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“Salerno, rima d’inverno”

Narratorio 4

di Ennio Abate

Doveva fare molto freddo d’inverno. Chiero e Eggidie una volta corsero in cucina di prima mattina, mentre Mineche e Nannìne ancora dormivano. E – sorpresa, meraviglia – nei colli delle bottiglie lasciate fuori la notte sul davanzale l’acqua era diventata ghiaccio. Euforia della scoperta di un fatto inatteso. Speranza di convincere Nannìne a non accompagnarli a scuola dalle monache. Almeno per quel giorno.
Doveva fare molto freddo d’inverno. Per scaldare almeno un po’ la stanza da pranzo – la più usata di giorno
perché sull’unico grande tavolo si mangiava, i ragazzi facevano i compiti o Nannìne, coprendolo con una vecchia coperta di lana e un lenzuolo, ogni tanto stirava – avevano un braciere d’ottone.  Mo appicciamm’a vrasera. Riempito di carbonella ardente   presa dai fornelli della cucina, portato con cautela in sala da pranzo e appoggiato su un piedistallo circolare  di legno grezzo. Nannìne ci metteva spesso l’asciugapanni di liste intrecciate di compensato dove stendeva maglie di lana, calzini e altri indumenti perché asciugassero in fretta.

Doveva fare molto freddo d’inverno. La carbonella veniva conservata in soffitta in un cassonetto di legno e toccava ai ragazzi salire
e prelevarne quella da consumare in giornata. Il negoziante la consegnava periodicamente in una sacchetta portandola fino a casa. Ma per non farla mancare mai, in certi  giorni Nannìne andava lei a comprarne piccole quantità. E  tornava affaticata a piedi su per la salita  tirando su  una vecchia borsa di pelle a  triangolini neri o marroncini cuciti assieme. 

Doveva fare molto freddo d’inverno. Mìneche, sotto i pantaloni portava pesanti mutandoni di lana che gli arrivavano alle caviglie. E già faticava a piegarsi quando doveva togliersi gli stivaloni, che gli erano rimasti dal periodo militare assieme al pastrano, a una baionetta, a una borraccia, a un frustino di cuoio. Seduto sulla poltroncina accanto al suo letto matrimoniale, a volte si faceva aiutare da Chiero e Eggidie. A toglierseli. O ad allacciarseli. Loro si accoccolavano a terra e incrociavano le lunghissimi stringhe attraverso le borchiette d’acciaio. Alla fine lui le tirava e stringeva il nodo.

Doveva fare molto freddo d’inverno. A Chiero e Eggidie venivano i geloni sulla piega alta delle orecchie. Portavano maglie di lana grezza. Pungevano sulla pelle e dopo qualche lavaggio si restringevano. Stavano spesso accanto a quel braciere per scaldarsi mani e piedi. E prima di andare a dormire e infilarsi tra le lenzuola gelide, Nannìne metteva per un bel po’ sulla brace dei fornelli in cucina due mattoni  pieni e pesanti di terracotta. Quando erano caldi, li avvolgeva in vecchi panni di lana un po’ bruciacchiati per il continuo uso e li metteva nella parte bassa dei letti sotto le coperte in modo che scaldassero i piedi.

Nota
“Salerno, rima d’inverno” è un verso di Alfonso Gatto:

« Salerno, rima d’inverno,
o dolcissimo inverno.
Salerno, rima d’eterno.
 »

 

La sera in Via Sichelgaita

Narratorio 3

di Ennio Abate

 A quei tempi Via Sichelgaita era appena sterrata e c’erano pochi lampioni piantati su pali di legno. Distanziati più di cento metri l’uno dall’altro. Le lampade mandavano un alone fioco e circoscritto. Solo nelle notti calme, se c’era la luna piena,  quei pochi globi di luce venivano riassorbiti e il nero del cielo sembrava diventare di un azzurro delicato.

 

Quante volte accadde? Quando il buio calava, nella stanza che divideva con Eggidie, Chiero – la fronte premuta sul vetro freddo della finestra e già inchiodata da un’angoscia che poteva crescere di botto – fissava uno spicchio di strada illuminato dal lampione all’angolo della curva del convitto Pascoli a trecento metri di distanza. 
Cercava di indovinare tra le sagome scure, che ogni tanto lo attraversavano stagliandovisi  per pochi attimi, quella piccola e lenta di Nannìne, che certe sere tardava a tornare da qualche visita ai parenti.
Nella stanza da pranzo, Mìneche,  sulle spalle il pastrano di  quand’era stato soldato e che, quando andava a dormire, stendeva ai piedi del letto matrimoniale dalla sua parte per tenere i piedi  più al caldo, s’era addormentato per la stanchezza  sulla sedia russando, mentre la Radio Marelli continuava le trasmissioni. E Eggidie?
L’arrivo del buio precipitava ogni volta Chiero in un sentimento di paura. La palazzina a tre piani di Via Sichelgaita 48  e quelle circostanti svanivano in quell’oscurità. Chiusi i portoni o i cancelli che davano sulla strada,  ogni famiglia si isolava. E Nannìne controllava più volte che fosse chiusa bene a chiave la porta d’ingresso. Controllava pure che anche la spranghetta fosse tirata fino in fondo. Poi  spegnevano le luci della cucina, della sala da pranzo, del corridoio. Anche la porta interna che separava le due stanze da letto – quella matrimoniale di Mìneche e Nannìne e quella accanto, dove dormivano Chiero e Eggidie – veniva chiusa con un’altra minuscola spranghetta a scorrimento.
Per impedire al freddo, che d’inverno penetrava dalla cucina e dalla sala da pranzo rivolte a nord di arrivare anche nelle stanze da letto poste a sud? O l’abitudine di sprangare per la notte non solo la porta di casa ma anche la porta interna 
con quella piccola serratura – e, vabbè, che allora si usavano  i vasi da notte – diceva di un bisogno esagerato di proteggersi da imprecisati pericoli?
Come se vivessero ancora in campagna, ancora a Casalbarone – ah, le galline tirate fuori di sera dal pollaio esterno alla casa di di zia Assuntina e messe al sicuro nella stalla – e non in città?
Timore dei ladri?
Se fossero entrati in casa scassinando la porta d’ingresso, si sarebbero sentiti, per quella piccola serratura, più al sicuro? Li avrebbero lasciati frugare nel resto dell’appartamento – il corridio, il salotto, la sala da pranza e la cucina – senza intervenire, senza  gridare o chiedere aiuto? Tanto il “tesoretto” – poche collane o fermagli d’argento e d’oro – era al sicuro in un cassetto dell’armadio della stanza matrimoniale di Mìneche e Nannìne…

A Salierne

Narratorio2

di Ennio Abate

Di botto a Salierne. In Via Sichelgaita 48. Basta con Casebbarone e con la casa di nonna Fortunata. Basta coi cugini. Basta con le stradine silenziose che a serpentina s’insinuavano tra i campi coltivati, anch’essi senza rumori. Lì Chiero ci passò sempre a piedi. E più tardi – d’estate, durante le vacanze ai tempi in cui a Salerno fece le elementari e le medie – sulla bicicletta dei cugini Alfano. In auto, solo tanti anni dopo.

Via Sichelgaita era un posto nuovo per due guagliuncielli, curiosi e spaesati. Ci vanno ad abitare che è il quarantacinque-quarantasei, a guerra finita. Cà isse e o frate suoie, Eggidie, là nun cunuscevene proprie a nisciune. Stevene chiuse ‘ncase. E e primm’e iuorne nun scennevene manche fore nzieme a l’ati guagliune ca facevane bande, ma se ne stevene ‘ncopp’ao balcone ra palazzine, ca ere o nummero 48 e Vie Sichelgaite. E, a sere, che tristezze. Quanne faceve notte pe sta via s’appicciavene si e no quattre lampiuni. Une ogni ciente metre. E cu na lampadine debbole ‘ncima a nu pale e legne. Ca, quanne se fulminave, l’operaie aveva saglie cu doie specie e favece e fierre attaccate ae piere. Po a mamme nunne tenette chiù. Specie a Nunuccie ca vuleve scenne abbascie a giucà chiagneve e sbatteve e piere pe terra e urlave. Nannine non voleva. Li fece scendere soltanto nell’androne interno sott’o purtone. E là giocavano con le figurine ‘ncopp’e gradine. Oppure ievene rint’o giardine ra signora Goglie e stevene nu poche cue figlie femmene ra signora Goglie, Rosanne e Ada (ca Ughe se ne ieve pe cunte suoie). Soltanto alcune settimane dopo che erano arrivati nella nuova casa, Chiero e o frate riuscirono a fare amicizia anche cu e guagliune ca facevene a banda e Via Sichelgaita e ievene là attuorne pe miezz’ae campe. Nannine nu poche s’ere rassegnate, pure se teneve sempe paure. E che puteve fa? O guaglione se ne scappave fore lo stesse pe ghi a giucà cu Anielle e Peppeniell’e, e figlie ra signora Martine, Rosarie e Tunine Iemme e po Carle Sassone e a sore chiù piccirelle, Lucie. E po quacche vote arrivavene pure ati guagliuni e guagliune ra ate palazzine. Venevene Adriane e Marie. E Rosario ca ere o chiù gruosse e po chillu puverielle ca o chiamavene o Zelluse. ca manch’ se sapeve che nome faceve.

Mai indifferenti. Voci ebraiche per la pace.

a cura di E. A.
Stralci telegrafici:

Non fare degli ebrei un mucchio… Riconfermare la funzione critica del pensiero ebraico… Mantenere aperto un dibattito pubblico anche coi palestinesi… Antagonismo collusivo tra la politica di Netanyahu e quella di Hamas… La democrazia israeliana sta divorando se stessa… Il trauma della guerra per i bambini che non hanno parole, capacità di elaborazione… Donne per la pace in piazza ogni settimana a Milano in silenzio… giornalisti uccisi (da 96 a 130) ma in termini scientifici bisogna fare la ricerca sul numero totale (difficile da trovare)…la probabilità di morire dei giornalisti è 6 volte superiore a quella della popolazione comune…la maggior parte è stata uccisa in casa…Siamo in un contesto sempre più sfavorevole a soluzioni di pace…La popolazione in Israele vive in una bolla mediatica controllata dal governo di Netanyahu…


Nota

Il sito di Mai indifferenti: https://maiindifferenti.it/

Un questionario sulla sinistra (2008)

l e risposte
Ennio Abate

Dopo le ultime elezioni dell’aprile 2008, di discussio
ni sulle sorti della sinistra, come questa promossa con
un questionario da POLISCRITTURE – si veda il box
a fianco – ce ne saranno state tante in Italia (qualcuno
dice troppe) e mi piace pensare che piagnistei, rancori
e fatalismo non le abbiano troppo inquinate. Il nostro
questionario Sinistra 2008 in discussione è sorto da
un’esigenza: intensificare su un tema politico spinoso
il confronto tra la redazione di POLISCRITTURE e i
lettori-collaboratori-osservatori. E non a caso diversi di
noi hanno risposto anch’essi alle domande senza porsi
soltanto nel ruolo di giudici o di arbitri. Abbiamo così
messo in pratica l’idea-base della rivista, quel poliscri
vere , sperimentato in questa occasione in modo non
gratuito, ci pare. Una quarantina sono state le risposte,
tutte pubblicate sul sito www.poliscritture.it, e questo

Si legge nel n. 5 cartaceo di POLISCRITTURE
scaricabile gratuitamente
QUI

Appunti di giornata (2)

RIPESCAGGI CASUALI/ EX SESSANTOTTINI/ MITI LETTERARI D’OGGI IN COSTRUZIONE: CARLO BORDINI

Oggi lo ricordano così: Carlo Bordini, linee biobibliografiche – “Tutto è stato già detto ma io lo dico di nuovo”, di Claudio Orlandi di Claudio Orlandi  (QUI). Io lo ricordo così:

1. Aveva risposto ad un questionario su SINISTRA 2008 IN  DISCUSSIONE  (vecchio sito di Poliscritture perso):

quando stavo in un piccolo gruppo trotskista qualcuno mi chiamava “l’empirico”, perché non leggevo e non studiavo. in effetti non ho letto la maggioranza dei libri dell’elenco, e le mie idee di basano soprattutto sull’osservazione della realtà e sull’esperienza personale, oltre che su una pratica di ricercatore di storia dovuta al lavoro che sono stato obbligato a fare per anni.
consiglierei comunque di aggiungere all’elenco un paio di libri: la storia del pci di paolo spriano, in cui si dimostra che la vittoria del fascismo è stata largamente agevolata dalle manchevolezze le esitazioni e i settarismi del partito comunista e socialista (vedi l’esperienza degli arditi del popolo, organizzazioni paramilitari di difesa antifascista boicottate per legalismo dai socialisti e per settarismo dai comunisti), e l’affaire moro di sciascia.
per quel che riguarda la prima questione, sono propenso alla seconda soluzione. il movimento socialista è fallito in tutto il mondo, nonostante marx avesse capito e previsto dove stava andando il mondo, ed è inutile tentare di risuscitare un cadavere. in italia, poi, le nostre amate organizzazioni di sinistra hanno tirato la volata a berlusconi con la bicamerale, e hanno distrutto la sinistra più radicale (dimostratasi anch’essa abbastanza inconsistente) con veltroni, che ora fa da critico-amico a berlusconi. questa gente non serve, e anzi è di ostacolo. bisogna ripartire dal basso, dalle lotte, e creare nuove forme. anche le vecchie dottrine non servono, e fanno parte, purtroppo, del bagaglio delle utopie.
carlo bordini

2. Nel 2016 su LE PAROLE E LE COSE ci eravamo confrontati polemicamente così (QUI)

***

ANNI OTTANTA. MILANO-SPOESIA
Su un articolo di LPLC
https://www.leparoleelecose.it/?p=49073

Ennio Abate11 APRILE 2024 ALLE 08:04Il tuo commento è in attesa di moderazione. Questa è un’anteprima; il tuo commento sarà visibile dopo esser stato approvato.

Dimmi che aggettivi (vaghi o approssimativi) usi e ti dirò se il tuo stile è “mercantile”( G. Majorino) o meno:

1. convincente, improvviso: e di una nuova, convincente, tendenza all’affermazione individuale); per arrivare all’invecchiamento improvviso della sinistra storica in Europa

2. nuova, “amichevole”: Ciò che in Milano·poesia era ancora una germinazione di situazioni orientate in direzioni molteplici, è divenuto oggi rete collaudata di festival sostenuta dagli uffici marketing delle case editrici, di produzione cinematografica e delle gallerie d’arte: vari settori di una nuova “amichevole” industria dell’intrattenimento di qualità (ecco una definizione aggiornata della vecchia “industria culturale”).

3. adveniente: la convinzione di trovarsi sulla soglia di una adveniente stagione aurea che in realtà non arriverà mai.

 

Appunti di giornata su FB (1)

di Ennio Abate

4 APRILE 2024

ADRIANO SOFRI

Ennio Abate

“Allora, da dove può venire una convalescenza? Penso che possa venire solo dagli uomini “vecchi”, da chi abbia sperimentato fino in fondo il vicolo cieco dell’oltranzismo e si ricreda:” (Sofri)

Lei dimentica i danni di quell’*oltranzismo* dei vecchi capi “pentiti” (?) e dà il lasciapassare a quello degli attuali “sergenti” diventati “generali”. Anch’essi si “pentiranno”- stia sicuro – ma dopo aver fatto il loro “dovere”.

5 APRILE 2024

DOPO AVER LETTO “l’URLO E IL FURORE” DI W. FAULKNER E AVER ASCOLTATO LA CONFERENZA DI EZIO PARTESANA (QUI)

E PAVESE? PAVESE/FAULKNER
https://www.ajol.info/index.php/issa/article/view/158781
Dopo una breve rassegna delle reazioni alla produzione di William Faulkner in Europa, l’articolo analizza la ricezione di Faulkner in Italia, gli atteggiamenti mostrati da critici e intellettuali italiani nei confronti della sua narrativa e le diverse strategie che sono state adottate nella traduzione in italiano delle sue opere più importanti negli anni. Cesare Pavese, il cui interesse per la letteratura statunitense è noto, sembra non aver prestato grande attenzione a William Faulkner e il suo rapporto con lo scrittore statunitense si fonda soprattutto sulla recensione (negativa) di Sanctuary e sulla traduzione del romanzo L’Amleto (1940) come Il borgo (1942).

IDA DOMINJANNI
Ennio Abate

Ma c’è ancora bisogno di leggere “Frames of war” per concludere che ” è proprio una débacle”? Nel “nel regime di guerra” viviamo solo da “oggi”? Ex Jugoslavia, Guerra del Golfo, Libia, Afghanistan? Tutto dimenticato? Non sarebbe da chiedersi da quanto data questa débacle? E da ricordare che prima della caduta dei “tanto sbandierati valori europei e occidentali” c’è stato il tracollo dei tanti sbandierati valori della Sinistra da parte di buone parte della Sinistra stessa confluita da tempo “nel mainstream guerrafondaio”?

P.s.

https://www.poliscritture.it/…/composita-solvantur-2024/ 

Ida Dominijanni Ennio Abate veramente io lo scrivo da più di vent’anni

LPLC/ GUIDO CATALANO, PRESO SUL SERIO

Giovanni

Uno sguardo acuto sulla scena poetica italiana contemporanea

Ennio Abate 
(commento censurato dal LPLC)
A me, invece, pare uno sguardo compiaciuto e complice sulla Nuova Prostituzione Poetica.

DORIANO FASOLI

Ennio Abate

” orrenda pasta fradicia. Marzapane intriso d’olio, cioccolata fumante con dentro fette di salame. Panna montata di stucco, crema d’oro falso”

Qualcosa non mi quadra: sono state usate troppe immagini per criticare l’Immaginifico…

 

7 APRILE 2024


SALVO LEONARDI

Nel vedere questo documentario mi sono inevitabilmente chiesto se e quale analogia vi possa essere fra la vicenda irlandese e quella palestinese. Non poche. E infatti è notorio il legame fra i due movimenti di lotta. Che hanno ad esempio portato il governo di Dublino ad associarsi a quello di Pretoria nel chiedere al Tribunale dell’Aja l’eventuale genocidio a Gaza. Ora, l’Inghilterra condusse contro L’IRA una guerra senza quartiere. In reazione a quella con e sin dentro l’Inghilterra, da parte dell’IRA. Una guerra dura, di occupazione, con i soldati della RUC (Royal Ulster Constabulary) dispiegati ad ogni angolo di Belfast e Derry. La guerra sporca dell’intelligence, MI5 ed MI6. Le leggi dell’emergenza. Le sentenze sommarie, come quelle famigerate contro i 6 di Birmingham. Le prigioni H-Block e la carcerazione speciale. Contro una organizzazione paramilitare micidiale e spietata. In grado di provocare circa 1.300 vittime, fra bombe indiscriminate e assassini mirati. Che arrivò a un soffio dall’eliminare persino Margaret Thatcher. Sempre con un sostegno diffuso e di massa, al di que e al di là del confine con la Repubblica. E tuttavia, nulla del genere uguaglia l’operato di Israele in Cisgiordania e Gaza, nei decenni. I rastrellamenti sommari non furono mai come quelli dell’IDF. Mai una abitazione di un militante venne demolita. Un’intera famiglia punita per rappresaglia. Nessuna azione osò mai e poi mai violare i confini e la sovranità dell’Eire, da cui notoriamente partivano molte delle incursioni dei Provisionals. E in cui subito dopo rinculavano. Il sostegno ai gruppi unionisti protestanti, incomparabili a quelli offerti sfacciatamente ai coloni. Nessun leader del braccio politico Sinn Fein fu fatto fuori in auto da un razzo telecomandato. O magari avvelenato, in puro stile putiniano. E i suoi leader storici, eletti persino a Stormont (il vecchio parlamento nordirlandese) e a Westmister, potevano regolarmente portare a spalla, e a viso scoperto, le bare dei capi militari dell’IRA, che avevano piazzato bombe e ucciso nei pub e centri commerciali di Birmingham, Londra e Manchester. Alla fine, proprio con loro, e persino coi più efferati autori diretti di quegli attentati, avrebbe negoziato e siglato gli accordi pace della Pasqua 1998. Con lo Sinn Fein oggi al governo sia a Dublino che a Belfast.

Ovvio; ci sono state delle differenze e pure significative. Ma di certo, in Israele, sarà bene che prima o poi si studino per bene la lezione anglo-irlandese.

 

8 APRILE 2024

PIERLUIGI FAGAN

Laddove s’intende io faccia analisi e scriva di geopolitica, spesso in realtà mi avvalgo di un tentativo di nuova disciplina che non altrimenti si dovrebbe chiamare MONDOLOGIA. Se ne è vista forse la concreta applicazione recente nelle analisi poi culminate del Trittico mediorientale.

E’ una disciplina che ritengo oggi viepiù necessaria, basata sull’impostazione M-I-T-disciplinare (Multi-Inter-Trans), parte strutturale del metodo sistemico-complesso applicato all’oggetto e fenomeno del mondo.

Io non amo particolarmente il termine geopolitica e il suo uso eccessivo soprattutto aggettivato come un prezzemolo. Ben vengano quindi approcci più complessivi all’interno dei quali la geografia politica e i fattori di potere in un determinato spazio sono configurati come una variabile tra le altre. Grazie ancora! PS So che ogni tanto fa degli interventi su qualche canale YouTube. Mi piacerebbe tanto una volta conversare con lei sul quadrante mediorientale e, soprattutto, sull’area del Mar Rosso e del Corno d’Africa. Sono un ragazzo dell’Eritrea e da poco ho completato gli studi in relazioni internazionali e cerco di approfondire quella parte di mondo.

Ennio Abate

A MO’ DI ESORCISMA E INCORAGGIAMENTO:

Al mondo di Andrea Zanzotto.

Mondo, sii, e buono;
esisti buonamente,
fa’ che, cerca di, tendi a, dimmi tutto,
ed ecco che io ribaltavo eludevo
e ogni inclusione era fattiva
non meno che ogni esclusione;
su bravo, esisti,
non accartocciarti in te stesso in me stesso.

Io pensavo che il mondo così concepito
con questo super-cadere super-morire
il mondo così fatturato
fosse soltanto un io male sbozzolato
fossi io indigesto male fantasticante
male fantasticato mal pagato
e non tu, bello, non tu «santo» e «santificato»
un po’ più in là, da lato, da lato.
Fa’ di (ex-de-ob etc.)-sistere
e oltre tutte le preposizioni note e ignote,
abbi qualche chance,
fa’ buonamente un po’;
il congegno abbia gioco.
Su, bello, su.

Su, Münchhausen.

ADRIANO SOFRI

Neri Paolo

Caro Adriano, il costo del massimalismo politico abbracciato dalla classe dirigente post-Majdan si è rivelato altissimo: anziché traghettare il paese verso il regno promesso del benessere e della prosperità, la scelta dell’integrazione euroatlantica quale unico strumento di sviluppo del paese ha trasformato l’Ucraina da terra di frontiera in campo di battaglia, e quindi, in landa desolata da cui sono fuggiti oltre 14 milioni di persone, tra rifugiati e sfollati (su una popolazione di 41). Del resto non è solo “colpa” dell’Ucraina. Nell’aprile 2022 infatti essa stava per firmare un accordo con la Russia che avrebbe posto fine alle ostilità in cambio della neutralità ucraina. Fu Boris Johnson precipitarsi il 9 aprile a Kiev per chiarire a Zelens’kyj che “anche se l’Ucraina è pronta a firmare alcuni accordi sulle garanzie con Putin, noi (l’Occidente collettivo) non lo siamo”.

Quella di Mosca è una ribellione all’ordine internazionale americano, e gli americani volevano approffittarne per indebolire l’ “impero” russo. La guerra finanziata dall’Occidente invece sta distruggendo l’Ucraina. Traducendosi in un inconcludente bagno di sangue alleporte d’Europa. Nessuno gongola. Forse qualcuno ha gongolato troppo prima, anche se bastava non essere ciechi volontari per capire che la sproporzione di forze era tale da rendere inimmaginabile un risultato diverso. Chi voleva vedere lo vide da subito. Lei è stato tra quelli che non hanno voluto vedere


LANFRANCO CAMINITI

il “piano” di trump per chiudere la guerra d’ucraina – svelato dal «washington post» – ovvero: cedere il donbas e la crimea a putin, è spaventosamente uguale a quello dei pacifisti italiani e d’ovunque. è anche uguale a quello dei più smaccati filoputiniani come dei più mimetizzati. costringere gli ucraini alla resa: basta non dare loro armi (c’è chi – come i 5stelle, come i santoro e i la valle, come varie declinazioni “di sinistra”, con pericolose sbandate della schlein – ne ha fatto una vera e propria “linea politica” identitaria) e aiuti per resistere, e è fatta. come sta accadendo. naturalmente, il tutto viene declinato per non spargere ancora sangue ucraino, dando per acclarato che l’irrompere delle truppe russe avverrà portando fiori nei loro cannoni. come già a bucha, d’altronde.

DAI COMMENTI

Giulia Borelli  Per fortuna, al momento, la nato è più cauta di voi tre intelligentoni.

Chicco Galmozzi Giulia Borelli non ti facevo cosi cogliona…

Giulia Borelli Chicco Galmozz lo sono, lo sono

 

 

Gli “Scherzi” di Pollini

di Angela Villa

Il termine “Scherzo” nella musica classica esisteva già a partire dal Seicento, indicava brani molto brevi, dinamici, di ispirazione popolare. A partire dal Settecento, lo Scherzo diventa sempre più simile ad un minuetto fino a sostituirlo completamente; presenta, in genere, due temi in diverse tonalità: il primo ha un carattere forte, deciso, il secondo è più lirico e melodioso. Nell’Ottocento lo Scherzo prende sempre più la forma di Sonata, Chopin lo rivoluziona dandogli nuova vita, rendendolo più complesso nella struttura e più innovativo. In particolare, amo molto il Primo Scherzo, perché ho potuto ascoltarlo dal vivo, eseguito da Maurizio Pollini.

Lo “Scherzo n. 1 in si minore per pianoforte, op. 20”, ha una   forza   notevole: i   due   temi   appaiono   quasi contraddittori ma rappresentano un unico dolore, quello dell’abbandono. Nella prima parte sullo spartito si legge: “Presto con fuoco”, il tempo è veloce ed incalzante con accordi decisi; la seconda: “Molto più lento sotto voce e ben legato” è quasi una nenia, è una melodia talmente dolce che chi l’ascolta ha il desiderio di riascoltarla, ancora e ancora, come nell’abbraccio dell’amato. Composto nel 1831 e pubblicato successivamente nel 1835, è dedicato all’amico Thomas Albrecht, che lo convinse a rimanere a Vienna, lontano dalla sua patria, per coltivare la sua arte. A quel tempo, in Polonia, era in atto una ribellione, contro la dominazione russa, Chopin era profondamente addolorato. A differenza degli Scherzi tradizionali, che sono generalmente leggeri e giocosi, quelli di Chopin sono opere dense, cariche di dramma e contrasti. Lo Scherzo n.1 è diventato uno dei pilastri del repertorio pianistico, amato sia dagli esecutori che dal pubblico. La sua combinazione di virtuosismo e passionalità, lo rende un pezzo ideale dal punto di vista tecnico.   Molti   grandi   pianisti, a partire da Horowitz fino alla Argerich, hanno offerto interpretazioni memorabili di questo pezzo, tra questi Pollini, che sapeva affrontare le sue parti complesse con decisione e dolcezza, riuscendo a fondere insieme passione, malinconia e speranza.

È un componimento che mostra chiaramente il dolore dell’abbandono a causa della guerra e il desiderio di vivere tempi migliori; la speranza di un futuro di pace si avverte nella nenia dolcissima della seconda parte, che richiama una melodia natalizia probabilmente Polacca. Gli Scherzi di Chopin appartenevano al repertorio di Pollini. Per la Deutsche Grammophon aveva registrato i 4 Scherzi con   inclusa Berceuse e Barcarolle; consiglio l’ascolto per la bellezza dei brani e la purezza dell’esecuzione. Pollini era il massimo esecutore del grande pianista polacco. A diciotto anni si era affermato nel concorso più importante e difficile al mondo, il concorso Chopin di Varsavia, Rubinstein, che era presidente della giuria, sentendolo suonare esclamò: «Suona tecnicamente meglio di tutti noi!», frase  che è   diventata  emblematica, ma probabilmente, come racconta lo stesso Pollini  in un’intervista, Rubinstein voleva semplicemente essere scherzoso e provocatorio nei confronti dei colleghi della giuria; da allora Pollini ha continuato a dedicarsi a Chopin studiandolo a fondo nelle strutture armoniche e regalando le migliori interpretazioni, ma non solo, ha avuto la capacità di   portare la musica contemporanea nelle grandi sale da concerto riuscendo a farla amare  e comprendere ad un pubblico più vasto. Io ho avuto la fortuna di poterlo ascoltare dal vivo alla Scala il 13 Febbraio del 2023, nella sua ultima esibizione. In quell’occasione Pollini ha regalato al pubblico Scaligero due serie di Klavierstücke di Schönberg, le opere 11 e 19, proseguendo con «…sofferte onde serene…» per pianoforte e nastro magnetico di Luigi Nono, e nella seconda parte si è dedicato a Chopin: una Barcarola e lo Scherzo n. 1. Qualche critico musicale, abituato a sentir suonare Pollini sin dagli inizi, si è chiesto: perché? Perché continuare a suonare se non puoi dare più il massimo? Il Maestro appariva affaticato, sono riuscita a cogliere un piccolo rimprovero nei confronti della pianista incaricata di girare le pagine dello spartito. Perché sottoporsi a tanto stress? Il perché va ricercato nella storia di Pollini e nel suo amore per la musica, nella sua passione di uomo che ha dedicato una vita al pianoforte, un uomo ammirevole che non ha avuto paura di esporsi politicamente, di sicuro non scherzava quando si espresse apertamente contro il federalismo e il presidenzialismo, all’epoca del referendum, pericolose derive, per la concentrazione del potere nelle mani di uno solo, criticando in tal modo il governo Berlusconi per il degrado e la corruzione. Suonò per gli operai di una piccola fabbrica a Genova, suonò per i lavoratori e gli studenti alla Scala; aderendo al progetto   di   Paolo   Grassi, è stato un divulgatore oltre che un virtuoso del piano. Un uomo coerente fino all’ultimo, che   ha rappresentato la massima espressione poetica del pianoforte, perché dovrebbe aver timore di suonare ad ottant’anni? L’emozione che ho ricevuto quella sera è stata molto forte e gli sarò sempre grata di avermi regalato dal vivo quei brani. Il ricordo è ancora vivo in me: il concerto è finito, molti gli applausi, tutti in piedi per ringraziare il Maestro, con passo lento ma deciso, Pollini si inchina al pubblico, con la mano si appoggia al piano, ancora un inchino e poi via. Un dialogo di tutta una vita con la tastiera, una vita dedicata a quei tasti bianchi e neri, un interprete attento, sia tecnicamente che emotivamente, ci sarà ancora qualcuno dopo di lui? Forse sì, ma chi avrà il coraggio di definirsi suo erede? Amante di tutte le arti considerava la musica una forma di comunicazione:

«Quando prendo in mano una partitura o studio un pezzo, io punto innanzitutto alla ricerca di aspetti comunicativi, a cose che davvero possano darci gioia (…)» C’è nella musica un elemento soggettivo che riguarda il dialogo fra esecutore e pubblico, in questo desiderio di comunicare di sentirsi messaggero, portatore di un sogno, c’è la consapevolezza di dover suonare per il suo pubblico fino all’ultimo, suonando con gli spartiti consunti studiati fino allo sfinimento, provando e riprovando, studiando ogni minimo dettaglio dello spartito, come lui stesso ha precisato in un’intervista.

Maurizio Pollini è morto a Milano il 23 marzo 2024 all’età di 82 anni. La camera ardente è stata allestita il 26 marzo nel foyer del Teatro alla Scala, la sua seconda casa; dal debutto dell’11 ottobre 1958, all’ultimo recital il 13 febbraio 2023, ha suonato alla Scala 168 volte, cui si aggiungono gli incontri con gli studenti e le partecipazioni a giurie e convegni. I funerali sono stati celebrati in forma privata. “Il Maestro è nell’anima” e Pollini non aveva paura di mostrare l’anima in scena, spesso parlava di esecuzione ed aspetti legati all’inconscio e fino all’ultimo lo ha fatto. L’anima di Pollini   era dedicata al pianoforte, ai compositori con cui dialogava, nei suoi studi attenti e rigorosi e, naturalmente, a tutti noi. Ci ha lasciato testimonianze indimenticabili. Per chi abbia desiderio di ascoltarlo, di “comunicare” con lui…Buon ascolto.