Tutti gli articoli di Ennio Abate

La parola bendata

di Marina Massenz

E’ a un metro di distanza
che si arresta lo scandire dei piedi
questa voce ovattata
che oltrepassa la siepe dei denti
oltre la bocca bendata
ancora ci parliamo cara
ci diciamo di ieri di domani
di cosa cucini stasera 
del nostro lavoro sospeso
del silenzio metropolitano
ancora ci diciamo cose
e persino ci sorridiamo
sollevando la benda nel sole
trasgrediamo? Forse può essere
sì, ma così poco pochissimo
che oltrepassiamo appena la linea
che svaghiamo la mente
e c’è pure il cielo, che ancora c’é.

Nei dintorni di F.F. – Frammento 1

 

Per un libro da scrivere

di Ennio Abate

Nel mio PC ho una cartella dal titolo “Fortini nei dintorni dal 2002”. Vi ho stipato negli anni appunti, scritti di Fortini o miei e di altri su Fortini, qualche disegno, saggi e resoconti delle iniziative fatte per ricordarne l’opera alla Libreria popolare di Via Tadino a Milano nel 2014 e altro ancora.  Nel 2017, anno del centenario della sua nascita, pensavo di sistemare in forma di libro questi materiali. Per varie ragioni non ci riuscii.  Ci riprovo pubblicando  su Poliscritture  i frammenti  numerati di quello che potrà forse diventare il libro. [E. A.]
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Il tempo in Proust

di Gianfranco La Grassa

E’ intuitivo il fatto che la linea di scorrimento temporale avviene sempre in un unico senso, è irreversibile. Come si dice, la freccia del tempo è sem­pre rivolta in avanti; gli avvenimenti si snodano sempre dal passato verso il presente, dal presente verso il futuro, e mai in direzione contraria. Come di­ceva Era­clito, non ci si bagna due volte nello stesso fiume (cioè nella stessa acqua di quel dato fiume), poiché quest’acqua, proprio come il tempo, non può mai scorrere a ritroso, dalla foce alla sorgente. Continua la lettura di Il tempo in Proust

La curva d’autunno

di Donato Salzarulo

                                      Nella curva d’autunno
                                      c’è chi muore da solo.
                                      Intubato, affamato d'aria,                                           dentro una gabbia di vetro.

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Moltitudine poetante 2004

RIORDINADIARIO.

BILANCIO RETROSPETTIVO DI UN’INCHIESTA NON PUBBLICATA.

di Ennio Abate

Con questa  inchiesta del 2004 sulla “moltitudine poetante” (termine più tardi sostituito da “moltinpoesia”)  cercai di condividere con alcuni amici di Milano  le riflessioni sulla poesia che avevo maturato in anni precedenti nel confronto con Franco Fortini e Giancarlo Majorino. Tema dell’inchiesta: la scrittura di massa (di versi soprattutto), fenomeno che riceveva allora e riceve tuttora condanne moralistiche e snob invece che indagini serie. Il questionario [1] fu preparato  e limato da me, Paolo Rabissi, Lelio Scanavini, Franco Tagliafierro e Adam Vaccaro. Lo inviammo a un centinaio di potenziali interlocutori e, tra dicembre 2003 e giugno 2004,  ci occupammo della raccolta  e sistemazione delle risposte. Ne arrivarono trentuno. Nel 2005 stavamo  per pubblicare  un libro-rendiconto di quel non trascurabile lavoro di gruppo,  ma per le divergenti valutazioni dei risultati dell’inchiesta [2], pur avendo preparato persino una prefazione di compromesso [3], non se ne fece nulla.  E il materiale già pronto rimase in una delle cartelle del mio PC  e forse in quelle degli altri promotori.

Oggi, a distanza di tanti anni, pubblico: – il questionario; – due note (di Franco Tagliafierro e Paolo Rabissi) della discussione interna al gruppo; e la prefazione concordata.  Non – almeno per ora – le pur interessanti e articolare risposte dei 31 interlocutori [4]  che occuperebbero troppo spazio. Continua la lettura di Moltitudine poetante 2004

133 anni fa

di Paolo Di Marco

Nel 1887, per nutrire le truppe che invadevano l’Eritrea, l’Italia portò buoi dall’India; insieme ad essi arrivò anche il virus della peste bovina. Dieci anni dopo il 90% dei bovini dell’Africa, immunologicamente vergini, erano morti, insieme alla gran parte degli altriungulati; nonostante il tentativo degli inglesi di fermare il virus coi fucili e il filo spinato. Un terzo degli Etiopi e due terzi dei Masai morirono di fame; mancando gli animali da pascolo il terreno venne invaso da cespugli spinosi, pessimi per i bovini ma ottimi per le zanzare tse tse e i loro tripanosomi; la malattia del sonno si diffuse a dismisura tra uomini ed animali.[1] Continua la lettura di 133 anni fa

Anna Maria De Pietro. In morte

E quella rosa d'inverno come mi ricorda le mie Rose conquistate!
Rose di Praga fra la neve imminente rose di Keplero e di pietra!
Annamaria è un Vesuvio di rose! Rose di lava vesuviana!
Lingue di lava di rose! Rose che vincono tutte le battaglie!
Dialetto rossolavico di rose rosse e invernali e non so che dire altro
Rose dei crocicchi, dei trivi, rose sfogliate e invogliate, rose - su tutto!
                                                     (Antonio Sagredo)

Su Poliscritture: Intervista  di E. A.  a Annamaria De Pietro del 19 maggio 2015 (qui)

Tre prose da “Fughe”

 

di Velio Abati

 

Invito

Le prose qui raccolte lambiscono la gestazione del romanzo Domani e si dispiegano nel  secondo decennio, concluso dallo squarcio di verità di una sconosciuta frattaglia di men che vita. Con soffio leggerissimo ha traversato ogni confine biologico, nonché umano, a rammentare soprattutto a noi della parte di mondo che conta, i civili padroni, l’ordine delle cose, che nessuno può disfarsi della propria ombra, che la notte, mentre il giorno ancora affatica il sonno, alta nel cielo canta l’allodola.

Se scritti morali si uniscono ad altri narrativi fino a includere passi in versi che incrociano Questa notte, non è per sprezzo dei generi, perché anzi riconoscono il valore risignificante e la forza interdittiva di cui storicamente ciascuno si è incarnato, ma a imporlo è stato proprio il medesimo amore di verità.

Allo stesso modo, alla dispersione pulviscolare degli eventi dell’esistenza da cui le prose muovono, tenta di contrapporsi la spinta a un orizzonte di senso che genera sull’insieme effetti d’eco.

Giudicherà chi legge, se all’intento corrisponde il risultato, o se l’oscurità dei tempi ha meglio messo a nudo la mia debolezza.

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Pigrizia e “passione” utopica

di Gianfranco La Grassa

I personaggi cecoviani e Oblomov hanno certamente alcuni elementi in comune. Per certi versi, i primi sono pur essi affetti da un qualche “oblomovismo”, termine (almeno un tempo) usuale in Russia per denotare certi caratteri salienti del cosiddetto “animo slavo”: la fantasia unita alla pigrizia più spinta, l’ardore tutto immaginario per una vita “nobile ed elevata” soltanto pensata, vagheggiata, ar­dore unito alla più completa inconcludenza e incapacità di perse­guire con costanza gli “alti” obiettivi voluti nella pura e semplice immaginazione. A ciò si aggiunga l’in­cessante fantasti­care, o addirittura sognare (magari ad occhi aperti), con progressivo infiacchimento della propria volontà, della capacità di dare con­cretamente senso alla propria vita. Continua la lettura di Pigrizia e “passione” utopica