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Il falso vecchio dentro il rumore di fondo

Riordinadiario NEI DINTORNI DI F.F. 1996

di Ennio Abate

Questo articolo fu pubblicato su ALLEGORIA n. 20-21, Anno VIII, NUOVA SERIE, 1996, nella rubrica “La ricezione”. Il suo sottotitolo, “Rileggendo i necrologi in morte di Franco Fortini”, chiariva bene il suo contenuto. La pagina 276, che qui ho copiato, riassume la critica che ha guidato da allora la mia riflessione su Fortini: “la maggior parte della cultura di sinistra italiana [che nel 1996 ancora c’era] non può più onorare Fortini assieme al suo comunismo. Perché se ne era già da tempo disfatta (di quel comunismo e di Fortini)”.

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senza nulla capire della morte

di Gianfranco La Grassa (Franco Nova)

L’INUTILITA’ DEI DESIDERI
 
Sempre avanti verso le nostre voglie,
eppure mai giungono a conclusione.
Camminano lenti e incerti i fantasmi
di vecchie conoscenze senza successo.
Le amicizie tremano e non ricambiano
temendo un prossimo fallimento
perché i colloqui densi di ricordi
scorrono verso un ben amaro finale.
I sentimenti sono tanto provati
in questi tempi dal passo sicuro e
si rapprendono in blocchi omogenei
cambiando l’abito delle nuove mode.
Dentro di noi è tutto in movimento
verso la fine mai prima pensata.
Non giungeremo agli obiettivi
sempre voluti e mai realizzati,
mentre intorno una fitta nebbia
sfuma i desideri tanto provati
da immergere il nostro animo
in un liquido denso di passioni
irrefrenabili ma mai soddisfatte.


MEGLIO DISTRARSI CON L’INUTILE
 
Senza rimorsi né pentimento
la temuta morte entra nel Nulla;
il cuore batte e ribatte sul
pensiero piegato al male.
Quanti ricordi del malato
implorante una benedizione
nel suo inutile credere ad
una morte ancora lontana.
La mia è in avvicinamento,
subdola mentre piega il lembo
della vita sopra ogni pensiero.
Quanto inutile quel tremare
dolente solo nella fantasia,
perché mentre si affila l’arma
la decisione sarà inaspettata.
Ci svegliamo paurosi la mattina,
la megera medita il giusto momento.
 
NON VEDIAMO LA REALTA’
 
Il crescendo dell’odioso gracidare,
senza presenza degli orridi animali,
è la vita che muta la sua prospettiva
e assume il suo vero essere.
Quante illusioni nella giovinezza
e quante ancora nel sopravvivere
mentre s’allarga il burrone nella
prospettiva della caduta finale.
Continuiamo ad essere speranzosi
senza accorgerci che l’animo
ha invertito la sua direzione
avviandosi alla bufera finale.
Siamo sempre allegri e fiduciosi
mentre in noi cupa incombe
la nera nube viepiù riottosa,
che mai sparisce pur non vista.
Ci apparirà improvvisa e noi
non lo crederemo se non quando
ci avvolgerà per intero soffocandoci.
Sempre così la nostra misera vita,
si mostra cinguettante e gioiosa
mentre prepara la nera prospettiva
di una fine priva d’ogni fiore, che
gli amici ci metteranno ancor vivi
senza nulla capire della morte.

Città greche dell’Asia Minore

di Eugenio Grandinetti

“Noi adesso ce ne andiamo a poco a poco / verso il paese dov’è silenzio e gioia. / Forse, ben presto anch’io dovrò raccogliere / le mie spoglie mortali per il viaggio” scriveva nel 1924 Sergej Esenin in versi che mi tornano sempre in mente ogni volta che penso agli amici che se ne sono andati. Eugenio Grandinetti è uno di questi. Sto cercando di seguire la vicenda della prevista, ma purtroppo ritardata, pubblicazione di un’antologia delle sue poesie a cura di Luciano Aguzzi. Ho saputo che il 23 aprile scorso al Cenacolo Sant’Eustorgio di Milano sono state lette sue poesie per ricordarlo. E, grazie al paziente lavoro di Rosa De Meo, dispongo ora della trascrizione di alcuni testi manoscritti (per lo più bozze di poesie già edite) recuperati da Anna Maria, la sorella di Eugenio. Più avanti ne pubblicherò qualcuno. Oggi voglio ricordarne la figura ai lettori di Poliscritture con questa sua ampia poesia tutta immersa nel sogno di un’antica civiltà sepolta. [E. A.]

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