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Da Filippo Nibbi
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di Antonio Sagredo
Quel tumulo di suoni rococòContinua la lettura di Dediche. Autunno, Acheronte, e Gesualdo
raccolse le palpebre come briciole del pianto -
un cipresso, stupito fino alle radici,
sbirciava la Signora, e in penombra
la sua risurrezione, a malincuore.
di Antonio Sagredo
è una lama d’assenza che ci unisce Emilio Villa Consegna alla Sibylla il tuo oracolo non scritto, fa che l’Enigma resti inattuale e inappagato, procedi inesistente lungo la demarcazione orale perché dell’Uno non resti il Tutto, ma un Responso. E se di frenesia s’è nutrito il Labirinto avido dopo il pasto di specchi e d’onniscienze, immacolata è la rivolta d’un oggetto che nega alla bianca pagina d’essere simile alla sua distruzione inascoltata. Il mio Testamento fu ed è un Dedalo dove Pizie e Arpie reclamano dagli Ordini la mia dissipazione, e il Canto d’una parola che crocefissa manca un fine non spiegato o assenta il Fondamento che la genera e la nega sussistente. Antonio Sagredo Vermicino, 07-10/03/2005
di Arnaldo Éderle
Questo, che ha per tema un’accorata meditazione sui “poveri figli della droga e di altri disumani/piaceri”, è l’ultimo poemetto inviatomi prima della sua morte dall’amico Éderle che dovevo pubblicare. Molti sono i testi che in questi anni, a partire dalla morte di Gianmario Lucini, egli ha voluto mandare a Poliscritture. Non so quanto condividesse la mia scelta di metterli nella rubrica ibrida di “Poesia/moltinpoesia”, come faccio del resto con tutti i poeti che chiedono ospitalità su questo sito. So soltanto che ora tocca ai lettori – quelli che s’imbatteranno per la prima volta nei suoi versi e quelli che vorranno rileggerli – riflettere su questo lascito poetico. Per intenderlo più a fondo, al di là delle contingenze e delle distrazioni che ci assillano, nelle sue luci e nelle sue ombre. [E. A.]
di Arnaldo Éderle
Ecco il penultimo dei poemetti che Arnaldo Éderle mi aveva mandato prima della sua improvvisa morte. [E. A.]
A Tommasina
E’ rimasta solo la testa?
Ma… troppo poco, anzi niente.
Il corpo è lì attaccato,
senza di lui il cranio non risponde
è atrofizzato, lì sotto
ci sono il cuore i polmoni le gambe
i piedi le braccia e via dicendo,
ma che saranno mai questi attributi?
Non si nominano mai, ma ci sono e sono
vitali come gli occhi e le mani, tutte
cose che via via si adoperano. Continua la lettura di Solo la testa?
di Francesco Di Stefano
Italliani brava genteContinua la lettura di “Italliani brava gente” e “Umano riciclaggio”
Nun è Sarvini a me che me spaventa
ma er fatto che mijoni de perzone
su quer che dice e quanto rappresenta
ormai ciànno l’istessa posizzione.
Edizioni Transeuropa 2019
di Henry Ariemma
Erano lunghe figure i tuoi disegni, occhi ubriachi felici al sorriso aperto un mondo, linee decise per motore al solo cuore, sguardo per carpire fermezze in mani arcobaleno...Continua la lettura di Da ” Un gallone di kerosene”
Schena editore
In questo libro (170 pagine) appena pubblicato dall’editore Schena di Fasano (Brindisi), Antonio Sagredo ha raccolto sue poesie scritte tra 2003 e 2018. Alcune comparse in questi anni anche su Poliscritture. Ne segnalo volentieri l’uscita, proponendo tre testi da Legioni, presenti ne La Gorgiera e il delirio; e in Appendice la Prefazione di Donato Di Stasi. Su questa per ora mi soffermo con brevi appunti. Per continuare la mia precedente riflessione sui componimenti di Sagredo e confrontarla con un altro punto di vista, rispettabile ma antitetico al mio. Perché? Di Stasi, invece di tenere le giuste distanze critiche dal poeta, incita i lettori ad accogliere senza riserve la ricchezza teatrale e folleggiante di questa poesia, che diventa tout court la Poesia: «Ai poeti bisogna chiedere di essere inquietanti e eccessivi, di seminare disordine e illimitatezza, di suscitare perplessità e di affilare costantemente il crinale del dubbio». Eppure proprio i suoi tratti fondamentali e specifici (la “mercurialità” delle composizioni, che a Di Stasi «appaiono oscure e lampanti»; la drammaticità elisabettiana del poeta alle prese con i suoi numerosi alter ego; la sua volontà di addentrarsi nell’«orrore» pur di esplorare un «Oltre che reclama di venire alla luce e di farsi materia vivente e corruttibile») andrebbero interrogati e approfonditi. Cosa implica l’adesione – ingenua o raffinata – alle mitologie dell’io poetico sagrediano: il «poeta-rospo» che si tramuta in «minotauro »? O al suo vitalismo: «si toglie le gramaglie del lutto e inneggia alla vita sfolgorante dei sensi e ai salti mortali della ragione»? Oppure a un indeterminato «Oltre che reclama di venire alla luce» e che, non ricondotto alla sua dimensione storica, parrebbe offrirci una «vita sfolgorante dei sensi», mentre più che mai la cronaca quotidiana ci mette di fronte a una sempre più preoccupante «vita offesa» (Adorno)? La “meraviglia” per la mostruosità del Presente può, appunto, pietrificare e annichilire. E, dunque, non di altri «salti mortali della ragione» avremmo bisogno. Semmai di una uscita dalla sua sonnolenza, che – come si dice – genera mostri. E di quel suo camminare con passo lento e misurato. Anche in poesia. [E. A.]
Continua la lettura di Antonio Sagredo, La gorgiera e il delirio