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Il Gioco Segreto…che ci ha regalato quarant’anni

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Vecchie polemiche. Fortini su “Doppio Diario” di Giame Pintor


NEI DINTORNI DI FRANCO FORTINI (14)

di Ennio Abate

Ricontrollare ancora questa “querelle”. Senza scandalizzarsi. Senza ritrarsi. Per interrogarsi ancora. Su di essa ora possiamo leggere anche quanto emerge dal CARTEGGIO FORTINI-ROSSANDA* (pagg. 102-104 in particolare): https://media.fupress.com/files/pdf/24/15077/42913

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Il Vuoto

 di Filippo Nibbi

All’età prestabilita, quando il piccolo è sufficientemente cresciuto e solidi muri mentali sostengono ormai energicamente la consapevolezza che ha di sé, avviene l’incontro con il Maestro Rivelatore.
In una sala semibuia, con medici, ambulanze e le madri alloggiati in stanze contigue, il Maestro svela la verità.
“Non voltatevi mai” scandisce “Dietro alle vostre spalle c’è il Vuoto”.
Subito, d’istinto, tutti si voltano.
E, adesso che sanno, vedono che tra loro e i compagni retrostanti, come una lama che precipita nell’aria, passa il taglio gelido del Nulla.
È un attimo, ma inequivocabile.
Molti sbiancano, si sentono male, come una freccia quel vuoto entra nel cuore, spinge via il sangue, prosciuga l’aria dai polmoni. Vengono soccorsi, cardiotonici, ossigeno, calmanti, ma soprattutto l’abbraccio delle madri fa superare l’acme dello shock.
Da bambini, per prepararli al terribile vuoto del Vuoto, si regalano case di bambole senza pavimento sospese a mezz’aria da fili spezzati. Trenini che possono solo partire e mai arrivare. Orsacchiotti identificabili come tali solo frontalmente perché di lato e dietro sono fatti di nebbia. Mattoncini delle costruzioni con cui non è possibile erigere muretti poggiati per terra ma solo tetti e ultimi piani mal sostenuti da un vento giocattolo.
Vengono regalate palle che lanciate contro un muro non tornano. Alle volte il loro rimbalzo le tiene lontane per settimane, alle volte per mesi, altre per sempre.
Le maestre dedicano molte ore al gioco della mosca cieca.
Si regalano libri in cui le parole non sono stampate ma solo appoggiate e la pagina viene cosparsa di ghiaccio così che ci si abitua fin da piccoli a vederle scivolare giù e lentamente sparire, oppure addensarsi sul fondo in ammassi incomprensibili.
Ai ragazzini si insegnano ostinatamente le sottrazioni. Sempre più grandi, finché non bastano più i numeri per ottenere il risultato e ogni studente si trova costretto a gettare qualcosa di sé nella sottrazione: un libro, una penna, il suo cane, un braccio, le risate fatte in gita, un bacio, la sua anima.
Nonostante tutte queste precauzioni, al momento della rivelazione il trauma è terribile. Nessun essere compiuto può sopportare l’incompiutezza.
Chi sopravvive ne porta tracce perenni. Le radiografie mostrano interni di persone sfregiati da buchi: grossi buchi tondi come colpi di cannone o buchi slabbrati, da esplosione.
Chi sopravvive non si volta più. Nemmeno se c’è un boato alle sue spalle, nemmeno se qualcuno grida disperatamente aiuto, nemmeno se sente a pochi passi dalla sua nuca l’arrivo di un treno.
Il vuoto ha riempito ogni pieno.

Poesia per un esodo

LAVORANDO A “NEI DINTORNI DI FRANCO FORTINI”
Da
un’intervista (2013) di Ezio Partesana a Ennio Abate1

Il nostro discorso dovrebbe proseguire adesso sul secondo passaggio, ovvero quello che riguarda la pubblicazione e la diffusione, la sfera della circolazione insomma, che mi pare potremmo dividere in due parti: una prima dove avviene la decisione su cosa pubblicare, e una seconda che consta di come e dove promuovere i (pochi) libri di poesie che oggi si pubblicano in Italia. Vuoi dirci come vedi le cose in generale rispetto al tuo lavoro, alla «poesia in esodo» che proponi?

Oggi come ieri a decidere che testi pubblicare sotto la voce ‘poesia’ sono tre attori ancora precisi: le case editrici e gli organizzatori di premi di poesia; gli «intenditori di poesia»,  di solito poeti e/o critici che hanno già pubblicato; gli «scriventi versi» (Majorino), termine che equivale in parte al mio «moltinpoesia» e a «pubblico della poesia» (Berardinelli). Oggi la novità (o la complicazione?) sta nel fatto che ciascuno dei tre attori agisce in una filiera che ha dimensioni di massa. Perciò caso, caoticità, contraddizioni (micro e macro politiche) – presenti da sempre – oggi incidono di più. Quindi, più fretta di pubblicare e innumerevoli sollecitazioni a farlo (a pagamento); apparati critici risibili; idee confuse degli aspiranti poeti su se stessi, sugli altri poetanti, sul ruolo della critica, sui lettori reali di poesia. La «perdita dell’aura» ha suscitato – e non è una novità – entusiasmi ingenui, come si fosse raggiunta davvero una liberalizzazione o democratizzazione della poesia. E, per reazione,allarmi per una presunta «dittatura dell’ignoranza», spontanea o pilotata che sia. Come in politica, anche in poesia ci si dibatte tra populismi ed elitarismi, che offuscano la possibilità di capire permanenze del passato e innovazioni (reali o possibili). È un  «fall-out della poesia» (o delle «patrie lettere»). Scuola di massa, industria culturale  e ora il Web diffondono la “radioattività poetica” oltre la solita cerchia dei “cultori della materia”, raggiungendo strati sociali acculturatisi da poco e frettolosamente ai saperi moderni. È questo il fenomeno dei moltinpoesia, ma si potrebbe parlare anche di molti in critica o di molti in editoria.

Da una parte assistiamo alla semplificazione, velocizzazione, moltiplicazione delle pubblicazioni e alla loro (spesso incerta) diffusione. Dall’altra la ruminazione lenta del poeta, la critica seria, la diffusione ragionata di opere valide sembrano eclissarsi. La critica, in particolare, è quasi azzerata o stordita. Come se si fosse trovata di fronte a un nubifragio. O a un’invasione “barbarica”. O si è ritirata, vedendo vilipesa la sua funzione autorevole/autoritaria, che prima aveva una indubbia, seppur relativa, efficacia. In assenza – dico con un po’ di ironia – di un «Lenin della poesia», capace di raccordare punti di alta elaborazione poetica (che ci sono) e punti di ricerca poetica naif o selvaggia (da non disprezzare), la mia idea di poesia in esodo è un invito a non cedere né alle semplificazioni populiste né all’individualismo elitario-corporativo. Ma la crisi generale, nella quale non dimentico mai di iscrivere quella della poesia, si prolunga e s’aggrava. E temo che la «distruzione della ragione» possa avere occasioni di replicarsi in modi farseschi).

[1]Pezzo ripulito dell’intervista 2013
https://www.poliscritture.it/2015/08/03/sulla-poesia-esodante-intervista-2013-di-ezio-partesana-a-ennio-abate/

Un sonetto di Petronilla Paolini Massimi

 di Laura Castellano

Uno dei sonetti che meglio rappresenta la consapevolezza femminile in merito alle proprie capacità, non solo nella poesia, ma anche in altri ambiti più schiettamente maschili, è Sdegna Clorinda a i femminili uffici, di Petronilla Paolini Massimi.
Si tratta di uno dei sonetti più famosi della poetessa; le sue intenzioni, riportate sin dall’inizio nell’indice del tomo I delle Rime degli Arcadi, sono chiare: «Che alla Dama non disconvengono gli esercizj Letterarj, e Cavallereschi».
Dedicato al tema dell’uguaglianza fra i sessi, il sonetto ha donato all’autrice «la fama di femminista ante litteram». (Petronilla Paolini Massimi. Le rime: raccolta degli editi, a cura di Gamberoni et al., C.d.C, 2004, p. 84.)
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