Tutti gli articoli di Ennio Abate

Dieci anni di IPSILON


Peripezie  di un’associazione culturale a Cologno Monzese

di Ennio Abate


Lavorando al mio Riordinadiario,  ritorno sulle «peripezie di Ipsilon». Ne avevo scritto a caldo già nel 1999 in Samizdat Colognom n. 2 (“foglio semiclandestino per l’esodo”) e poi nel 2009 (qui ). Ad ogni rilettura mi rifaccio le stesse domande: perché  ci dividemmo? era inevitabile? cosa non capii io o non capirono gli altri le altre (qui sopra nella foto)?
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Riordinadiario 1997 (5)

di Ennio Abate

11 novembre

Crisi con  gli  amici  di Ipsilon Fatico a sbrogliare i miei umori viscerali da quelli più politici.  Invidia o difficoltà di affrontare le nostre reali differenze politiche?  Io parlo di una piega “salottiera” di Ipsilon ma in fondo a dividerci è l’atteggiamento verso l’attuale centro sinistra locale. Poi ci saranno anche risentimenti  e delusioni più personali per piccoli sgarbi o  disattenzioni o diffidenze nei miei confronti. Mentre io gli faccio spazio nelle iniziative a cui vengo chiamato a collaborare, essi non fanno lo stesso con me e mantengono ( o sono costretti a mantenere?) separate altre loro attività  da questa di Ipsilon, che facciamo insieme. Oscillo  tra confronto,  mediazione e  voglia di staccarmi per riprendere  più apertamente la mia funzione di dissidente samizdat. Continua la lettura di Riordinadiario 1997 (5)

Riordinadiario 1997 (4)

L’ex Circolo La Comune degli anni Settanta a Cologno Monzese

di Ennio Abate

Adriano Sofri etc. e il ’68 incarcerato. Mio scetticismo verso il “movimento” che alcuni giornalisti, rimediando qualche spicciolo di combattività in un passato di lotte ormai oscurato, stanno costruendo attorno  a Sofri e ad altri “carcerati volontari”. Mi paiono tutti personaggi che hanno accettato i meccanismi statuali. (Anche se Sofri ne è oggi  una “vittima eccellente”). L’obiettivo che inseguono è ormai un altro: che lo Stato si corregga, si mostri “ragionevole”. Non riesco ad applaudire. Da isolato, m’accorgo  meglio di quando ero militante che  sia Sofri che altri dirigenti dei nostri mini-gruppi già nel ’68, e come adesso, lottavano, sì, ma stando  in mezzo ai borghesi; e noi, invece,  in mezzo ai proletari e ai piccolo borghesi.  I due schieramenti borghesi (di Destra e di Sinistra) hanno ostacolato entrambi una nostra più piena partecipazione politica. Continua la lettura di Riordinadiario 1997 (4)

Riordinadiario 1997 (3)

di Ennio Abate

25 febbraio

 Quel compagno dei primi tempi di AO di cui C. diceva che era “uterodipendente”. Lo diceva con sprezzo. Da populista-stalinista che era. In una conversazione si vantò di essere cresciuto con la foto di Stalin e la lampadina votiva sul comodino da letto.  E io pensavo al comodino di mia madre con lampadina simile ma davanti all’immaginetta del Sacro cuore di Gesù. Continua la lettura di Riordinadiario 1997 (3)

Riordinadiario 1997 (2)

di Ennio Abate 

10 febbraio

Lavoro «..soltanto una minoranza della forza-lavoro del nostro paese (in sostanza i dipendenti pubblici e quelli delle grandi aziende private, circa 9 milioni di persone su oltre 20 tra occupati regolari e irregolari) beneficia effettivamente e direttamente della tutela piena offerta dal diritto del lavoro e in particolare della stabilità del posto di lavoro e della legislazione di sostegno alla presenza del sindacato nei luoghi di lavoro»  (Bronzini, il manifesto. 7.2.1997)  Continua la lettura di Riordinadiario 1997 (2)

Anni ’70: memorie non condivise degli sconfitti

a cura di Ennio Abate

Stamattina su FB sopra  questa foto del commissario Luigi Calabresi, ucciso il 17 maggio 1972  a Milano  vicino alla sua abitazione, mentre si avviava alla sua auto per andare in ufficio, ho letto la riflessione di Lanfranco Caminiti:

alzi la mano - chi, tra i militanti rivoluzionari della mia generazione, non abbia considerato un atto di giustizia l'assassinio del commissario calabresi, cinquant'anni fa. non è una chiamata in correità, la mia - un atto di onestà, direi. poi, possiamo dire, oggi, che quella fu "la madre di tutte le battaglie", che eravamo accecati di ideologia, che ci stavamo infilando con tutte le scarpe in un tunnel lungo e buio da cui non saremmo più usciti, che eravamo folli e sanguinari, che stavamo diventando o saremmo diventati uguali e peggiori dei nostri carnefici - sì, carnefici, se ricordiamo la strategia della tensione. e che, vivaddio, abbiamo perso. ma quel giorno - alzi la mano, chi non lo considerò un atto di giustizia

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Vecchi e nuovi lettori di Fortini


Nei dintorni di F. F.

di Ennio Abate
Stasera ho partecipato alla presentazione alla Biblioteca Chiesa Rossa di Milano del documentario su Franco Fortini girato e diretto da
Lorenzo Pallini. Ho potuto salutare Maurizio Gusso e Paolo Massari e vari ex studenti di Fortini. Ma nel mentre seguivo le immagini, riascoltavo la voce solida di Fortini e quelle di un certo numero di studiosi intervistati che commentavano la sua opera o leggevano una sua poesia, non ho fatto che pensare con un certo scoramento, più che a Fortini, al mondo attorno a noi che è drammaticamente cambiato e anzi rinnova le sue guerre. E tornandomene a casa, riflettevo ancora sulle resistenze che ho incontrato – da decenni ormai e persino in Poliscritture – ogni volta che ho proposto una mia riflessione sul sapere di poeta e di comunista di Fortini. Una cerchia limitata di intellettuali fanno quello che lui chiamava *riuso*. Della sua figura. Di questa o quella sua opera. A volte è un *riuso* accademicamente serio ma circoscritto alle nicchie e alle carriere universitarie. Gli altri o lo ignorano occupandosi di altro. O continuano a detestarlo come quand’era in vita. O si sono azzittiti. O, confusi, si schierano chi con Biden e chi con Putin. Davvero, dunque, sono pochi oggi quelli che hanno l’esigenza di sapere di più di Fortini. E me lo dico per essere chiaro con me stesso. Perciò, vecchio, mi sento di continuare a fare quello che sto facendo: una lettura in solitaria, persino “intima” (e quasi interiore). Cerco di capire, chiuso un suo libro, un saggio, una poesia, un vecchio articolo di Fortini o su Fortini, quel che mi resta in mente del suo “comunismo speciale”. E tentare di cogliere il possibile accostamento di una citazione ad un evento d’oggi per farla reagire con esso. Irrimediabilmente vecchio lettore, dunque. E, tuttavia, mi auguro che la fatica generosa di Lorenzo Pallini per far conoscere la figura e l’opera di Fortini proiettando il suo documentario nelle scuole e nelle biblioteche di varie città abbia successo. Che nuovi lettori di Fortini crescano! E chissà che, per vie misteriose e da me impensabili, non diventino in futuro i compagni che oggi mancano.

Quattro “al volo”

a cura di E. A.

  1. ARMI ALL’UCRAINA?/CHOMSKY

La teoria della guerra giusta, purtroppo, ha per il mondo reale la stessa rilevanza dell’”intervento umanitario”, della “responsabilità di proteggere” o della “difesa della democrazia”.A prima vista, sembra quasi una ovvietà che un popolo armato abbia il diritto di difendersi da un brutale aggressore. Ma come sempre in questo triste mondo, le domande sorgono quando ci riflettiamo meglio.Prendi la resistenza contro i nazisti. Non poteva esserci causa più nobile.Si possono certamente comprendere e approvare le motivazioni di Herschel Grynszpan quando assassinò un diplomatico tedesco nel 1938; o i partigiani addestrati in Gran Bretagna che uccisero l’assassino nazista Reinhard Heydrich nel maggio 1942. E si può ammirare il loro coraggio e la loro passione per la giustizia, senza riserve.Però non basta fermarsi a questo. Il primo evento fornì ai nazisti il pretesto per le atrocità della Kristallnacht e spinse ulteriormente il programma nazista verso i suoi orribili risultati. Il secondo ha portato alle terribili stragi di Lidice.Gli eventi hanno conseguenze. Gli innocenti soffrono, qualche volta terribilmente. Tali domande non possono essere evitate da persone che abbiano una qualche dirittura morale. Le domande non possono non sorgere quando consideriamo se e come armare coloro che resistono coraggiosamente all’aggressione omicida.Questo è il minimo. Nel caso in esame, dobbiamo anche chiederci quali rischi siamo disposti a correre di una guerra nucleare, che non solo segnerebbe la fine dell’Ucraina, ma potrebbe andare oltre, fino a un punto davvero impensabile.Non è incoraggiante che oltre un terzo degli americani preferisca «intraprendere un’azione militare [in Ucraina] anche col rischio di un conflitto nucleare con la Russia», forse ispirato da commentatori e leader politici che dovrebbero pensarci due volte prima di imitare Winston Churchill.Forse si possono trovare modi per fornire le armi necessarie ai difensori dell’Ucraina per respingere gli aggressori evitando le conseguenze più terribili. Ma non dobbiamo illuderci che sia una questione semplice, da risolvere con audaci pronunciamenti.

(Da Intervista a Noam Chomsky di C. J. Polychroniou: Meglio concentrare l’attenzione su come evitare la guerra nucleare piuttosto che dibattere sulla “guerra giusta” https://www.altraparolarivista.it/…/intervista-a-noam…/)

2. LUCA BARANELLI SU PIERGIORGIO BELOCCCHIO E I QUADERNI PIACENTINI

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E tante altre sfacchinate che avrebbero inorridito il 99% dei nostri intellettuali, anche quelli che si dicevano militanti.(In ricordo di Piergiorgio Bellocchio – di Luca Baranellihttps://www.altraparolarivista.it/…/in-ricordo-di…/

3. Giorgio Majorino/ BION E LA PARANOIA MONDIALE ODIERNA

L’analista inglese Bion che fu uno di quelli che gettarono le fondamenta della psicoanalisi gruppo, avanzava l’ipotesi che nei gruppi terapeutici, si formassero, senza averne la consapevolezza, delle ideologie comuni che orientavano atteggiamenti e comportamenti dei singoli. Chiamò queste ideologie come Assunti di base e ne identificò tre fondamentali: quella di dipendenza da un possibile leader, reale o virtuale. Quella di accoppiamento ha un orizzonte generativo e quasi messianico: arriverà qualcuno o qualcosa che sarà salvifico.L’Assunto di attacco e fuga identifica un nemico o interno al gruppo stesso o esterno e quindi bisogna reagire difendendosi o scappando. Quest’ultimo Assunto è quello che ci sembra che possa in questo momento dominare sul gruppo decisionale russo. C’è un potenziale nemico: l’Ucraina, la Nato, gli Usa. È necessario quindi attaccare per primi per difendersi. È la logica paranoide dell’attribuzione do ostilità immaginaria ad un soggetto esterno (anche se i maligni fanno notare che il paranoico è sempre a metà strada: l’altra metà la fa la persona o l’entità oggetto bersaglio che a propria volta nutre sentimenti ostili contro il soggetto).Inoltre, gli Assunti di base non sono rigidi ma tendono, a seconda delle circostanze, a sostituirsi o sovrapporsi reciprocamente. Ma appare ipotizzabile nella situazione attuale come l’Assunto base di attacco e fuga, sia all’origine e prevalga nel gruppo russo. Cioè al difuori delle volontà singole dei suoi membri, tutta questa entità è soggetta ad un delirio paranoide e delega al capo il compito della comunicazione di tale situazione. Ma forse questo stesso Assunto di base esce dal gruppo dirigente e investe buona parte dell’intera popolazione russa.Ma gli altri? L’Occidente così fiero della propria democrazia? Forse anche qui, in questo momento, l’Assunto di base dell’attacco e fuga sta prevalendo, pur appoggiandosi a reali condizioni (insomma: sono i Russi che hanno attaccato). Ad onta dei nutriti e, si dice, liberi dibattiti sui media, la follia paranoide continua a prevalere dovunque. E sullo sfondo? Un suo prodotto estremo: la guerra nucleare.

(DA GLI STATI GENERALI.COM La psicologia di gruppo prevale su quella individuale: i politici https://www.glistatigenerali.com/…/la-psicologia-di…/)

4. AL VOLO/ FRANCO BERARDI BIFO/ SE VIVESSI A KIEV

Cosa avrei fatto se vivessi a Kiev Anch’io mi sono chiesto: cosa farei se vivessi a Kiev. Per giorni questa domanda mi ha tormentato. Mio padre ha partecipato alla Resistenza italiana contro il fascismo, mi sono detto, dunque non sarebbe mio dovere sostenere la resistenza del popolo ucraino? Non dovrei combattere a favore dei valori che l’aggressione russa mette in pericolo?Poi ho ricordato che mio padre non era un antifascista quando dovette scappare dalla caserma di Padova dove era soldato semplice. Non si era mai posto il problema, il fascismo era per lui un’ovvia condizione naturale, come per la grande maggioranza degli italiani. Quando l’esercito italiano si squagliò dopo l’8 settembre lui scappò come tanti altri, andò a trovare la famiglia a Bologna ma i suoi genitori erano scappati dalla città perché temevano i bombardamenti. Allora, con suo fratello, decise di fuggire verso le Marche, chissà perché. Trovarono un gruppo di altri sfollati, incontrarono dei partigiani e si intrupparono. Per difendere la sua vita divenne partigiano. Parlando con i partigiani gli parve che i più preparati e generosi fossero comunisti, e capì che i comunisti avevano una spiegazione per il passato e un progetto per il futuro, così divenne comunista.Se io vivessi a Kiev e ci fosse qualcuno che mi spiega che debbo difendere il Mondo Libero, la Democrazia, i Valori dell’Occidente, tutte parole con l’iniziale maiuscola, diserterei. Ma forse deciderei di entrare nella resistenza per difendere la mia casa, i miei fratelli, tutte parole con la lettera minuscola.Perciò non so rispondere quando mi chiedo se parteciperei alla resistenza ucraina, se sparerei sui soldati russi oppure no. Quello che so per certo è che le ragioni maiuscole per cui il Mondo Libero chiama gli ucraini alla resistenza sono false. E falsa è la retorica degli europei che incita a continuare lo spettacolo.

( Da https://www.altraparolarivista.it/…/il-precipizio-di…/)