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Noè

Chiesa di San Maurizio al Monastero Maggiore, in Corso Magenta, Milano, Aurelio Luini, 1556

 

di Cristiana Fischer

La vita cambia e non si ferma un'ora
tra insulti e precipizi interrogare 
in presenza ineluttabile la scienza 
e la ragione di questa assistenza/
assenza imprescrittibile
all'esistenza che ci lega. Non ce n'è ragione
altro che materiale survivenza. 
Testimoniamo a chi, denominiamo
il demone vitale che ci inchioda
a cui giacere insidiato dai dolori 
e tuttavia fecondo di pensieri. 
Vita demente e contraddittoria
l'unica che abbiamo e confidiamo
in speranze indefinite e eterne
di una pace ripiena di speranze 
come finite e mai cassate
come se fosse un fine all'esistenza
felicità perenne in una vita 
di spirituale eternità. 
Potrei desistenziarmi 
come alberi e insetti che circondano 
la vita naturale e conciliarmi
con una morte chiara che rinasce
in ogni forma naturale. Ma il pensiero 
che mi tormenta a tratti
e che mi storna dagli altri astratti 
organismi animali quasi simili
che forse non hanno pensiero 
della morte e fine individuale
ma noi perenni animali pretendenti 
abbiamo inventato noi già assieme
quel dio che ci assomiglia e la natura 
eccelsa della nostra differenza
da ogni altra specie, che la scienza
ci presenta diversa e che non ha
un dio che la difenda e la proietta   
con le altre specie in vera infinità
come Noé racconta in una storia
vecchia nella memoria. 

Due testi da recitare

di Angela Villa

Sono tratti dalla raccolta “Il mare non esiste”, un monologo per cinque voci e un personaggio. La punteggiatura non soddisfa le regole grammaticali ma indica il tipico modo di parlare dei bambini. Gli “a capo” del testo non hanno la pretesa di essere versi ma pause recitative, momenti di respiro e silenzi, indicazioni per l’attrice. Continua la lettura di Due testi da recitare

Filastrocca

di Rita Simonitto

La fanciulla all’imbrunire
Parlò al sol dell’avvenire.
Era ancora rosso e tondo
Ed a lui guardava un mondo
Di speranze e illusioni
Nonostante che i ‘maroni’
Da gran pezza fosser rotti.
Il modello “chiagni e fotti”
Sempre a pochi riservato.
Ed il bene del creato?
Addossato alla plebaglia
Se bruciava come paglia!
E se andava alla rovina?
Stringi i denti, testa china!
Ma allor il cambiamento
Ingannò un buon “percento”!
Che mi dici solicello
Che ti copri col cappello
Dell’ aver svelato arcani
Ma lasciasti nelle mani
Di moderne satrapie
Monopoli e ideologie?
La gestione del potere
Che passava dal sapere?
Ma il sol disse: “bella mia,
Libertà e autonomia
Non esistono in natura
E ci vuole lotta dura
Per gestir le ipocrisie
E affrontar anche eresie”.

17.05 2024 
 

Nei dintorni di Franco Fortini (1996-2024)


di Ennio Abate

Ho fatto un indice in ordine cronologico (dal 1996 al 2024) di tutti i miei scritti – almeno quelli che sono riuscito a recuperare da una breve ricerca su vari blog da me curati o seguiti – su Franco Fortini e su temi collegabili alla sua opera. Alcuni sono dei saggi ma prevalgono gli interventi o i commenti d’occasione, spesso con repliche a vari interlocutori. L’insieme costituisce l’ossatura di un “quasi libro” cui da decenni penso. Lo pubblico sperando ancora in suggerimenti o osservazioni da parte  di lettori attenti a questi temi. E in qualche improbabile indicazione su un possibile editore interessato a questo mio  solitario studio per “proteggere le nostre verità”. (E. A.) Continua la lettura di Nei dintorni di Franco Fortini (1996-2024)

Consigli al giovin scrittor d’oggi (febbraio 1998)

Omaggio camuffato a “Breve secondo Novecento” di Franco Fortini
in “La mosca di Milano” 

di Ennio Abate

1.

Se/ obbligato ai tic e vivaci moine/
per salotti e soirées/ fra ceti medi e alti/
hai corso/
qualcosa di grandioso e abietto/ sullo sfondo/
e in filigrana/
feroci e oscure circostanze
sveli/
la tua cartamoneta scritta/

Piena di leggerezza/ allor/
sarà nel crash delle utilitarie/
la tua danza davanti alla ghigliottina

2.

Or che alle domande capitali /
della religione e della storia/
ha risposto il Capital (rivista!)/
e le Avanguardie/
han fatto flop (o Blob)/
rifugiati in camera da letto/
e goditi la gamba della donna

Ovvio premunirti/ lo puoi/
e teco reca in scorta/ fra sensualità e amarezza/
fazzolettini ricamati della migliore educazione letteraria/
il tuo io stia / insieme egocentrico e decentrato/
comodo/ su un paesaggio di vacuità festiva/
di serenità appena minacciata dalla vecchiaia

3.

Trova dei critici simili a te/
non gemelli/ ma della tua medesima cultura/
Dissipa e moltiplica i punti di vista/
le fratture/ gli antagonismi storico-sociali/
smessi/ abbandonali a quelli/
del Leoncavallo/

Rendi comico/ il Tutto/
di D’Alema il sorrisetto sprezzante/
del Buttiglione il viso allucinato e scimmiesco/
il capital di Berlusconi / così cafone e illuminato poco/
Sii fine insomma/ anche con Fini/
Scrivi solo bene/ per nuova plebe/
un bel collage alla Eco/
o alla Calvino un esatto montaggio/
del Nulla

4.

Giammai nelle tue poesie/
la miseria delle latterie/
Ma dovessi entrarci a scaldarti/
da disoccupato/
(cor gentil non scansa/ il suddetto malanno!)/
o per innominabili/ questioni economiche/
nelle periferie languissi/
spargi in crudi romanzi/
pedofili spelacchiati da giardinetti/
adolescenti cannibali in pubblci cessi porno-graffiti/
lolite manipolate su banchi di scuola/
durante l’ora obbligatoria di sesso a iosa/
Più squallide che puoi/ descrivile/
americanizzale/ bronxeggiale per benino/
e avrai/ in centro/ di botto una mansarda

5.

Non scrivere le verità che hai/
nel povero tascapane della tua esperienza/
Ai lettor paganti l’ozio guastan/
e sol dispersi e vaganti/ in estinzione/
critici ancora gustan/
Tu dei saper/ che sol/
procaccia fama/
l’Internet de il piacere della lettura/
Se l’amena rete/
è già intasata/ insisti/
Recati pellegrin/ nei siti del tardo romanzo storico/
o della rinomata/
apologia del comico e dell’ironia
Frequentali/ seduci/ fai ridere/
Dai l’impressione di un livello di cultura/
molto alto/

Ridi, godi o fingi/
e ti comprerà/ il partito di coloro che ridono/
poiché il mondo vuole essere ingannato

Nota

Breve secondo Novecento è un “libricino” postumo di Fortini uscito nel 1996 da Piero Manni con prefazione di Romano Luperini. Non mi risultano commenti o echi di rilievo, dopo l’annuncio della pubblicazione da parte di Attilio Lolini (il manifesto 10 ott. 1996). E forse è meglio così, visto che la prima circolazione era stata pensata solo per amici e conoscenti.
A me sta caro: è una tessera in più del mosaico personale che mi vado costruendo della sua opera, che rappresenta una singolare scuola di avviamento ad una scrittura critica per intellettuali di massa. Specie per quelli d’oggi, rabbuiati e confusi.
Una lettura attenta di Breve secondo Novecento ci mette poi di fronte all’ineludibile conglomerato storico-letterario-politico a cui lo stesso Fortini è appartenuto e che è oggi quasi del tutto ignorato dal dibattito culturale.
Fortini è fra i più letterati del Novecento. Eppure anche in queste brevi ritratti di trentasei moderni – da Arbasino a Calvino, Eco, Luzi, Pasolini, Zanzotto – sfora la Letteratura come un palloncino. Con i suoi spilli critici la libera dai miasmi d’accademia, di cenacoli, di gang, di Radio 3. Senza svenderla né restituirla ai Sacerdoti della Parola o del Mito.
Altri hanno compiuto operazioni in apparenza più radicali. Ma, abbassandola fino alla Trivial-literature o dissacrando il già abbondantemente dissacrato e contribuendo a resuscitare, per reazione, orfismi e new age, l’hanno resa indovinello, spettacolino, giochino miniaturizzato, merce insomma al contempo più elitaria e più vendibile, ma umanamente inservibile.
Pagine “letterarie” si trovano su tutti i mass media. Ma il revisionismo letterario è florido quanto quello storico e i cattivi maestri vengono sbeffeggiati, ripesati con la bilancia del buonismo o del cattivismo permesso e liquidati dai loro ex allievi approdati alle cattedre, ai salotti, alla TV.
Nulla, perciò, a gran parte del pubblico ancora leggente dice più il nome di Fortini e tantomeno interessano i problemi teorici, politici e di poetica su cui assieme ad altri spese una vita.
Di recente persino una giovane saggista capace di una polemica non puramente televisiva, come Carla Benedetti, ha preferito parlare di «Pasolini contro Calvino», saltando a più pari la critica fortiniana ad entrambi.
Come il barone di Munchausen si volle tirar fuori dalla palude prendendosi per i capelli, la Benedetti cerca una «via d’uscita dal gioco bloccato della letteratura» scegliendo una delle sue varianti postmoderne: postuma, sciolta (come un’Alka Seltzer) o ammaliata dal caos esterno (Leggi: mercato).
Come allora ripronunciare nomi di scrittori innominabili e richiamare problemi in apparenza “superati” ad una generazione che cova tranquilla nella bambagia della fine della storia e non sa che farsene degli antenati? o tirar l’orecchio al giovin scrittore senza staccarglielo? e infine invogliarlo a farsi critico, senza sentirsi chiedere quanto costa e a quale scuola di scrittura bisogna rivolgersi?
Mascherandosi da cinico andante. Miscelando Parini e Fortini. Sgambettandolo mentre corre verso il successo preordinato. Ci ho provato. Prosit.

Primme piezze e Salierne rint’a cape e Chiero

Narratorio 11

di Ennio Abate

Dint’a chella casa nove, e primme juorne – l’avite già raccuntate, Narratò! – cumme se sentevene sule, isse e Eggidie! Parevene duie piccirille lamentuse. Quanne c’ere o sole, saccusciavane pe tutt’o iuorne n’terra o balcone. Attacavene cu nu spaghe ao curnecione e a maniglie ra feneste langhele e nu miezze lenzuole viecchie, ca Nannìne tirava fora ra na panca, e se mettevene sott’a sta tenda arrangiate. A guardà o ciele e o mare luntane? No, stevene ore e ore a spià si quacchune passave pa vie. Ma pe via Sichelgaite passave poca gente. O nisciune proprie. E si verevene quacche guaglione o guagliottole ca iucavene miezz’a via, Nannine nunn’e vuleve fa scenne. Quanne po chiuveve o ngere viente forte, se ne stevene ncopp’ao pavimente, tiranne na palline e vetre contre e noce o e nucelle ca erene e birilli. Nun tenevane manche e giurnalette ra guardà. E Nannine nun sapeve cumme fa pe cunsulà. Se senteve perze pur’esse. O ere sule Chiero ca se senteve estranie, pure si ngerene Nannìne e Eggidie, pecché aveve perze a fune ca o teneve assieme ae cuggine, a nonne, ae zie, ae gatte, ae cilluzze e Casebbarone? Nu strappe rinte? Nu spaesamiente? Continua la lettura di Primme piezze e Salierne rint’a cape e Chiero

quella bella

di Marcella Corsi

calzini con le perle: le bancarelle
talora offrono regali sorprendenti e io
 
mi dico non scrivo perché ho altro da fare, forse
non è vero ma ho una madre
che ogni giorno dice che vuole morire e ogni giorno
m’intigno a farla sorridere, a tentare

io la prendo per sfida, lei non troppo di rado
 ci cade, qualche volta addirittura ride

*

Chissà com’eri madre, non ti sapevo affatto 
allora – seria nelle rade immagini 
che prendevano colore soltanto sulle labbra 
e movimento d’acque tra i capelli in tempesta

mi fosti nell’angolo culla imbottita di troppo cotone  
ma anche casa sicura, chiusa certo 
ché ancora dove vivo spalanco porte e finestre 
non solo alla luce del giorno

mi fosti pure tiepida rara morbidissima carezza
e specchio adulto di miei adulti probabili difetti 

“Quella bella” diceva la zia Ofelia ed eri bella
tu ragazza più di quanto si dovesse
ma appartata e ferma, tigrata in un’ombra 
che a tratti si apriva di limpidezze o di braci 

nessuna deriva nel tuo guardare
eri già piccola vetta di roccia viva

Chissà com’eri madre che non ti so nemmeno 
ora, che mi ripeti assoluta quel che eri e un po’ stranisco
e poi m’ingegno già da adesso di ricordarti bene
non so se come m’asserisci oppure 

come mi pare fossi allora e forse anche ora

*


quella febbre dava corpose allucinazioni 
colorate, la gonna viola – a balze di pizzo cucita 
per fianchi stretti – ballando per farmi ridere
l' indossò la tua matura maternità di rado ridente

non fosti mai così bella, tu così bella, madre

*

sola nella gioia nella disperazione d’albero vivo strozzato
davvero non ti ho mai saputa e non ti trovo addosso
nessun gesto che mi sia conosciuto carezzato o pianto

non ti trovo addosso nessun pezzo di me, così non so 
se dopo ti piacerà d’incontrarmi   

*

Sei nel vento lo so perché almeno dopo
pensavo vorrai andare e andare come mai forse nella vita

e respirare a pieni polmoni e cantare
quelle tue canzoni vecchie che ho imparato

anch’io ad amare