Tutti gli articoli di Ennio Abate

Due modi di guardare le cose

a cura di Samizdat

Mi ha molto colpito il resoconto spoglio di Lanfranco Caminiti sugli effetti dell’epidemia in corso in un paese del Sud, mentre sono rimasto irritato dalla lettura di uno dei tanti “diari della quarantena” che si vanno scrivendo in queste settimane: quello pubblicato dallo psicanalista Sergio Benvenuto su Le parole e le cose 2. E non ho resistito alla tentazione polemica di contrapporli. Preferisco nettamente il primo modo di guardare quel che sta accadendo in questo Paese, pur avendo grande attenzione all’esplorazione psicanalitica dell’inconscio. Questa di Benvenuto mi pare però fondata su un pensiero politicamente pigro e immiserito. Discutiamone. [E. A.]

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«Spillover»: il libro del momento

di Donato Salzarulo

1.-Ecco un libro che forse non avrei mai letto se il coronavirus non fosse venuto a turbare e a rendere infausti i nostri giorni. La curiosità mi è sorta leggendo l’articolo di Paolo Giordano sulla “matematica del contagio che ci aiuta a ragionare” (Corriere della Sera del 26 febbraio), articolo – non mi stancherò di ripeterlo – benedetto, di cristallina chiarezza, che merita di essere diffuso dappertutto, in primo luogo nelle scuole; merita di essere diffuso perché di questo virus non ci libereremo facilmente e, comunque, altri virus sconosciuti sono o potrebbero essere in agguato per la nostra specie. Quindi, è decisivo far crescere la nostra consapevolezza razionale.

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Fulvio Ventura: porte del paradiso

di Paolo Di Marco

Luce ben misurata, nuvole che vagano intorno a un punto di equilibrio lontano, ombre di fate, maschere in giardini incantati: un salto in un altro stato di coscienza, dove tu sei dentro la foto e insieme lei è il tuo specchio e insieme percepite altre dimensioni

in bianco e nero, prevalentemente, perchè è diretto, non immediato ma più capace di penetrare nei tuoi livelli profondi che , ancora, forse, non conoscono i colori

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La Signora

Trionfo della Morte – Palazzo Abatellis, Palermo

di Rita Simonitto

Era da un po’ di tempo che la Signora lavorava poco. Ovvero, lavorava sì, ma non di gusto. Per quanto la sua falce avesse ancora la lama ben lucida si sentiva Lei arrugginita. E soprattutto scoraggiata dal fatto che suo cugino, il Fato, si intromettesse nel suo lavoro costringendola a fare gli straordinari, operando in modo meccanico, senza doverci pensare sopra e soprattutto senza poter combattere. Certamente, come accade a tutti i dipendenti, il committente (che le era sconosciuto e a cui quindi non poteva porgere le sue rimostranze) aveva disposto così, proprio come aveva scritto il Divino Poeta “Vuolsi così colà dove si vuole ciò che si puote e più non dimandare”: quello sfrontato che si era permesso di fare una crociera nei suoi regni parlandone (e sparlandone) a suo piacimento.

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Lamentazioni (brindisine) e 5 brani da L’Arrabbìco

Brindisi, Torre dell’orologio

di Antonio Sagredo

Questi due testi di Antonio Sagredo – Lamentazioni elaborato nelle ultime settimane, L’Arrabìco, “racconto lirico-epico picaresco” inedito risalente al 1977-1981 – sono una meditazione poetico-narrativa, autonoma e indifferente al tempo storico, sulla Morte. Attingono ad un immaginario continuamente indagato – brindisino ma anche boemo (per la formazione e gli studi dell’autore-, nel quale su un piano di finzione teatrale s’impongono immagini paurose e terrorizzanti: di malattia, di rituali funebri o magici, di miserie e rivolte sociali represse nel sangue. Ci vorrebbe uno studioso di Ernesto De Martino per penetrare nei meandri di questi testi e coglierne il senso arcaico e apocalittico, che – guarda le coincidenze che la storia dispettosamente propone! – l’epidemia/pandemia da coronavirus di queste settimane sta rimettendo in moto. In mancanza di tale guida, il lettore provi ad indovinarne uno suo anche approssimativo. Pescando magari analogie con il suo di immaginario. [E. A.]

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Tutti a casa? Sì, però…

SAMIZDAT

Ragazzi, me ne sto a casa perché il coronavirus è un pericolo reale ma la fiducia in questo Stato e in questa Scienza, che non hanno predisposto le necessarie difese da una tale minaccia, è scesa a zero. Teniamone conto. Siamo uomini (e donne), non caporali.

P.s.
Scava, vecchia talpa, scava!

Fortini- Rossanda: “due comunismi” (c’erano)

a cura di E. A.

Stralci:

1.

Cara Rossana, ti ho vista iersera in TV.
Che tua è la vita, dicevi, e nessuno
per te può disporne. Lucente l’errore
in fronte ti splendeva. Ero ammirato e triste.

Due comunismi ci sono. Tu l’uno l’hai vissuto, che vuole
per ognuno e per tutti coscienza di sé.
L’altro è più mio: che negli altri si crei
la nostra figura né mai se ne veda la fine.

Questa la mia religione. Che tutto sia segno
e si converta in altro. La foglia si adempia
ma sia il bosco a parlare per ognuna
se al cielo vuoto di dèi vada il vento.

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