Continua la lettura di Alessandro Visalli su “Rivoluzione” di Enzo Traverso
Tutti gli articoli di Ennio Abate
Dopo le elezioni politiche del 25 settembre 2022
a cura di Ennio Abate
E ADESSO POVER’UOMO [E POVERA DONNA] DI SINISTRA?
ADESSO CHE IL “NEOFASCISMO” [MELONI E FRATELLI D’ITALIA], SDOGANATO DAGLI USA, E’ ARRIVATO AL GOVERNO?
Prova ad “uscire di pianto in ragione” (Franco Fortini)
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Liceo classico/ O licee classiche
capitolo prova da NARRATORIO (” A Vocazzione”)
di Ennio Abate
Continuerò a pubblicare alcuni dei capitoli che giudico sufficientemente elaborati di "A Vocazzione". Questo è nato in dialetto, forma che considero irrinunciabile - spiegherò in altra occasione le ragioni - per buona parte della prima sezione del mio Narratorio. Ma per agevolare ai non dialettofoni la lettura del mio salernitano/napoletano (di memoria), ho invertito l'ordine: prima la traduzione in italiano e poi il capitolo in dialetto.
Riordinadiario 16 novembre 1980
Narratorio
di Ennio Abate
In una notte piovosa. C’era uno omino con una testa grossa che, mentre correva, perdeva pezzi del suo corpo.
Perse dapprima un piede. Poi la mano, mentre il fascio di luce di un lampione (che subito dopo si spense) gliela illuminò, squarciandola).
Biancore tremendo. Si sentì l’inizio di una musica: un andante disperato. Un cane latrò. La musica si arrestò.
L’ombra dell’uomo che correva – aveva perduto ormai tutto il petto, cuore compreso – schizzò davanti a lui.
Fermati, ti prego! – gli disse – Non sei più quello di una volta.
Fatti in là, maledetta – sibilò l’omino – Non mi hai voluto coprire quando avevo freddo. Adesso vattene!
Passavano alcuni giovani. Uscivano da un cinema discutendo della trama del film appena visto. Esprimevano impressioni bambinesche e se le ributtavano addosso l’un con l’altro. Ad alta voce. L’omino voleva intervenire. Aveva visto anche lui quel film.
Ormai, però, aveva perso quasi tutti i suoi pezzi. La sua testa tonda stava finendo di rotolare verso un muro in fondo alla strada. Il suo occhio, prima che la testa si fermasse dolcemente sul ciglio del marciapiedi tra mozziconi di sigarette e cartacce colorate, staccandosi saltellò oltre sull’asfalto come una biglia .
Riordinadiario 17-18 dicembre 1983
Rileggendo «Questioni di frontiera» (1977) di Fortini. Appunti.
di Ennio Abate
Fortini critica il concetto di proletariato di Pasolini, degli operaisti, del PCI in nome di un proletariato terzomondista, che l’intellettuale può/deve pensare da esterno. Continua la lettura di Riordinadiario 17-18 dicembre 1983
Fachinelli e/o Fortini? (2)
Per un libro da scrivere
di Ennio Abate
Seconda parte
FRANCO FORTINI, IL DISSENSO E L'AUTORITA' (QUADERNI PIACENTINI N. 34 - MAGGIO 1968
Dicevo nella conclusione della Prima parte: «Tutte queste perplessità si rafforzarono dopo la lettura della replica di Fortini a Fachinelli».
Sul numero successivo dei Quaderni Piacentini – il 34 del maggio ’68 – nel saggio «Il dissenso e l’autorità» di Franco Fortini trovai, infatti, un immediato contrappunto al discorso psicanalitico del saggio di Fachinelli.
Qui si suonava un’altra musica, dissonante rispetto a quella utopistica e suadente-ambivalente di Fachinelli. Ho pensato più tardi che, leggere Fortini dopo Fachinelli, fu come passare dal tiepido-bollente dell’occupazione della Statale di Milano a una doccia fredda in una stanza appartata e in ombra. Vediamo perché. Continua la lettura di Fachinelli e/o Fortini? (2)
Gabriella Montaldi Seelhorst, La formazione. Lasciare un segno
In «Lasciare un segno nella vita. Danilo Montaldi e il Novecento»
a cura di Goffredo Fofi e Mariuccia Salvati (6)
di Ennio Abate
Ho letto con rispetto e curiosità questo saggio di Gabriella Montaldi Seelrhost, la vedova di Danilo Montaldi; e, al posto di una breve recensione, mi è venuta fuori una riflessione lunga e impegnativa. La propongo con la massima disponibilità a confrontarmi (in particolare con quanti conobbero ben più di me Montaldi) e, se necessario, a correggerne il taglio forse troppo critico che ha preso.
Il saggio si concentra sul periodo di formazione e si conclude con la seconda metà degli anni Cinquanta, quando la ricerca da autodidatta di Montaldi ottiene il riconoscimento di intellettuali di valore come Fortini, Vittorini, Pizzorno e le sue prime “storie di vita” compaiono su importanti riviste italiane.
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Riordinadiario 1975
Stesura del dicembre 2020
di Ennio Abate
Riapro la cartella 1973-1975. I fogli sono dattiloscritti. Alcuni sono di carta velina. (Allora si usava ancora per ricavare una o più copie di un documento dattiloscritto, mettendo tra i fogli la carta carbone[i] Continua la lettura di Riordinadiario 1975
Prossime elezioni. Stato d’animo
Enrico Pugliese, La ripresa della ricerca sociale in Italia nel dopoguerra
In «Lasciare un segno nella vita. Danilo Montaldi e il Novecento»
a cura di Goffredo Fofi e Mariuccia Salvati (5)
di Ennio Abate
Enrico Pugliese ripercorre puntigliosamente la storia contorta e agli inizi stentata degli studi sociologici in Italia nei cosiddetti “trenta gloriosi” che videro una certa «ascesa della classe operaia» (pag. 107); e in vari punti si ricollega al saggio di Mariuccia Salvati, che in questo stesso volume ha analizzato il resoconto di Montaldi sul 1° Congresso nazionale di Scienze sociali (Milano, 1958).
La ripresa degli studi sociologici si ha nel dopoguerra. E gli ostacoli maggiori vengono dalla condanna dell’autorevolissimo allora Benedetto Croce (pag. 123), che definì la sociologia «inferma scienza arbitraria [e] sconclusionata» declassandola ad “americanata”. Ma anche dai crocio-marxisti: in genere gli intellettuali del PCI. Anch’essi la squalificarono come «scienza padronale» e «strumento di controllo sociale», appellandosi da scolastici alle critiche alla sociologia positivista presenti nei «Quaderni dal carcere» di un Gramsci isolato e pertanto all’oscuro dei nuovi fermenti della ricerca sociologica a livello internazionale.
Questo clima plumbeo e conservatore della cultura italiana si prolungò fino almeno alla metà degli anni ’60. E Pugliese fa bene a riportare le accuse di estremismo e di «scarsa saldezza teorica» lanciate da intellettuali del PCI contro i «Quaderni Rossi» (pag. 125), le dure critiche che accolsero la pubblicazione dell’inchiesta di Gianni Alasia e Danilo Montaldi confluita nel libro «Milano, Corea» (1959) e i tentativi di censura nella stessa Einaudi contro il libro di Goffredo Fofi, «L’immigrazione meridionale a Torino» (1964).
Pochi sfuggirono al conservatorismo di quei decenni. Pugliese cita per il Sud il lavoro poetico e letterario di Rocco Scotellaro (pag. 115) che, in rapporto con la ricerca sociale condotta da Manlio Rossi Doria a Portici, nella sua opera incompiuta, «Contadini del Sud», stava tessendo (in sintonia con Montaldi) «dettagliate biografie di personaggi rappresentativi della società meridionale». E per il Nord, oltre alle inchieste sugli immigrati di Alasia e Montaldi e di Goffredo Fofi appena ricordate, l’inizio a Torino da parte di Raniero Panzieri e dei redattori di «Quaderni Rossi» di un discorso sull’«uso socialista dell’inchiesta» in diretto rapporto con le nuove realtà del lavoro operaio. Con le parole di Giovanni Mottura le sue caratteristiche vengono così sintetizzate: – ridimensionamento (non sottovalutazione) delle tecniche (interviste, colloqui); – distinzione (ma non contrapposizione) tra «il momento della stasi» nella condizione operaia e quello della lotta; – necessità di un’analisi ininterrotta per cogliere il continuo mutare delle forme e dei fenomeni specifici dello sviluppo capitalistico; – funzione politica attiva (militante) di chi svolge l’inchiesta e formula le domande (pag. 128).
Queste esperienze innovative Pugliese le vede proseguire fino agli inizi degli anni Settanta e confluire nella rivista «Inchiesta» a cui collaborano giovani ricercatori provenienti dall’ambito sia accademico che sindacale (pag. 126).
Non ci troviamo, però, di fronte ad un loro sviluppo irresistibile e senza contrasti. Nella stessa area dei pionieri degli studi sociologici in Italia l’incerta dialettica tra una sociologia “dall’interno” (inchiesta, con-ricerca), avviata da Panzieri e da Montaldi, e una sociologia accademica finisce in un netta contrapposizione.
I fautori di una sociologia come “scienza fredda” – i Guiducci , i Pizzorno – puntano allo «“sdoganamento” della sociologia nella cultura» e a conquistare per essa «la rispettabilità accademica». Mentre Montaldi – Panzieri morì presto nel 1964 – ribadisce che il ricercatore «è innanzitutto un militante» (pag. 131) e denuncia il «limite di natura politica» , la piega “riformistica”, che andava prendendo una «sociologia ormai istituzionalizzata» e intenta all’«invenzione di un proletariato sociometrico» (pag. 130).
Questo contrasto segnala, secondo me, una pesantissima e tuttora irrisolta crisi, che viene elusa. Quando in questo suo saggio Enrico Pugliese si rammarica per per la scarsa attenzione data alla nuova trasformazione in corso, che per lui rappresenterebbe una «novità di portata paragonabile a quella dei tempi dei lavori di Montaldi e dell’inchiesta operaia dei “Quaderni Rossi» (pagg. 109-110) e dimostrerebbe l’attualità dei contributi di Montaldi e la necessità di ripensare quelle sue esperienze, trascura due cose. La prima. Che, come ho già detto (qui), dopo gli anni ’70 (meglio: la sconfitta degli anni ’70) di riprese della pratica dell’inchiesta o della con-ricerca se ne sono viste o se ne vedono poche. La seconda. Che come minimo l’istiuzionalizzazione o accademizzazione della sociologia ha impoverito e marginalizzato le esperienze militanti. E, perciò, a me pare debole e contraddittorio lo stesso auspicio di Pugliese. Come si fa, infatti, a considerare «ovvio che Montaldi non abbia mai ricercato né accettato una collocazione accademica» (pag. 132) senza chiedersi il perché di quella sua scelta; e aggiungere, invece, poco dopo che «c’è da chiedersi se per condurre con-ricerca oggi sia indispensabile aderire alle opzioni ideologiche e politiche di Montaldi, alla creazione del gruppo “interno- esterno”, all’intento di realizzare un progetto politico come il suo»?
Ancora oggi quel conflitto tra sociologi accademici e “sociologi” militanti mi pare indicare un bivio che ha sospinto ricercatori e studiosi in direzioni molto diverse, se non del tutto contrapposte. Ridimensionarlo in modi concilianti, come mi pare faccia Pugliese – ora lusingato dal fatto che Pasolini sottolineò «soprattutto la qualità letteraria» di Montaldi (seguito in questo a ruota da Piergiorgio Bellocchio), ora affermando che il narratore Montaldi «può essere un grande sociologo e mostrarlo anche attraverso la narrazione» – mi pare una scelta riduttiva.
E del comunista Montaldi che diciamo, che ne facciamo?
Mentre leggo questi nuovi saggi su Danilo Montaldi si rafforza un’obiezione sicuramente antipatica contro un non detto da parte di chi ancora s’occupa di queste esperienze; e che potrei formulare provocatoriamente così: Danilo Montaldi l’avrebbe davvero meritata una bella laurea honoris causa in sociologia (magari dei “marginali”). O nel nuovo settore della storia orale. O – perché no – in letteratura. Ma era un militante, pensava ancora al “comunismo delle origini” («livornismo»). E però i tempi sono troppo cambiati. Certo, è attuale il sociologo, è attuale il narratore, ma risparmiateci il comunista, l’ideologo insomma! Lodiamolo, sì, ma prendiamo – poco, poco, eh! – le distanze. Forse tornerò su questa mia “impressione”. Nel frattempo aggiungo qui sotto, in appendice, alcune citazioni. Anch’io ogni tanto faccio il «pescatore di perle». E chi le leggerà deciderà per conto suo dove vado (o vorrei andare) a parare…
Appendice
1.
«Sergio Bologna avrebbe poi affermato, nella primavera del 1975, nel necrologio scritto in occasione della morte di Montaldi sulla rivista Primo Maggio che: “non c’è vigliaccata peggiore che dargli del sociologo, di attribuirgli uno sforzo di identificazione o di traduzione delle sue «storie dirette. […]. Un vasto processo di ricomposizione organizzativa del corpo rivoluzionario tende a rompere il vincolo nel quale, dal 1945, in Europa, il proletariato può vivere, dibattere, crescere, invecchiare, ringiovanire senza però poter mai uscire dalla condizione nella quale si trova ristretto. La condizione perché venga infranto tale giro vizioso […] è di spezzare l’accordo che lega i partiti tradizionali del movimento operaio alle forze della guerra e dell’imperialismo.»
(Da «L’autonomia di classe…innanzitutto!» (16 Maggio 2016) https://www.carmillaonline.com/2016/05/16/lautonomia-classe-innanzitutto/di Sandro Moiso )
2.
«Perché la tentazione che secondo me ha avuto questa generazione di operaisti è quella di diventare semplicemente dei sociologi, e non a caso sono stati prodotti alcuni dei principali sociologi italiani: Massimo Paci, Vittorio Rieser, Giovanni Mottura, abbiamo riempito di illustri baroni e meno baroni l’università italiana, dei sociologi veramente di altissimo livello. Altri però più che sociologi volevano diventare qualcos’altro»
(da Sergio Bologna, «Operaismo e composizione di classe», https://www.infoaut.org/notes/operaismo-e-composizione-di-classe)
Stralci dal saggio di Enrico Pugliese
1.
2.