di Annamaria Locatelli
Continua la lettura di Quattro poesieArchivi tag: Annamaria Locatelli
Nonne
di Annamaria Locatelli
La nonna del Nord contadina (Maria) La povera gente - diceva- è sempre quella possiede una padella per cucinare due uova al tegame e non morire proprio di fame. Rompeva un sasso a metà, la sua specialità: con uno scaldava il letto di notte, con l’altro insaporiva la zuppa di verdure cotte. Sapeva scrivere del tempo che passa su fili d’erba verdi e rossi, delle stagioni in eterno cammino. Il viaggio era lungo e stanco a novembre, di cascina in cascina, tracciando rughe sulle mani scure come solchi della terra e delle passioni vive e oscure che ogni vita semina e raccoglie. Arrivata a settant’anni soleva dire: “toh, in un baleno la vita è finita da ora, per ogni anno, è regalata!” La nonna del Sud, pescatora (Chiara) Dal Sud di casa nostra al Sud del mondo, l’Argentina, e poi di nuovo al nord italiano tra i tranesi della Mala milanese, l’osteria a Porta Ticinese: il vino mescolato ad amaro sangue... E ancora, vagando per pianure, approdasti in quel di Lodi tra fitte nebbie. La prima neve scambiasti per farina: che spreconi quei polentoni! Avevi la grinta di chi non si arrende, la sciura Chiarina benefattrice fu riconosciuta dai piu’ poveri. Senza saper leggere e scrivere tenevi testa ai signori laureati con le tue parlate salaci. Ma un sogno conservavi, del tuo mare... di quando con le mani il pesce pescavi e crudo come dio l’ha fatto poi mangiavi! La nonna del Sud ricamatrice (Anna) Umbratile di fattezze ma bellissima, color seppia nella foto di una coppia d’altri tempi, appare: al suo fianco mio nonno, dai baffi regali, e splendida lei, la mia nonna Anna, quella che, appena quarantenne, seguì la spagnola lasciando sei figlioli, l’ultima, ancor bambina, mia madre... Appena sedicenne, dal Sud catapultata in un’osteria della Mala, si perse... Mia madre quasi non la ricordava, gli zii, suoi fratelli, tessevano di lei le lodi di una donna raffinata e disadattata. Le sue lenzuola, in dote ricamate, ne conservo un paio, erano opere di fate!
Bambine pazziarielle
di Annamaria Locatelli
Continua la lettura di Bambine pazziarielle
Su “Passeggiare dove sono di casa”
di Annamaria Locatelli
Ho letto, ovvero riletto i quattro racconti del libro: Passeggiare dove sono di casa di Angelo Australi (usciti in precedenza su Poliscritture), ma letti insieme generano nuove scoperte sulla sua scrittura, modalità e temi ricorrenti… Racconti molto belli di un viaggio passeggiando vicino a casa, in realtà scavando in territori reali e dell’anima alla ricerca di un segreto, di un mistero che vi si nasconde…
Un percorso che si perde in un labirinto di stati d’animo e spesso perviene allo smarrimento, alla confusione, ma solo dopo aver attraversato argini di fiume, contemplato mari e arcipelaghi di isole, oasi faunistiche e scalato una montagna in pellegrinaggio sulla tomba di Italo Calvino… Memorie del passato si intrecciano con i vissuti al presente di persone amiche, familiari… Su ogni realtà c’è molta attenzione… La disputa teologica tra i due frati del ‘cinquecento, a mo’ di storiella raccontata nelle stalle le sere d’inverno o nell’osteria, riprende il tema di Bertoldo il contadino, dalla gestualità irresistibile, che sbeffeggia i potenti.
Sempre presenti il problemi del quotidiano, le fatiche di tutti i giorni, la clausura in tempo di pandemia e la paura per la minaccia di un virus mortale. Altro tema ricorrente è il degrado ambientale, la calura estiva da cambiamento climatico, ma anche l’insofferenza al caldo di Spartaco, l’io narrante, da età che avanza, il fiume in secca ma anche la lunga biscia che attraversa il sentiero umano, l’imprevisto, mentre Spartaco conversa sull’argine con un ultranovantenne contadino… Le attività dei due pensionati sono messe a confronto: l’uno l’orto, l’altro lettura e scrittura… E così, come in tutti i racconti di Angelo Australi, si arriva sempre a una svolta narrativa. In questo caso l’oggetto è la balena bianca di Melville, un film lettura, che ha colpito straordinariamente entrambi gli anziani signori… La riflessione si fa complessa, visionaria e surreale… terribilmente tragica. Il viaggio sull’oceano di Capitan Achab e la sua nemica, la balena bianca, giocando una partita mortale, in eterno reciproco inseguimento distruttivo “… rappresenta un qualcosa di cattivo che cova dentro la mente di ogni essere umano”, dove il bianco, sintesi di tutti i colori e il nero, assenza di colori, si confondono… La conclusione mi ha ricordato quel romanzo di Conrad Cuore di tenebra, una discesa agli inferi. Ma c’è anche, in sintonia, il racconto del vecchio curatore dell’orto. Parla di un amico ubriaco che, pedalando di notte, non sente la sua testa girare, ma ‘vede’ la strada spostarsi finendo ripetutamente nella scarpata. Non sappiamo, alla fine, se partiamo, arriviamo o ritorniamo, se giriamo semplicemente intorno a noi stessi: il viaggio sul territorio si riflette o meglio si chiude nella mente come una misteriosa realtà ai confini…
I racconti sono pieni di personaggi e presenze, ma sempre avvolti nella malinconica solitudine del narratore, nei suoi dubbi e tormentose scelte, impersonato da Spartaco, nei vari passaggi della vita.
Ho sempre l’impressione, leggendo le opere dell’autore, di trovarmi davanti ad un prodotto di alto e prezioso artigianato oppure ad un lavoro di scavo al rinvenimento di dimenticate vestigia…
La corsa alla pace s’è mai vista?
di Annamaria Locatelli
La corsa? Un parolone, direi.
Se per la pace qualcosa si muove
va al rallentatore…
La corsa alle armi, invece, non s’arresta,
vince il campionato del mondo
e stravince il mondo!
La prima, timida ormai,
si nasconde,
rossa di sgomento e di vergogna,
per quel che vede far
dai signori della guerra:
massacri dagli scranni dorati
e lei, inerme, tra le vittime…
Impari e perdente ogni confronto!
Ma la pace infine puo’ rovesciar le sorti,
lei stessa facendosi guerriera?
Assai difficile, penso, finchè non affina
le sue armi
nella ferrea convinzione,
piu’ dura del diamante e del cannone,
di avere assolutamente ragione
a pretender il buon diritto delle genti
alla vita e alla dignità
Due poesie
di Annamaria Locatelli
A me temeraria Il tempo mi tampina pesa sulla gobba strattona rampogna -Stai un passo in là non puoi starmi appresso fai mille passi in là, piccola umana! La mia misura non sei tu ma il movimento dei pianeti i flussi delle maree le mutazioni climatiche... Quando tu ti fermarai io continuero’ a percorrere spazi infiniti, saltelli tra le siepi... Se proprio vuoi con me misurarti fissa un raggio di sole e segui il suo cammino dall’alba al tramonto e di notte accompagna ogni battito del tuo cuore e conta, se ti riesce, le stelle in cielo sino alla piu’ remota... Esausta e smarrita non avrai sfiorato che un mio piccolissimo frammento...- ll tempo sberleffa noi umani e siamo già vinti! E chi cavalco’ temerariamente il tempo? Gengis Kan Napoleone Hitler... Inseguendo la superba vittoria con armi ed eserciti? In un pugno di mosche e di cenere si risolse la loro impresa nel cono d’ombra. Personalmene... sono arrivata a sentirne la presenza rumoreggiante quale quella di un fanciullo monello che a volte mi cammina appresso ma poi corre corre via... Percorso l’universo amico com’è del mistero, il tempo ritorna da me per pochi passi volando di nuovo via... Se fosse aquilone lo terrei stretto per lo spago e via con lui nel vento... Senza tormento Non ebbe bisogno di riti di lacrime e di sospiri un giorno qualsiasi capito’... Meno di una brezza di vento e il risveglio meno d un saluto distratto e la vita finita continuo’ senza tormentoContinua la lettura di Due poesie
Due foto
La prima l’ho scattata io, come obiettivo la parete della prima casa di Iselle, piccola frazione di frontiera prima della lunga galleria del Sempione, galleria che consente alla ferrovia di passare dal territorio italiano a quello svizzero, Briga. Immagino che sia la gigantografia di una foto di gruppo di lavoratori e tecnici, scattata durante gli anni dei lavori di scavo del tunnel (1895-1905). Una foto poi trasformata in cartolina postale da inviare ai (o dai) parenti dei picconatori, rimasti nei paesi di origine: ‘Saluti mamma’. Gli aspetti più interessanti da osservare, secondo me, sono gli sguardi molto seri e provati dal lavoro e da una vita di stenti e gli abbigliamenti sobri delle persone in posa. I bambini pure molto seri negli sguardi e negli abiti dimessi però, se molto piccoli, si presentano con qualche vezzo in più; come la mantellina, si può immaginare, lavorata ai ferri dalla nonna, o il cappellino alla moda. I più grandicelli sono in tutto e per tutto vestiti come i padri. La ragazzina molto seria, in primo piano sulla destra, porta in mano l’involto del pane per l’intero gruppo di fratellini. Uno dei maschietti indossa un cappellino da ferroviere, come forse il padre lo vedrebbe ben sistemato da adulto, alla fine dei lunghi e pericolosi lavori, che costarono il prezzo di molte vittime umane. Sulla destra, bambini più curati viaggiano in calesse. Forse sono i figli di impiegati e tecnici.
La seconda è di Antonia Pozzi, poetessa e fotografa (1912- 1938). Probabilmente è stata scattata durante una fiera o sagra di Pasturo (Valsassina), località dove soleva trascorrere le sue vacanze negli ultimi anni della sua, per volontà, breve vita. Anche in questa foto trovo interessanti da osservare sia gli sguardi incantati dei ragazzini davanti alle meraviglie, capaci di accendere la loro fantasia, di semplici oggetti realizzati dall’artigianato locale, come gli abbigliamenti. Il ragazzino cresciuto troppo in fretta che porta pantaloni e giacca decisamente fuori taglia mi ha ricordato, per contrasto ma anche per somiglianza, un personaggio della poesia di Giovanni Pascoli: ‘ Valentino vestito di nuovo…’
Due scritti
di Annamaria Locatelli
…e se la guerra fosse un non senso?
A notte fonda infuriava la battaglia nella gola scura e arida: cozzavano spade, baluginavano armature e i corpi dilaniati giacevano a terra, le membra sparse…Ma ancor piu’ feriva l’aria l’incrociarsi di sguardi guizzanti, allucinati dall’odio che strisciava come serpente negli animi…La battaglia durava da giorni e giorni senza vinti o vincitori.
In lontananza, dal bosco, giunse repentino l’ululato di un lupo, tuttavia i guerrieri indifferenti continuarono il loro sanguinoso scontro, finché l’ululato non crebbe a dismisura, sino a diventare quello di cento, mille, diecimila lupi famelici. Allora persino i guerrieri piu’ temerari prestarono orecchio a quel latrato terrificante e minaccioso, quale boato di un devastante terremoto, e infine videro spuntare lo straordinario animale dal bosco e lanciarsi nella mischia…Serrarono le fila e furono costretti ad affrontare insieme la mostruosa belva, come nemico comune. L’avevano circondato, ma il lupo lampeggiante scintille teneva testa a tutti con artigli e denti affilati, finché lo videro arrestarsi e arretrare improvvisamente…Solo per un attimo esultanti, i guerrieri impietrirono ammutoliti, abbandonate le spade ai piedi, perché colpiti da un insopportabile prurito e brividi deliranti. Il lupo, improvvisamente mansueto, si ritirò nel bosco da cui proveniva…Ogni guerriero allora iniziò a togliersi con frenesia l’armatura, l’elmo, i gambali, finché non si ritrovò nella notte completamente nudo, come nel giorno della nascita: ognuno si grattava a più non posso il corpo piagato e arrossato, colpito da forma perniciosa, chiedendo indifferentemente aiuto ad amici, quanto a nemici nel reciproco bisogno…Senza uniforme, abbandonate le inutili armi, caduti i lustrini, i gradi, le medaglie e colpiti dalla stessa malattia, erano proprio tutti uguali, fratelli. In cuor loro avevano dimenticato il motivo di tanto odio e se ne chiedevano invano la ragione…
Al sopraggiungere dell’alba, dopo una lunghissima notte, i sopravvissuti squassati levarono gli occhi alla prima luce e sentirono scendere dal cielo una pioggia sottile e rinfrescante ed esposero le membra martoriate alla sua benefica carezza. A lungo fecero scivolare sulla pelle arrossata e ferita il liquido trasparente finché non si sentirono rigenerare e un grande sollievo penetrò nei meandri del corpo, finalmente liberato da malattia e odio: farsi guerra un non senso…
In quello stesso luogo decisero di innalzare un’immensa fontana chiamata ”Acquapace”, i viventi tutti vi affluivano…
Continua la lettura di Due scritti2022. Notte di Capodanno in Piazza Duomo a Milano
Questi sono i primi cinque interventi di una riflessione che speriamo corale su un episodio di cronaca che sembra, come altri consimili, paralizzare e azzerare le nostre già affaticate capacità di pensare e agire sugli sconvolgimenti in atto nella nostra vita sociale. Altri sono in arrivo e verranno pubblicati mano mano. [E. A.]
Continua la lettura di 2022. Notte di Capodanno in Piazza Duomo a Milano
Tre poesie
di Annamaria Locatelli
Un fiore Di ritorno sul solito treno, dopo commiati e pianti ricacciati, risospinta lontano in mare aperto nella risacca di onde all’indietro... ....sul treno di ritorno, una volta come tante, un gran sferragliamento e il convoglio s’arresto! Uno scambio fulmineo? Un guasto? No, una voce lieve di verità in lenta carovana di sguardi serpeggiò... Nel vagone accanto, sommessamente, un uomo la vita aveva lasciato, il capo molle reclinato sulla spalla dell’ignoto vicino. Mi prese un sussulto di sgomento per quell’insolito anonimo destino, ma infine mi rallegrai, forse invidiai quel cullato trapasso dal vitale movimento all’immoto centro del nido agognato... Volpina Invano cercheresti nel musetto a triangolo la grazia del gatto.. Gli occhi sgranati sanno la fame, lunga eterna, di Arlecchin Batocia e Pulcinella. L’affilato visetto in piccole astuzie trascina l’esistenza clandestina. Rosseggia la folta coda nei boschi, bersaglio in fasti di caccia. La volpina bella fugge dal mondo crudele... Amici dei fiori Giardino di fiori e di piante assoggettate al disegno dell’uomo che ha mani sapienti e stabilisce confini assembla colori e aiuole stabilisce la statura dell’erba seleziona i contorni del verde traccia meditati percorsi ombreggia radure soleggia tratti boschivi ...docili gli esseri vegetali! ...ed ora per sentieri montani non tracciati se non da serpi e scarponi tra cespugli pietre e rovi a svelare i fiori sciolti d’altura ritagli azzurri gialli rossi oltre le vette irraggiungibili e noi, giardinieri metodici, ad inchinarci davanti a tanto respiro sapiente e sconfinato E’ quanto Su una piccola mano aperta porgiamo quanto... La mano trema per la miseria di quel quanto: una manciata di semi dispersi nel deserto poi dal vento. Eppure brillano, raggi figli del sole, e per un istante soltanto... È quanto