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Due fiabe

di Annamaria Locatelli

NEL BOSCO ANTICO   

Anno 2050…autunno piovoso. Il bosco offre un tappeto di foglie multicolori: il sentiero ne è disseminato, ma ne restano ancora sugli alberi, piccole fragili bandierine già arrese. Alle zampe di agili o pigri animali, le foglie non scricchiolano più, la pioggia le ha rese flosce e marce, quasi una poltiglia di fango giallo-verde mescolato al terriccio. Una stradina costeggia il bosco e un’altra lo attraversa: ad un tratto, alla svolta di un’audace curva, si congiungono, quasi vanno a sbattere muso contro muso, come due animali fuggitivi e disorientati. Nessun paia di occhi a testimoniare l’incontro, solo felci e muschio.

Ma quelle due strade hanno fissato un incontro per sempre: rigide, immobili. Si toccano, si attraversano per poi divergere di nuovo. Chissà se hanno pattuito un’intesa, si sono confidate un segreto o solo sfiorate per perdersi una volta per sempre…Presenze, presenze. Gli alberi sono quelle più antiche: dominatrici possenti vite, hanno generato altre vite. Formiche, uccelli, insetti, piccoli mammiferi e poi fiori, arbusti…un mondo completo, anche se  marcescente. Il torrente, scendendo dal monte e srotolando macigni, si è affacciato alla scena ancora prima del bosco: intorno a lui tutto è germogliato…di presenza in presenza un’infinita catena a ritroso, senza poter risalire al Big Bang. Ripercorrendola in avanti, per ultimo è apparso l’uomo che ha sentito il bisogno di tracciare una o più strade nel bosco. Eppure prima di lui nessuno vi si era mai perso. Chi volava sopra, chi lo attraversava con la lentezza della lumaca, chi con la velocità della lepre, senza bussola e punti cardinali. Era sempre la propria casa: non ci si allontanava mai, non ci si perdeva mai. A volte si mangiava, a volte si veniva mangiati: sempre si andava a concimare la terra. E arrivò l’uomo! Non è riuscito ad essere con la natura, ha voluto dominarla…ma le stradine, in fondo, sono solo una tenera cosa, un bisogno di esserci, di facilitare il cammino, senza disturbare.

In quel bosco, ai piedi delle montagne, a parte le due stradine, lascito di antichi pastori che un tempo conducevano i loro greggi sulle alture e sentiero prediletto di persone solitarie e di innamorati, non c’erano tracce di opere umane.

L’autunno é avanzato e si intravedono i primi segnali dell’inverno imminente. Gli animali più pigri si preparano al lungo letargo, gli uccelli migratori hanno già spiccato il volo per terre lontane, le farfalle, dalla breve vita, sono scomparse e l’edera, cadute le foglie,  ha cessato di ricoprire i tronchi e le verzure di delicate campanelle bianche, screziate di rosa, in un abbraccio mortale.

C’è un’attesa nell’aria, nel silenzio incantato, silenzio che la sottile pioggia non riesce a turbare. La natura tutta sembra interrogarsi sul suo destino: vivrò o non vivrò? E’ struggente e spasmodica la richiesta di una risposta che tarda ad arrivare…e tutto è sospeso nell’aria, come per il primo giorno del mondo. Però allora il mondo si apriva alla speranza di un’eterna primavera, ora invece presentimenti di morte si stampano nella linfa verde e nei corpi dei piccoli insetti e degli animali del bosco. Gli alberi piangono le loro lacrime di pioggia e di freddo, le goccioline a rivoletti si inseguono sui tronchi squamosi, sui rami, sulle foglie ingiallite e vanno a penetrare nella terra scura…scoiattoli, talpe, serpentelli si acciambellano nelle loro recondite tane e rifiutano agli occhi la luce…ne hanno vista e vista e basta una volta per tutte! Lasciateci dormire in santa pace! Noi veniamo forse a disturbare il vostro sonno? Scusate, scusate. I dialoghi sommessi nel bosco…

E le due stradine che si incrociano sempre rigide a fiutare la metamorfosi – soltanto un mese prima tutt’intorno c’erano movimento, vita, musica di uccelli, colori e profumi inebrianti – pensano di essere solo loro uguali nel tempo, mentre lì tutto si trasforma. Certo sono opera dell’uomo, l’essere che pretende di incidere sulla natura “ per sempre”, l’essere che pretende di essere immortale.

Ma ad un tratto, nel silenzio tintinnante, un garrito squarcia l’immobilità del cielo e il pesante grigiore: la macchia scura di un rondone taglia in due lo spazio, segnando nel cielo, come a specchio, la traiettoria del piccolo sentiero che attraversa il bosco, una freccia saettante.

Nello stesso tempo una farfalla vola al limitare del bosco, sulla piccola strada che costeggia il tratto boschivo. Il rondone, in una delle sue acrobazie, si abbassa nel volo, quasi radendo il suolo, e va a raccogliere tra le ali nere quelle della bianca farfalla. Forza e delicatezza si incontrano in un abbraccio improvviso e disorientante di corpi vivi nel volo. Ciascuno dei due esseri si sorprende imbarazzato e desideroso di  recuperare il suo spazio, la sua integrità, e si ritrae ma subito dopo freme dal desiderio di replicare il contatto. Farfalla e rondone sono dei sopravvissuti, i loro simili hanno già concluso la breve esistenza oppure sono migrati in terre lontane, dal clima accogliente. Solo loro sono rimasti a quelle latitudini, nel rigore dell’inverno imminente. Ma perché? Perché non seguire il comportamento dei compagni che da tempi remoti si ripete e che attiene alla conservazione della vita? Un mistero unisce le due creature in un insolito e comune destino! Forse un’amnesia dell’istinto destinata a portarli a morte certa?  Oppure un atto coraggioso di volontà, la bacchetta magica di tutti i giorni? L’incontro inaspettato ha scatenato mille dubbi e ciascuno teme sadiocosa. Lunghi e incerti sguardi…Incomincia il rondone con un timido rito di corteggiamento, vola intorno alla farfalla, ma non è abituato a volare basso e a percorrere piccoli spazi concentrici, bensì a puntare all’immenso cielo azzurro intrecciando con i compagni mille trine nere. Solo così si sentiva libero e felice, ma ora una forza irresistibile lo porta in altra direzione. Anche la piccola farfalla, del resto, lo asseconda e cerca di elevare il suo volo quasi all’altezza dei rami più bassi degli alberi, colta da ugual sentimento. Il rondone vede la farfalla tremare di gioia, allora distende le sue ali protettrici e la farfalla prontamente vi si incunea, e non più per caso, sentendosi entrambi pervadere da un senso di accoglienza. Cercano ora un rifugio  nella fessura del tronco di una vecchia quercia e a lungo si raccontano…Le stradine del bosco sbirciano in tutte le direzioni, vorrebbero divincolarsi, rincantucciarsi l’una nell’altra, ma si sono perse d’immobilità…

 

 

L’INVITO

La donna si sveglia di soprassalto, guarda l’orologio: è mattina tarda ormai! Quella notte aveva sofferto di insonnia, i soliti pensieri fissi che le disturbavano il sonno! Era sola e viveva di preoccupazioni e di ansie. Riusciva comunque a sognare in quelle poche ore di sonno dall’alba al risveglio, e non sempre erano sogni rassicuranti! Quella notte, infatti,  una invasata ipnotizzatrice le aveva letteralmente inculcato la paura folle di avere ormai poco tempo di vita e di dover portare a termine con urgenza una missione: scrivere un testo teatrale per uno spettacolo che si doveva rappresentare su un grande palco, in una regione imprecisata del mondo, in una località ancora meno definita. Nella mente della donna tutto era vago, il sogno lo era per i suoi contorni indistinti, ma nello stesso tempo il messaggio trasmessole aveva una forza assoluta e un mandato indiscutibile. Pertanto la signora si preparò un caffè molto forte e si mise subito al lavoro. Lei non era una scrittrice, tuttavia prese un foglio ed una penna e pensò: qualcosa mi verrà in mente…Dopo un’ora la pagina era ancora del tutto bianca, tra l’altro nessun suggerimento le era stato fornito sul soggetto. Sconforto e terrore cominciarono ad impadronirsi di lei. L’orologio scandiva senza tregua il trascorrere del tempo e lei non riusciva a sfornare la più piccola idea! Era una questione di vita o di morte arrivare al più presto allo scopo…ma perché, se doveva comunque morire? I sogni vai a capirli! Bisognava almeno pensare ad un nome, ad un titolo che l’avrebbe magari ispirata e poi forse tutto sarebbe stato più semplice. La donna strinse forte la penna nel pugno e scrisse di getto una sola parola: Pagnotta. Fu come accendere uno schermo: apparve il Paggio Pagnotta di dimensioni umane, pervaso da un intenso profumo di menta e avvolto da un mantello di color verde, dal bavero rubino. Incantevole ed enigmatico…la piccola stanza si allargò e prese le dimensioni di una vasta foresta profumata, attraversata da un impetuoso corso d’acqua!

Lo strano essere, mangereccio e fluviale, si rivolse direttamente alla donna molto sorpresa (aveva, nonostante l’aspetto, la voce severa):

– Ero qua ad osservarti da molto tempo, tu non mi vedevi, ma poi mi hai invocato, eccomi qua:  hai bisogno di aiuto e l’avrai, ma devi anche farti guidare…le cose non vanno mai o quasi mai secondo i piani degli uomini! Ma sbrigati, hai già perso troppo tempo in cose ingannevoli. Ti suggerirò le informazioni esatte che da tempo cercavi. Prendi la mappa della Terra, c’è un luogo, piccolo punto del nostro pianeta, dove sei attesa. E’ situato in prossimità del mare e verdi colline lo incorniciano. Là si erge un palco costruito dalla natura: uno spiazzo elevato e protetto da antichissimi lecci e querce. Vai e saprai: ti aspetta un velivolo e il pilota è già pronto a condurti!-

La donna si sente confusa e smarrita: dovrebbe partire subito, lasciare tutto per una destinazione ignota e per una missione ancora più ignota? Ha un momento di esitazione, ma sa di non avere alternative, il suo cuore batte forte, ha molta paura ma deve. All’ultimo momento afferra una borsettina con qualche soldo e una carta d’identità, non poteva sapere di qualche controllo di frontiera. Intanto l’autorevole e appetibile Paggio si rende di nuovo invisibile e la donna spaventata si precipita all’esterno dove una cornacchia dalle ali spiegate la incoraggia impaziente a salirle sul dorso. Solo un fugace pensiero: ma quanto scomoda sarò? Si vola! Si vola! La signora prova a rilassarsi perché deve pur affrontare la situazione con calma; le penne del capo, a cui è aggrappata, sono alquanto ruvide! Intanto ha il tempo di riflettere con apprensione che, se ci doveva essere una rappresentazione, di essa esisteva solo il titolo: Pagnotta, ma senza  testo, ovvero molto conciso. Qualcuno avrebbe provveduto a tutto, spera, l’importante ora era restare calmi e farsi trasportare! Non si può scegliere il mezzo di trasporto come è inutile opporsi al destino. Tira un profondo respiro, ma è troppo presto per prendere fiato, l’uccello è investito da tremende scariche elettriche e una formidabile tempesta si abbatte sul piccolo velivolo. Fortunatamente il pilota – quanto lo stava rivalutando il suo uccello trasportatore!- sa tenere la rotta e passa indenne tra bagliori sinistri e sconquassi…Il cielo ora si rischiara e appare molto in basso la Terra, tra bianchi vapori; la cornacchia si appresta ad atterrare e la donna vede avvicinarsi la meta. Si tiene stretta, trema, ma l’atterraggio è abbastanza indolore, solo un divertente ruzzolone alla fine. Quando sbarca, si aggiusta i capelli, raccoglie la borsettina e vorrebbe ringraziare il volatile ma non ne ha il tempo, subito un gran rumoreggiare di mare e di genti la travolge: vede molte persone, centinaia, migliaia, sedute in cerchio intorno a un grande palco naturale. Dal colore della pelle, dagli abbigliamenti e dal risuonare delle più svariate lingue, capisce che provengono da ogni angolo del pianeta. Anche lei si ritrova seduta tra loro, è una di loro: una donna bianca del vecchio continente…Tutti giunti lì dalle regioni più lontane e, viene a sapere – le barriere linguistiche azzerate – con un invito particolare tutti sollecitati a scrivere il testo per una rappresentazione. Nessuno, si capiva dai volti preoccupati, era riuscito a portare a termine la consegna. Il mare ai piedi della grande collina occhieggiava tra scintillii di luce e sembrava divertito. Tra i mille interrogativi dei presenti, all’improvviso si fa silenzio e una quasi certezza: era quello l’incantevole spettacolo promesso, si presentava ai loro occhi: genti e mare da amare… Già scritto il copione, a caratteri di liquide onde increspate, un gigante a tracciarne la trama? Lor solo chiamati a rifletterlo: insieme autori, attori e pubblico? Ormai era lì e non le dispiaceva; sciogliere l’intero enigma era impossibile, pensa la donna. Quanto era lontano il suo piccolo mondo! Poteva anche sbarazzarsi della borsettina, nessuno lì chiedeva documenti, si sentiva a casa e si rifletteva in tutto ciò che vedeva, non distingueva più onde occhi mani…e infine: ”Pagnotta per tutti!”

Fiaba verde con intrigo internazionale

di Annamaria Locatelli

Il vecchio si ferma impietrito appena la vede comparire: una ragazza così bella, così fine, ma dallo sguardo decisamente sprezzante. La conosce soltanto da un mese ed è riuscita a sconvolgere la sua esistenza: deve far leva su tutto il suo sangue freddo per affrontarla. L’uomo in tasca tiene un’arma, ma è solo un giocattolo, una pistola ad acqua per spruzzare i ciclamini d’estate; nel caso la situazione precipitasse, solo allora sarebbe pronto a puntargliela contro. Che stress! Neanche da bambino amava giocare ai soldatini, preferendo unirsi ai giochi tranquilli e fantasiosi della bambine. E ancora molto giovane aveva scelto di occuparsi di fiori e di piante: una vera passione! Così aveva messo in piedi il suo vivaio, la sua serra, il suo giardino! Un paradiso verde dove dimenticare il mondo intero…Ma poi era arrivata lei, quella rompiscatole, in seguito ad una inserzione sul giornale in cui il vecchio, dopo molti ripensamenti, si era deciso ad offrire un lavoro, solo per i mesi estivi, ad un giovane volonteroso e preparato sul mondo delle piante. Si era presentata lei, aveva tutte le credenziali in regola: era iscritta al terzo anno di Botanica presso l’Università di Genova, aveva sostenuto parecchi esami, inoltre era carina e con un volto pulito. Particolare importante: aveva le mani curate, ma prive di smalto. L’aveva assunta. Ma ora, tornando al presente, bisognava dare prova di decisione, ora che aveva avuto modo di aprire bene gli occhi e che il sogno di aver trovato un’aiutante capace si era trasformato in un incubo!..

Il vecchio si arresta davanti alla donna, divaricando le gambe e così rimane per qualche istante senza fiatare e poi urla: “Dove sono spariti i miei gerani? E l’intero sottobosco di rosmarino? E le palme nane? E le azalee? ”.

E lei, di rimando: “Ma cosa sta farneticando? Non ho sottratto proprio niente! Se si riferisce alle fotografie che ho scattato ai suoi beniamini con la mia antiquata macchina fotografica, di mio nonno per la precisione, solo per conservare un ricordo di questa estate, ecco qua il corpo del reato!”. Ed estrae dalla tasca dei jeans un mazzo di fotografie, ficcandoglielo in mano con una certa rabbia, “Qua ci sono anche i negativi. E non mi dica che è un episodio di pirateria botanica: mi facci il piacere, direbbe Totò! Era il caso di convocarmi qui, in cima alla collina, al solleone di mezzogiorno per una fandonia simile? Cosa sarei io? Una ladra di immagini vegetali per conto della CIA? Suvvia, rinsavisca, qui tra un po’ arrostiamo come capponi di natale”.

“Mi passi in fretta quel materiale e non alzi troppo la voce con me, un po’ di rispetto per gli anziani!” “E lei rispetti i giovani: non siamo tutti approfittatori!”. Ma poi guarda l’orologio e, con un tono più conciliante, “A proposito, è l’ora di pranzo e lei, con le sue fantasie, mi ha fatto venire appetito. Che ne dice di andare a mangiare un boccone insieme? Accetterò volentieri il suo invito, anche se ho preso io l’iniziativa”.

“Furba la signorina! Così vuole anche scroccarmi un pranzo: accetto per poter mettere in chiaro alcune cosette con lei, ma da buon genovese paghiamo alla romana”. “Anche tirchio!!”.

La tempesta sembra essere finita in un bicchiere d’acqua e i due si apprestano a ridiscendere il tortuoso sentiero tracciato tra le terrazze, senza incontrare anima viva, muti come pesci di quel mare che da lontano sembra una distesa di verdi brillanti. Sul loro cammino affrontano dapprima una secca radura assolata, poi oliveti ed alberi da frutta, infine un tratto boschivo di lecci, castani, con sottobosco di ginestre, eriche e corbezzoli finché raggiungono le prime case del borgo ligure.

Si siedono immusoniti all’unico tavolino ancora libero della trattoria “Cuore Matto”, dove si può consumare un discreto menù a €10, insomma il più economico della piazza, e nel giardino esterno, sotto a un pergolato di glicine.  Il mare non perde di vista i due “sorvegliati speciali” col suo occhio verde smeraldo!

Arriva la sciura Nana, la proprietaria, e raccoglie gli ordinativi: farfalle al pesto e frittata di verdure per lei che si è convertita alla cucina vegetariana e pasta al pomodoro e platessa per lui. Sono d’accordo su un quartino di vino rosso a testa. La cucina è semplice ma curata.

Arrivati al caffè, lui dà seguito al suo malumore: “E allora si può sapere perché mi ha sottratto fiori e piante? L’ho assunta dopo lunga riflessione perché il lavoro era diventato troppo pesante per me: ho sempre sbrigato tutto da solo, ma ora gli anni si fanno sentire. Recentemente il personale della Cooperativa si interessa di floricoltura e di vendite, così mi dà la possibilità di realizzare il mio progetto di giardino mediterraneo. Cercavo da lei solo collaborazione, perché vuole carpire i miei segreti?” .  “Ma non dica sciocchezze! Riconosco che la sua serra è l’ultimo eden: tutto da lei sembra selvaggio e nello stesso tempo curato, uno straordinario equilibrio tra l’opera della natura e quella dell’uomo! Lei è un autodidatta, dotato di un grande talento naturale e il suo pollice non è verde, é divino!”. “Non si sprechi in complimenti, mi dica piuttosto perché l’ha fatto, se non mi dà una spiegazione, può ritenersi licenziata!”. “La prego non lo pensi nemmeno, con i suoi tiratissimi soldi, intendo pagarmi le tasse universitarie. Guardi che noi giovani abbiamo davanti un futuro molto precario e non possiamo permetterci di perdere un posto, seppur temporaneo, di lavoro! Può forse lamentarsi di come svolgo le mansioni che mi ha affidato?”. “ Non cambi discorso, mi dica delle fotografie!”. “Le ho già spiegato da cosa sono stata motivata: sono rimasta strabiliata davanti al suo giardino, peraltro a tutti sconosciuto, con tanto di cartelli che ne vietano l’accesso; così mi sono “armata” di una macchina fotografica per avere un riscontro oggettivo a quanto vedevo, tutto qui!”.  “Ah, ha dato occhi per un puro desiderio contemplativo! Ed io dovrei credere a tanto candore?”. E intanto alza il tono della voce e gli avventori li guardano incuriositi: una strana coppia quella, potrebbero essere nonno e nipote, ma pensano a tutt’altro; lei si accorge e sottovoce: “La smetta di sclerare, tra un po’ diventiamo lo zimbello pubblico!” e tenta di calmarlo appoggiando la mano sul suo braccio…“ Può fidarsi di me, amo quanto lei fiori e piante e volevo suggerirle di partecipare alla prossima edizione di Euroflora a Genova, otterrebbe degli straordinari riconoscimenti”. “Ma insomma la smetta di adularmi, mi dica la verità o la denuncio!!” .“Così farebbe ridere il mondo intero, andiamo si calmi, le ho consegnato le foto e i negativi ma, alla fine, di cosa ha paura?”. Intanto tra sé pensa che in effetti l’aveva visto spesso trafficare in un angolo della serra, dove anche a lei era stato vietato l’accesso. Non è che vi coltivava la pianta del papavero? Teme di essere scoperto e finge di essere preoccupato per innocue immagini di fiori e di piante? La ragazza si fa sospettosa…Nel frattempo quasi tutti gli avventori sono spariti e a loro non resta che pagare il conto, se non vogliono attirare troppo l’attenzione della locandiera. Fanno per estrarre i portafogli dalle tasche, ma il pover’uomo si ritrova tra le mani la scordata pistola ad acqua; la ragazza la vede: “E’ con quella che voleva minacciarmi? Magari! Una bella spruzzata d’acqua e, col caldo che faceva lassù, almeno mi sarei rinfrescata!”. Scoppia in una fragorosa risata. “Ma che film si era fatto?”. La ragazza non smette più di ridere e quando è il momento di pagare si rende conto che lui, sì lui il delinquente, non dispone di un soldo, visto che continua a frugare nella tasca, sperando forse in qualche passaggio segreto. A quel punto la giovane salda il conto per entrambi. Il vecchio diventa rosso come un peperone. Che figuraccia! “Ma forse – pensa – aveva esagerato a considerare tanto male quella ragazza. Ora l’aveva tolto d’imbarazzo davanti alla sciura Nana e poi bisognava riconoscere che lei, così giovane, con le piante ci sapeva fare! A furia di vivere solo come un orso, come ormai succedeva da anni, da quando la moglie era scomparsa, riconoscendo solo i vegetali come amici, diffidava di tutti…Si sente smascherato e completamente disarmato, così gli vacillano le gambe e ritorna a sedersi. La giovane chiede: “Tutto a posto? Vuole magari un amaro?”. “No, grazie, è solo la pressione che a volte mi gioca brutti scherzi: gli anni, sa! Ma è tutto passato, andiamo! Voglio mostrarle una cosa…”. E i due si incamminano sul sentiero assolato, mentre il mare in fondo al carruggio ha i riflessi verde-abbaglianti di un gioiello Inca. Nessuno dei due ha voglia di parlare: lui riflette sulla sua intera esistenza, lei sul suo incerto futuro, entrambi nutrono la speranza di avere trovato nell’altro un amico. Una volta arrivati alla serra, lui le chiede di attendere un attimo, poi la invita ad entrare proprio in quell’angolo appartato fino ad allora a lei inaccessibile…e là la sorpresa delle sorprese! Si ritrova immersa in un vivaio di magnifiche orchidee dalle forme strabilianti, con occhi e bocche sulle corolle sorridenti. I primi fiori dal volto umano e sprigionanti una misteriosa luce verde…Non si era mai visto!! Lei trattiene le lacrime e lui ride, altrettanto commosso, e racconta dei tanti anni dedicati a raggiungere quel risultato: le sue bambine-fiori erano tutta la sua ragione di vita, la sua famiglia! Ma ora vuole condividerle con lei. La giovane donna esulta di gioia, ma poi, in quanto botanica, vuole sapere ogni particolare della ricerca portata avanti da quello che ormai considera il suo maestro. Per ore ed ore i due si parlano, finché non si fa notte. Quei fiori dovevano essere portati fuori, nel mondo, dove poter recare conforto con il loro sorriso a molte persone sole, malate o semplicemente tristi! La ragazza spera inoltre che un giorno la serra-giardino, ampliandosi, avrebbe dato lavoro a molti altri giovani. Si accordano infine di portare le orchidee al più vicino mercato dei fiori, l’indomani…E’ notte ma il mare scuro da lontano è disseminato di pagliuzze verdi…sarà la luna…sarà un sogno…

Il viale

di Annamaria Locatelli

Corvetto,
fiume di asprezza
e tenerezza...
Anime si rincorrono
nella corrente impetuosa
e corpi pesanti
sprofondano.
Il “Corvetto odia”?
Sagome da tiro al bersaglio
sfilano mute,
separate eppur unite
da rabbie e da paure,
per confluire sulla zattera
del lungo Viale alberato,
una precaria zona franca!..
Sulle ombreggiate panchine
c’è chi chiede aiuto
e, magari, lo respinge,
chi agonizza,
chi, viaggiatore, conclude
la sua vita in gran saggezza,   
chi ride forte, sfidando la malasorte,
chi spazza il “Viale-Casa comune”
e chi discetta
di pane e di terre lontane,
di sfratti e di case vuote,
di salute alla salute,
di figli amari,
di ricordi dolci...
Di quale futuro?
Intanto un virus novello,
sfuggito all’umano,
svolta l’angolo
tra un platano e un ibisco...
“Ci stai forse spiando?”
esplode un coro esorcizzante
dai sedili vocianti!
Vi s’aggira persino un fantasma,
-fuori, fuori dal coro!-
trasformista dai mille volti
e viscido ladro di vecchietti...
E poi? Che fare?
E’ una chiara sera estiva...
prendere il volo
sulle ali velocilente
di una bicicletta sfrecciante
verso verde periferia
Ciao Corvetto, ciao...
 

Riflessioni e divagazioni

 

in occasione della scomparsa di Gino Strada

“Io non sono pacifista, io sono contro la guerra”

di Annamaria Locatelli

La teoria etologica dell’aggressività (naturalismo etologico) afferma che la violenza è connaturata all’essere animale, quindi all’essere umano in quanto animale. Ma per fare una distinzione: gli animali, per la difesa e l’offesa, utilizzano come strumenti parti del corpo: gli artigli, i denti, le corna, il veleno, ma anche il mimetizzarsi, la corsa, il salto…L’uomo, grazie alla sua particolare intelligenza, oltre all’uso del corpo, per altro abbastanza fragile e indifeso, si è subito attivato a trovare o a inventare mezzi di attacco e di difesa, come la pietra, la clava, l’arco e le frecce…Era ancora raccoglitore-cacciatore, ma poi con l’affermarsi dell’agricoltura ebbe bisogno di strumenti e materiali per il lavoro della terra e per la difesa dei confini delle proprietà più solidi e mirati, forgiati nel fuoco, i metalli, per ultimo il ferro. Al periodo neolitico alcuni studiosi fanno risalire l’affermarsi di alcune caratteristiche di base delle società umane attraverso il tempo, con poche eccezioni: proprietà, classi sociali, stato, guerra. Senz’altro la violenza, pur insita nella natura dell’uomo, ha fatto un vero “salto di qualità” con  la pratica delle guerre. La guerra infatti comportò subito l’agire in gruppi piuttosto estesi contro altri per difendere gli interessi di un singolo o di una collettività; questo fatto comportò, a sua volta, la scelta o l’imposizione di capi, la schiavizzazione di una parte della popolazione (spesso quella vinta) per farne lavoratori e soldati e il perfezionamento di strumenti e  tecniche legate alla guerra, cioè le armi e le strategie militari. Così nell’arco dei secoli, dall’invenzione della polvere da sparo ma soprattutto dalla rivoluzione industriale e tecnologica si è verificato il vero (irreversibile!?) “salto di qualità” nel tipo di violenza impiegata per la conservazione e lo sviluppo dell’apparato economico-sociale e dei suoi privilegi. Una parabola mortale giunta al suo culmine con la costruzione e l’utilizzo per le guerre recenti di armi di distruzione di massa, ma non ancora conclusa se si pensa alle attuali diciottomila testate nucleari imboscate in vari luoghi del pianeta, alle armi chimiche e batteriologiche, alle armi inquinanti ed elettroniche, apparentemente innocue perché non necessariamente esplodono, distruttive dell’ambiente e dei cervelli. Sembra così evidenziarsi una contraddizione: la natura ha dotato l’uomo soprattutto della forza dell’intelligenza ma le sue creazioni tecnologiche, nel campo militare e non solo, viste le conseguenze, spesso negano la stessa, rischiando di vanificare i traguardi raggiunti dall’uomo nel campo scientifico, tecnico, artistico e soprattutto etico, perché sottomessi o strumentalizzati dalla onnipotenza della violenza politica-economica-militare. Infatti queste armi, non solo non tengono conto delle leggi naturali e morali, che sono alla base della vita e della convivenza umana nell’interesse collettivo, ma anche di interessi particolari, arrivando alla fine, come si teme ed è prevedibile, alla distruzione dell’intero pianeta. Armi impiegate ormai in una guerra globale ed infinita arrivando l’uomo, per giustificarla, a scomodare  dio in persona, che la vorrebbe santa, crociata, giusta, umanitaria, chirurgica…Insomma intelligenza schierata contro intelligenza. Un’intelligenza umana schizofrenica, ormai malata e che soffre di un gigantesco isolamento. Si può anche pensare ad un muscolo sano, dove poi alcune cellule si siano accresciute a dismisura, come per il cancro, comparso, penso non a caso, con l’avvento sulla scena del mondo dei due conflitti mondiali. Una violenza malata da esasperato antropocentrismo ai danni della natura: dove anche all’interno della comunità umana si sono create gerarchie, centri di potere, classi sociali disparate. La violenza umana, pertanto, come manifestazione naturale dell’uomo e congeniale agli equilibri vitali nelle relazioni ambientali e sociali, è lentamente, ma inesorabilmente accelerando il suo corso nell’ultimo secolo, uscita fuori, degenerata… Perciò mi trovo del tutto d’accordo con Gino Strada, dell’associazione “Medici senza frontiere” (ma anche con don Milani che scrisse una lettera contro i cappellani militari che benedivano le armi) quando affermava: “La guerra è una malattia mortale e deve essere debellata”, come la peste e la lebbra che hanno imperversato per secoli, ma di cui infine si sono trovate le cure. L’attuale guerra globale, inoltre, è talmente pervasiva da entrare, come minaccia incombente, in ogni manifestazione comunicativa e richiederebbe maggiore attenzione da parte di tutti noi: uomini comuni di buona volontà, medici, psichiatri, scienziati, religiosi, artisti e non solo da parte degli uomini politici -che spesso risultano essere tra i diffusori del contagio- come si fa con i malati…Sembra che ogni società (così come il potere l’ha modellata) abbia “la sua guerra”, ovvero la guerra che “si merita” e che entrambe si riflettano nello stesso specchio come anime gemelle. Le colpe, e sempre ci sono nelle guerre imperialiste, sono gli innocenti a pagarle in termini di vite umane, di mutilazioni, sofferenze psichiche e psicosomatiche..capita allora che il bambino muoia in tenera età per malattia, fame, ferite, mentre il criminale di guerra arrivi ricco e centenario. Sembra che il senso di colpa  esista raramente tra i sintomi salutari dei veri e convinti “malati di guerra”. Una malattia strana, non umana…

DIVAGAZIONE (in tema)

Ho letto recentemente un romanzo di Amélie Nothomb, un’autrice che spesso rivolge l’attenzione a tematiche del nostro tempo, in questo caso la guerra, ma con uno sguardo “obliquo”, presa com’è dalla narrazione di un io irrisolto e problematico, tuttavia proprio per questa ragione, dato l’approccio apparentemente casuale all’argomento, risulta spesso molto convincente.  Nel suo romanzo, “Una forma di vita” (Editore Voland), Amélie Notomb mette in risalto alcuni risvolti morbosi presenti nelle abitudini dei militari, poco noti come invece possono essere i ben noti disturbi psichiatrici spesso presenti nei reduci di ritorno alla vita civile o gli effetti sul fisico dei medesimi derivati dall’uso prolungato di armi all’uranio impoverito…Attraverso un carteggio (reale o espediente letterario?) tra la scrittrice e uno dei suoi numerosi fan lettori, fantomatico militare americano di stanza a Bagdad dal 1999 al 2010 durante la guerra nel Golfo, vengono portate alla luce le sregolate abitudini alimentari di numerosi soldati, sottaciute per ovvi motivi dallo stato maggiore dell’esercito (troppo lontano il modello Rambo), e le medesime abitudini da parte di persone giovani sul fronte di una vita quotidiana vissuta sotto l’egida della pace, ma svuotata di prospettive e di valori, proprio nella brillante società USA. Le due situazioni, dell’essere militare e dell’essere civile, finiscono per combaciare nella stessa persona, in un acrobatico finale a sorpresa a cui l’autrice ha abituato i suoi lettori. La malattia in questione è la bulimia, la grande obesità, che, nella sua drammatica disarmonia, per chi ne soffre assume significati molteplici e simbolici (atto di autopunizione per le atrocità commesse, atto di accusa verso chi le comanda, volontà di protesta, “sublimazione” della rabbia e della paura, incorporazione delle vittime, esternazione della voracità imperialistica…) e denuncia l’impossibilità di tollerare situazioni dove è richiesta una ferocia disumana da parte persino di soldati mercenari spesso arruolatisi come ripiego dopo la ricerca vana di un lavoro…Ma succede anche a molte altre persone che, mai allontanatesi da casa, nella società del benessere per eccellenza e risucchiate dalle offerte consumistiche-elettroniche, finiscono con l’isolarsi in una stanza davanti a un computer, in un loro mondo virtuale, ingabbiati senza alternative e senza speranze a vedere il proprio corpo accrescersi a dismisura, fuori da ogni possibile controllo.

Mi sembra che il tragico esempio del bulimico in guerra, che sia sotto le armi o inchiodato alla scrivania, renda bene la convinzione di Gino Strada che la guerra sia il piu’ grande morbo di cui soffre l’umanità… Il coraggioso medico è oggi scomparso, ma speriamo che il suo impegno nell’attivismo pacifico contro le guerre a fianco delle vittime sia propulsivo..

Infanzie

di Annamaria Locatelli

Quando gli inverni  erano tanto rigidi,
bambina,
di ritorno dalla scuola o dalla spesa,
sulla stufa di ghisa  strofinavo le dita
finché di geloni paonazze.
La legna crepitava, ma l’ampio locale
della vecchia osteria poco si scaldava…
Fortuna c’erano le ascelle della nonna
che non perdeva mai la sua postazione
sul treppiedi vicino alla fiamma
e, invitante,
accoglieva il pulcino intirizzito tra le sue ali
calde di piuma.
Dietro di me si formava la fila
per assaporare quel calore di chioccia...
 
Alla vecchia stufa il cuore batteva forte:
su un ripiano di ferro richiuso da uno sportello,
proprio vicino alle braci, gelosa, accoglieva
le ”schisette” di avventori infreddoliti
con la frugale cena
e dal ripiano di sopra profumava l’aria,
mescolando gli aromi
di cibi, di corpi, di fumo, di vino
a quelli d’arancia e di mandarino...
Era un vecchio trani del nord
intriso della terra del sud.
 
E di antiche storie
stufa, o nonna che sia,
raccontava:
di terre di briganti
di migrazioni per oceano
e di gelide contrade,
lei fragile precaria
il porto rosseggiante
in un’ansa ventosa
 

Giornalisti per passione e CPR impenetrabili

di Annamaria Locatelli

Pubblico nello spazio della mia rubrica l’articolo di un giornalista della rivista on line Pressenza Italia, Andrea De Lotto. Mi piace molto come e cosa scrive questo giornalista, che in una particolare occasione ho conosciuto e mi ha autorizzato a riprendere il suo scritto. L’articolo parla dell’istituto molto contestato del CPR. Ad esso ho accennato  in una  mia poesia  (qui). (A. L.)

Siamo un po’ “Bocca di rosa”. Noi di Pressenza non facciamo i giornalisti né per noia, né per professione, lo facciamo per passione… e per etica.
Così cerchiamo di capire, ci addentriamo, a modo nostro “abbiamo tempo”. Essendo volontari, abbiamo poco o tantissimo tempo; dipende solo da noi, da quale è la nostra spinta. Continua la lettura di Giornalisti per passione e CPR impenetrabili

Poliscritture 3: sei rubriche

Presento le prime  sei rubriche di Poliscritture 3, il cui cambio di passo  è stato delineato qui.  [E. A.]

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Poesie (riflessioni) che ho scritto in questi tristissimi giorni

Minor White, Road with Poplar Trees, in the vicinity of Naples and Danseville, New York, 1955

di Annamaria Locatelli

 CASO MAI…
 
 
 Le certezze lunghe più vite,
 ben protette dalla scorza
 di un tempo “organizzato”,
 ora sono fiori recisi
 nel deserto della paura…
 Eppure la Storia dice…
 Eppure per altre prove
 approntammo valide difese
 ma il crollo è stato
 repentino e crudele
 per il corpo a corpo
 con un nemico
 dalle armi invisibili,
 vigliacco!
 Noi lasciati soli e indifesi
 insieme con i nostri ridicoli arsenali…
 Così il tempo delle certezze
 si scolora in lutti e ombre.  
 Da giorni, da settimane ormai,
 si invoca la chiara sorgente
 di vera intelligenza umana
 perché si faccia fiume,
 fertile di limo,
 ad inondare i nostri corpi aridi
 restituendo loro il soffio della vita,
 il respiro….
 Virus, non  sei tu un dio!
 
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“Sonjuscka mio passerotto”

di Rosa Luxemburg

Ho letto in questi giorni, e ringrazio un amico per la segnalazione, una lettera che Rosa Luxemburg, inviò dal carcere ad un’amica, moglie di un suo compagno di lotta incarcerato, nel dicembre 1917, due anni prima della sua morte, di cui quest’anno ricorre il centenario. “Sonjuscka mio passerotto” è un testo bellissimo e, nella sua semplicità, molto profondo e persino enigmatico…Anche un bel esempio di prosa-poesia. Con essa, Rosa Luxemburg intende confortare l’amica, ma penso anche se stessa mentre si trova a vivere rinchiusa in una buia e fredda cella, e infondere quella calma interiore “…che smentisce ogni male e ogni tristezza e li trasforma in trasparente chiarezza e felicità”. Immagino che Rosa Luxemburg, con questi pensieri, tenesse in animo, saldo come una roccia, il suo progetto di vita e rinfocolasse gli ideali rivoluzionari per cui tanto lottava…Proprio in virtù di tali ideali e valori, aveva coltivato la sua umanità e l’amore per gli altri, la natura e l’arte, ma anche sondato le brutture dell’animo umano e gli orrori che ne derivano, allora più che mai scatenati e dilaganti in tempo di guerra…Individuava le cause di tali mali dell’ingiustizia umana nella cieca violenza e nello sfruttamento dei poveri e, proprio nel carcere, si trovò nella situazione di riconoscere in uno dei poveri bufali ferocemente domati e deportati dalle libere praterie rumene in Germania per svolgere il duro lavoro di traino, in sostituzione dei cavalli, una delle vittime più indifese e, nello stesso tempo, simbolo di tutte le vittime . Quando l’animale, nel cortile del suo carcere, viene bastonato e perde sangue, la scrittrice soffre con lui e vede, nella tristezza dei suoi “dolci occhi neri”, il volto rosso per il pianto di un bimbo maltrattato…Lo chiama “fratello” e, a lui che non sa piangere, presta le sue lacrime…La commossa rievocazione di questo episodio mi ricorda, tra l’altro, una poesia di V. Majakovskij (“Come ci si comporta bene con i cavalli” 1918 [già pubblicata su Poliscritture qui) dove il poeta russo descrive la sua compassione e solidarietà per un vecchio cavallo deriso crudelmente quando stramazza a terra, durante una parata, chiamandolo “bambino”…Due scritti quasi contemporanei, chissà se i due rivoluzionari e animalisti si conoscevano? [Annamaria Locatelli]

Per il testo di Rosa Luxemburg rimandiamo al link sotto nel rispetto della volontà dei redattori de “IL GIORNALE DEL RICCIO” che della lettera hanno curato una bella pubblicazione on line con l’avvertenza che riportiamo:  VIETATO COPIARNE IL CONTENUTO ANCHE PARZIALE SU ALTRI SITI. CHIEDIAMO GENTILMENTE DI CONDIVIDERE DIRETTAMENTE IL LINK DELL’ARTICOLO E DEL RELATIVO FACEBOOK. GRAZIE PER LA DIFFUSIONE.
https://ilgiornaledelriccio.com/2017/01/15/rosa-luxemburg-oh-mio-povero-bufalo-amato-fratello-la-lettera-a-sonja-liebknecht-del-1917/