Disegni di Tabea Nineo 1978
Franco Fortini e gli “intellettuali periferici”
di Ennio Abate
non brilla e che fu
tuo, mio.
Franco Fortini, Poesie inedite
Continua la lettura di Un «filo» tra Milano e Cologno Monzese
Disegni di Tabea Nineo 1978
Franco Fortini e gli “intellettuali periferici”
di Ennio Abate
Continua la lettura di Un «filo» tra Milano e Cologno Monzese
di Franco Casati
Si può essere artisti anche evitando il confronto col pubblico, coltivando una passione che si considera segreta e quasi proibita, nascosta ad occhi estranei, alla ricerca di un’espressione personale, di un’arte che nasca dall’esplorazione dell’arte stessa. E così si sviluppa la passione al confronto (ripercorrendo il cammino dell’arte del ‘900) fra le proprie potenzialità, aspirazioni e l’opera di Maestri affermati. Continua la lettura di La pittura di Mario Tarantino
Articolo uscito sul n.8 cartaceo di POLISCRITTURE (dicembre 2011) scaricabile qui
di Ennio Abate
Tempo fa un giovane storico mi confidò che, a suo parere, molti colleghi più anziani di lui erano rimasti fissati (questo il termine usato) agli anni Settanta. Non gli dissi che anch’io, senza essere storico, torno spesso su quegli anni; e, anzi, ho tentato invano di indurre amici, che come me da lì politicamente e culturalmente vengono, a rifletterci assieme. La damnatio memoriae non cede. Ogni tanto, però, scopro con piacere che qualcuno non li liquida come «i peggiori della nostra vita»[1] e ci torna su quegli anni in modi non banali. È il caso di Raffaele Donnarumma, che in un saggio dedicato al «terrorismo nella narrativa italiana»,[2] si attesta sulla posizione moderata di chi «combatte da anni per impedire l’equiparazione tra gli anni Settanta e gli anni di piombo»[3] e così sintetizza il trapasso da un’epoca a un’altra avvenuto allora:
Continua la lettura di Gli anni Settanta nel «panorama storico» di Gianfranco La Grassa
di Ennio Abate
Continua la lettura di Cologno Monzese, la Lega, l’opposizione. E noi?di Lucia Bruni
Le stanze del collegio sono grandi e fredde, cara mamma. Da quando ci hai lasciati così all’improvviso, la nostra esistenza ha preso una piega triste e penosa.
Ricordo i tuoi ultimi giorni; lo sguardo spento e assente, il respiro affannoso, la testa abbandonata sul guanciale e quei tuoi ricciolini castani, così belli quando erano mossi dal vento, bagnati di sudore per la febbre che non ti lasciava mai. Il babbo non diceva nulla; aspettava, perché sapeva che per te non c’era più nulla da fare. L’infezione si stava portando via la tua giovane vita. Continua la lettura di Il dolceforte dei sogni
Gianfranco La Grassa, Luce e tenebra, Piazza Editore 2021 (qui)
Queste poesie risalgono a molto tempo fa quando l’autore era in età decisamente giovanile o all’inizio dei suoi quarant’anni. Il lettore si farà l’idea del carattere introverso, decisamente pessimista, di un individuo che ha passato vicende dolorose tali da segnarlo profondamente e da sollecitare in lui a volte un sentimentalismo spinto all’eccesso. Chi ha scritto queste poesie è invece recisamente antidepressivo, tendente allo scherzo, alla baldoria, a compagnie che non inducano ad una permanente amarezza. Ha avuto come tutti le sue malinconie proprio per i bei ricordi del passato, per le morti dei suoi cari e di amici fraterni, ma tutto questo è avvenuto in fondo dopo la scrittura delle sue poesie.
Segnalato su Facebook da PERCORSI PERVERSI a cura di Paolo Massari
(QUI)
Si possono vedere vari documentari di Cecilia Mangini. Il testo del sito è in inglese
Mittite li panni cca, Nannine / Dunque così dentro le piangeva / tanta morte e separatezza / quando la cugina si sposava / e andava via? // che è arrivate l’ore de la partenze // E i parenti distanti, in festa. // Ma a me spiace. Ché tu vai / per la tua morte. // Ah ci separiamo dunque / cugina odorata da bambino! // Frate e sore / cumme porte e feneste. / Scale, matune / e pure tu, lune! // Nun tire nu bellu viente! / Niente, niente / nun ffa niente. // Io qua. Voi dove? / Voi già sotterra. //La natura / mi si strappa. // pirdite chi bene ve vole.
( da E. A. Immigratorio)
di Gianluca Pavone
SPAZIO UNIVERSO
Un tempo, sotto la matita, c’era l’isola. Un non luogo che rimpiccioliva come occhi alla sera. Ci dicevano che questo Universo di soli e mondi era solo una visione e che non c’erano nomi né passato, avvenire. Esisteva questo istante dove il cielo era in scena, la clessidra, e quel che è nei cieli deve rimanere nei cieli. Lì, di notte, a volte scorgo la tua luce che una volta circondava il corpo e l’anima che lottava. E’ tempo che io vada, che ogni passo lasci il bosco un po’ più nudo. Per ogni fuoco. Per ogni canto.
di Giorgio Riolo
Per altre considerazioni su Tolstoj e sulla nota introduttiva di Riolo ad Anna Karenina, vedi in Poliscritture (qui). [E. A.]
I.
Tolstoj nella sua esistenza si muove entro polarizzazioni nette. Come avviene spesso in uomini e donne alla ricerca di un senso della vita e messisi in un cammino, il più delle volte accidentato, di autoperfezionamento.
Dalla adolescenza e dalla giovinezza, pur entro la sua condizione di proprietario terriero e di uomo privilegiato e dominante, la polarizzazione è vita autentica-vita inautentica. Poi la cosa si precisa ed è la grande questione del rapporto con i contadini, il vero soggetto positivo che illumina il cammino, correlata all’altra grande questione della legittimità o meno della proprietà della terra. Continua la lettura di Su “Resurrezione” di Tolstoj