Tutti gli articoli di Ennio Abate

Sulle misere gioie di un’educazione cattolica

di Ennio Abate

Questi disegni, prodotti per lo più tra 1976 e 1978 – anni della interruzione della mia militanza politica e del “ritorno del represso”(Orlando), che nel mio caso ho chiamato “gioie dell’educazione cattolica” – corrono paralleli alle mie poeterie e al mio narratorio. E perciò, suddivisi in cinque sezioni, li introduco per ora con alcuni brani dalle une e dell’altro. [E. A.]

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Da”Pleasantville”

di Antonio Pizzol

Di questo giovane poeta, già affacciatosi su Poliscritture con suoi versi (qui), pubblico volentieri alcune poesie in dialetto veneto da una sua recente raccolta. Vi si coglie un realismo mantenuto su un pedale emotivo basso (ironico e autoironico), un’attenzione alle minuzie del quotidiano, un lavorio su sentimenti veri (e a volte anche umorali). [E. A.]

 1.
 Xe proprio in quel momento lì che sto ben,
 
 
 coe man che ‘e vedo già nere
 sensa neanca aver ‘l cofano verto
 che so che xe a bateria
 o qualche cavo distaca’,
 che basta un toco, na streta,
 e tuto se giusta e va…
 prima de aver le mani nere
 e i dei scusai, prima
 de sudar incastrà drio del filtro
 coe ciavi che ‘e casca e se sbrega ‘l manual,
 tanto prima de no saver niente
 e de sentir da n’altro le parole
 alternator e bobina.
 
 
 È proprio in quel momento lì che sto bene// con le mani che già
 le vedo nere/ senza avere ancora aperto il cofano/ che so che può
 essere la batteria/ o qualche cavo scollegato/ che è sufficiente un
 contatto, una stretta,/ e tutto si aggiusta e funziona…/ prima di
 avere le mani sporche di grasso/ e le dita rovinate, prima/ di sudare
 incastrato dietro al filtro/ con le chiavi che cascano e si strappa il
 manuale,/ molto prima di non sapere niente/ e sentire da un altro le
 parole/ alternatore e bobina. 
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Materno e infantile 16 figure

1994 Madre e bimbo

di Ennio Abate

In questi disegni che vanno dal 1978 al 1994 il rapporto materno/infantile (o, se si vuole e più semplicemente, madre-figlio o donna-bimbo) è espresso in figure femminili in pose da arcigna megera (1978) o da imbambolata (1979) o da maschera perfida (1988) o da caricatura comica (1990). Hanno masse corporee avvolgenti (1990) o addirittura stritolanti (1989, Donna che stringe un bimbo; 1990, Strettamente amato). Le figure infantili, invece, appaiono ridotte quasi a pupazzi tristi e inebetiti (1978, 1979), impacciati o immobilizzati (1989, 1990). Che a volte hanno tratti incattiviti e maligni (1989 e 1990). Solo nella figura del 1989 (Bimbo che sfugge all’abbraccio) un bimbo con gesto risoluto (le mani alzate come a dividere) si separa dall’ombra avvolgente e informe che ancora lo sovrasta. E soltanto nella figura del 1994 il rapporto si stempera in fiaba quasi da miniatura medioevale colorata. Il corpo materno o donnesco è sempre incombente e opprimente su quello del bimbo. Niente, dunque, di sereno né edulcorato in queste immagini. Piuttosto un sentimento di pena che in molte infanzie è ben più presente di quanto ci siamo abituati a immaginare e si trascina anche quando diventiamo adulti e colti. [E. A.]

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Bestiario 37 figure

1978 Uccello che cura l’uovo

di Ennio Abate

Questi 36 disegni, che vanno dal 1976 al 1998, tutti di varie dimensioni ma qui ridotti a miniature regolari secondo i codici informatici che Word Press suggerisce per comporre una galleria d’immagini, hanno per tema i pochi animali che sono entrati nel mio immaginario (soprattutto infantile): cani, galline, uccelli (indeterminati). Tranne il volpino che ho disegnato a china nel 1976 mentre dormiva, le altre immagini sono spuntate (come sempre e come ho già scritto) da iniziali segni casuali. I titoli – ironici e psicologizzanti – alludono (ma per me) a stati d’animo anche personali del tutto irrilevanti però al momento in cui disegnavo. Le forme sono qui sempre chiuse. Ho usato l’inchiostro di china e i comuni pennarelli. [E. A.]

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Alberi e vegetali 15 figure

1977 Albero attraverso una finestra

di Ennio Abate

Il titolo complessivo di questi disegni del 1976-’78, “Alberi e vegetali”, ma anche quelli particolari sono approssimativi. So di indicare così soprattutto una mia intenzione di stabilire un legame tra segni grafici e “cose” (viste o pensate). Di alcuni disegni (ad es. “Albero attraverso la finestra”, “Siepi a Scanzano”, “Attrezzi ed erbe”, “Piante secche in un vaso”) potrei dire dove e in quali occasioni ebbi la spinta a farli. Evocano (ma solo per me) la finestra al terzo piano di una casa che ho abitato; il paesaggio piatto con rare siepi attorno a una casa colonica a Scanzano; il terrazzo della casa dei miei genitori a Salerno, dove, in vasi di terracotta o vecchie bagnarole fuori uso riempite di terriccio, crescevano piante di pomodoro o di basilico e persino un piccolo nespolo. Negli altri, le forme sono state inventate al momento e non saprei trovare riferimenti tra esse e cose, luoghi e tempi da me vissuti. Sono venute fuori soltanto dai gesti casuali o semiconsapevoli della mia mano, che guidava la penna in legno col “pennino Cavallotti” d’acciaio (dello stesso tipo di quelli usati da ragazzo alle elementari nel dopoguerra o più tardi per disegnare a china)? Oppure da uno schema elementare, inconscio che comunque guida i movimenti della mano quando disegno? (Non voglio neppure parlare di idea o di forma e non mi addentro in questi problemi che so complessi). Oppure da immagini viste in libri illustrati o quadri o riproduzioni di ogni tipo sedimentatesi nel tempo? Guardando a distanza di tempo questi disegni, noto soprattutto un loro carattere “primitivo” e quanto siano forti i contrasti tra le forme bianche, compatte, plastiche e chiuse, quelle tratteggiate e quelle compattamente nere. [E. A.]

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Poesie scelte da «Ogni vigilia è disarmata»

di Giorgio Mannacio

Sulla recente raccolta pubblicata da Giorgio Mannacio ricordo anche le riflessioni mie (qui) e quelle di Ezio Partesana (qui). [E. A.]

SIPARIO

 
Di notizie e  di sabbia è rosso il cielo:
è il deserto che arriva in questa
vigilia disarmata
che veglia si può chiamare.
Non fanno alcun rumore le derive dei continenti .
Ha senso rinominare
l’origine, il percorso ed il destino
della rosa dei venti
se falso è il fiore?
Ne spira uno soltanto,
uno soltanto è il punto cardinale
d’ogni furore  
e d’ogni indifferenza
e a spegnere la candela un soffio basta.
 
  
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Da “Prof Samizdat”

di Ennio Abate

1.

Dove lo troviamo prof Samizdat? A bagnomaria nel quotidiano scolastico. Eccolo. Ha dettato i voti d’italiano e storia. Primo quadrimestre, eh. Restano da firmare i tabelloni e il registro azzurro. Ultimi avvertimenti di una voce – la coordinatrice di classe. Con la fregola addosso si accalcano per lo scarabocchio finale sui tabelloni e i registri. Battutine. Quali? Boh. Ultimi saluti distratti. Si scappa fuori. Perché il pomeriggio è di piombo. Dentro e fuori? Ci arriveremo, ci arriveremo. Lui pure scappa. Per i corridoi a quell’ora deserti e silenziosi.

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Qualcosa non torna

Su “Ogni vigilia è disarmata” di G. Mannacio

di Ezio Partesana

L’ultima raccolta di versi di Giorgio Mannacio ha un titolo meraviglioso: Ogni vigilia è disarmata – e non c’è nei testi, non c’è nelle rime. Qualcosa gli rassomiglia, è vero, e si dà per scontato sia quello. Eppure non c’è. Contro qualsiasi intuizione questa vigilia lascia tracce in chi la vive ma non in chi la guarda; a morire si è sempre soli e mai pronti. Hai un bel parlare – e Mannacio ha un parlare bellissimo – di ricordi, di eredità e persino delle cose comprese, dei fiumi che rendono memoria del bene fatto e cancellano gli errori, quell’ascesa è cosa che non impareremo mai a fare. E non perché ci manchi la fede o la speranza né la carità degli amici e degli amori; quelli sono lì ad aspettare che si compia il trapasso e di noi si possa finalmente piangere senza destare sospetto. Sono proprio e letteralmente le armi che mancano: andando si lasciano tutte indietro, e non ci si volta nemmeno. Ora io non so cosa si chiami a raccolta in punto di morte, non sono ancora morto e chi ho visto andare non me lo ha voluto confessare. Però una cosa è certa: dopo qualcosa manca che non torna.

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Su «Ogni vigilia è disarmata» di Giorgio Mannacio

di Ennio Abate

Appunti e interrogativi

Con Giorgio Mannacio ho fatto – anche in compagnia di altri poeti e scrittori dell’area milanese e sempre in concorde discordia – alcuni tratti di strada insieme (Monte Analogo, Laboratorio Moltinpoesia alla Palazzina Liberty di Milano tra 2006 e 2012). E continuiamo a farne altri con Poliscritture, a cui egli non ha smesso di collaborare. Anche per ribadire la mia attenzione alla sua ricerca, pubblico subito le mie impressioni di lettura dell’ultima sua raccolta poetica, alla cui sobria presentazione al Teatro Arsenale sabato 14 dicembre 2019 (qui) ho partecipato con piacere. Qua e là – a completamento o a correzione della mia interpretazione e comunque per passione del confronto – ho integrato (vedi Note) alcune utili osservazioni che nel frattempo Giorgio, su mia sollecitazione, mi ha inviato per e mail. [E. A.]

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