritture. Non so quanto condividesse la mia scelta di metterli nella rubrica ibrida di “Poesia/moltinpoesia”, come faccio del resto con tutti i poeti che chiedono ospitalità su questo sito. So soltanto che ora tocca ai lettori – quelli  che s’imbatteranno per la prima volta nei suoi versi e quelli che vorranno rileggerli –  riflettere su questo lascito poetico. Per intenderlo più a fondo,  al di là delle contingenze e delle distrazioni che ci assillano, nelle sue luci e nelle sue ombre. [E. A.]

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Solo la testa?

Tabea Nineo 1998

di Arnaldo Éderle


Ecco il penultimo dei poemetti che Arnaldo Éderle mi aveva mandato prima della sua improvvisa morte. [E. A.]

 

 

A Tommasina

 

E’ rimasta solo la testa?
Ma… troppo poco, anzi niente.
Il corpo è lì attaccato,
senza di lui il cranio non risponde
è atrofizzato, lì sotto
ci sono il cuore i polmoni le gambe
i piedi le braccia e via dicendo,
ma che saranno mai questi attributi?
Non si nominano mai, ma ci sono e sono
vitali come gli occhi e le mani, tutte
cose che via via si adoperano. Continua la lettura di Solo la testa?

“Italliani brava gente” e “Umano riciclaggio”

di Francesco Di Stefano

Italliani brava gente

Nun è Sarvini a me che me spaventa
ma er fatto che mijoni de perzone
su quer che dice e quanto rappresenta
ormai ciànno l’istessa posizzione.
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Da ” Un gallone di kerosene”

Edizioni Transeuropa 2019

di Henry Ariemma

 Erano lunghe figure i tuoi disegni,
 occhi ubriachi felici al sorriso
 aperto un mondo,  
 linee decise per motore
 al solo cuore, sguardo per carpire
 fermezze in mani arcobaleno... 
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Antonio Sagredo, La gorgiera e il delirio

Schena editore

In questo libro (170 pagine) appena pubblicato dall’editore Schena di Fasano (Brindisi), Antonio Sagredo ha raccolto sue poesie scritte tra 2003 e 2018. Alcune comparse in questi anni anche su Poliscritture. Ne segnalo volentieri l’uscita, proponendo tre testi da Legioni, presenti ne La Gorgiera e il delirio; e in Appendice la Prefazione di Donato Di Stasi. Su questa per ora mi soffermo con brevi appunti. Per continuare la mia precedente riflessione sui componimenti di Sagredo e confrontarla con un altro punto di vista, rispettabile ma antitetico al mio. Perché? Di Stasi, invece di tenere le giuste distanze critiche dal poeta, incita i lettori ad accogliere senza riserve la ricchezza teatrale e folleggiante di questa poesia, che diventa tout court la Poesia: «Ai poeti bisogna chiedere di essere inquietanti e eccessivi, di seminare disordine e illimitatezza, di suscitare perplessità e di affilare costantemente il crinale del dubbio». Eppure proprio i suoi tratti fondamentali e specifici (la “mercurialità” delle composizioni, che a Di Stasi «appaiono oscure e lampanti»; la drammaticità elisabettiana del poeta alle prese con i suoi numerosi alter ego; la sua volontà di addentrarsi nell’«orrore» pur di esplorare un «Oltre che reclama di venire alla luce e di farsi materia vivente e corruttibile») andrebbero interrogati e approfonditi. Cosa implica l’adesione – ingenua o raffinata – alle mitologie dell’io poetico sagrediano: il «poeta-rospo» che si tramuta in «minotauro »? O al suo vitalismo: «si toglie le gramaglie del lutto e inneggia alla vita sfolgorante dei sensi e ai salti mortali della ragione»? Oppure a un indeterminato «Oltre che reclama di venire alla luce» e che, non ricondotto alla sua dimensione storica, parrebbe offrirci una «vita sfolgorante dei sensi», mentre più che mai la cronaca quotidiana ci mette di fronte a una sempre più preoccupante «vita offesa» (Adorno)? La “meraviglia” per la mostruosità del Presente può, appunto, pietrificare e annichilire. E, dunque, non di altri «salti mortali della ragione» avremmo bisogno. Semmai di una uscita dalla sua sonnolenza, che – come si dice – genera mostri. E di quel suo camminare con passo lento e misurato. Anche in poesia. [E. A.]

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