come dice putin – la questione è davvero seria. ma siamo su fb e è difficile discuterne “in profondità”. Continua la lettura di Guerra in Ucraina. Prese di posizione (2)
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Guerra in Ucraina. Prese di posizione (1)
Daniele Lanza
20 febbraio 2022
Nota (ce ne sono sempre).
La vera sconfitta in tutto il macello che si profila in Ucraina, non è il paese in questione, invaso o meno che sia.
La VERA sconfitta è l’Europa che si ritrova impotente come dal 1945 ad oggi, pur con una guerra imminente sul proprio suolo : chi ha armi e determinazione – Cremlino e Washington – le usa……chi non le ha (complici 70 anni di benessere irreale, costituzioni pacifiste etc.) sta invece a guardare e a subirne le conseguenze. I paesi europei, piccoli attori riuniti nella grande casa UE (e in questi frangenti di crisi si vede quanto peso reale ha l’UE) sono gli spettatori vocianti e ridicoli.
Mosca cerca di riprendersi ciò che è “suo” da circa 4 secoli e mezzo (la sfera ucro-russofona inglobata nello zarato sin dal 1667), mentre il Pentagono coglie l’occasione (la desidera) per poter instaurare ed rinverdire la faglia di divisione tra bene e male perduta dopo il 1991 (il collasso dell’URSS aveva rovinato la Russia nel breve termine….ma come effetto collaterale aveva anche privato di ogni significato la Nato che negli ultimi 20 anni ha faticato a trovare motivi per continuare ad esistere di fronte agli interrogativi dell’opinione pubblica europea : l’unico motivo che potesse reggere era una difesa……ma difesa da COSA ?! E’ stata utile quindi una risurrezione della Russi potenza che più danni fa più giustifica la presenza della basi statunitensi/Nato in Europa (e magari a carico degli stessi europei).
Il Cremlino e lo stato maggiore russo con poche parole e grande professionalità preparano la mossa……la CNN americana dall’altro lato dell’oceano strepita con megafoni planetari : nel mezzo……i leader europei (l’asse franco-tedesco di Macron e Scholz in testa) che si agitano come marionette e contano come tali.
I veri sconfitti sono loro (cioè noi europei).
Signori (in particolare coloro che non sono d’accordo con me spesso) : suppongo che l’immagine da me scelta in basso – forze kaiseriane coloniali in africa orientale – risultino ostiche perchè evocano violenza e sopraffazione (sì è proprio così) e non è ciò che si vuole idealmente. D’altro canto mi piacerebbe che capiste come l’Europa della PACE della tolleranza e del benessere sopravvissuta per 70 anni è stata sempre un’illusione pia….guscio dorato entro il quale 3 generazioni di europei sono nati e cresciuti beatamente. Il mondo reale è un altro……..è quello dove se non possiedi il “ferro” non hai alcun peso (e tutto il tuo benessere può evaporare in una frazione di secondo). Che piaccia o meno è così : ognuno può continuare a cullarvisi se vuole, nel proprio paradiso interiore, non glielo impedisco).
Buona serata a tutti. Continua la lettura di Guerra in Ucraina. Prese di posizione (1)
Sul Sessantotto. Una mail del 2008
di Ennio Abate
6 gennaio 2008
Caro A., davvero il ’68 fu «un anno che ne durò solo dieci»? E poteva non finire? La tua interpretazione mi ha fatto venire in mente Elvio Fachinelli e il suo libro La freccia ferma. Se non ricordo male, egli vedeva quello dei giovani del ’68 come un tentativo di fermare il tempo (un po’- rispolvero vaghi e approssimativi ricordi biblici – come Giosuè che avrebbe fermato il sole per poter sgominare l’esercito nemico). Devo dirti che nei decenni successivi ho sentito con più forza l’esigenza di prendere le distanze dal mito del ’68. […]Questo per dirti che, se anch’io mi sento di disprezzare i pentiti del ’68 (o gli avversari da sempre o da allora), non ho alcuna voglia, dopo quarant’anni, di entrare in competere con i laboratori di regime o pseudo-indipendenti, che allestiranno le interpretazioni delle interpretazioni dell’”evento” per una sua rinnovata imbalsamazione o museificazione. Glielo lascio volentieri il pezzo più grosso del ’68, che in effetti è stato “loro”, credo fin d’allora, e cerco di scavare meglio nel “mio”. Continua la lettura di Sul Sessantotto. Una mail del 2008
Nel tumulto del 1968
“Nei dintorni di Franco Fortini”. Capitolo 1
di Ennio Abate
si spandea lungo ne’ campi Di falangi un tumulto (Ugo Foscolo, Dei sepolcri)
È curioso, ma prima del 1968 il nome di Fortini non compare nei miei scritti [1]. E non c’è traccia del suo nome nella mia memoria prima dei due ricordi che ho riferito rievocando la mia partecipazione da studente lavoratore all’occupazione della Statale di Milano nel ’68 (qui): Continua la lettura di Nel tumulto del 1968
Guerre e Guerini ovvero l’Italia nel Sahel
di Mauro Armanino
…Più volte ho sottolineato come quello sia il vero confine meridionale dell’Europa, caratterizzato da dinamiche di sicurezza che riguardano il nostro continente e l’Italia. Ci troviamo infatti in un territorio altamente instabile dal punto di vista politico e sociale ed estremamente povero dal punto di vista economico. Condizioni ottimali per gli estremismi di matrice jihadista, spesso associati ai movimenti di insorgenza locale, cui si aggiungono i flussi di traffici illegali di ogni natura che giungono sulle coste nordafricane a poche centinaia di miglia dall’Italia e dall’Europa, con riflessi sulla nostra sicurezza… Continua la lettura di Guerre e Guerini ovvero l’Italia nel Sahel
Due spunti di riflessione
a cura di Ennio Abate
AL VOLO/RAPARELLI
«I movimenti – scrive Raparelli – faticano a far durare l’apertura democratica. Alcuni sostengono che ciò accade perché non si presentano sulla scena o non lo fanno abbastanza (…) Altri lamentano l’incapacità a trasformarsi in partito e, dunque, in potere politico nelle istituzioni dello Stato». «Più banalmente – osserva – occorre riconoscere che la loro debolezza ha molto a che fare con la drammatica precarietà delle condizioni di lavoro e di vita di chi li anima».
(da https://operavivamagazine.org/una-vita-politica/?ct=t(RSS_EMAIL_CAMPAIGN)
AL VOLO
Papa Bergoglio da Fazio
Non c’è più religione. C’è televisione
(E. A.)
[a Federico Molineri] E’ questione complessa che non si può tagliare con l’accetta. Per me il punto più alto di riflessione resta quello sfiorato da Marx, ma il successivo fallimento delle rivoluzioni socialiste fa ridiventare la questione ancora più complicata e la soluzione più incerta. Ti segnalo questo saggio che ho trovato on line ( ce ne sono tanti altri).
KARL MARX E LA RELIGIONE COME «OPPIO DEI POPOLI»
di Franco Livorsi
https://www.ilponterivista.com/blog/2020/01/09/karl-marx-e-la-religione-come-oppio-dei-popoli/
Stralci:
1.
Essa è la realizzazione fantastica dell’essenza umana, poiché l’essenza umana non possiede una vera realtà. La lotta contro la religione è quindi, indirettamente, la lotta contro quel mondo del quale la religione è l’aroma spirituale. La miseria religiosa esprime tanto la miseria reale quanto la protesta contro questa miseria reale».
Da un lato è realmente miserabile credere in un’ideologia che dice che la miseria reale è propria di un mondo colpevole; ma dicendoci questo la religione ci dice anche che il mondo com’è non va, che è urgente accedere a “un altro mondo” perché nel nostro al posto del paradiso c’è appunto la miseria reale.
«La religione è il gemito dell’oppresso, il sentimento di un mondo senza cuore, e insieme lo spirito di una condizione priva di spiritualità. Essa è l’oppio del popolo».
Marx conosceva sicuramente il romanzo autobiografico dell’inglese Thomas de Quincey Confessioni di un mangiatore d’oppio (1821-22) e, oltre a tutto, viveva in un tempo in cui i lavoratori, spesso abbrutiti dalla fatica, nel fine settimana facevano appunto esperienza dell’oppio, come si vede ancora in Martin Eden di London (1909), in un tempo in cui il suo uso era totalmente libero. Qui sta a significare che le visioni paradisiache che l’oppio dà equivalgono alle speranze vane nel paradiso, e hanno lo stesso significato di evasione artificiale dalla realtà.
«La soppressione della religione in quanto felicità illusoria del popolo è il presupposto della sua vera felicità. La necessità di rinunciare alle illusioni sulla propria condizione, è la necessità di rinunciare a una condizione che ha bisogno di illusioni. La critica della religione è quindi, in germe, la critica della valle di lacrime, di cui la religione è l’aureola».
A questo punto emergono alcuni altri passaggi decisivi: «La critica non ha strappato i fiori immaginari della catena perché l’uomo continui a trascinarla triste e spoglia, ma perché la getti via e colga il fiore vivo».
Qui, per esempio, c’è una differenza di fondo rispetto a quel che dirà poi Sartre in La nausea (1938) e in L’essere e il nulla (1943), in cui la coscienza che Dio non esiste, e il paradiso nemmeno, segnano lo svelamento del carattere tragico della vita in se stessa, da cui non si potrebbe mai uscire, per quanto possiamo ricercare situazioni di fuggevole gioia e persino di spontanea forte solidarietà tra oppressi (poi oggetto della sartriana Critica della ragion dialettica)9. Marx, per contro, qui ci dice chiaramente che non si vuol togliere la fede nel «Dio in noi» e nel paradiso per lasciare l’uomo cosciente del nulla, disilluso, disincantato e disperato, ma per indurlo a cogliere “il fiore vivo”, ossia la vita bella al di là dei sogni “oppiacei” della religione: l’armonia realizzata da farsi, non tanto diversa dal paradiso in terra. Infatti qui egli seguita così: «La critica della religione disinganna l’uomo, affinché egli consideri, plasmi e raffiguri la sua realtà come un uomo disincantato, divenuto ragionevole, perché egli si muova intorno a se stesso e quindi intorno al suo vero sole. La religione è soltanto il sole illusorio che si muove attorno all’uomo fino a che questi non si muove attorno a se stesso. È dunque compito della storia, una volta scomparso l’al di là della verità, di ristabilire la verità dell’al di qua. È innanzi tutto compito della filosofia, operante al servizio della storia, di smascherare l’autoalienazione dell’uomo nelle sue forme profane, dopo che la forma sacra dell’autoalienazione umana è stata scoperta. La critica del cielo si trasforma così in critica della terra, la critica della religione nella critica del diritto, la critica della teologia nella critica della politica».
2.
Il punto che però sarà ulteriormente da approfondire mi pare il seguente: «Se tale rovesciamento della prassi, ossia realizzazione dell’armonia che la storia ha perduto o mai trovato, risultasse impossibile, che cosa dovremo dedurne in tema di “paradiso” da trovare? Non dovremo per caso percorrere la strada che da Hegel ha portato al crollo del comunismo – sia pure, ora, infinitamente arricchita da ciò che così si è capito in duecento anni e più – alla rovescia?».
La discussione ulteriore dovrebbe affrontare anche tale interrogativo.
Premessa a “Nei dintorni di Franco Fortini”
di Ennio Abate
quel filo che più non brilla e che fu tuo, mio (F. Fortini, Poesie inedite)
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Da”Caldarroste”
di Alberto Accorsi
Per Marzabotto [a Umberto Conti] Camminiamo dunque su pei colli bolognesi la vita è continuata a Monte Sole come sono belli questi colli ma il dialetto che non so parlare parla per me: “caminà cui dent alvà”[1] mi dice Incontrate sotto le piccole nubi bianche di un cielo che non può essere azzurro perché timido si mescola con un tenue grigio [2] il Poggiolo, Casaglia... gracili testimoni di pietra della follia della guerra dice il Conti.Continua la lettura di Da”Caldarroste”
“Noi accusiamo!” 2012
di Ennio Abate
Attirato da un post su FB, ho chiesto l’”amicizia fessbucchiana” a XY. Ieri sera, di fronte ad un articolo sulla sua pagina, in cui si lamentava – riporto a memoria perché non l’ho copiato – di non avere un posto in cui discutere coi compagni su cosa fare, sul venir meno della democrazia, etc., mi sono ricordato della «ingenua paginetta» (così un commento del tempo) del 7 agosto 2012, che avevamo pubblicato in vari blog o siti che avevano accettato di ospitarla con questa avvertenza: «I suoi promotori la intendono come un primo “segnale di fumo” di un dissenso diffuso da rendere manifesto e ragionato; e s’impegnano a migliorarne contenuti e formulazione con quanti vorranno aderire o discuterla». Continua la lettura di “Noi accusiamo!” 2012
Sud anni ’50. Un professore, un liceo classico
Riordinadiario gennaio 2022
SUL PROFESSOR PETRUZZIELLO E LA CULTURA ANNI ‘50 DEL LICEO TASSO
di Ennio Abate
Questa riflessione sugli anni della lontanissima e non certo felice mia esperienza di liceale è nata dopo essermi iscritto alla pagina FB degli “ex allievi Liceo Tasso di Salerno anni 50-70”. E per reazione ai commenti troppo amarcord ed elogiativi del clima di quegli anni che lì ho letto. No, mi sono detto. Perché edulcorare, maltrattare o banalizzare così il passato? (Che poi significa anche mistificare il presente). La revisione della storia (anche solo personale o di una comunità provvisoria) è un cosa seria ( e sempre rivedibile).
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