Pescine, una località che si trova nel comune di Figline e Incisa Valdarno – disegno di Konrad Dietrich, febbraio 2017.
di Angelo Australi Continua la lettura di Più pericoloso del cannone tedesco
Pescine, una località che si trova nel comune di Figline e Incisa Valdarno – disegno di Konrad Dietrich, febbraio 2017.
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di Angela Villa
Continua la lettura di “Filottete” di Paolo Puppa
di Ennio Abate
Mio commento a Massimo Morasso, Poeti italiani nati negli anni ’60 di Francesco Napoli (qui)
Me la volete spiegare questa «consapevolezza di essere generazione»? Cosa significa? Quanto mai una generazione non ha tratti simili e altri differenti da quelle precedenti? Quanto mai si può illudere di avere una identità tutta sua e soltanto“generazionale”? A leggere l’articolo di Morasso, oltre alla solita lagna (“nuova generazione perduta”, “generazione mancata”), non accompagnata daalcuna onesta spiegazione sul perché essa sia “perduta” o “mancata”, vedo soltanto la solita accusa generica – ai “padri” o ai “fratelli” maggiori? – perché sarebbe stata – in blocco? come singoli/e? – ”occultata […] fra le pieghe meno esposte del sistema cultural-aziendalista che ha forze economiche e mediatiche “), su cui da decenniparecchi s’intrattengono per consolarsi e smaltire la propria bile pensando di essere “critici”. E mi volete spiegare perché, secondo voi, “gli anni ’60 siano stati un giro di boa tra un mondo vecchio e un mondo nuovo”? Quale sarebbe per voi il “mondo vecchio”, quale il “mondo nuovo”? No, cari non miei e non mie amici/amiche, la vostra “colpa” non è quella di non essere riusciti – come sfacciatamente confessa Morasso -a farvi “lobby degna di rispetto” [1], che a me pare quasi un’apologia dei metodi mafioso-letterari vigenti nelle università e nelle “Grandi” Case Editrici (ma anche in molte delle “piccole”). Né dovete prendervela con un generico destino peressere incappati “in una sorta di faglia epocale sfortunata”. La vostra vera colpa – questa è la mia opinione – è di aver messo a servizio “ carattere, personalità e giusta ambizione” in progetti minuscoli, rigorosamente impolitici/apolitici (“qui non si fa politica!”), fingendo di non vedere che cosa accadeva o accadenella realtà sociale di questo Paese (e nel Mondo) o di non sapere cosa sia accaduto negli anni ‘70 del Novecento. Masoprattutto di aver rimosso, di non aver voluto ragionarci su [2], continuandoa gingillarvi sui vostri blog e pagine FB con la “Poesia Pura” senza riconoscere mai la Crisi della Poesia (e del Mondo in cui boccheggiamo tutti/e) .
Note [1]
“quel “contar poco” è anche l’effetto di una loro colpa consiste nel non essere stati in grado di costruire una societas generazionale e, di conseguenza, di non essere stati capaci di stringersi “a coorte” e immaginare almeno l’aura del fantasma di una “opera comune”, spalleggiandosi l’un l’altro, come accade in ogni lobby degna di rispetto”.
[2] Cfr. https://moltinpoesia.blogspot.com/2024/06/i-poeti-in-tempo-di-guerra-non-pensano.html
“Un po’ per celia e un po’ per non morir” (Ettore Petrolini)
Riflessioni sotto forma di filastrocche
di Rita Simonitto
Il ramarro sul balcone Era preso dal magone. La finestra come specchio Lo turbava di parecchio La livrea sia pure bella Al fin era sempre quella… Diventar camaleonte Suo parente, là dal ponte! Così stretto dal bisogno La notte fece il sogno D’una donna mascherata: “Son Invidia. M’ha chiamata? Come lei verde vestita Vuol giocare la partita?” “Oh! Niente maschera con me, Tanto ormai lei so chi è” “Non si può, no. Anche per lei Sono enigma. Santi Dei Ma le devo spiegar tutto? Questo vizio è sì brutto Che nessuno vuol avere… Ma mi faccia il piacere! Ha mai visto che qualcuno Se ne vanti? Ma più d’uno Mi rinnega, mentitore, per aver salvo l’onore.” “Meglio il camaleonte? Lui ha le risposte pronte. Realpolitik e altro Così sgama. Molto scaltro” “Non facciamo paragoni Fra i più e meno buoni Ma il fine che li spinge. L’invidia è una sfinge Che nasconde con l’affetto Il terribile progetto Di voler la distruzione Delle cose belle, buone”. “Ciò che afferma non mi va Sono soltanto falsità” “Non crede? Pensi a Jago Dell’invidia vero mago E veder come si gode Quando Otello si corrode!” “Ma se lei mi fa vedere Questo tristo suo potere Se lei si confessa a me Vorrà dir che amore c’è” “O ingenuo mio ramarro Il mio non è uno sgarro Dalla linea di condotta. Io esulto per la lotta Disperata di chi non sa Se è bugia o verità”. Ed il sogno si dissolse Sì veloce che non colse Lì per lì e per l’appieno Il poter di quel veleno. 21.08.24
di Ennio Abate
Su Disobbedienze
Sui futuristi
3. Essendo prevalsa con la Prima Guerra Modiae la faccia distruttrice e dominatrice del Capitale, quella esaltata dai futuristi italiani e marinettiani, e avendo visto che anche quella dei futuristi russi o di Gramsci fu proletaria e socialista solo nella Russia di Lenin del 1917 e davvero per poco tempo, si possono alimentare, a Novecento concluso, ancora speranze su una modernizzazione «buona» o «dal basso» (o pensare a dei futurismi buoni e dal basso), tipo quelle diffuse tra i primi gruppi operai torinesi raccolti attorno a «l’Ordine nuovo» di Gramsci?
Direi di no. Ed ecco perché tra un Sanguineti, che si attesta sul giovane Gramsci «movimentista» o sul Majakovskij antimperialista o sull’anarchismo Dada e un Fortini che tiene conto del Lukács de «La distruzione della ragione» mi pare più attuale e interessante il giudizio radicalmente negativo che Fortini dà non solo del futurismo italiano ma di tutte le avanguardie del primo Novecento (l’espressionismo, il futurismo russo, il surrealismo), perché indica il limite nichilista di fondo di tutti questi movimenti in cui almeno una parte della piccola borghesia intellettuale ,anche quando non fa la scelta bellicista e poi fascista dei futuristi italiani, con la sua esaltazione acritica e neutra del “nuovo” a tutti i costi si brucia o confluisce nella incessante “rivoluzione capitalistica”.
Fortini, infatti, coglie i gravi equivoci in cui incapparono sia l’avanguardia russa che i surrealisti, quando ebbero legami «molto complessi e talvolta tragici e sanguinosi» con anche con la rivoluzione socialista.
Majakovskij e l’avanguardia russa degli anni Venti, Brecht e una parte degli scrittori tedeschi dell’età di Weimar, i surrealisti francesi fra il 1925 e il 1935 e pure la neoavanguardia italiana degli anni ‘60 del Novecento «dimostrano che l’arte e la letteratura d’avanguardia esistono solo in quanto antagoniste di qualsiasi ordine» ma si ritrovano poi spiazzati o inerti quando o il fascismo o lo stalinismo o il neocapitalismo impongono loro il “ritorno all’ordine”.
di Angelo Australi
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