Narratorio 4
di Ennio Abate
Doveva fare molto freddo d’inverno. Chiero e Eggidie una volta corsero in cucina di prima mattina, mentre Mineche e Nannìne ancora dormivano. E – sorpresa, meraviglia – nei colli delle bottiglie lasciate fuori la notte sul davanzale l’acqua era diventata ghiaccio. Euforia della scoperta di un fatto inatteso. Speranza di convincere Nannìne a non accompagnarli a scuola dalle monache. Almeno per quel giorno.
Doveva fare molto freddo d’inverno. Per scaldare almeno un po’ la stanza da pranzo – la più usata di giorno perché sull’unico grande tavolo si mangiava, i ragazzi facevano i compiti o Nannìne, coprendolo con una vecchia coperta di lana e un lenzuolo, ogni tanto stirava – avevano un braciere d’ottone. Mo appicciamm’a vrasera. Riempito di carbonella ardente presa dai fornelli della cucina, portato con cautela in sala da pranzo e appoggiato su un piedistallo circolare di legno grezzo. Nannìne ci metteva spesso l’asciugapanni di liste intrecciate di compensato dove stendeva maglie di lana, calzini e altri indumenti perché asciugassero in fretta.
Doveva fare molto freddo d’inverno. La carbonella veniva conservata in soffitta in un cassonetto di legno e toccava ai ragazzi salire e prelevarne quella da consumare in giornata. Il negoziante la consegnava periodicamente in una sacchetta portandola fino a casa. Ma per non farla mancare mai, in certi giorni Nannìne andava lei a comprarne piccole quantità. E tornava affaticata a piedi su per la salita tirando su una vecchia borsa di pelle a triangolini neri o marroncini cuciti assieme.
Doveva fare molto freddo d’inverno. Mìneche, sotto i pantaloni portava pesanti mutandoni di lana che gli arrivavano alle caviglie. E già faticava a piegarsi quando doveva togliersi gli stivaloni, che gli erano rimasti dal periodo militare assieme al pastrano, a una baionetta, a una borraccia, a un frustino di cuoio. Seduto sulla poltroncina accanto al suo letto matrimoniale, a volte si faceva aiutare da Chiero e Eggidie. A toglierseli. O ad allacciarseli. Loro si accoccolavano a terra e incrociavano le lunghissimi stringhe attraverso le borchiette d’acciaio. Alla fine lui le tirava e stringeva il nodo.
Doveva fare molto freddo d’inverno. A Chiero e Eggidie venivano i geloni sulla piega alta delle orecchie. Portavano maglie di lana grezza. Pungevano sulla pelle e dopo qualche lavaggio si restringevano. Stavano spesso accanto a quel braciere per scaldarsi mani e piedi. E prima di andare a dormire e infilarsi tra le lenzuola gelide, Nannìne metteva per un bel po’ sulla brace dei fornelli in cucina due mattoni pieni e pesanti di terracotta. Quando erano caldi, li avvolgeva in vecchi panni di lana un po’ bruciacchiati per il continuo uso e li metteva nella parte bassa dei letti sotto le coperte in modo che scaldassero i piedi.
Nota
“Salerno, rima d’inverno” è un verso di Alfonso Gatto:
« Salerno, rima d’inverno,
o dolcissimo inverno.
Salerno, rima d’eterno. »