Centro
Sociale il Giardino, venerdì 31 gennaio 2020
di Angelo Australi e Alessandro Franci
ANGELO AUSTRALI
Ora ci conosciamo, molti di voi hanno partecipato alle precedenti iniziative… Questa è la quarta conferenza delle otto previste dal progetto di invito alla lettura La casa degli Strani, promosso dal Giardino Associazione e dal Circolo Letterario Semmelweis, e realizzato grazie al contributo del Comune di Figline e Incisa Valdarno.Una proposta di incontri/lettura, è bene ricordarlo, ideata in supporto alla pubblicazione di un almanacco di racconti edito da Aska Edizioni, che sta riscuotendo un vero interesse.
Quando
il pallone comparve sopra le teste dei miei compagni ondeggianti in
una fila asimmetrica, per un istante luccicò contro il cielo
metallico; si giocava alle nove della domenica, in campi senza erba,
gialli e secchi o melmosi per la pioggia. Feci appena in tempo a
vederne il bagliore che divenne subito scuro, come una sfera
sfrangiata marrone compatto che si abbassò all’improvviso verso di
me. Non avevo neppure sentito il fischio dell’arbitro e quando il
“sette” calciò, lo capii dal tonfo sordo del suo piede sinistro
sul cuoio liso. Il sogno a occhi aperti, covato più di una volta
quella domenica e in tante altre precedenti, di un tuffo
spettacolare, svanì in un attimo. Quello aveva calciato con una tale
forza che quando vidi arrivare quell’ammasso nero dritto in faccia,
mi riparai il viso e chiusi gli occhi istintivamente. Il pallone
strisciò sui pugni tesi e s’impennò in aria oltrepassando la
traversa, fui colpito sul viso soltanto da rimasugli di terra come
fossero schegge. La sabbia aderente alla superficie di cuoio, sulla
pelle, fu come carta abrasiva, tanto che comparvero alcuni puntini
rossi sulle nocche bianche per il gelo. Raramente ci davano i guanti
che rappresentavano come una sorta di status symbol, un diritto dei
più bravi, quei portieri ai quali erano riconosciute qualità
speciali. Io invece ero stato chiamato solo all’ultimo momento perché
il portiere degli juniores aveva avuto un incidente in motorino.
Mia madre volle portarmi con sé a vedere il morto. «È il padre del tuo amico» disse.
Io non ero addolorato né per lui né per il mio amico; d’altronde neppure lei lo era, tanto che me lo chiese come mi invitasse al cinema.
Se c’era da partecipare a un funerale, a una veglia funebre, o visitare un ammalato, lei non si tirava indietro e questo le era sufficiente per credere che chiunque doveva essere contento di farlo quanto lo era lei; non comprendeva l’avversione che molti mostravano, per quello che riteneva fosse un dovere. Continua la lettura di Il padre del mio amico→