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La memoria delle classi subalterne

di Margherita Lorenzoni

Il titolo del libro di Velio Abati (La memoria delle piante) rivela la centralità del tema della memoria.
La memoria che interessa all’autore è quella delle classi subalterne (in particolare quelle che appartengono a un mondo contadino che lui, per ragioni biografiche, conosce bene e che è ricorrentemente protagonista della sua scrittura). Dall’antichità al presente, si raccontano le condizioni degli oppressi, che siano poveri contadini che subiscono le razzie di “potenti e cavalieri”, braccianti agricoli del mondo contemporaneo sotto la violenta autorità di un caporale, famiglie contadine del secolo scorso alle prese con i duri cicli della terra e così via.
Voltando le pagine siamo di volta in volta catapultati in un punto diverso della Storia, in modo spiazzante e disorientante. Adesso ci troviamo nella campagna medievale, poi in un podere ai tempi del dopoguerra, subito dopo nel villaggio di un mondo antico e pagano, e poi ancora chissà quando. Continua la lettura di La memoria delle classi subalterne

Dove il crinale accarezza il sorriso del cielo

Sensibilità ecologista e sentimento della montagna nei versi di Gianmario Lucini

Una versione precedente di questo articolo del 9 settembre 2017 (in forma di opuscolo e con le immagini di Stefania Corti) é uscita nell’ottobre 2015 in Poliscritture (qui). [E. A.]

di Marcella Corsi

Gianmario Lucini è stato un poeta, un editore coraggioso, un critico attento, sensibile, un umanista, un animatore socio-culturale a tutto campo e… una persona assolutamente amabile. Soprattutto uno che vale la pena rileggere. La sua poesia in particolare è una poesia che aiuta a vivere.

Conosceva, amava e rispettava la montagna. E non di rado i suoi versi vi hanno fatto riferimento. In questa occasione vorrei rivisitarne alcuni ‒ tratte soprattutto da Istruzioni per la notte, l’ultima delle sue raccolte pubblicate ‒ sottolineando la sensibilità da ecologista che vi si legge: l’attenzione profonda alla natura, l’accoglimento nei confronti dei viventi tutti, un dialogo prezioso con il silenzio, un sentire ‘paritario’rispetto agli animali, talora il ‘sentirsi albero’, l’appartenere ad un paesaggio. E sempre, anche nei versi di maggior lirismo, il prescindere da ogni bamboleggiamento naturalistico.

La poesia di Gianmario è infatti, per sua stessa definizione, “poesia lirica”, che tuttavia “tematizza aspetti della realtà, pur nella sua crudezza. Il lirismo non è infatti soltanto poesia del cuore o dei buoni sentimenti ma è anche l’epica della coscienza, dei suoi conflitti e dei sentimenti che li agitano” ( traggo dalla nota che lui stesso premise a Vilipendio). Il fare poesia di Gianmario era “un appassionato inseguimento del reale” (utilizzo la definizione che di poesia dà Czeslaw Milosz in La testimonianza della poesia) che si esprimeva soprattutto in testimonianza, impegno, dissenso, proposta. Il sentimento della natura ne era parte. Le sue montagne ne costituivano l’indimenticata sorgente.

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L’intelletto delle erbe

Prove per un approccio ecocritico ai versi di Fortini: Una obbedienza

Ripubblico in versione completa questo importante saggio già comparso   nel n. 9 cartaceo di  Poliscritture (gennaio 2013) ma mutilato di alcune importanti note. [E. A.]

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Vorremmo la bicicletta? Ma sappiamo ancora pedalare?

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CAPORALATO. Proviamo a immaginare se tra un mese tutti i lavoratori del settore agricolo fossero pagati con un salario minimo di 9 euro l’ora. Salterebbero migliaia di aziende, di negozi, di ristoranti, d’intermediari

Nel 1972 Einaudi pubblicava la traduzione italiana de “L’economia politica della schiavitù” di Eugene Genovese e nel 1973 nella collana “Materiali marxisti” di Feltrinelli usciva “Lo schiavo americano dal tramonto all’alba” di George Rawick. Ho l’impressione che anche tra di noi un corso di ri-alfabetizzazione sullo schiavismo sarebbe necessario. Perché, malgrado la costante attenzione sull’accoglienza, i salvataggi in mare, le ong, gli accordi con l’Albania e la Tunisia, sulla questione immigrazione insomma, rimane del tutto in ombra il problema di sapere, una volta che sono stati salvati, questi esseri che fine fanno in un paese come l’Italia, che dovrebbe essere un paese civile. La percezione che alcune filiere fondamentali dell’economia italiana poggiano sullo schavismo non è affatto chiara, credo anche tra di noi. Cioè non ci si rende conto che lo schiavismo ha determinato la struttura dei costi di alcune filiere e come tale è materialmente impossibile eliminarlo. E’ diventato legge del mercato, tacitamente riconosciuta e accettata da tutti. Proviamo a immaginare se tra un mese tutti i lavoratori del settore agricolo fossero pagati con un salario minimo di 9 euro l’ora. Salterebbero migliaia di aziende, di negozi, di ristoranti, d’intermediari – uno tsunami incomma. Quando in un determinato settore si consolida una certa struttura dei costi, e principalmente un determinato costo del lavoro, per cambiarla ci vuole qualcosa che assomiglia a una rivoluzione. Infatti nella storia recente dell’Italia è avvenuto una sola volta: negli anni 70. E abbiamo visto come è finita.

Ho l’impressione che la schiavitù, invece di essere percepita come elemento strutturale della nostra esistenza come cittadini-consumatori, sia ancora intesa come eccezione, come serie di casi singoli, di casi estremi. E anche quando viene riconosciuta come schiavitù, viene data per legittima. Mi viene in mente il caso di Grafica Veneta, la più importante stamperia italiana di libri, quando, nel luglio 2021, venne fuori che impiegava lavoratori pakistani in condizioni disumane. Ci furono anche una decina di arresti. Sarebbe stato logico che Confindustria del Veneto mettesse alla porta un socio che praticava lo schiavismo. Sarebbe stato logico che le banche rifiutassero i crediti a un’azienda che non rispettava i famosi tre parametri ESG (environmental, social, governmental). Figuriamoci, anzi, il titolare poteva continuare a dare interviste alla grande stampa come opinion maker ed affermare che lui s’era stufato di pakistani che non si lavavano. Alla stessa maniera il titolare dell’azienda che ha trattato in quel modo barbaro Sitman Singh può dichiarare in tv che è stata colpa dell’indiano e che a causa sua la comunità di Latina ha avuto un danno d’immagine.

Quanto ormai la percezione della schiavitù e della sua dimensione strutturale sia debole lo si vede anche dal modo in cui si confonde caporalato e schiavismo. Sebbene intrecciati, sono due fenomeni distinti. Di caporalato si occupava già Di Vittorio, lo schiavismo di cui stiamo parlando è roba recente e il fatto che dentro ci siano anche italiani non cambia le cose.

Come se ne esce? Non se ne esce, dobbiamo dircelo e smettere l’insopportabile ipocrisia con cui si parla d’inasprimento delle pene, di rafforzamento dei controlli, di formazione. Tutti miserabili palliativi. Ora che la struttura dei costi si è consolidata in quel modo nella filiera agro-alimentare, nella logistica e in altre ancora, dopo decenni che ben poco si è fatto o si è stati capaci di fare per impedirlo, solo un movimento di massa di carattere rivoluzionario, ossia un movimento che implica una serie complessa di azioni, non solo sindacali, e soprattutto un cambio di mentalità del senso comune, può cambiare le cose.

Fino a quel momento l’Italia resta un paese con un grado d’inciviltà veramente umiliante, che ha riportato in Europa – non la sola, ma in misura superiore ad altre nazioni – lo schiavismo. E poiché l’Europa ha avuto un ruolo fondamentale non solo sulla questione dei diritti umani ma soprattutto dei diritti di chi lavora, è un bel triste primato.

Esiste nel nostro Codice Penale il reato di “riduzione in schiavitù”, è l’art. 600 C.P.. Ricordo solo un caso dove è stato applicato – ma ce ne saranno stati molti altri. Era nei confronti di un’azienda di trasporto. Erano autisti, camionisti long haul. Un ambiente che seguo da qualche decennio, dunque non mi ha meravigliato.

Grazie Satman Singh, grazie di averci resi un po’ più consapevoli di quello che siamo. La tua effigie dovrebbe stare su un cartello infisso su ogni campo dove si coglie la frutta e la verdura e in moltissime altre situazioni di lavoro ancora, dalle Prealpi alle grandi isole.

Un ultimo pensiero. Di recente un grave infortunio mi ha costretto a una lunga degenza ospedaliera in una struttura della sanità pubblica. Ho trovato dei giovani medici bravissimi in tutto, dal rapporto col paziente all’uso delle più moderne tecnologie. In questo paese dove l’onda nera dell’inciviltà sale inesorabilmente è la gente come loro, nella scuola, nella vita quotidiana di ogni giorno, a tenere in piedi la baracca. Siano questo tipo di persone, di professionisti, di gente comune, di esempio alle nuove generazioni. Qualche segnale che i ventenni l’abbiano capito, c’è già.

* Questo tema è stato sviluppato in Sergio Fontegher Bologna, Alcune note sulla questione dei ceti medi e dell’estremismo di destra in Italia dal dopoguerra a oggi, Acro-Polis, 2024

anche le tartarughe forse nella pioggia

di Marcella Corsi

Elemosina di persi amori la poesia”)// feci la scelta quella sera, fortunata/ di portar via Camminando un libro in versi/ da subito bello poi stupefatto di verde d’azzurro/ stupefacente e ancora grandemente bello// m’ha rallegrato di buona compagnia/ più d’una giornata: sguardi aperti, sapienti/ corteggiamenti, piogge leggere scrosci luci silenzi/ un’attenzione al dettaglio affettuosa, esperta// una vita in versi risolta e risolutamente/ amorosa, anche le tartarughe forse nella pioggia.

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