Tutti gli articoli di Ennio Abate

Franto e ricercato

Patrizio Di Sciullo e Roberto Neri
MUSEO FONDAZIONE CROCETTI, ROMA

di Marina Massenz

 Franto e ricercato
 nell’interno del corpo
 svuotato ventre
 lasciare che vada
 sciolto e sganciato
 niente ricerca d’interezza.

 Spazzolata tutta la certezza
 dell’intero adeguarsi
 a pezzi sparsi qua e là
 a volte in quasi pace
 poi più niente al fondo
 del resistere in vitalità.
 
 Affaccendata si spalanca
 la bocca un bel respiro
 che fuori è tutto molto nero
 buio e nero trafitto il bosco
 di tronchi dritti come spade.
 
 Ma a volte contorti anche loro
 affannati, sbattuti, soffocati
 e non si abbandonano di colpo
 a terra, come sarebbe naturale. 

Paralleli inquietanti tra ‘crudeltà’ diverse

di Rita Simonitto

Ieri sera ho rivisto, per l’ennesima volta, un film di Pietrangeli del 1965 “Io la conoscevo bene” (*) e, rivedendolo – come accade sempre quando possiamo ritornare sopra alle opere d’arte – ho preso contatto con una realtà inquietante che non atteneva solo alla palese denuncia fatta dal regista soprattutto verso il mondo del cinema che in quegli anni, dietro il miraggio di una vita facile ed enfatizzata dai rotocalchi, ‘bruciava’ senza pietà gli incauti che vi si volevano avvicinare senza le dovute protezioni. Ma rappresentava sotto traccia una allucinante fiera delle crudeltà, un catalogo delle varie forme di abbrutimento a cui può pervenire l’essere umano quando, stanco di sacrifici e di patimenti, si fa sedurre dalle sirene del facile successo. Non una scena, non un fotogramma sono esenti dall’evidente spietatezza che permea ciò che viene rappresentato,  a partire dalla stessa protagonista Adriana (una strepitosa Stefania Sandrelli), inconsapevolmente impietosa verso la propria persona, incapace di salvaguardare la sua intimità, impossibilitata quindi a proteggersi, a difendersi e pertanto facile preda di personaggi senza scrupoli. Dalle canzoni selezionate (e che fanno da accompagnamento tragico a questa storia), ai dettagli delle tenerezze che questa fragile fanciulla è in grado di dedicare agli altri più deboli di lei (ad esempio nei confronti di un bambino che lei tiene in custodia) fino al ticchettio dei suoi zoccoli estivi che arrivano all’orecchio dello spettatore come tante fucilate: tutto concorre a sottolineare la crudezza nella quale la ragazza è avviluppata.

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Sì, basta con i (vostri) agguati a chi non si rassegna al “meno peggio”

di Samizdat


A leggere l’appello “Basta con gli agguati”, comparso giorni fa su “il manifesto”, a vedere tra i firmatari non solo nomi di intellettuali rispettabili (come Luigi Ferrajoli) ma anche quelli di vari amici, a leggere su FB certi commenti in sua difesa mi sono cadute le braccia. Epigoni siamo e epigoni resteremo, ho concluso amaramente.

I firmatari si dicono convinti che il governo Conte “abbia operato con apprezzabile prudenza e buonsenso, in condizioni di enormi e inedite difficoltà, anche a causa di una precedente “normalità” che si è rivelata essere parte del problema”; e che non abbia intaccato “la libertà di parola e di pensiero degli italiani e comunque il Governo non è parso abusare degli strumenti emergenziali previsti dalla Costituzione”.

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Nell’anniversario della morte di Arnaldo Éderle

di Franco Casati

Oggi, due maggio, ho fatto visita alla tomba di Arnaldo Ederle, caro amico, nel cimitero monumentale di Verona, a un anno dalla sua scomparsa, con Tommasina, la sua compagna. Non amo i cimiteri e le tombe, simulacri di una forma di vita giunta al suo compimento, che dovrà proseguire in un’altra, più vera. Una modesta lapide fra le tante, la sua; se non fosse che sotto il nome compaiono gli appellativi di poeta e scrittore, come due colpi di tamburo, a ricordare che il defunto ha lasciato ai posteri un’eredità di pensiero e di poesia destinati a sopravvivergli. Nella sua città, Verona, povera di poeti veri e di importanti scrittori, quella di Arnaldo è stata una fra le voci più significative. La sua, una delle poche vite finalizzate al canto e alla difesa della bellezza.

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Insulti e offese

di Ezio Partesana

Segnalo il blog di Ezio Partesana, che ha anche collaborato in passato con Poliscritture, pubblicando questo suo recente testo filosofico. L’ho letto attentamente. Mi ha colpito la sottile distinzione che Ezio fa tra i due concetti e l’importanza che attribuisce ai meccanismi psichici ben più complessi dell’offesa rispetto al “semplice” insulto. Scrive: “l’offesa ammette il riconoscimento di uno stato comune, la pietà e il perdono”, perché in essa non solo affiora (forse si potrebbe dire: si costruisce…) un legame tra offensore e vittima (“qualcosa nella volontà dell’altro ci ha sorpreso e a quello siamo appesi come al cordone ombelicale la prima volta che fummo lasciati soli”) ma pure un legame col passato (e quindi con una storia): “tutte le offese vengono dal passato e sono state apparecchiate prima che fossimo in grado di sopportarle, e in fondo non sono dirette a noi, ma a quello che eravamo prima”. Abituato come sono a rendermi conto dei concetti solo quando riesco ad associarli a personaggi o fatti storici, ho pensato almeno a Primo Levi e a Toni Morrison, che nelle loro opere hanno appunto meditato sulle “offese” della Shoah e della schiavitù degli afroamericani. Non so se riesco a seguire Ezio quando dal piano dei rapporti tra gli umani sembra passare al piano del rapporto umano/divino (“Si può, insomma, insultare Dio perché ha fatto degli errori o bestemmiare che sarebbe stato meglio non fosse mai esistito nulla”) ma altri – spero – lo faranno e io cercherò di capire di più. [E. A.]

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Siamo tutti in pericolo

di Lorenzo Merlo

Questo articolo di Lorenzo Merlo fa da specchio fedele alle paure e alle incertezze del tempo sospeso e gravido di incubi in cui siamo capitati. Ha echi pasoliniani: la critica al “sistema di educazione che ci divide in soggiogati e soggiogatori”, una nostalgia per le epoche in cui gli uomini non erano “analfabeti in tutte le materie della creazione che si studiano con le mani”, la scelta di “stare con i deboli”. Non cade nella facile visione complottista oggi diffusissima (anche se, qua e là, pare la sfiori). Ci vedo anche un tentativo di distanziarsi criticamente da una realtà indecifrabile e angosciante narrando al passato eventi appena accaduti o che ancora stanno accadendo. Il nucleo emotivo e intellettuale dell’articolo sta nella fila caparbia e lucida dei ‘perché’ e dei ‘vogliamo’ polemici che Merlo accumula. E che chiedono, però, almeno un abbozzo di risposte. [E. A.]

Era lontana la Cina. Arrivavano notizie di qualcosa d’importante. Per fare fronte all’emergenza fermarono la routine della vita nota. Attraverso la tv, prima che spaventoso ed esiziale pareva irreale. Strade vuote, morti, ospedali traboccanti, tutto immobilizzato. L’allarme era mondiale ma tutti stavano a guardare.

Era lontana la Cina.

Finché non si fece sotto e fu vicina come non avremmo mai detto. Ed eccola qui. Era in casa.

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A vocazzione. Un frammento.

Tabea Nineo, Albero e donna, 1998

di Ennio Abate

E po’ Vulisse criave semp’e preoccupazion’i. Appen’e nat’e , ca ‘eren’e ancora tiempe e guerre, steve pe murì. Po, criscenn’e, ere state  semp’e malatus’e. Venett’e fore ra guerre cu n’uocchie strabich’e, po ‘ncumingiarene st’i diarree continue,  po’ ere semp’e accussì nervus’e e stizzus’e, ca na vot’e o purtarene addo nu specialiste a Napule ca ‘nge ordinaie certi bagne ‘rint’a vasche cu l’acqua  quase bullent’e. Ca Nannìne, a  mamme soie,   sule na vote ce pruvaie a regn’e  a vasch’e purtann’e,  una dopp’a n’at’e,  doie o tre bagnarole r’acqua scarfat’e ‘ncopp’e o furniell’e. Ca allore s’usaven’e ancora e carbunell’e. Ma o guaglion’e, appen’e mettett’e e pier’e rint’all’acque cavere, ‘ncuminciaie a alluccà  accussì forte  ca Nannine nun nge pruvaie mai chiù. E so tenett’e accussì.  O guaglione ere veramente scazzareglius’e; e proprie pe chest’e nun’ se  capive cumm’e maie se vuleve fa prevet’e.

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L’aria pura e altre poesie

Tabea Nineo, disegno per “Nella casa della madre” di Donato Salzarulo, 1993

di Donato Salzarulo

L’ARIA PURA

                                                             «Oggi è arrivata l’aria pura, la tua.» Continua la lettura di L’aria pura e altre poesie

La pop-narrativa fessbucchiana di Lanfranco Caminiti

Foto presa dalla pagina FB di Lanfranco Caminiti

di Samizdat

Di Lanfranco Caminiti ho già pubblicato su Poliscritture un bel racconto (qui) sugli effetti dell’epidemia da coronavirus al Sud. Oggi voglio segnalare tre pezzi brevi che ho letto giorni fa sulla sua pagina Facebook. E che etichetterei (positivamente, eh!) come esempio pionieristico di pop-narrativa fessbucchiana. Per l’arguzia, la capacità di sfottere e sfottersi e di alleggerire gli argomenti complicati o drammatici senza mai lasciarsi sfuggire il loro nucleo serissimo e spesso tragico. Tra l’altro gli amici e le amiche che commentano sulla sua pagina sono davvero un “coro”, altrettanto capace di tenere botta alle sue acrobazie narrative e fare con lui “teatro” didattico-politico a beneficio di tutti. Mi azzardo a dire che sono riusciti a costruire su Facebook – luogo di alienazione e dannazione delle buone idee – non un salottino spocchiosetto di cicisbei e madamine saccenti, ma lo spazio elementare del narrare di cui parlò Benjamin a proposito di Leskov: L’esperienza che passa di bocca in bocca è la fonte a cui hanno attinto tutti i narratori. E fra quelli che hanno messo per iscritto le loro storie, i più grandi sono proprio quelli la cui scrittura si distingue meno dalla voce degli infiniti narratori anonimi. (Walter Benjamin, Il narratore. Considerazioni sull’opera di Nikolaj Leskov, Einaudi, Torino, 2011). Questa capacità di commentare episodi degni di nota e di condividerli con i propri simili, sviluppando una coscienza collettiva, è antichissima. Ho letto che i primi “narratori” della storia possono essere considerati gli uomini primitivi, i quali – ritrovatisi attorno al fuoco alla sera – scambiavano i propri racconti di vita fra loro, nella speranza di rendere più semplice il futuro agli altri membri del clan, mettendoli a conoscenza di possibili pericoli e nuove scoperte. Mi pare che quel rito si ripeta oggi su questa pagina di Facebook in forma originale e vivace. Auguri a Lanfranco e al suo “coro”. [E. A.]

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25 aprile 2020: a chiacchiere, coi fatti

Questa foto è tratta dal post odierno di Accio Claudio Di Scalzo su FB (*)

Samizdat

In uno scritto di Fortini del 1975, intitolato Lisiàti si legge: Uno sfoglia queste carte [la biografia del partigiano Lisiàt (Athos Iovi) fucilato il 1° settembre 1944] e subito pensa che quella era una vita, così ridotta dal tempo trascorso. E più avanti: Che cosa significa: “ricordano”?. Ponendosi dinanzi all’ombra di Lisiàt dal punto di vista di un noi allora ancora capace di farsi carico del passato della Resistenza, Fortini scriveva: è degno di ricordo perché difese la giusta parte. Ma oggi? Non esiste più questo noi. Esiste, invece, un noi ipocrita e retorico che ha ridotto la Resistenza a chiacchiera o a slogan pubblicitario tricolorato o a svuotato bellociaoismo. E allora – pochi, isolati, dispersi e fuori da ogni cerimonia ufficiale – vale la pena di porgere l’orecchio a fatti (come quelli raccontati nell’articolo di Cinzia Arruzza e Felice Mometti) che, pur seppelliti e rimossi dalle roboanti cazzate dei vari governanti sfascisti, ancora insistono ad accadere. E vogliono un’intelligenza politica nuova, che li interpreti e li strappi ad una apparente insignificanza. Perché il combattimento per il comunismo è già il comunismo (qui):

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