di Samizdat
Mio commento a “Di certi sogni in Fortini” di Luca Lenzini (qui)
Ho sognato Fortini insieme a tanti del Centro studi F.F. della prima ora (Nava, Luperini, Cataldi, Zinato, Santarone, Abati, Lenzini, ecc.). Stavamo seduti con lui attorno ad un tavolo del ristorante La Tana di Siena. Si parlava di certi sogni. Allora mi son fatto coraggio, ho alzato la mano e un po’ in italiano un po’ in dialetto delle mie parti ho detto: “Sì, sì, il carattere irredento delle tue allegorie, il loro radicamento soggettivo, esistenziale, la tua nota messianica, la ferita [storica] ca nun bisogne scurdà, il sogno guardiano della speranza….A speranze, a speranze! Ma tu a chiamave cumunisme. A noste è senza nome, senza vrazze, senza gambe”.
Mentre
sentivo
la mia voce strozzarsi per l’emozione, Fortini
mi
guardava
proprio con la faccia perplessa che ha nella foto di questo post.
Poi,
senza
dire
una parola,
è uscito e se n’è andato. Mi
sono guardato attorno.
Ero solo,
non
ero a Siena, non ero in un ristorante. Sono
uscito pure io. Sul
portone un’insegna fluorescente diceva “Dormitorio Pubblico
Italo-Statunitense
Facebook”.